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Autore: Beauty    08/01/2013    16 recensioni
E' il 1912. Sulla nave dei sogni si intrecciano i destini di Emma Swann, Regina Mills, Archie Hopper, Ruby Lucas, Mary Margaret Blanchard, il signor Gold, Belle French, Jefferson e molti altri, mentre il Titanic si avvia verso il suo tragico destino.
Chi sopravviverà?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Ruby/Cappuccetto Rosso, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Henry era di cattivo umore. Questo l’avevano capito sia Regina sia Emma, e perfino Graham se n’era accorto. Il ragazzino non aveva voluto mangiare pressoché nulla a colazione, aveva sbuffato per tutto il tempo mentre Emma tentava di fargli indossare i vestiti, e non aveva spiccicato parola con nessuno da che erano arrivati sul ponte principale. Regina gli scoccò un’occhiata innervosita: anche lei era di cattivo umore, e l’atteggiamento del bambino – che continuava a rimanersene imbronciato e a ostentare poca attenzione a ciò che il capitano Smith stava loro dicendo – non faceva altro che innervosirla ancora di più. Regina aveva dormito male, la notte precedente: aveva sempre avuto dei problemi a riposare in un letto che non era il proprio, e il mare leggermente mosso della nottata non aveva fatto altro che aumentare la sua emicrania che ancora adesso le faceva pulsare furiosamente le tempie.

Regina si ripromise di dare una bella strigliata a suo figlio non appena si fosse presentata l’occasione, e tornò a prestare attenzione a ciò che il capitano Smith stava dicendo loro a proposito delle potenzialità della nave. Quello era uno dei privilegi che veniva insieme all’alloggio in prima classe: avere l’onore di frequentare i pezzi grossi dell’imbarcazione.

Insieme a lei, suo figlio e la sua tata non c’erano solo il capitano della nave, ma anche il capitano Graham, il signor Andrews – l’architetto che aveva progettato e supervisionato la costruzione del Titanic – e un altro passeggero di prima classe, tale signor Gold. Regina non l’aveva mai incontrato prima, ma aveva compreso che tipo di uomo fosse dalle chiacchiere che giravano su di lui: che fosse ricco in modo sproporzionato, che avesse talento per gli affari, ma che fosse anche estremamente cinico, specie se in mezzo c’era un accordo da rispettare.

Regina aveva tentato di attaccare discorso con lui, ma aveva ben presto scoperto che il signor Gold era tanto ricco quanto arrogante. A ogni sua domanda o osservazione rispondeva sempre con poche parole asciutte, accompagnate da un ghigno di scherno che a Regina fece impiegare poco per giudicarlo un uomo maleducato e superbo.

Anche Emma pareva pensarla allo stesso modo, e trovò nel signor Gold un motivo in più per rimanersene in silenzio e in disparte. Scoccò un’occhiata a Henry: stranamente quel giorno non era stata sommersa dalle sue chiacchiere. Il ragazzino non la guardava neppure, imbronciato. Sin dalla mattina non aveva fatto altro che lamentarsi per qualunque cosa, ogni occasione era stata buona per fare i capricci. Non era da lui, Emma lo sapeva. Henry non era un bambino capriccioso, e la maggior parte delle volte era un bambino allegro e solare.

Aveva assunto quell’atteggiamento insofferente dal pomeriggio precedente, dopo quell’incidente all’ora del thé. Emma sospirò: probabilmente se lei non fosse stata lì le parole di Regina non avrebbero fatto granché effetto, ma certo era che la signora Mills aveva involontariamente turbato Henry.

Emma chiuse gli occhi, al pensiero di cos’aveva combinato: ora Henry era consapevole di trovarsi fra due fuochi. Sapeva che la donna che l’aveva adottato disprezzava la sua vera mamma, e l’alternativa a rimanere con lei era scappare con la madre che l’aveva abbandonato, la donna che Regina aveva definito una cagna e una persona indegna di affetto.

Ovvio che fosse arrabbiato.

- Voglio tornare in cabina!- piagnucolò Henry, tirandole una manica dell’abito.

- Aspetta ancora qualche minuto, tua madre sta parlando…- bisbigliò Emma. Il ragazzino sbuffò, tornando a fissarsi le scarpe mentre camminava. A dire il vero, Emma avrebbe volentieri voluto tornarsene in cabina. Il ruolo di bambinaia le stava sempre più stretto, e la signora Mills non faceva altro che ricordarle qual era il suo posto. Non poteva parlare con persone “superiori”, né dire la sua in una discussione, né camminare insieme agli altri. Infatti, mentre Regina e il resto della combriccola passeggiavano tutti insieme, lei se ne stava tre passi indietro, tenendo Henry per mano.

Emma vide Graham rallentare il passo fino a staccarsi dal gruppetto e affiancarla.

- Credo che la signora Mills abbia trovato pane per i suoi denti…- le sussurrò all’orecchio. Emma vide Regina rivolgere qualche parola al signor Gold, quindi la sua espressione perplessa e sconcertata nel venire liquidata da quest’ultimo con poche parole acide. Si portò una mano alla bocca, reprimendo una risata.

Il signor Gold trattenne una smorfia di fastidio. Quello era uno dei doveri sociali a cui avrebbe volentieri fatto a meno, senza contare che tutta quella vena neopositivista non faceva altro che innervosirlo. Sin da quando aveva messo piede sul Titanic non aveva fatto altro che sentire lodi iperboliche e assolutamente senza senso su quella nave: la più lussuosa del mondo, la più veloce del mondo, inaffondabile.

Inaffondabile!

Questa era la cosa che forse lo faceva sorridere di più. Il signor Gold era un uomo d’affari, in vita sua aveva finanziato numerose compagnie navali, e non aveva mai sentito dire che una nave fosse inaffondabile. E il Titanic era forse solo un poco più grande rispetto alla media degli altri comuni transatlantici, ma era fatta di ferro e bulloni come tutti gli altri.

- Signor Andrews - disse a un certo punto, rivolto all’architetto.- Spero vorrà perdonarmi la mia curiosità…Ho fatto un breve calcolo del numero delle scialuppe di salvataggio e misurato sommariamente la loro capienza. Stando ai miei conti, i posti su di esse sono sufficienti solo per la metà dei passeggeri.

- E’ così, infatti - confermò l’uomo. - A dire il vero, signor Gold, avevo proposto di posizionarne altre, ma la mia richiesta è stata respinta in quanto si riteneva che, così facendo, il ponte avrebbe avuto un aspetto un poco disordinato.

- Mi sembra logico: perché sacrificare ordine e bellezza in nome della sicurezza?- chiese Gold, senza curarsi di nascondere il suo tono ironico.

- Ma non vedo il bisogno di preoccuparsi, dico bene?- fece Regina, ammiccando in direzione di Graham.- Voglio dire, questa nave è inaffondabile.

Emma roteò gli occhi, mentre Graham le lanciava di sottecchi uno sguardo complice.

Il signor Gold fece una smorfia di fastidio. Prima quella penosa conversazione sarebbe finita, prima si sarebbe sentito più a suo agio. E sarebbe stato ancora meglio quando quel maledetto viaggio sarebbe finito. Non ne poteva più di noiosi e inutili convenevoli sociali, lui preferiva i fatti, non le parole.

L’unico evento degno di nota che gli era accaduto fino a quel momento era stata la visita di quella ridicola ragazzina di terza classe, la quale era venuta da lui con la speranza di ingraziarselo ma era solo riuscita a insultarlo e, dulcis in fundo, aveva rotto una tazza per completare l’opera.

