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Autore: Lady Hime    17/01/2013    1 recensioni
Fanfiction editata (finalmente) che pubblicai anni fa, il titolo originario era Cuore. Modificata, in italiano finalmente, e con un finale decente.
Sì, ero Seira_9.
- «Non sei un po’ troppo debole?». La ragazza si fermò interdetta, per poi rispondere con voce vellutata alla provocazione inaspettata.
«Forse, ma non ho intenzione di morire qui».
«Perché mai? E’ un luogo così bello». Mai stato tipo da conversazione, mai, eppure, la curiosità più che altro, lo spinse a ribattere. Curiosità verso un mezzosangue, che cosa disgustosa.
«Hai voglia di far conversazione demone? O vuoi solo burlarti di me?» -
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Mild Regret
Solitudine

 

Chissà da dove era uscita tutta quella determinazione.
In una situazione normale Sesshomaru non ci avrebbe pensato due volte a stringere quella mano ed a strapparne le carni, in quel momento però, ucciderla era l’ultimo dei suoi pensieri.
Si era lasciato coinvolgere troppo in quella situazione, e non era stato per noia o per curiosità.
Lo avevo voluto.
Era stato uno stupido a pensare di potersi mentire, tanto che una piccola voce dentro di lui rise sguaiatamente. Te lo avevi detto che ti saresti risposto!
Per un attimo la figura di Jun,  la Jun che aveva incontrato la prima notte, col viso in tensione ed il kimono insanguinato, riempì la sua mente.
Erano stati quegli occhi.
Ne era rimasto incantato. L’odio di quegli occhi gli avevano fatto mancare un battito.
Quel corpo animato dalla foga e dalla rabbia, quegli occhi freddi che brillavano di risentimento, era stato quello a condurlo accanto a lei.
E ora non si sarebbe tirato indietro, non era da lui.
«Dio, ora basta!»
La voce scocciata di una terza presenza ruppe il silenzio e l’albero su cui aveva intrappolato Jun sparì; l’agile figura che Sesshomaru aveva scorto, anche a quella velocità, si fermò su un alto ramo davanti a loro.
E riaccadde, ma in modo nettamente più intenso.
Il corpo di Jun, che aveva  afferrato e salvato da una caduta, tremò.
Un contatto decisamente più suggestivo del primo, che provocò alla mezzosangue un lungo brivido; i sensi, in fondo, erano molto più sensibili, in quel momento.
«AH-».
Era una sensazione così nuova per lei, un contatto troppo profondo per il suo corpo.
Un orgasmo, il primo orgasmo della sua vita. Che la fece svenire, così, tra le braccia di Sesshomaru.
«Ma che reazione esagerata! Si vede proprio che è una verginella» ghignò il demone sedendosi «Però questa volta non mi sono divertito per niente. Ma non può sempre andar bene, in fin dei conti».
«Cosa stai dicendo».
«Che il mio lavoro è finito. E che quella donna me l’ha fatta sotto il naso. Bhe addio, mi auguro che ce la faccia a comporre il Fuuin. O magari no! Ahahahah!».
E dette le sue ultime parole, egli sparì.
Sesshomaru staccò leggermente da se Jun. Legata al suo collo, una sottile striscia di stoffa riluceva.

«Madre, siete qui?».
La casa dove lei e sua madre vivevano era troppo grossa secondo il suo parere, le avevano raccontato che era stata comprata da suo padre in persona per ospitarle. Non era troppo fuori dal villaggio, ma i grandi giardini occupavano molto spazio. Sua madre di solito se ne stava li in primavera, a vedere i ciliegi fiorire ed a cantare.
C’erano dei petali di ciliegio effettivamente, ma nessun albero era rimasto in piedi.
Era strano, molto strano, perché lei se li ricordava distintamente.
«Madre…?»
 La figura di Rin, avvolta nel suo kimono verde si voltò di scatto, catturandola tra le sua braccia.
«…ppa…»
Non capì, non era che un sussurro quello che era uscito dalle sottili labbra di sua madre.
«Mi dispiace».
E poi tutto come al solito, la figura di suo fratello che incombeva su di loro e uccideva sua madre, ma non lei.
Ci fu un dettaglio nuovo però, quella notte. Non poteva essersi sbagliata.
C’era stata la lama, l’urlo, il sangue, come sempre.
Ed un sorriso nuovo a comparire sulle labbra di sua madre.  

