Mild Regret
Solitudine
Chissà da
dove era uscita tutta quella determinazione.
In una situazione normale Sesshomaru non ci avrebbe
pensato due volte a stringere quella mano ed a strapparne le carni, in quel
momento però, ucciderla era l’ultimo dei suoi pensieri.
Si era lasciato coinvolgere troppo in quella situazione, e non era stato per
noia o per curiosità.
Lo avevo voluto.
Era stato uno stupido a pensare di potersi mentire, tanto che una piccola voce
dentro di lui rise sguaiatamente. Te lo
avevi detto che ti saresti risposto!
Per un attimo la figura di Jun, la Jun che aveva
incontrato la prima notte, col viso in tensione ed il kimono insanguinato,
riempì la sua mente.
Erano stati quegli occhi.
Ne era rimasto incantato. L’odio di quegli occhi gli avevano fatto mancare un
battito.
Quel corpo animato dalla foga e dalla rabbia, quegli occhi freddi che
brillavano di risentimento, era stato quello a condurlo accanto a lei.
E ora non si sarebbe tirato indietro, non era da lui.
«Dio, ora basta!»
La voce scocciata di una terza presenza ruppe il silenzio e l’albero su cui
aveva intrappolato Jun sparì; l’agile figura che Sesshomaru aveva scorto, anche a quella velocità, si fermò
su un alto ramo davanti a loro.
E riaccadde, ma in modo nettamente più intenso.
Il corpo di Jun, che aveva afferrato e salvato da una caduta, tremò.
Un contatto decisamente più suggestivo del primo, che provocò alla mezzosangue
un lungo brivido; i sensi, in fondo, erano molto più sensibili, in quel momento.
«AH-».
Era una sensazione così nuova per lei, un contatto troppo profondo per il suo
corpo.
Un orgasmo, il primo orgasmo della sua vita. Che la fece svenire, così, tra le
braccia di Sesshomaru.
«Ma che reazione esagerata! Si vede proprio che è una verginella» ghignò il
demone sedendosi «Però questa volta non mi sono divertito per niente. Ma non
può sempre andar bene, in fin dei conti».
«Cosa stai dicendo».
«Che il mio lavoro è finito. E che quella donna me l’ha fatta sotto il naso. Bhe addio, mi auguro che ce la faccia a comporre il Fuuin. O magari no! Ahahahah!».
E dette le sue ultime parole, egli sparì.
Sesshomaru staccò leggermente da se Jun. Legata al suo collo, una sottile striscia di stoffa
riluceva.
«Madre, siete qui?».
La casa dove lei e sua madre vivevano era troppo grossa secondo il suo parere,
le avevano raccontato che era stata comprata da suo padre in persona per
ospitarle. Non era troppo fuori dal villaggio, ma i grandi giardini occupavano
molto spazio. Sua madre di solito se ne stava li in primavera, a vedere i
ciliegi fiorire ed a cantare.
C’erano dei petali di ciliegio effettivamente, ma nessun albero era rimasto in
piedi.
Era strano, molto strano, perché lei se li ricordava distintamente.
«Madre…?»
La figura di Rin,
avvolta nel suo kimono verde si voltò di scatto, catturandola tra le sua
braccia.
«…ppa…»
Non capì, non era che un sussurro quello che era uscito dalle sottili labbra di
sua madre.
«Mi dispiace».
E poi tutto come al solito, la figura di suo fratello che incombeva su di loro
e uccideva sua madre, ma non lei.
Ci fu un dettaglio nuovo però, quella notte. Non poteva essersi sbagliata.
C’era stata la lama, l’urlo, il sangue, come sempre.
Ed un sorriso nuovo a comparire sulle
labbra di sua madre.
A svegliarla, al crepuscolo ormai, erano state le risate di una bambina. Di Rin, certo.
Sbatté le palpebre un paio di volte, il volto sorridente della bimba comparve al
centro della sua visuale.
«Ti sei svegliata!».
«Si» rispose in automatico, scostandosi i capelli dal volto. Quei capelli che
sarebbero diventati scuri a breve, pensò. Secondo giorno di novilunio, secondo
giorno sprecato alla sua ricerca.
La sua ricerca. I fiori. Il fiocco. Sesshomaru.
«Rin! Dov’è Sesshomaru-sama?».