Si chiese improvvisamente dove si trovasse la signorina French in quel momento. Probabilmente doveva essere al suo posto, in terza classe. S’impose dunque di smettere di pensarci e soprattutto di non cercarla mai più con lo sguardo.

 

***

 

David Nolan accostò un poco le imposte all’ennesimo gemito di sua moglie. Era da quando erano partiti che Kathryn stava male. Il giorno precedente si era limitata ad accusare un semplice mal di testa, ma le cose erano peggiorate. Kathryn aveva trascorso tutta la notte in bianco a vomitare, e i capogiri parevano essere aumentati. All’inizio, David aveva pensato a un semplice mal di mare, ma vedendo che le condizioni di sua moglie non miglioravano si era deciso a rivolgersi a un medico che si era imbarcato sul Titanic come passeggero. Dottor Victor Whale, si era presentato il giovane uomo con un sorriso affabile. Aveva l’aria capace e professionale, nonché un volto molto gentile. David si era scusato per averlo disturbato durante quel viaggio in cui non era in servizio, ma il dottor Whale si era dimostrato ben lieto di assistere sua moglie, e non aveva nemmeno voluto che Nolan lo pagasse.

- Sembra solo un po’ di nausea, nulla di cui preoccuparsi - disse il dottor Whale in quel momento, alzandosi dal capezzale di Kathryn Nolan, distesa a letto sotto un cumulo di coperte.- Le pillole che le ho dato dovrebbero fare effetto. Mi raccomando, signora Nolan, non faccia sforzi e cerchi di riposarsi. Se ci sono altri problemi, sapete dove trovarmi…

- Grazie, dottor Whale…- soffiò Kathryn.

- Grazie - David gli strinse calorosamente la mano, mentre lo accompagnava alla porta della cabina di prima classe.- Davvero, è stato molto gentile.

- Di nulla, ho fatto solo il mio lavoro - Whale sorrise.- Arrivederci, signor Nolan.

- Arrivederci.

Non appena Whale se ne fu andato, David tornò a volgersi verso sua moglie. Kathryn sorrideva debolmente, ma era pallida e aveva l’aria sofferente. David le sorrise, sedendosi sul letto accanto a lei.

- Come ti senti?- sussurrò, prendendole la mano.

- Un po’ meglio…- Kathryn si sforzò di sorridere.- Perché non vai a fare colazione?

- Oh, no! No, non voglio lasciarti sola…- disse David, rendendosi conto che in realtà non vedeva l’ora di uscire da lì. Si sentiva profondamente in imbarazzo; non sapeva come comportarsi con Kathryn malata. Non riusciva a ricordare nemmeno l’ultima volta che sua moglie era stata male, cosa faceva lui quando lei aveva il raffreddore o la febbre. I vuoti di memoria non erano ancora scomparsi.

A dire il vero, a David pareva quasi di essersi risvegliato in un’altra vita, una vita in cui era sposato con una donna dolce e gentile, certo, ma che lui non conosceva. David aveva solo pochi ricordi sfuocati di sua moglie, e tutti erano solo brevi flash. Non riusciva a ricordare il giorno del loro matrimonio, o come le avesse chiesto di sposarlo, il loro primo appuntamento, o se avessero mai desiderato dei bambini, benché Kathryn gli descrivesse sempre quegli avvenimenti con dovizia di particolari e grande entusiasmo.

E adesso, al suo capezzale, David si rendeva conto che, in fondo, stava fingendo di interessarsi alle sue condizioni di salute solo per mantenere la facciata, ma non era veramente preoccupato per lei.

- No, sta’ tranquillo!- insistette Kathryn.- E’ una bella giornata, non è giusto che tu non ti goda il viaggio per causa mia…- la donna gli sorrise nuovamente.- Davvero, vai!

- Va bene…- David le posò un bacio sulla fronte.- Ci vediamo più tardi, d’accordo?

- A più tardi.

David le rivolse un ultimo sorriso prima di uscire dalla cabina, e non appena si ritrovò in corridoio non poté trattenersi dal tirare un sospiro di sollievo. La situazione stava diventando insostenibile. Kathryn era così dolce, e innamorata…e lui…

David scosse il capo. Sperava tanto che sua moglie avesse ragione, e New York lo aiutasse a cambiare aria. Se c’era ancora una speranza di salvare il suo matrimonio, allora era quella.

 

***

 

L’unica parola che Leroy riuscisse a pensare in quel momento era meravigliosa. Astrid era meravigliosa, sotto ogni aspetto. Certo, pensò, quello scialle blu scuro e quei capelli anonimamente raccolti in una crocchia non le rendevano nessuna giustizia, ma era comunque bellissima.

Era un vero peccato che fosse determinata a prendere i voti.

- La tua torta di mele era deliziosa…- disse, tanto per rompere il ghiaccio.

- Sul serio?- Astrid parve sorpresa.

- Puoi giurarci, sorella. Una delle più buone che avessi mai mangiato.

- Oh, non chiamarmi “sorella”!- sorrise Astrid.- Non sono ancora una suora.

- Non fa niente, io chiamo “sorella” qualunque donna - rispose Leroy, maledicendosi un secondo dopo per aver dato quella risposta. Doveva esserle sembrato un rozzo manovale. Ma Astrid rise, e quel sorriso lo rincuorò un poco.

- Carino. Che ne dici di sederci un po’?- Astrid indicò una panchina sul ponte di seconda classe dove si trovavano. Leroy acconsentì, aspettando che fosse lei a sedersi per prima, parecchio rincuorato che lei avesse scelto il ponte di seconda, e non di terza. Lui aveva una piccola cabina in ultima classe, e sapeva quali erano le condizioni in cui versava quel posto. Non voleva fare la figura del poveraccio di fronte a lei, anche se sapeva di esserlo.

- Allora: mi dicevi che lavori giù alla caldaia sei…- esordì Astrid con un sorriso.

Leroy annuì, sentendosi molto più a suo agio, da seduto. Astrid era di almeno una spanna più alta di lui.

- Un lavoraccio, ma qualcuno deve pur farlo…

- Come hai trovato lavoro sulla nave?

- Ho lavorato alla costruzione di questo bestione quando era ancora nel cantiere - Leroy estrasse dalla tasca dei pantaloni una fiaschetta di birra, e fece per berne un sorso, ma notò lo sguardo sconcertato di Astrid. Abbozzò un sorriso imbarazzato, e ripose la fiaschetta.- E…quando la nave stava per salpare, ho scoperto che cercavano personale per lavorare alle caldaie…E così, eccomi qui.

- Non ti è dispiaciuto lasciare Southampton - chiese Astrid.- La tua casa, la tua famiglia…

- Non ho famiglia - borbottò Leroy.- E Southampton è veramente un posto schifoso. Ho fatto diversi lavori, lì: il manovale, il muratore, il minatore…Forse anche in America troverò un posto in miniera…

- Dev’essere dura…- mormorò Astrid.

- Ho la pellaccia dura…- assicurò Leroy.- Ora, mi spiace, ma devo andare…E’ ora del mio turno…

- Certo. Leroy!- fece Astrid d’un tratto.- Domattina c’è la messa…che ne diresti di venirci con me?

L’idea di andare in chiesa non lo allettava per niente, ma quel sorriso sarebbe stato in grado anche di fargli pulire tutto il ponte della nave armato solo di spazzolino da denti.

- Certo, con molto piacere.

