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Autore: hikarufly    14/01/2013    1 recensioni
E se il fratello più grande si fosse dato all'investigazione? Se avesse avuto un carattere accomodante e gentile? E se ci fosse una Miss Watson, infermiera e governante che sa osservare, non solo vedere?
Una versione "diversa" del duo di Doyle, ispirata dalla "cioccolosità" di Mr Hugh Bonneville col deerstalker e dalla spavalderia di Jenna-Louise Coleman in Doctor Who.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Minnie Stamford e Josephine Watson entrarono all'Istituto Beata Bartolomea, la cui unica pecca, forse, era l'essere un'istituzione cattolica e non protestante. Minnie condusse la vecchia amica verso l'ala dedicata alla medicina, e precisamente nella grande infermeria. Era deserta, se non per qualche bambina con la tosse e un uomo in camice, che osservava gli occhi e la gola di una di esse, con solerzia e un poco di amorevolezza. Josephine si guardò intorno, constatando che se non era cambiata l'architettura stile neogotico della stanza, di sicuro le attrezzature e il resto erano decisamente più moderni.

«È davvero troppo tempo che manco» sussurrò all'amica, ma la sua voce fu abbastanza forte da attirare l'attenzione dell'unico uomo della stanza.

Il suo camice era immacolato, se non fosse stato per qualche macchia di sostanze chimiche e bruciatura, decisamente recente, e sotto di esso aveva un completo elegante ma semplice. Era piuttosto alto, e anche paffuto, il che gli dava un'aria gioviale, proprio come Minnie, anche se al contrario di quest'ultima emanava un certo senso di autorità e rispetto. Era dotato di grandi occhi azzurri, molto gentili, capelli corti e brizzolati e una lieve barba ben curata. Era il ritratto di ciò che un gentiluomo dovrebbe essere, anche quando, senza congedarsi dalla piccola inferma che stava visitando, si rivolse alle due signore.

«Indie orientali oppure occidentali?» domandò, con voce profonda quanto basta, e ben modulata, senza staccare gli occhi dalla bambina. Josephine osservò Minnie, che le lanciò un'occhiata divertita.

«Credo, Miss Hannah, che starete molto meglio e molto presto, perciò la prossima volta che ci vedremo mi farete vedere quanto brava siete diventata a fare la riverenza» disse poi l'uomo alla bambina, che annuì con un sorriso raggiante, ricambiato dal suo “medico”.

L'uomo si alzò e raggiunse le due signorine, con un inchino di cortesia, e riprendendo a utilizzare della strumentazione poco lontana da loro.

«Posso chiedervi carta e penna, Miss Stamford? Temo di aver lasciato il mio taccuino nel cappotto» domandò, di nuovo senza guardarla ma con un tono tanto cortese da non necessitarne.

«Oh, temo di non averne con me, mi dispiace!» esclamò Minnie, come se avesse appena scoperto di aver perso l'occasione della sua vita.

«Prego» si intromise Josephine, cercando nella propria ampia borsetta ed estraendone un taccuino, da cui prese alcuni fogli non rilegati e una penna «tenete»

L'uomo alzò gli occhi dal suo lavoro, con un'espressione incuriosita e sorpresa, prendendo ciò che lei gli offriva con un sorriso cortese.

«Grazie, Miss. Dunque non volete rispondere alla mia domanda, ma sembrate generosa abbastanza per sorvolare questa mancanza» affermò poi lui, iniziando a trascrivere quelli che sembravano dei dati sui fogli. Josephine si sentì piuttosto in fallo, e non sapeva neppure perché.

«La vostra domanda?» chiese, ricordando poi quelle strane parole da lui pronunciate prima di finire di parlare con la piccola Hannah.

«Sì. È evidente che siete stata un'infermiera, oltre che una governante, e dato che è più che ovvio che siete stata al fronte, mi chiedevo se fosse successo nelle Indie orientali o in America» spiegò, apparentemente senza sforzo nel conciliare la sua scrittura matematica e il suo discorso. Josephine non seppe bene cosa replicare, e si limitò a osservare l'espressione maliziosa e divertita di Minnie.

«Ditemi, avete problemi con il violino?» continuò lui, come se la sua curiosità fosse stata effettivamente soddisfatta, prima, e stessero chiacchierando amabilmente.

