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Autore: Justanotherpsycho    28/12/2012    1 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21 - Prendere provvedimenti Briareo, ultimo della stirpe degli Ecatonchiri, fiero ancora si agita e muove l'aria pesante dell'Ade con la sua voce possente: maledice gli Dei e quelle catene che ora umiliano il Re dei Giganti, costringendolo al ruolo di fondamenta per il castello di Ade stesso. C'è chi lo chiamerebbe un grande onore concesso al Re caduto, ma lui l'ha sempre visto come un'ulteriore beffa, un modo per insinuare che la stirpe dei Giganti è ormai completamente soggiogata e raffigurare come su di essa gli Olimpici abbiano edificato il loro regno.
Secoli e secoli di supplizio non hanno irretito il suo orgoglio, forse il più grande che abbia ingombrato questo mondo, simile a quello di Ares, ma amplificato e proporzionato alle dimensioni gigantesche del suo possessore; le catene non hanno fiaccato le sue ossa e i suoi muscoli, che ora danno del filo da torcere a colui che siede sul triste trono, scuotendo come può le innumerevoli isole che sostiene, una per ogni mano (cosa che sarebbe impossibile ad ogni "comune" Gigante), oltre le quattro che gli servono per reggere l'enorme mole del Palazzo.
Questo, se non bastasse il pilastro che lo innalza sopra le lande infernali a spaventare chi vi si trovasse a passare nelle vicinanze, ha l'aspetto più cupo e terrificante che mai edificio costruito da mani mortali o immortali abbia potuto assumere.
Non stupisce quindi che anche gli stessi satiri temano quel posto e odino dovervisi recare per dare qualche comunicazione o ricevere qualche ordine.

E quand'anche riesce a passare inosservato all'Ecatonchiro, troppo occupato a sbraitare ed agitarsi sotto di lui, quel piccolo satiro tremante che sta volando a fatica verso il Palazzo di Ade non manca di attirare l'attenzione del Palazzo stesso: subito, facendo il loro dovere, tutti i mostri di pietra che popolano la facciata dell'edificio prendono vita e all'unisono puntano il loro orribile sguardo verso quello che avvertono come un intruso.
Occhi iniettati di sangue e odio lo seguono verso la bocca di quell'inferno nell'inferno: la facciata del Palazzo è identica a quella di un tempio, solo molto più spropositatamente esagerata, tanto che in altezza, se sorgesse dal suolo, raggiungerebbe il ginocchio del Gigante che la sottende, e ciò, detto così, potrebbe non sembrare gran cosa, ma se si ricorda che Ares sembrava alto quanto un'unghia a confronto del gigante Encelado e si prova a confrontare un'unghia con uno stinco si può lontanamente intuire le sublimi altezze raggiunte dal Palazzo.
Ma non sono le dimensioni la cosa più inquietante, come si è visto: le colonne sono formate da mostri di ogni tipo e dimensione che si accumulano, accavallano e susseguono fino al soffitto; Ciclopi enormi, Draghi che si avviluppano intorno a questi, Grifoni alati, insetti e ogni altra belva e orrore che abita i più spaventosi incubi di tutti quelli che possono essere accolti nel regno di Morfeo.
L'enorme frontone, che è fatica di tutte le figure in pietra sopra elencate, è classicamente sviluppato a triangolo, la forma perfetta, e ospita le solite scene sacre, che qui corrispondono alle vicende con protagonisti i Tre Fratelli che hanno portato alla spartizione del Mondo e quindi alla fondazione del Regno Infero. Ma anche le figure protagoniste di questi rilievi hanno ora vita e dall'alto gli occhi iracondi di Zeus, Poseidone e Ade stesso fulminano l'ospite, e a intervallare le figure in rilievo, a colmare quelli che dovrebbero essere spazi vuoti, ci sono una miriade di teschi di dimensione umana, sempre scolpiti nella roccia, e il malcapitato messaggero potrebbe giurare che anche i loro occhi inesistenti lo stiano fissando.

La guardia infernale atterra poco dopo la prima fila di colonne, le cui membra mostruose si rivoltano tutte verso di lui come un girasole che segua il carro solare nel suo declivio verso il riposo crepuscolare.
Il satiro, zoppicando per via delle ferite che gli butterano tutto il corpo, si fa forza e si costringe a non guardare mentre avanza lentamente.
Dopo pochi rintocchi asimmetrici dei suoi zoccoli sul duro pavimento del Palazzo, ad un tratto l'oscurità lo avvolge completamente, sia che guardi avanti che dietro, nonostante le colonne, date le dimensioni dell'edificio, siano molto distanti tra loro e non possano creare tutta quell'ombra.
Il non poter vedere quei mostri, ora, è tutt'altro che un sollievo, poiché sa che sono comunque a breve distanza da lui e il puntello dei loro sguardi ora si conficca più affondo nelle sue carni impreparate.
Insieme all'oscurità è calato anche il silenzio: non si odono più le urla dell'Ecatonchiro, né sembra che questo, sotto di lui, si stia agitando, data l'immobilità del pavimento; non si sentono più neanche lo sfrigolare della lava molto più in basso né le urla dei dannati disseminati nell'Ade... solo i sibili di quelle bestie, il loro ringhio minaccioso e il rumore che fanno mentre seguono l'incedere del satiro coi loro corpi.
Finalmente un barlume, una piccola face, si accende lontano senza preavviso, facendo sussultare il visitatore, e lentamente gli si avvicina fluttuando nell'aria che, al suo passaggio, si colora del suo blu pallido, come se la fiamma fosse fredda.
Raggiuntolo, lo accompagna nel suo percorso mentre la guardia la osserva spaventata, ma senza rallentare il passo. Molte altre, in seguito, si accendono e si uniscono a quella strana carovana, tant'è che alla fine le loro luci unite riescono a illuminare un buon numero di colonne e mostri tutt'intorno.
Distratto da quell'inquietante spettacolo blu-argento sopra la sua testa, il satiro sbatte contro qualcosa che poi trova essere un'enorme catena, dalle dimensioni tali da raggiungere e superare le sue corna. Seguendola giunge infine ad uno spiazzo dove le colonne lasciano il posto ad una lunga tavolata su cui però non vi è alcuna pietanza.