 

***

 

Mary Margaret si sedette su una panchina del ponte di seconda classe, aprendo uno dei romanzi che aveva portato con sé. Delitto e castigo, recitava il titolo. Forse, pensò, avrebbe dovuto iniziare con qualcosa di più leggero di un mattone russo pieno di sangue e pensieri da psicopatici, tanto più che non le pareva una lettura adatta per iniziare il suo incarico da insegnante…

- Mi scusi!- Mary Margaret sobbalzò non appena sentì qualcuno toccarle una spalla. Si voltò, incrociando lo sguardo di un giovane uomo sulla trentina, biondo, decisamente affascinante. Mary Margaret lo riconobbe: era il marito di quella donna con cui s’era scontrata al momento dell’imbarco. Il suo cuore perse un battito.

- Mi dispiace…- l’uomo abbozzò un sorriso.- Non intendevo spaventarla…

Mary Margaret scosse il capo, cercando di riacquistare un minimo di contegno.

- Non…non si preoccupi, è tutto a posto…- balbettò, sforzandosi di sorridere. Si chiese come mai quell’uomo la mettesse così in imbarazzo.

- Mi scusi, è che l’ho vista dal ponte di prima classe e ho pensato di farle un saluto…- sorrise David; non era andato a colazione come gli aveva detto sua moglie. Aveva preferito fare una passeggiata sul ponte, e aveva scorto Mary Margaret seduta da sola mentre leggeva. David non sapeva perché, ma aveva sentito il bisogno di scendere e andare da lei.

- Grazie, è stato molto gentile…- Mary Margaret faticava a sostenere quello sguardo.

- Non ci siamo già presentati, vero?- David le tese una mano. - Il suo nome è Mary Margaret, se non sbaglio…

- No, non sbaglia…

- E’ sola?

Mary Margaret annuì. David si schiarì la voce.

- Mi chiedevo…se non ha altri impegni…Mi domandavo se volesse unirsi a me per il pranzo…- soffiò. Si rese conto solo un attimo dopo di averle praticamente proposto un appuntamento. Si maledisse mentalmente. Era sposato, idiota!

Ma la consapevolezza di avere una moglie che lo attendeva in cabina non era più forte del desiderio di spendere del tempo con Mary Margaret.

- In…in prima classe?- Mary Margaret gettò una breve occhiata al suo semplice abito marroncino e al suo vecchio scialle di lana. - Mi spiace, ma non credo che potrei, vestita in questo modo…

- Non dica sciocchezze, è perfetta - David sorrise, porgendole il braccio.- Insisto. Oggi lei è mia ospite…

Mary Margaret acconsentì annuendo, prendendo il braccio di David. Era una prospettiva certamente migliore di quella di trascorrere la mattinata a leggere di un efferato omicidio a colpi di ascia. E poi, il signor Nolan le sembrava una persona perbene e anche cordiale.

Doveva solo imporre al suo cuore di riprendere un ritmo regolare e cercare di non arrossire…

 

***

 

- Che cos’hai fatto?!

Belle indietreggiò, impaurita, scansandosi appena in tempo un attimo prima che l’oggetto scagliato da suo padre la colpisse. La ragazza si aggrappò alla maniglia della porta, fissando il volto di Moe, livido di rabbia.

- Papà, calmati!- implorò.

- Puoi scordarti che mi calmo!- ululò Moe. - Si può sapere che cosa ti è saltato in mente, brutta stupida che non sei altro?! Perché diavolo sei andata a chiedere scusa a quel bastardo, me lo spieghi?

- Era la cosa giusta da fare!- ribatté Belle, cercando di ritrovare un po’ di coraggio.- L’hai aggredito senza motivo, papà. E poi, molto probabilmente avremo a che fare con lui in America, è meglio non farlo arrabbiare…

- Sei un’idiota!- tuonò Moe. - L’ho insultato, e allora? Mi ha rovinato, si è preso tutti i miei soldi…

- Sai che non è stata colpa sua, papà!

Belle si scansò nuovamente per evitare un altro oggetto volante, che andò a schiantarsi contro la parete della cabina. La ragazza si voltò, aprendo velocemente la porta e scappando in corridoio.

- Quando torni, parola mia che ti ammazzo di botte!- Belle sentì la minaccia di suo padre riecheggiare nel corridoio di terza classe mentre si allontanava velocemente. La ragazza sentì lo sguardo di tutti i presenti posarsi su di lei, e arrossì di vergogna, accelerando il passo.

Doveva uscire. Aveva bisogno d’aria.

 

***

 

- Adesso io e te facciamo i conti, signorino!- ringhiò Regina, non appena la conversazione con il capitano e l’architetto Andrews fu terminata. Henry non parve troppo intimidito, ma anzi continuò a guardarla con espressione torva.- Ti rendi conto di quanto tu mi abbia messa in imbarazzo? Ma che ti prende, oggi, si può sapere?

Henry non rispose, e voltò il capo.

- E guardami in faccia quando ti parlo!- ordinò Regina.

- Signora Mills, non si arrabbi con suo figlio. In fondo, Henry ha solo dieci anni…- Graham tentò di intervenire per mettere pace.

- E’ vero, capitano, ed è proprio per questo che deve imparare come ci si comporta - replicò Regina, inflessibile. Tornò a rivolgersi a Henry.- Tanto per cominciare, stasera puoi anche scordarti la cena…

- Signora Mills, per favore…- mormorò Emma. - Forse Henry non si sente bene, non è il caso di…

- Lei non s’immischi!- Regina la guardò trucemente.- Signorina Swann, devo forse ricordarle qual è il suo posto? Lei è solo una bambinaia, il suo compito è assicurarsi che mio figlio non combini disastri. Per il resto, lei non ha nessun diritto. Sono io la madre di Henry, e decido io che cosa…

- Ti odio!- urlò improvvisamente Henry, rivolto a Regina.- Ti odio, non voglio vederti mai più!- il ragazzino si divincolò dalla presa di Emma, superando di corsa i tre.

- Henry!- chiamò Emma, ma il bambino era già lontano diversi metri. Henry scese velocemente le scale, abbandonando il ponte di prima classe.

Regina digrignò i denti, innervosita.

- Capitano Graham, la prego di perdonarmi per il comportamento di mio figlio. In genere, Henry non così maleducato…

- Non si preoccupi, signora Mills, sono cose che succedono - Graham lanciò una breve occhiata a Emma. - Permettetemi di aiutarmi a ritrovare Henry. Sono sicuro che si sarà già calmato…

Regina gli rivolse un sorriso grato.

- Grazie, capitano. Lei è veramente molto gentile.

Graham ringraziò con un sorriso, e lanciò un’altra occhiata di sottecchi alla bambinaia.

Emma si stava torcendo nervosamente le mani, e aveva le lacrime agli occhi.

 

***

 

Mary Margaret si sentiva in imbarazzo come mai in vita sua. Sedeva rigida sulla sedia foderata di velluto, temendo di rompere qualcosa anche solo muovendosi. La tovaglia era di pizzo bianco, immacolata, le posate d’argento, i bicchieri di cristallo e i piatti di porcellana. Mary Margaret non era più abituata a tutto quel lusso.

La sua storia era molto simile a quelle lacrimevoli dei romanzi che parlavano di orfanelle, esattamente come se lei fosse Sara Crew de La piccola principessa, o una versione moderna di Cenerentola. Senza, almeno per il momento, un lieto fine.