A svegliarla, al crepuscolo ormai, erano state le risate di una bambina. Di Rin, certo.
Sbatté le palpebre un paio di volte, il volto sorridente della bimba comparve al centro della sua visuale.
«Ti sei svegliata!».
«Si» rispose in automatico, scostandosi i capelli dal volto. Quei capelli che sarebbero diventati scuri a breve, pensò. Secondo giorno di novilunio, secondo giorno sprecato alla sua ricerca.
La sua ricerca. I fiori. Il fiocco. Sesshomaru.
«Rin! Dov’è Sesshomaru-sama?».
La bambina indietreggiò di qualche passo, indecisa. «Ha detto che tornerà entro stasera, non devi preoccuparti».
Ma Jun non era preoccupata, non gliene importava poi granché di quel che il demone faceva, era solo il bisogno di sapere cos’era successo quel giorno che la fece fremere, a quelle parole. Se non era riuscita a conquistare quell’elemento avrebbe dovuto riiniziare daccapo. Trovare un’altra scappatoia che no, non esisteva. Jun aveva perso notti e giorni tra i manoscritti dei vecchi saggi, eternamente grata a sua madre ed alla sua determinazione di insegnarle a leggere, nonostante non avesse mai avuto la benché minima attitudine allo studio. C’erano voluti anni per risalire al Fuuin, agli elementi, all’ubicazione della sfera, molti giorni per sapere che il primo e l’ultimo elemento vanno conquistati, mentre i rimanenti vengono attirati dal richiamo del fuoco.
Come la lacrima di Kokoronoki, per esempio. Il penultimo tassello per creare un ciclo perfetto, che lei avrebbe dovuto ricomporre all’interno del suo io. Non sapeva come sarebbe successo, nessun manoscritto riportava testimonianze di fuuin riusciti; c’erano solo le immagini raccapriccianti di chi cedeva alla maledizione. E le parole non erano servite, alla fine, per far cadere Jun nel panico silenzioso.
«Non hai più sonno adesso, vero? Se vuoi possiamo giocare un po’!»; la voce di Rin tornò a distoglierla dal suo sordo ragionamento, dalle sue angosciose previsioni. Forse era proprio per quello che Sesshomaru la portava con se, per respirare, ogni tanto, uno spiffero d’aria fresca. 
«Ed a cosa vuoi giocare?» chiese, ignorando Jaken e le sue prediche inutili sulla pericolosità di parlare con un mezzosangue ferito. Perché per i demoni loro sono bestie, soprattutto quando lottano con tutta la forza possibile per vivere; bestie prive di controllo, inutili, seccanti, da uccidere. L’amarezza si fece largo dentro di lei, insieme a qualche ricordo, mentre ascoltava la bambina rispondere.
Quella bambina era luce, dolcezza infinita. Ossigeno. «…ed alla fine si dice “Furi!”».
«Senti Rin…posso chiederti come mai viaggi con dei demoni?». La bambina si zittì, e distolse lo sguardo. Forse non avrebbe dovuto chiedere, anzi, probabilmente non ne aveva il diritto, ma una vena curiosa le aveva fatto aprire la bocca, conscia che avrebbe potuta oscurarla, quella luce.
«Ho incontrato Sesshomaru-sama dopo che InuYasha-sama lo aveva attaccato, ed era ferito. Sono andata a trovarlo, per un po’. Poi, un giorno sono stata inseguita da…».
«E chi sarebbe InuYasha-sama, Rin?». A cosa importava lei, di sapere chi fosse quell’uomo non lo sapeva, ma voleva conoscere di più su Sesshomaru, capire perché voleva aiutarla. Forse la stava ingannando, forse era solo l’ennesima trappola di lui.
«Il fratello minore di Sesshomaru-sama».
«Ah».
«E poi mi ha salvato. E mi ha permesso di venire con lui, di…».
 «Non importa Rin. Scusa se ti ho chiesto questa cosa» terminò Jun, sorridendole. «Vuoi giocare, quindi?».
Ma la bambina scosse la testa, rialzando il volto. «Voglio sapere perché tu viaggi da sola».
«Non ho compagni di viaggio, non credo che a qualcuno interessi accompagnarmi». Si stupì di come la voce pareva serena, nell’annunciare la sua solitudine. «Ma non è mai stato un problema Rin, non sono più una bambina».
«E da bambina con chi viaggiavi?».
Con nessuno.
Jun però, non replicò nulla; sentì il bisogno quasi di proteggerla, l’innocenza di Rin, di inventarsi di sua madre, di un padre, crearsi un’intera vita, felice e spensierata.
Fu la figura di Sesshomaru, improvvisa, a troncare ogni discorso. Era tornato.
Ancor prima di aprire bocca, il demone la fissò, occhi gelidi.
«Dobbiamo parlare».

   
 
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