048. Side of face
Lato del volto
“God has given you a face, and you make yourself another”, William Shakespeare, Hamlet
Il Maggiore Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco,
sapeva di essere un privilegiato: per il suo “onorevole” servizio reso alla
nazione di Amestris gli erano accordate numerose concessioni (cibo migliore,
tenda migliore), che un qualunque altro soldato poteva solo sognarsi.
Aveva rifiutato qualunque privilegio. Gli bastava
possedere l’orologio d’argento, non per il suo valore simbolico, ma proprio per
il suo uso. Faceva scattare lo sportellino e subito la sua attenzione si
concentrava sul quadrante e le lancette. Le lancette si muovevano con snervante
regolarità; si aveva sempre l’impressione che in realtà rimanessero ferme.
Quante di quelle giornate d’inferno erano passate?
Roy non aveva bisogno dell’orologio per sapere
perfettamente a che ora il sole tramontava e quando sorgeva. La notte, ovviamente,
la passava insonne a osservare il muoversi ritmico delle lancette e ad
ascoltare il suono degli ingranaggi, fino all’alba, quando volgeva il viso ad
est.
I suoi occhi vedevano solo sabbia, che vorticava
su se stessa, al ritmo di grida solitarie, sospiri, preghiere, bestemmie,
pianti e risate nervose provenienti dall’accampamento.
Se ne stava accucciato contro il muro di una
catapecchia nel distretto che avevano conquistato la settimana precedente. Si
era beccato una pallottola quel pomeriggio. La sorte, con il suo senso
dell’ironia fastidioso, aveva fatto in modo che il proiettile si conficcasse
nella cassa d’argento del suo orologio, e non nel suo cuore.
Per un secondo (più di uno, in realtà) aveva
sperato di morire, così, rapidamente, in maniera quasi indolore.
Niente orologio a tenergli compagnia quella notte.
Solo il vorticare della sabbia e dei suoi pensieri.
Alzò il cappuccio della cappa inzaccherata. La
luna si rifletteva solo su una fetta di volto del giovane soldato.
Così lo trovò il Capitano Maes Hughes. La guerra
gli aveva strappato di dosso la sua consueta giovialità a morsi. Infastidito si
rivolse al mezzo viso che spuntava da sotto il cappuccio «Abbiamo un lavoro da
fare, Maggiore Mustang. Oggi alle 07.30, inizieremo lo sterminio del distretto
numero 27. Hanno detto che contano su di te come al solito».
«Sono solo degli sfruttatori» lo vomitò come bile.
«Si aspettano molto da te. Di questo passo sarai
presto promosso». Era una constatazione. Semplice e acuminata, che andava a
pungere lentamente, ma in profondità nell’animo del Maggiore Mustang.
«Hey, Hughes… perché sto assassinando la gente del
mio stesso paese?». Anche questa era solo una domanda; come quella che seguì fu
solo una risposta. «Te l’ho detto, gli Ishvalan minano la pace della nazione, e
ora le alte sfere di Central ci hanno ordinato di epurarli».
«“Epurare”, eh? Una comoda parola per mascherare
massacri indiscriminati».
A Maes questi discorsi non erano mai andati giù
facilmente, forse per questo motivo cambiò discorso, iniziando a blaterare
della sua Gracia, di quanto fosse perfetta, e bella, e buona.
A Roy questi discorsi non erano mai andati giù
facilmente. Avrebbe voluto il suo orologio per mettersi a fissare quelle odiose
lancette. Sempre meno odiose dei discorsi sdolcinati dell’amico. Non poteva fare
a meno di ascoltare: il messaggio veniva ricevuto dalle orecchie e trasmesso al
cervello, che lo traduceva nella sua testa con l’immagine del volto di Riza.
Riza bambina e il bucato. Riza ragazzina e il libro della biblioteca. Riza
adolescente e il vestito da lutto. Riza soldato e la disperazione negli occhi.
Aveva colto solo una parte del suo volto illuminato dal fuoco, le labbra,
perché il resto rimaneva in ombra, sotto un cappuccio simile al suo, quando
l’aveva vista per la prima volta al campo base. Lei aveva sollevato il cappuccio
e metà del volto era comunque rimasto in ombra.
Maes stava ora farneticando riguardo al
matrimonio…
Il rumore degli ingranaggi… quanto gli mancava il
rumore degli ingranaggi del suo benedetto orologio. Roy doveva mettere fine a
quel cicaleccio.
«Potrai abbracciare la donna che ami con quelle
mani sporche di sangue?».
Era stato cattivo. Molto. Ma d’altra parte, quanti
uomini aveva ucciso quella mattina? Sono gli uomini cattivi che uccidono, non i
buoni.