Mary Margaret era la figlia di un ricco imprenditore inglese. Sua madre era morta di meningite quando lei aveva appena due anni, e aveva trascorso l’infanzia a Edimburgo, nella casa di campagna di suo padre, ma si era trasferita a Southampton non appena questi si era risposato. Suo padre, Leopold Blanchard, aveva sposato in seconde nozze una donna molto più giovane di lui, e subito i rapporti fra lei e la sua matrigna erano stati molto tesi. A dire il vero, Mary Margaret ricordava che per un po’ di anni le cose non erano andate poi così male. Lei e la seconda moglie di suo padre semplicemente s’ignoravano, convivevano sotto lo stesso tetto scambiandosi un saluto mattutino, conversando di tanto in tanto all’ora dei pasti e provando l’una per l’altra una cordiale antipatia, ma tutto sommato quella routine non era spiacevole. Bastava che lei non invadesse lo spazio vitale della sua matrigna, e viceversa, e il loro rapporto si limitava alla tolleranza reciproca.

Le cose erano definitivamente naufragate a seguito della morte di suo padre, avvenuta quando Mary Margaret aveva appena diciotto anni. Appena due giorni dopo il funerale di Leopold Blanchard, la sua matrigna le aveva fatto trovare le valige pronte di fronte alla porta; poteva farlo, dato che Mary Margaret non era ancora maggiorenne e non poteva disporre di alcun aiuto legale per rivendicare i suoi diritti sul patrimonio di famiglia, di cui la seconda moglie di suo padre era divenuta proprietaria e amministratrice a tutti gli effetti.

Da allora, Mary Margaret si era dovuta rimboccare le maniche e darsi da fare per sopravvivere. Aveva tirato avanti per un po’ di anni con qualche lavoretto saltuario, servendo ai tavoli nelle taverne del porto o facendo le pulizie nelle case benestanti, riuscendo nel contempo a conseguire il diploma di insegnante e a ottenere il tanto ambito posto di lavoro a New York.

Non vedeva più tanto lusso da quando la sua matrigna l’aveva cacciata di casa, e ora si sentiva oltremodo in imbarazzo. Imbarazzo che aumentava vertiginosamente non appena posava lo sguardo sull’uomo seduto di fronte a lei.

David Nolan aveva degli occhi meravigliosi, realizzò. Dolci e penetranti al tempo stesso; se uniti al suo sorriso, poi, erano in grado di farla capitolare. Mary Margaret si guardò nervosamente intorno, fingendo di ammirare il salone da pranzo per prendere tempo. Quasi fu sul punto di cadere dalla sedia quando David si sporse verso di lei.

- Cosa la porta in America?- le chiese, mentre un cameriere poneva loro di fronte il pranzo.

- Oh! Ehm…lavoro - Mary Margaret sorrise nervosamente, sistemandosi il tovagliolo in grembo.- Ho ricevuto un incarico come insegnante elementare a New York. Quando ho ricevuto la lettera non stavo più nella pelle, erano anni che sognavo quel posto, così non ci ho pensato due volte e ho immediatamente fatto le valige, e…- Mary Margaret s’interruppe di colpo.- Oh, mi scusi! Sto parlando troppo, credo…

- No, no! Non si preoccupi. Insegnante, diceva?- David sorrise.- Le piacciono i bambini, deduco…

- Molto. Adoro i bambini. Ho sempre sognato di averne…cioè, voglio dire, non ora, ovviamente…- Mary Margaret distolse lo sguardo, imbarazzata.- Chiaramente non ora, non è proprio il momento…Non sono neanche sposata, a dire il vero…Ma un giorno, forse…

Mary Margaret s’interruppe non appena udì qualcuno avvicinarsi al loro tavolo. David Nolan alzò lo sguardo, incrociando quello degli occhi grigi del dottor Whale.

- Signor Nolan!- salutò il medico con aria gioviale.- Chi non muore si rivede, eh?

- A quanto pare…- David fece un sorriso forzato, gettando un’occhiata a Mary Margaret. Si sentì improvvisamente in imbarazzo.

- E la signorina?- senza attendere risposta, Whale prese una mano di Mary Margaret e ne baciò il dorso.- Dottor Victor Whale, piacere di conoscerla…

- Mary Margaret Blanchard - mormorò la donna. Provò un’istintiva antipatia per quell’uomo; le dava l’idea di un individuo maleducato e fin troppo invadente.

- Un nome splendido. Come sta sua moglie, signor Nolan?

David, se possibile, s’imbarazzò ancora di più.

- Ehm…lei…lei…credo che stia meglio…- ammise. Era da quella mattina che non rimetteva piede in cabina, e per quel che ne sapeva Kathryn avrebbe anche potuto essere in punto di morte.

- Ottimo. Mi raccomando, per qualsiasi cosa mi chiami, intesi?- il dottor Whale fece un breve cenno di saluto.- Arrivederci, signor Nolan. Signorina Blanchard.

Mary Margaret non rispose, né sollevò lo sguardo fino a che smise di udire i passi di Whale allontanarsi. Guardò David: pareva irrimediabilmente imbarazzato.

Moglie. Mary Margaret stampò nella sua mente questa parola a chiari caratteri. David Nolan era sposato. Aveva una moglie che lo aspettava in una cabina di prima classe. E lei non sarebbe nemmeno dovuta essere lì con lui.

Mary Margaret si sforzò di sorridere e di portare avanti la conversazione, ma non appena il pranzo fu servito e lei ebbe iniziato a mangiare, si rese conto di quanto quel cibo fosse amaro nella sua bocca.

 

***

 

- Vediamo se ho capito…- Ruby tentò di fare mente locale.- Il complesso di Edipo è quando il bambino ama la madre ed è geloso del padre, giusto?

- Più o meno. Diciamo che ci sei andata vicina - Archie sorrise pazientemente, sistemandosi gli occhiali sul naso. - Il complesso di Edipo è l’impulso naturale del bambino di dormire con la propria madre e di uccidere il padre, e sparisce quando raggiunge l’età della ragione…

- A me sembra un po’ da psicopatici - disse Ruby. - Insomma, non so quanto questo sia normale, soprattutto in un bambino…

- Beh, come tutte le questioni riguardanti la psiche, va presa con le pinze. Prende il suo nome da un mito greco di un re che aveva ucciso inconsapevolmente il padre e aveva sposato sua madre…

- E come va a finire?

- Che tutta la faccenda viene allo scoperto, lei si uccide e lui si acceca.

- E vissero per sempre felici e contenti…- ironizzò Ruby, ridacchiando. Si fermò, appoggiandosi alla balaustra del ponte di seconda classe.- Comunque, mi piace questa psicanalisi - dichiarò sorridendo.- Ha un suo fascino…specie su un’ignorante come me.

- Non sei ignorante, Ruby - disse Archie.- Sei una ragazza molto intelligente.

Ruby ghignò.

- Credi che se fossi così intelligente starei qui a rifare i letti, con solo mezz’ora di pausa al giorno? Mia nonna mi dice sempre che in un gregge di capre mi troverei a mio agio…- Ruby lo guardò.- Tu sei intelligente. In tutto il tempo passato con te, ho imparato più di quanto avrei potuto fare in un’università…

- Hai mai pensato di provarci?- chiese Archie.

- Con cosa?

- Con l’università. Ho sentito dire che a New York ce ne sono di molto qualificate…

- Magari…quando mi ammetteranno senza che io debba pagare un soldo!- ironizzò Ruby. Tornò seria:- A dire il vero, da ragazza speravo di andarci. Ho sempre pensato che l’avrei fatto, ma…- Ruby si passò una mano fra i capelli.- Beh, c’è poco da dire. Mia madre è morta quando avevo tredici anni, e mia nonna non aveva soldi da buttare per istruire me…

- Mi spiace…- mormorò Archie.- E tuo padre?