La bambina indietreggiò di qualche passo, indecisa. «Ha detto che tornerà entro
stasera, non devi preoccuparti».
Ma Jun non era preoccupata, non gliene importava poi
granché di quel che il demone faceva, era solo il bisogno di sapere cos’era
successo quel giorno che la fece fremere, a quelle parole. Se non era riuscita
a conquistare quell’elemento avrebbe dovuto riiniziare daccapo. Trovare
un’altra scappatoia che no, non esisteva. Jun aveva
perso notti e giorni tra i manoscritti dei vecchi saggi, eternamente grata a
sua madre ed alla sua determinazione di insegnarle a leggere, nonostante non
avesse mai avuto la benché minima attitudine allo studio. C’erano voluti anni
per risalire al Fuuin, agli elementi, all’ubicazione
della sfera, molti giorni per sapere che il primo e l’ultimo elemento vanno
conquistati, mentre i rimanenti vengono attirati dal richiamo del fuoco.
Come la lacrima di Kokoronoki,
per esempio. Il penultimo tassello per creare un ciclo perfetto, che lei
avrebbe dovuto ricomporre all’interno del suo io. Non sapeva come sarebbe successo, nessun manoscritto riportava
testimonianze di fuuin riusciti; c’erano solo le
immagini raccapriccianti di chi cedeva alla maledizione. E le parole non erano
servite, alla fine, per far cadere Jun nel panico
silenzioso.
«Non hai più sonno adesso, vero? Se vuoi possiamo giocare un po’!»; la voce di Rin tornò a distoglierla dal suo sordo ragionamento, dalle
sue angosciose previsioni. Forse era proprio per quello che Sesshomaru
la portava con se, per respirare, ogni tanto, uno spiffero d’aria fresca.
«Ed a cosa vuoi giocare?» chiese, ignorando Jaken e le
sue prediche inutili sulla pericolosità di parlare con un mezzosangue ferito.
Perché per i demoni loro sono bestie,
soprattutto quando lottano con tutta la forza possibile per vivere; bestie
prive di controllo, inutili, seccanti, da
uccidere. L’amarezza si fece largo dentro di lei, insieme a qualche
ricordo, mentre ascoltava la bambina rispondere.
Quella bambina era luce, dolcezza infinita. Ossigeno. «…ed alla fine si dice
“Furi!”».
«Senti Rin…posso chiederti come mai viaggi con dei
demoni?». La bambina si zittì, e distolse lo sguardo. Forse non avrebbe dovuto
chiedere, anzi, probabilmente non ne aveva il diritto, ma una vena curiosa le
aveva fatto aprire la bocca, conscia che avrebbe potuta oscurarla, quella luce.
«Ho incontrato Sesshomaru-sama dopo che InuYasha-sama lo aveva attaccato, ed era ferito. Sono
andata a trovarlo, per un po’. Poi, un giorno sono stata inseguita da…».
«E chi sarebbe InuYasha-sama, Rin?».
A cosa importava lei, di sapere chi fosse quell’uomo non lo sapeva, ma voleva
conoscere di più su Sesshomaru, capire perché voleva
aiutarla. Forse la stava ingannando, forse era solo l’ennesima trappola di lui.
«Il fratello minore di Sesshomaru-sama».
«Ah».
«E poi mi ha salvato. E mi ha permesso di venire con lui, di…».
«Non importa Rin.
Scusa se ti ho chiesto questa cosa» terminò Jun,
sorridendole. «Vuoi giocare, quindi?».
Ma la bambina scosse la testa, rialzando il volto. «Voglio sapere perché tu
viaggi da sola».
«Non ho compagni di viaggio, non credo che a qualcuno interessi accompagnarmi».
Si stupì di come la voce pareva serena, nell’annunciare la sua solitudine. «Ma
non è mai stato un problema Rin, non sono più una
bambina».
«E da bambina con chi viaggiavi?».
Con nessuno.
Jun però, non replicò nulla; sentì il bisogno quasi
di proteggerla, l’innocenza di Rin, di inventarsi di
sua madre, di un padre, crearsi un’intera vita, felice e spensierata.
Fu la figura di Sesshomaru, improvvisa, a troncare
ogni discorso. Era tornato.
Ancor prima di aprire bocca, il demone la fissò, occhi gelidi.
«Dobbiamo parlare».