«Scusate?» chiese ancora Josephine, sicura che stesse parlando con lei, ma con la necessità di domandargli se era così.

«Quando ho bisogno di pensare, trovo che suonare il violino sia il miglior modo per concentrarmi. Mi piace cucinare, raramente brucio qualcosa e molti dei miei esperimenti di quel genere sono piuttosto gustosi. Mi considero cortese, anche se a volte tendo a perdermi nelle mie elucubrazioni mentali e finisco per ignorare le persone. Per il resto, a parte qualche eccezione, sono un uomo piuttosto silenzioso» spiegò, tranquillamente, continuando a scrivere simboli e formule su carta.

«Perdonatemi, non capisco perché stiate dicendo questo» lo apostrofò Josephine, una punta di impazienza nella voce. Era stata troppo abituata ai libri, forse, e non più a uomini farneticanti? Ne aveva quasi cresciuti due, negli ultimi anni, in fondo.

«Stavo giusto parlando a Miss Stamford, questa mattina, della stanza al piano di sopra, nel palazzo in cui mi sono appena trasferito e di come Mrs Patmore, la mia padrona di casa, sia così dispiaciuta di non avere in inquilino in più. Inoltre, il piano su cui si trovano il salotto e gli altri spazi sono decisamente troppo grandi per le mie abitudini frugali, e che non darei fastidio a una mosca. Perciò, mi viene da pensare che il suo presentarsi così, d'improvviso e senza motivi particolari, con una vecchia compagna di studi, senza impiego e reduce da tante esperienze, sia un modo per invitarvi a esplorare questa stanza sfitta. Perciò mi sembrava doveroso farvi sapere pregi e difetti di un potenziale coinquilino, Miss...?» concluse, restando in sospeso, in attesa che questa misteriosa “compagna di studi”, “senza impiego” e “reduce da tante esperienze” gli rivelasse l'unico dettaglio che non aveva potuto dedurre da solo.

«Watson. Josephine Watson» disse Minnie Stamford, precedendola, convinta che l'amica non avrebbe spiccicato parola.

«Bene, Miss Watson» esclamò dunque l'uomo, concludendo la sua scrittura con un punto e restituendole la penna e i fogli avanzati «vi aspetto domani, per vedere la stanza. Perdonatemi, ma devo scappare. Devo far avere questo» ed indicò i fogli che aveva riempito «ad un collega, forse ho trovato il modo per risolvere una brutta faccenda... potrei chiamare questo il metodo Hannah» aggiunse, facendo un piccolo occhiolino alla bambina, che si coprì la bocca per evitare di mostrare qualche dentino mancante.

«Ma... signore!» ribatté infine Josephine, rincorrendolo verso la porta ma fermandosi quasi subito, perché anche lui si arrestò. Dopo qualche istante in cui recuperò i fili dei suoi pensieri, riprese a parlare.

«Non so come abbiate fatto a capire tante cose su di me, non so dove sia questo luogo in cui dite esserci una camera libera, non so neppure il vostro nome!» disse Josephine, sconcertata, senza pensare poi alla sconvenienza di un uomo, sposato o meno che fosse, che proponga a una signorina di condividere un appartamento. L'uomo si portò una mano al mento, chiusa, aggrottando la fronte come in un momento di forte concentrazione, per poi indicarla.

«Indie orientali. Sicuramente» disse, per poi fare altri pochi passi, raggiungendo la porta.

«Il modo in cui l'ho capito, forse, ve lo spiegherò. Il luogo è il 221B di Baker Street, e il mio nome è Mycroft Holmes. Spero sarete tanto cortese da non disattendere il vostro impegno di domani. Signorine...» le salutò poi, facendo un cenno come a togliersi il cappello che aveva lasciato qualche piano sotto, sia alle due donne che alle bambine nei lettini, che lo salutarono con un sonoro e corale “Arrivederci, Mr Holmes!”.

«Straordinario, no?» disse poi Minnie, quando lui fu uscito, con un sospiro tale che Josephine seppe di poter scommettere tutti i soldi che possedeva che la sua vecchia amica aveva una cotta per quell'uomo.

   
 
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