Ruby rise.

- Non so neanche chi sia, quel bastardo. Ha mollato mia madre quando ha saputo del guaio che aveva combinato - Ruby s’indicò con un cenno della mano. - In pratica, sono una cameriera povera, stupida, ignorante e per di più figlia illegittima. Ottime referenze per presentarsi a Broadway, non trovi? A proposito…- Ruby si batté una mano sulla fronte.- Scusami…per tutto questo tempo ti ho fatto una testa così su di me, sulla mia vita e sulle mie scarse facoltà intellettive, ma non so nulla di te…

- Non è che ci sia molto da sapere…- Archie sorrise, appoggiandosi alla balaustra accanto a lei.- Sono uno psicanalista e spero che a New York ci sia un posto per me e il mio compagno di avventura…

- A proposito, dov’è Pongo? Gli avevo portato dei biscotti, mi è parso di capire che gli piacciono…

- Già, anche troppo. E’ in cabina, confido che i miei amici lo tengano a bada.

- Ah, già! Mi avevi detto che non viaggiavi solo…E chi sarebbero, questi tuoi amici?

- Padre e figlio. Più che amici, li definirei la mia famiglia.

- Come mai viaggiate in terza classe? Scusa per la poca discrezione, ma visto che sei un dottore non credo che un biglietto in prima dovrebbe rappresentare un problema, per te…

- No, ma…Ecco, il mio amico ha avuto problemi economici, e suo figlio è uno scrittore in cerca di successo. Non volevo lasciarli soli.

Ruby sorrise, pensando che non era da tutti un gesto simile. Archie avrebbe preferito sacrificare comodità e lusso pur di stare con i suoi amici. Era chiaro che aveva un gran cuore…

- Ruby Lucas!- fece d’un tratto una voce che la ragazza non tardò a riconoscere. Si voltò, vedendo sua nonna avanzare a passo di carica verso di lei. Ruby sospirò.

- Ciao, nonna. Che bello vederti anche qui

Granny ignorò la nota ironica e le rifilò in mano uno scialle di lana rossa.

- Hai dimenticato questo!- borbottò.- Mettitelo, fa freddo…

- Ma se siamo ad aprile!- sbuffò Ruby. - E poi, ora devo tornare al lavoro…- si voltò a guardare Archie, sorridendogli.- Beh, grazie per la chiacchierata, Archie…Ci vediamo stasera, va bene? Ciao, nonna!- Ruby si allontanò sorridendo, lasciando Granny e Archie da soli.

Al dottor Hopper non piacque per niente l’espressione dell’anziana donna, specie quando lei coronò il tutto piantandosi le mani sui fianchi.

- Mia nipote ha sempre avuto il dono di stringere amicizia molto facilmente…- disse Granny, monocorde.

- Ruby è…è una ragazza molto simpatica…- Archie non avrebbe saputo dire perché, ma in qualche modo si sentiva minacciato.

- Già, non è il primo uomo a pensarlo - borbottò Granny.- Sa, in Inghilterra molti nullafacenti buoni solo a bighellonare e a correre appresso alle brave ragazze le facevano la corte…La mia Ruby è una ragazza perbene, spero che lei si sia reso conto di questo…

- Signora Lucas…- Archie si tolse gli occhiali, cercando di non mostrarsi a disagio.- Le posso assicurare che non ho mai neanche lontanamente pensato…

- Bravo, non lo pensi.

- Va bene…

Granny lo guardò in faccia, aggrottando le sopracciglia.

- Sa, dottor Hopper, lei non ha affatto la faccia del criminale. E’ già un lato positivo…

- Io…grazie, signora Lucas…

- Non mi ringrazi, non servirà a farle guadagnare punti a suo favore. Le ripeto: Ruby è una brava ragazza, un po’ esuberante, a volte, ma con dei sani principi. Quindi, se vuole fare lo psicanalista, impieghi la sua arte su qualcun altro, intesi?

Archie non poté fare altro che annuire, sentendosi improvvisamente meglio quando Granny lo salutò in modo asciutto e sbrigativo e se ne andò. Quella donna ce l’aveva con lui, non c’erano dubbi. Ma aveva ragione.

Ruby era una brava ragazza. La brava ragazza più splendida che avesse mai incontrato.

 

***

 

Henry corse giù dalla scalinata che conduceva dal ponte di prima classe a quello di seconda, iniziando quindi a scendere i gradini verso la terza. Piangeva; sapeva che presto o tardi sua madre l’avrebbe trovato e allora sarebbero stati dolori, ma non gli importava. Era arrabbiato con la mamma; con tutte e due le sue madri.

Era arrabbiato con Regina per aver parlato così male della sua madre naturale, e con Emma per averlo abbandonato. Perché l’aveva lasciato? Forse non lo voleva? Se era così, perché adesso intendeva riprenderlo con sé?

Henry attraversò il ponte di terza classe, giungendo fino alla prua della nave. Si aggrappò alla balaustra, issandosi sulla prima sbarra della cancellata. Il sole del primo pomeriggio gli bruciava gli occhi e il vento gli scompigliava fastidiosamente i capelli, ma non gli importava. Si sedette a cavalcioni sulla balaustra, una gamba penzoloni dalla parte del ponte e l’altra sull’oceano.

Iniziò a dondolarsi con aria noncurante.

- Fermo!- strillò una voce.

Henry sobbalzò, spostando lo sguardo in direzione della voce. A parlare era stata una bambina che doveva avere all’incirca la sua età, con lunghi capelli biondi e gli occhi scuri. Aveva addosso un vestito color sabbia sicuramente non di sartoria, e reggeva in mano un coniglio bianco di pezza.

- Fermo! Non lo sai che puoi cadere?!- gridò Grace, correndogli incontro.

Henry la guardò con aria truce.

- E allora?- la rimbrottò, dondolandosi ancora di più.

- Dai, non fare lo stupido!- Grace arrivò vicinissima alla balaustra.- Non fare lo scemo, lo sai che puoi annegare?!

Henry scosse il capo con decisione.

- No, io so nuotare benissimo!

- Non importa!- insistette Grace.- E’ l’oceano, questo! E l’acqua è ghiacciata, moriresti di freddo!

- Non m’interessa!- Henry spostò anche l’altra gamba oltre la balaustra, reggendosi con le mani alle sbarre.- Non m’interessa, se anche cado non me ne importa niente!

- Dai, scendi!- implorò Grace.

Henry ridacchiò di sottecchi; far paura a quella bambina gli faceva dimenticare un po’ il suo malumore. Puntò i talloni su una delle sbarre, staccandosi dalla balaustra senza lasciare la presa. Grace trattenne il fiato. Henry, in piedi sulla sbarra inferiore della cancellata e con le mani salde intorno alla superiore, si girò in modo da trovarsi faccia a faccia con la bambina.

- Guarda cosa so fare!- rise, iniziando a dondolarsi su e giù con le mani.

Grace lanciò un gridolino.

- Tu sei pazzo!

- E tu sei una fifona!

- Per favore, smettila!

- Altrimenti?

- Altrimenti vengo lì e ti spingo giù!- ringhiò Grace; detestava che un esibizionista come quel ragazzino riuscisse a impaurirla così tanto. Si pentì amaramente di aver chiesto a suo padre di poter fare una passeggiata da sola; se papà fosse stato lì, pensò, sicuramente avrebbe afferrato quello sciocco per la giacca e l’avrebbe tirato su di peso.