Ora il corteo di fiammelle abbandona il satiro e si dispone a cerchio molto al di sopra della tavola, illuminando tutta l'area: all'estremità più vicina all'ospite, in corrispondenza dell'unico piatto "pieno", sebbene contenga un'unica melagrana mezza consumata, v'è una sedia dorata (mentre tutte le altre, come qualsiasi altra cosa lì, sono di pietra) dallo schienale alto, dalla cui sommità si stende un velo che nasconde il suo occupante. La luce riflessa da questa risplende stranamente calda, risultando immediatamente un pugno nell'occhio, unica stella in un cielo morto e scuro.

Unico altro "commensale" a quel lugubre tavolo siede invece a metà di questo, ancorato ad una sedia "normale", se normale può definirsi un'enorme mano scheletrica in pietra che spunta dal pavimento. Di costui si può chiaramente vedere il volto e il corpo, ma giace inerme con la testa penzolante da un lato, dando l'idea più di uno che dorma che di un morto.
Infine, non all'altro capo del tavolo, ma dietro di questo, si erge alto un trono composito dei peggiori mostri di pietra che l'Erebo abbia mai sputato fuori, e sopra di esso Ade in persona, in tutta la sua enorme mole, più simile a quella di un Ciclope che a quella di un Dio.

Egli sta con il capo chino sul petto mentre il suo volto è completamente oscurata dai suoi lunghi capelli neri e la barba, nera anch'essa, ricopre le sue vesti divine fino ad arrivare a toccare terra.

Anche lui sembra dormiente, ma il povero satiro è comunque terrorizzato alla vista del suo Re.
Tutte le catene che spuntano da ogni lato dello spiazzo, compresa quella che sta seguendo l'ospite, conducono al seggio dello Zeus Ctonio e vi si avviluppano tutt'intorno alla base. Da quel ammasso confuso spuntano infine quattro estremità che cingono gli arti del Re, questi, pur sembrando in quiete, sostiene la tensione proveniente da ogni singola catena che imprigioni un Gigante.
Alla fine, il satiro è giunto, dolorante, oltre l'ultimo posto a tavola, ai piedi dell'imponente trono.
«Cosa ti porta qui e chi è riuscito a ridurre in queste condizioni una mia guardia?» erompe Ade senza muovere null'altro che le labbra, sotto il nero manto della sua funerea chioma.
«E'-è stato Ares, mio signore... E' per lui c-che sono qui - balbetta l'essere caprino, scosso da tremiti sempre più forti - Ha s-sterminato tre intere legioni delle v-vostre guardie... i-io sono sopravvissuto per miracolo scappando... Sono rimasti vivi solo i satiri che erano in servizio in giro per l'Ade...»
Il Re delle Tenebre sta un attimo in silenzio, senza muovere ancora la testa, come non abbia sentito, o compreso, ma conoscendo la sua natura, probabilmente sta solo riflettendo. Ad un tratto poi il suo capo scatta verso l'alto mostrando gli occhi, due piccole biglie rosso fuoco che risaltano sull'ombra del resto del viso:
«ARES!?!? E agisce per conto di suo padre!?»
Il satiro, sempre più terrorizzato, quasi sbalzato via dall'urlo del suo sovrano:
«N-non lo sappiamo...»
Altra pausa di riflessione del Dio dei Morti.
«Se agisse da solo, quali potrebbero essere le sue intenzioni? Perché profanare l'autorità del Dio Infero? E' possibile che mio fratello non ne sia a conoscenza? E se lo è, perché non mi ha avvertito? ... E se invece agisse realmente su mandato di Zeus? Questo significherebbe guerra! Che mio fratello voglia disonorarmi ancora di più prendendosi la corona di questo già triste mondo?»
Ennesima pausa. Ennesima elucubrazione.
«Cosa sta facendo ora!?» tuona infine.
Il satiro, colto di sorpresa dalla domanda dopo tanto tempo che non veniva interpellato, fa un balzo indietro finendo sullo schienale scheletrico della sedia alle sue spalle.
«L'ultima volta che l'ho visto stava... massacrando i miei compagni... chiedendo a gran voce dove si trovassero i figli di Echidna...»
Pausa.
«Cosa vuole da quei mostri!? ... questo non riesco a spiegarlo...»
Pausa.
Questa volta è il satiro che, timidamente, interrompe il silenzio tombale di Ade.
«S-s-signore... s-se mi permette... credo di aver capite che intende l-liberarli...»
Nessuna pausa questa volta.
«LIBERARLI!?!? Questo scatenerebbe il caos nel mio regno!! Che sia un attacco da parte dell'Olimpo o un'iniziativa privata, tutto questo va impedito! Tu, devi recarti sull'Isola Blindata e liberare il mio agente»
Ancora una volta sorpreso, ma questa volta dalla rapidità e dalla decisione con cui erano stati emanati gli ordini, il satiro ci mette un po' di più a elaborare l'idea:
«... I-i-intendete dire... THANATOS!?»




Il Cantuccio: Scusate il ritardo, ma è festa anche per me :) a proposito, auguri! per qualsiasi cosa
  
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