Videogiochi > Rule of Rose
Segui la storia  |       
Autore: DarkPenn    10/08/2007    2 recensioni
"C'era una volta un piccolo, intrepido cacciatore..." Si tratta di un AU parallelo agli avvenimenti del gioco, un'interpretazione diversa di ciò che è successo a Jennifer... o di ciò che avrebbe potuto succederle...
Genere: Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

Fiuta fiuta il Cacciatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei non era come le altre principesse: era sempre gentile con tutti e sul suo viso il sorriso era sempre dolce. Ma nonostante questo, veniva quasi per tutto il tempo e per tutti i giorni lasciata sola…

 

Finalmente la vide, ma nel suo cuore non seppe se essere felice o triste.

Le sembrava di aver vagato per quel misterioso dirigibile per più di un giorno, salendo e scendendo scale, attraversando strani corridoi bui e riposando in piccole stanze grigie. Non aveva più sentito nessun cane abbaiare o mostro squittire, e non aveva visto nessuno da quando aveva incontrato la Duchessa Diana. Ancora non aveva capito come faceva a sapere certe cose, ma era convinta che per salvarsi doveva assolutamente trovare l’ingresso alla Sala del Trono, qualunque cosa essa fosse. Ed a quanto pareva, l’aveva trovata.

Era una porta diversa da tutte le altre: così bella, di legno lucido con gli intarsi che a Jennifer erano sempre piaciuti, ed aveva una targa disegnata sopra, in cui era possibile leggere le parole ‘Aristocratici della Matita Rossa’. Sotto di essa era appeso una specie di manifesto, ed ancora più sotto una scatola di legno, delle dimensioni della base di un grammofono. Istintivamente, la ragazza sfortunata sapeva di dover varcare quella soglia, e così con trepidazione vi si avvicinò.

La porta però era chiusa a chiave, e per quanto Jennifer si sforzasse non riusciva a smuoverla. In quel momento lo sguardo le cadde sul manifesto, dove lesse con stupore e paura quale fosse il dono da offrire al Club degli Aristocratici per quel mese.

Con una stentata grafia ed il rozzo disegno di una macchia, il tutto di colore rosso, era scritto:Dono di questo mese: quattro gocce di sangue.

La sfortunata ragazza, inghiottendo ripetutamente per il ribrezzo, lesse e rilesse quel messaggio, chiedendosi per l’ennesima volta da quando tutta quella storia era iniziata se non stesse sognando. Ma la realtà era che non stava sognando.

Con tutto il suo cuore Jennifer avrebbe voluto allontanarsi da quella porta, scappare lontano da quelle stupide regole, ma dentro di sé sentiva di non poter fare a meno del perdono della Principessa della Rosa Rossa, e se voleva essere perdonata doveva assolutamente ubbidire a quella richiesta.

Quasi meccanicamente si guardò attorno, ma non vide alcun oggetto tagliente con cui ferirsi. Stava per lasciarsi prendere di nuovo dallo sconforto quando toccò il colletto del proprio vestito grigio e sfiorò la spilla rossa che lo teneva chiuso.

Non ricordava quando l’aveva avuta, ma sapeva che si trattava di qualcosa di molto importante, qualcosa per la quale sarebbe stata anche disposta a rischiare di morire. Con dita tremanti la slacciò e la guardò, vagamente stupita. Era poco più piccola del palmo della sua mano e rappresentava una rosa rossa all’interno di un cerchio dorato. Più la guardava e più la ragazza sfortunata sentiva nel suo cuore una dolce nostalgia, il ricordo di momenti di gioia e di caldi giorni di sole, una promessa lontana…

La sensazione di aver perso tutto questo la riportò bruscamente al presente. Le sembrò quasi che la sua spilla perdesse il colore, diventando sempre più grigia. Allora la strinse al cuore, come per infonderle calore. Dopo poco tempo la sensazione svanì e Jennifer poté tornare a considerare la situazione.

Era giunto il momento di riscattarsi, di rispettare le regole.