- Adesso basta! Torna subito qui!- ordinò, cercando di sembrare autoritaria. Henry scoppiò a ridere.

- Ma dai! Ti pare che lascio la presa?- ridacchiò.- Sta’ tranquilla, so quello che faccio.

- Starei più tranquilla se sapessi cosa stai facendo da questa parte della nave!- sbuffò Grace.

Henry rise, senza smettere di dondolarsi.

- Fifona!

 

***

 

Belle percorreva in fretta il ponte di terza classe senza guardare in faccia gli altri passeggeri. Si asciugò velocemente le lacrime che le erano sfuggite dagli occhi. Da quando era stato costretto a vendere il Game of Thorns, suo padre era notevolmente peggiorato. Moe aveva sempre avuto un modo di fare brusco e irruento, e un carattere difficile, costellato da scatti d’ira improvvisi e malumori inspiegabili che si protraevano anche per giorni, ma lei era sempre riuscita a tenerlo a bada. Raramente attaccava briga con le altre persone, a meno che non fossero loro a provocarlo, e il fatto che si sfogasse su di lei non era insolito, questo no, ma ultimamente le aveva messo le mani addosso più spesso e per motivi ben più futili che in passato. Belle per diverse settimane si era imposta di ingoiare il rospo e attendere pazientemente che quella fase passasse, così come tutte le altre volte, ma le cose peggioravano ogni giorno che passava. Prima aveva aggredito Gold senza alcuna ragione, e ora Belle era sicura che le minacce che le aveva rivolto non sarebbero rimaste tali. Moe non l’avrebbe ammazzata, certo, ma un bell’occhio nero non gliel’avrebbe tolto nessuno, quando fosse ritornata in cabina.

Belle quasi non si rese conto di essere arrivata quasi in prossimità della prua della nave, lasciandosi tutti gli altri passeggeri alle spalle.

- Scendi!- sentì gridare a un certo punto; la ragazza drizzò il capo.

- Fifona!- rise una voce.

- Ho detto scendi!

- Fifona! Fifona! Fifona!

Belle aggrottò le sopracciglia, accelerando il passo e uscendo dall’ombra del ponte coperto. Di fronte a lei, in lontananza, c’erano due persone; due bambini, realizzò. Una ragazzina stava urlando contro un altro. Il bambino era aggrappato alla balaustra della nave, e si stava dondolando nel vuoto, sopra all’acqua.

Belle sgranò gli occhi, sentendo il cuore perdere un battito.

- Ehi!- gridò, prendendo a correre nella loro direzione. Nell’udire il suono della sua voce, Grace si voltò di scatto, mentre Henry smise immediatamente di dondolarsi.

- Ma che stai facendo?!- ansimò, rivolta al ragazzino.- Scendi subito di lì!- ordinò, raggiungendoli.

- La prego, signorina, lo faccia smettere!- implorò Grace.

Henry le rivolse un’occhiata truce, piena di sfida. Belle gli si avvicinò, tendendogli la mano.

- Su, forza, scendi da lì…

Il ragazzino si scansò.

- No!

- Non fare i capricci! Basta giocare, rischi di cadere…- insistette Belle, facendosi più vicina.

- No, ho detto!- gridò Henry.- No, io non scendo!

- Andiamo! Tua madre si starà chiedendo dove sei…- fece Belle.

- Io odio mia madre!- ribatté il bambino, con le lacrime agli occhi.- La odio! Non voglio vederla mai più!

Belle sospirò; sotto lo sguardo esterrefatto di Henry e terrorizzato di Grace, si aggrappò con una mano alla balaustra, sollevando appena un lembo della gonna. La ragazza si issò sulla cancellata, sedendosi a cavalcioni accanto a Henry.

- Non pensi che tua madre potrebbe soffrire per quello che hai detto?- gli chiese, in tutta tranquillità.

- Anche lei dice delle brutte cose, ma non le interessa se io soffro o meno!- ribatté Henry, ingoiando le proprie lacrime.

- Che stupidaggine!- Belle gli sorrise.- Lo sai che per la tua mamma tu sei la cosa più importante di tutte?

Henry la guardò, asciugandosi le lacrime con una manica della giacca.

- La tua mamma ti vuole bene, e sono sicura che non farebbe mai nulla per farti soffrire. Sai, a volte si litiga, può succedere, ma questo non significa che lei non ti vuole bene. Le incomprensioni sono normali, l’importante però è fare la pace. E non otterrai nulla dondolandoti a precipizio sull’oceano, a parte terrorizzare a morte la tua amica…- Belle ridacchiò, accennando all’espressione sconvolta di Grace.- Dai, adesso scendi. Vedrai che risolveremo tutto, te lo prometto…

Henry sospirò, aggrottando le sopracciglia e pensandoci un po’ su. Infine annuì.

- Va bene…- mormorò.

- D’accordo. Dammi la mano, ti aiuto a risalire…

Belle afferrò la mano destra di Henry, mentre il bambino si issava con un ginocchio sulla sbarra superiore della balaustra. Grace sospirò di sollievo. Il ragazzino tentò di gettare una gamba dall’altro lato delle sbarre, ma la stoffa dei pantaloni scivolò contro il ferro liscio. Henry urlò, perdendo l’equilibrio.

Si aggrappò alla manica del vestito di Belle, trascinandola con sé.

La ragazza gridò, aggrappandosi con una mano alla balaustra e reggendo Henry per il collo della giacca. Il bambino afferrò le sbarre con entrambe le mani.

Erano in sospeso sopra l’acqua scura.

Grace urlò, precipitandosi verso di loro. Belle ansimò, lottando contro l’irrazionale istinto di mollare la presa, senza peraltro avere il coraggio di lasciare andare la giacca del ragazzino per potersi sostenere meglio. Henry gettò un’occhiata all’acqua: le onde s’infrangevano contro la nave; sotto di loro non c’era niente.

- Aiuto!- gridò Grace.- Aiuto!

 

***

 

Il signor Gold si affacciò al ponte di prima classe, ben felice che quella tediosa conversazione fosse giunta a termine. C’era un bel sole, ma lui era troppo preso dai suoi pensieri per poter prestare attenzione al clima. Non vedeva l’ora che quel maledetto viaggio finisse e potesse sbarcare a New York; lì, si disse, avrebbe potuto continuare i suoi affari e accrescere la sua fortuna.

E, forse, lasciarsi alle spalle un luogo pieno di ricordi troppo dolorosi. Il signor Gold sospirò, dicendosi che, per quanto lontano avesse potuto andare, il dolore non se ne sarebbe mai andato. E, in fondo, lui non voleva davvero dimenticare. Non avrebbe mai né voluto né potuto dimenticare suo figlio.

Baelfire. Gold sorrise, al ricordo di quando suo figlio si lamentava con lui per avergli dato quel nome assurdo. Non avrebbe potuto chiamarlo John, o Peter, o Michael, come tutti i suoi compagni di classe?

Era la stessa obiezione che gli aveva mosso sua moglie, al momento della sua nascita, ma alla fine si era arresa e aveva acconsentito. Il signor Gold fece una smorfia. Milah era sempre stata una donna debole, incapace in tutto.

Incapace di lavorare, incapace di mandare avanti una casa e una famiglia, incapace di essere una brava moglie e, soprattutto, una brava madre.

Non aveva nemmeno pianto, né mostrato un minimo di sofferenza alla notizia della morte di suo figlio.