Maes, da sempre il più alto dei due, sembrò ancora
più alto; aveva gonfiato il petto, portato indietro le spalle e alzato il
mento. «L’ho imparato sul campo di battaglia!», non poteva proprio fare a meno
di urlare, «Vivere con la donna che ami è un tipo di felicità che può esistere
in qualunque luogo! Però è la più grande felicità che tu possa conoscere. Farò
qualsiasi cosa per raggiungere questa felicità! Io sopravvivrò!».
Di nuovo Riza e il suo mezzo volto si
riaffacciarono nella mente di Roy. La felicità? L’aveva contemplata; un tempo.
Come la vetrina del negozio di dolciumi. Da molto non aveva più l’età per un
lecca lecca o lo zucchero filato.
«Quello che ho fatto qui… assorbirò tutto quello
che ho fatto qui, da solo, e sorriderò quando sarò di fronte a lei. La renderò
felice».
Maes l’aveva preso al bavero della divisa e
sollevato di qualche centimetro. Il cappuccio era scivolato, ma il volto
rimaneva in ombra. Non era stata la violenza del gesto a colpire Roy, quanto la
dedizione che l’aveva scatenato.
Se lui avesse potuto (ma voleva?) condividere la
felicità con Riza, avrebbe condiviso con lei anche il peso del deserto, tutta
quella sabbia che si era depositata nelle sue tasche, senza che lui sapesse
come o quando.
Si guardarono e Maes mollò la presa. «Non abbiamo
tempo per parlare di queste cose banali». Come era arrivata, così la sua rabbia
se n’era andata, a vorticare con la sabbia. «Abbiamo un lavoro da fare.
Sbrigati e preparati».
L’alba era giunta.
«Potresti aspettare trenta secondi?». Le parole di
Roy avevano più il sapore dell’ultimo desiderio di un condannato a morte che di
una richiesta fatta a un amico.
«Trenta secondi allora».
Roy giunse le mani in fronte, come a pregare.
Pregare chi?
Trascorsero i trenta secondi. Trenta secondi di
sorrisi di Riza. Trenta secondi del volto di Riza.
«Trenta secondi sono passati. Alzati Alchimista di
Fuoco. È ora».
Il volto non era più in ombra. Il cappuccio fu
abbassato completamente. Il volto dell’Alchimista di Fuoco, che non era quello
di Roy Mustang.
S’infilò i guanti mentre si alzava. «Sì andiamo. È
l’ora della guerra».
NOTE FINALI:
Sono viva! Io per prima stento a crederlo... Cari amici e amiche (se ancora siete sintonizzati su questi canali!) non potete immaginare che razza di anno di merda sia stata il 2012 per la sottoscritta! Fino all'ultimo ho sperato nei Maya e nella loro catastrofica profezia. Invece mi ritrovo qui, ora, alle porte del 2013, a cercare di strappare una laurea entro e non oltre 8 mesi, infognata fino alla gola in progetti e varie ed eventuali, pronta a programmare la mia nuova vita. 2012 anno di cambiamenti e dolori. Ma anche gioie...
Comunque ora sono qui, con l'impegno di portare a conclusione questa raccolta entro la laurea. Prima, se ci riesco.
Un altro dei motivi per cui sono stata lontana tanto a lungo spero di potervelo rivelare entro aprile. Nel frattempo, anche se non sapete per cosa, tenete le dita incrociate per me. Dopo che avrete perdonato la mia, chiamiamola lontanza.
Passiamo al theme, veloci veloci. Non mi convince, che è un modo carino per dire: "it sucks!". Sono anche, perdiana! (come dice il mio amico Paggia) oltre sei mesi che non aggiorno... devo carburare.
Le parole non sono mie, ma degli sceneggiatori di Brothehood e del quarto OAV "Ancora un altro campo di battaglia", in cui il caro Roy è protagonista e Riza latitante, come nel mio theme, d'altra parte. Infatti con il titolo c'azzecca poco, se non niente. Ma, hey! devo carburare!
Prima dei saluti e delle bollicine, chi devo ringraziare? Mamma, papo (sempre meno di mamma), lo sgorbio (altrimenti noto come pagogo, aka Salvatore, aka fratello), amici e amiche varie, ma soprattutto voi! i miei lettori dilettisimi: La Sarus, anima95, One Day, Silvery Lugia, DaIsY_Day, Hummingbird. (se mi mandate gli indirizzi, vi raggiungo sotto casa per cantarvi una serenata!)
ps. temo di non aver risposto alle recensioni di tutti. Credetemi, non sono maleducata o snob. Proprio ho la testa altrove... cercherò di rimediare