Mordendosi un labbro, la ragazza sfortunata si punse un dito con la spilla, guardando poi stordita la corposa goccia di sangue che le sbocciava sul polpastrello. Cercando di resistere al disgusto che minacciava di sommergerla, fece cadere all’interno della scatola quattro gocce del proprio sangue, che scesero con esasperante lentezza.

Quando l’ultima goccia ticchettò sul fondo della scatola, Jennifer sentì la serratura scattare. Dopo essersi rimessa scrupolosamente a posto la spilla, strinse con una smorfia di dolore la mano ferita ed aprì la porta con circospezione.

L’interno della stanza era immerso nell’ombra, ma sembrava molto grande. La sfortunata ragazza stava per chiedere con timore se ci fosse qualcuno quando ricevette un forte colpo alla schiena, che la spinse dentro la stanza mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, lasciandola al buio, indifesa, sola.

 

Il piccolo, intrepido cacciatore osservava spesso quella povera principessa sfortunata e molte volte aveva desiderato avvicinarsi a lei e parlarle per alleviare la loro solitudine. Ma non l’aveva mai fatto…

 

Jennifer inciampò su un tappeto invisibile e cadde in ginocchio, gemendo forte. Strinse gli occhi per la paura, pensando già che il colpo che aveva ricevuto venisse da uno dei mostri dalla testa di topo che aveva incontrato in precedenza, ma non accadde nulla. Anzi, nella stanza regnava il più assoluto silenzio, anche il rumore del motore del dirigibile sembrava essere sparito. Con titubanza, la ragazza sfortunata aprì gli occhi, lentamente, e ciò che vide la riempì di stupore.

Si trovava inginocchiata su un tappeto rosso sui cui bordi erano posate delle semplici candele, che diffondevano nella grande stanza una luce soffusa. Di fronte a lei c’era un grande ammasso di casse e scatoloni, impilati l’uno sull’altro in modo che fosse possibile arrampicarsi fino in cima, dove si trovavano due vecchie sedie di legno. Su quella di destra c’era una splendida bambola vestita di rosso, mentre su quella di sinistra c’era un orsacchiotto di pezza molto rovinato. Sopra la prima fila di casse invece c’erano tre bambine, che si produssero in elaborati inchini quando Jennifer passò lo sguardo su di loro.

A sinistra c’era Diana, che le rivolse un sorriso enigmatico mentre s’inchinava allo stesso modo di quando l’aveva incontrata la prima volta. Al centro c’era una bambina bionda, che le sorrise con aria superiore mentre impegnava nella riverenza una sola mano, dato che l’altra era occupata a reggere un grosso libro. A destra c’era una graziosa bambina dai capelli corti, che però mantenne lo sguardo lontano per tutto il tempo che Jennifer la guardò, restando con un’espressione seria. Ai suoi piedi c’era una gabbietta, ma sembrava che non ci fosse nulla dentro.

La ragazza sfortunata si rimise in piedi, vergognandosi così tanto dei propri stracci e della propria aria trasandata che si dimenticò di fare la riverenza.

All’improvviso, la ragazza dall’aria saggia aprì il suo grosso libro e lesse con solennità.

“Gentildonne e gentiluomini, io, la Baronessa Meg, annuncio all’attenzione della nostra Principessa della Rosa Rossa la presenza della sudicia Jennifer, che giunge al suo cospetto con l’umiltà e il rispetto che si addicono al suo basso rango sociale.

La sfortunata ragazza guardò le tre Aristocratiche con aria confusa, non sapendo come reagire. La ragazza con la gabbietta allora la fissò con uno sguardo di ghiaccio, puntandole il dito contro.

“Lurida sciagurata! Inginocchiati e mostra il rispetto che devi alla tua Principessa!”

Disorientata da quelle parole così aggressive, così inappropriate all’aria indifferente della ragazza, Jennifer non poté fare altro che ubbidire, e goffamente si inginocchiò a capo chino, continuando a stringere le mani sulla spilla, come se temesse che gliela portassero via.