Il signor Gold sentì il cuore stringersi in una morsa a quel pensiero. Bae non c’era più. Non c’era più ormai da cinque anni, ma il dolore era ancora vivo nel suo animo. Baelfire era stato la sua vita, sin dal primo momento che gliel’avevano posto fra le braccia. Aveva cercato di dargli tutto, tutto ciò che un bambino potesse desiderare, anche se non era riuscito a dargli una madre.

Sua moglie Milah, pensò, in fondo non era poi così fragile, non abbastanza da impedirsi di abbandonare suo figlio alla ricerca di chissà quale avventura. Gold ripensò a sua moglie. Le cose fra loro due avevano iniziato ad andare male sin da prima della nascita di Baelfire, ma lui aveva sperato che, con l’arrivo di un bambino, Milah sarebbe cambiata.

Si sbagliava. Sua moglie non aveva mai mostrato un briciolo di tenerezza nei confronti di Baelfire e, quella che Gold aveva inizialmente voluto scambiare per timidezza o impaccio, aveva presto compreso essere nulla più che indifferenza. Milah era insofferente alle feste che suo figlio le faceva ogniqualvolta tornava a casa, lo allontanava con fastidio quando cercava di abbracciarla, e gli parlava solo quando doveva dirgli cosa fare, sempre con tono stizzito. Nel frattempo, anche i rapporti fra loro due erano andati deteriorandosi, ma Gold aveva comunque cercato di tenere in piedi quel matrimonio per amore di suo figlio, perché crescesse con una vera famiglia.

Finché un giorno, senza alcun preavviso, Milah se n’era andata. Gold se n’era accorto solo la mattina, quando aveva trovato il posto vuoto accanto a sé nel letto e un biglietto posato sul ripiano del tavolo. Vado via, c’era scritto, semplicemente.

Il signor Gold aveva scoperto solo diversi anni dopo che Milah era fuggita in compagnia di un uomo più giovane di lei, un certo Killian Jones, che faceva il marinaio su una nave da carico. L’aveva rivista solo in occasione del funerale di Baelfire, e non avevano scambiato una parola.

Gold aveva cresciuto suo figlio da solo, dandogli tutto ciò che era in suo potere. Baelfire era un bel bambino, allegro, solare e intelligente. Il signor Gold aveva dato la vita, per lui; fino al giorno in cui gli era stata portata via, insieme a quella di suo figlio.

Era successo tutto all’improvviso, e così in fretta che Gold non aveva neppure fatto in tempo a rendersi conto di ciò che stava succedendo. Bae aveva solo quattordici anni. Era a scuola, quand’era accaduto; gli insegnanti raccontarono che era stato pallido e taciturno tutta la mattina, fino a che non era svenuto all’improvviso, finendo riverso a terra. Vedendo che non si riprendeva, lo avevano trasportato immediatamente all’ospedale. I medici gli diagnosticarono una meningite fulminante.

Gold era stato accanto a suo figlio per tre giorni, finché Baelfire non si era spento, lasciandolo solo per sempre.

Un urlo lo distolse bruscamente dai suoi ricordi. Il signor Gold si voltò in direzione della voce.

- Aiuto!- ripeté, una voce infantile, apparentemente femminile.

Il signor Gold aggrottò le sopracciglia, dirigendosi verso il lato del ponte da cui aveva sentito provenire la voce.

- Aiuto!

Gold si affacciò alla balaustra. Sotto di lui, sul ponte di terza classe, una bambina stava gridando cercando di attirare l’attenzione. Gold sgranò gli occhi, vedendo che, aggrappati alla balaustra in sospeso sull’acqua c’erano due persone: riconobbe il bambino della signora Mills, mentre l’altra era chiaramente una donna. Il signor Gold riconobbe immediatamente in lei la figlia di French.

- Aiuto!- gridò ancora la bambina.

Il signor Gold si voltò, iniziando a scendere le scale che conducevano al ponte di terza il più in fretta possibile.

 

***

 

- Aiuto!

Jefferson distolse immediatamente lo sguardo dal mare che stava osservando, nell’udire quel grido. No, non poteva sbagliare. Avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.

Grace!

 

***

 

Grace si gettò su Henry, afferrando un polso del bambino con disperazione. Belle ansimò, sentendo che la mano le stava scivolando.

- Cerca di tirarti su!- gridò a Henry.

Provò a fare forza sul braccio e nel contempo a spingere il ragazzino sulla balaustra, ma capì subito che non ce l’avrebbe fatta a sollevarsi facendo leva su una mano sola, e non aveva il coraggio di lasciare la giacca del bambino.

- Non ce la faccio!- urlò Henry.

- Devi farcela!

Belle spinse il bambino un po’ più su. Henry si aggrappò ancora più saldamente alla balaustra, piegando le braccia. Grace lo afferrò per una manica della giacca, cercando di riportarlo sul ponte.

- Aiuto!- gridò di nuovo.- Per favore, aiutateci! Aiuto!

 

***

 

- Avete sentito?- fece Graham; Emma e Regina si voltarono all’unisono, avendo anche loro udito quella richiesta di aiuto. Senza attendere risposa, il capitano fece cenno a due marinai, iniziando a correre nella direzione della voce. Emma si precipitò dietro di loro, sentendo il cuore saltarle via dal petto. Udì i passi di corsa di Regina alle sue spalle.

 

***

 

- Forza, ci siamo quasi!- Belle incitò Henry, spingendolo ancora più su. Ormai la ragazza sentiva che non ce l’avrebbe fatta ancora per molto a restare aggrappata. Henry si issò con un ginocchio sulla balaustra, mentre Grace lo teneva saldamente per il polso.

D’un tratto, tutti e tre sentirono dei passi avvicinarsi velocemente, quindi Henry avvertì un braccio circondarlo intorno alla vita e issarlo di peso sul ponte. Il bambino si ritrovò disteso sulle assi di legno.

- Brutto scemo!- lo insultò Grace, con le lacrime agli occhi, sferrandogli una sonora sberla su un orecchio tale da rintronarlo.

Belle si aggrappò alla balausta con anche l’altra mano, tentando di issarsi a sua volta, ma per quanto tentasse di fare forza sulle braccia il suo peso era eccessivo. Una mano iniziò a scivolare, e la presa cedette. Improvvisamente, Belle si sentì afferrare entrambi gli avambracci; sollevò lo sguardo su una figura vestita di nero: era il signor Gold.

- Si tiri su!- la incitò l’uomo, con il volto contratto.- Avanti! Cerchi di risalire!

Belle serrò le labbra, piegando gli avambracci; riuscì a sollevare un poco il busto. Il signor Gold spostò una mano sulla sua spalla. Belle ansimò, al limite delle forze.

- Forza!- disse Gold.- Ci siamo quasi!

La ragazza strinse i denti, facendo nuovamente forza sulle braccia. Puntellò un ginocchio sulla sbarra della balaustra. Il signor Gold spostò la mano dalla sua spalla alla sua schiena, tentando di aiutarla. Belle udì dei passi avvicinarsi di corsa, quindi delle voci.

- Sono qui!

- Henry!

- Grace!

Con un ultimo sforzo, Belle si issò sulla balaustra. Urtò il bastone del signor Gold, appoggiato contro le sbarre. La ragazza perse l’equilibrio, cadendo in avanti e finendo contro Gold. Entrambi caddero riversi sul ponte. Il signor Gold sentì allo stesso tempo il rumore secco del suo bastone che cadeva e il peso della ragazza che gli crollava addosso. L’uomo serrò gli occhi, il viso contratto in una smorfia di dolore mentre il suo ginocchio malandato iniziava a urlargli insulti e maledizioni irripetibili.

Emma si gettò in ginocchio accanto a Henry.

- Stai bene?- ansimò, con il fiato corto; prima che il bambino potesse rispondere, Regina la spinse di lato, prendendo il suo posto di fronte a lui.

- Henry! Come stai? Cos’è successo?

- Grace!- la bambina fece appena in tempo a udire la voce di suo padre che Jefferson l’aveva già presa in braccio, abbracciandola.- Cos’è successo? Stai bene?- sussurrò l’uomo.

- Sì…sì, papà, sto bene…

Jefferson tirò un sospiro di sollievo, vedendo che sua figlia non si era fatta nulla. Fece per dire qualcos’altro a Grace, ma lo sguardo gli cadde su una delle donne – senza dubbio di prima classe – che in quel momento stava abbracciando l’altro bambino. Al collo portava una vistosa collana blu a forma di cuore. Jefferson la guardò meglio; no, non si sbagliava.

Quello era un diamante.

 

***

 

Il capitano Graham le era parso abbastanza convinto della versione dei fatti. Henry non avrebbe mai confessato della sua marachella che per poco non li aveva quasi uccisi, così Belle aveva raccontato che il bambino si era sporto per vedere dei delfini, aveva perso l’equilibrio e lei con lui, guadagnandosi uno sguardo grato da parte del ragazzino e ironico dalla sua amica.

Ora tutti se n’erano andati, e lei finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo. Belle udì un gemito soffocato; si voltò: il signor Gold era ancora lì.

L’uomo si reggeva in piedi a fatica senza il suo bastone, ancora abbandonato a terra. Il suo volto era contratto in una smorfia, mentre si passava una mano sul ginocchio destro. Belle gli si avvicinò, timorosa.

- E’ ferito?- mormorò, allungando una mano verso di lui.

- No!- si affrettò a dire Gold, bloccando il suo gesto.- No. Non mi tocchi.

Il ginocchio gli faceva un male d’inferno. Quella ragazza avrebbe tranquillamente potuto essere considerata l’undicesima piaga d’Egitto. Prima aveva litigato con suo padre, poi lei aveva scheggiato una tazza di porcellana, spargendo thé su una tovaglia che valeva quasi più di lei, infine aveva rischiato di finire in mare e non contenta aveva tentato di assassinarlo crollandogli addosso con il suo peso che, alla prova dei fatti, si era rivelato decisamente superiore rispetto a una stima che Gold aveva potuto fare a una prima occhiata.

E ora se ne stava lì a guardarlo con una faccia da cane bastonato.

- Cosa fa ancora qui?- le chiese, tirando fuori la sua migliore espressione da dovrestiaverepauradime.- Oggi ha salvato la vita a un bambino, ha rischiato di morire e dulcis in fundo ha concluso la sua avventura finendomi addosso. Non è stanca, dopo tutte queste emozioni?

- Mi dispiace…- sussurrò Belle, rossa in volto.

- Mi creda, dispiace più a me…- Gold fece una smorfia, il ginocchio non gli dava pace.

- Posso…posso fare qualcosa per lei?- chiese Belle.

- Sì. D’ora in avanti le sarei molto grato se non si avvicinasse a me per più di tre metri, grazie.

Belle si zittì. Non l’aveva fatto apposta, a fargli male, e in un’altra occasione avrebbe risposto per le rime, ma in quel momento non era veramente il caso. Anche se era stato un incidente, era pur sempre colpa sua, se si era fatto male.

- E’ ancora qui?- Gold le fece un gesto con la mano.- E’ una splendida giornata, perché non fa una passeggiata?

- Non la lascio solo, non finché non si sente meglio!- dichiarò Belle, fermamente.

- Per sua informazione, signorina French, non sto morendo. Questo ginocchio mi da problemi da anni, e lei oggi gli ha semplicemente dato manforte…

- E’ proprio per questo che voglio restare - disse Belle.- E’ colpa mia, se lei si è fatto male…

- Senta, il ruolo della crocerossina lo lasci a chi di dovere. Se ne vada, non mi serve il suo aiuto…

- A me invece sembra che ne abbia bisogno…

- L’apparenza inganna.

- Non me ne vado finché il dolore non è cessato!- insistette Belle.

- Quante volte le devo ripetere che…

- Mi permetta almeno di accompagnarla fino alla sua cabina!

- Lei non…

- Io non mi muovo da qui!- ringhiò Belle, al limite dell’esasperazione.

Gold sospirò, scuotendo il capo con rassegnazione. Belle si torse nervosamente le mani, mordendosi il labbro inferiore.

- Le…le prendo il bastone…- mormorò.

Il signor Gold stette a guardarla di sottecchi mentre raccoglieva il bastone da terra e glielo porgeva. Non la ringraziò, né la guardò mentre lei prendeva a camminargli a fianco, adeguandosi al suo passo claudicante.

Quella ragazza era veramente strana, pensò.

 

Angolo Autrice: In questo capitolo Henry è il trionfo dell’OOC, lo so. Probabilmente sarà risultato un po’ antipatico, ma in tutte le ff che ho letto lui è sempre il bambino perfetto, ma come tutti i ragazzini della sua età, a mio parere, qualche capriccio deve pur farlo, soprattutto nella sua situazione, e così…

Ho cambiato un po’ di cose da quanto avevo promesso. C’è ben poca (quasi niente, a dire il vero) Hunter Swan e più Rumbelle di quanto avessi previsto, ma prometto che nel prossimo ci sarà più equilibrio. Per quanto riguarda la Snowing, nulla da dire anche perché scriverla è stata una sofferenza…quei due mi daranno parecchio da fare, lo sento…Per la cronaca, la season 2 mi sta inaspettatamente facendo rivalutare Mary Margaret…David Nolan, invece, temo che nella mia mente resterà sempre un cretino. Il nome di battesimo di Whale è preso dalla sua vera identità, Victor Frankenstein, mentre per la Red Cricket, beh…nonna Granny scatenata al massimo…tranquilli, non romperà più molto in futuro, anche se i due piccioncini avranno a che fare con altri imprevisti…

Sempre a proposito di Red Cricket…The Cricket Game è stato un trauma da cui mai mi riprenderò. Cioè, voglio dire…ma…ma…ARCHIE!!!! NOOOO!!! BUUUUUHAAAAAAAAHUUUUHAAAA!!! *piange disperata*. No, giuro, quando ho visto quella scena non ci volevo credere, ero lì che dicevo no, non è possibile, non può essere vero! Cora deve morire, punto. Quanto vorrei che qualcuno la prendesse e la impalasse a un palo della luce, mannaggia ‘li mortacci sui le venisse un attacco di dissenteria…Che poi in quella scena, dove trovano Archie riverso a terra (sono forte…sono calma…non devo piangere! *cede miseramente*) c’era anche Ruby, quindi lascio immaginare quanto una mente malata come la mia stesse macchinando in quel momento, mi hanno praticamente stroncato anche l’ultima speranza do vedere questi due insieme…Dovrò scrivere qualcosa per rimediare (è una minaccia, non una promessa XD).

Nel prossimo capitolo, Snowing, Hunter Swan, Red Cricket e Rumbelle ;).

Veniamo ai ringraziamenti: grazie a chi ha aggiunto la storia fra le seguite, le ricordate e le preferite, e a Just D, charlotte lewis, Lety Shine 92, TheHeartIsALonelyHunter, jarmione, historygirl93 (a cui avevo promesso l’accenno a Bae, spero tu non sia rimasta delusa), nari92, LadyAndromeda e Lady Deeks per aver recensito.

Ciao!

Dora93

  
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