Rimase in silenzio per alcuni secondi, poi sentì Meg rivolgerle di nuovo la parola, deliziata.

“Più giù, disgraziata…”

Inghiottendo spaventata, Jennifer ubbidì, piegando il busto ed appoggiando le mani a terra. Ma ancora non bastava.

“Hai sentito?” chiese la ragazza con la gabbietta. “Più giù.”

La ragazza sfortunata sentì nuovamente le lacrime salirle agli occhi, ma abbassò ancora di più il busto, acquattandosi e poggiando la fronte tremante sul dorso delle mani.

“Allora non vuoi capire?” chiese Meg, questa volta arrabbiata, e Jennifer sentì che qualcuno era sceso dal palco e si dirigeva verso di lei.

‘Vi prego, non fatemi del male,’ avrebbe voluto dire, ma la sua bocca era secca, non riuscì a pronunciare un suono. Poteva solamente aspettare immobile, indifesa. All’improvviso sentì una forte spinta contro il sedere, che la fece stendere a terra, ma non osò reagire per timore di rappresaglie peggiori e si limitò a restare prona, tremante, con le mani davanti alla testa. Dal palco di fronte a lei le giunsero le risate divertite delle ragazze che vi erano rimaste. Sobbalzò quando sentì una mano poggiarsi sulla sua testa ed accarezzarle i capelli.

Meg, Eleanor,” disse Diana, china sopra di lei, con voce dolce, “non possiamo pretendere troppo da una lurida mendicante come lei… vero, Jen-ni-fer?”

La Duchessa aveva pronunciato il suo nome sillabandolo con cura, come se si fosse rivolta a una persona incapace di capire le sue parole. Temendo qualsiasi reazione, la ragazza sfortunata si limitò ad annuire impercettibilmente. Non oppose resistenza quando sentì due mani che le sollevavano il volto, ed assecondò il movimento finché non si trovò a fissare i grigi occhi di Diana, che la guardavano con una specie di gioia ferina. Di sfuggita riuscì a notare che la ragazza sorrideva, a pochi centimetri dal suo volto.

“Bene,” le sussurrò con un soffio la Duchessa. “Ora che hai fatto professione di umiltà, puoi fare la tua richiesta alla Principessa.”

Dette quelle parole la lasciò e si rialzò in piedi, tornando come se niente fosse al suo posto sulla pila di casse. Jennifer, ancora semisdraiata, credette di notare uno sguardo rabbioso rivolto a Diana da parte di Meg, ma non poté esserne certa perché quest’ultima tornò subito a rivolgersi a lei, con voce dura.

“Avanti, plebea, fai la tua richiesta alla Principessa della Rosa Rossa e vattene.

Jennifer si raddrizzò sulle ginocchia, rassettandosi brevemente l’abito, e fissò la piccola bambola vestita di rosso seduta sul Trono. Era finalmente venuto il momento di fare la sua richiesta…

Ma con una morsa allo stomaco si rese conto di non sapere che cosa chiedere.

Sentiva di voler essere perdonata ad ogni costo, ma sapeva di non poter semplicemente chiedere quella cosa alla Principessa, non dopo quello che le aveva fatto. Che aveva fatto a tutti.

“Fai la tua richiesta, ho detto,” ripeté Meg, ma Jennifer la guardò in preda al panico.

“Non hai niente da chiedere, sudicia miserabile?” fece eco Eleanor, la ragazza con la gabbietta, ma di nuovo la ragazza sfortunata non seppe cosa dire.

“Oh, che peccato,” fece Diana scuotendo la testa. “A quanto pare hai disturbato la Principessa per niente, piccola, sudicia barbona. Dovrai essere punita.”

Quelle parole sembrarono a Jennifer una  terribile condanna. Si guardò attorno, alla ricerca di una via di fuga, ma al di fuori del raggio illuminato dalle candele l’intera stanza era immersa nel buio.

“Sono d’accordo,” commentò laconica Eleanor, tornando con lo sguardo perso in lontananza.

“Sì, dovrai essere punita,” riprese Meg, e nei suoi occhi la ragazza sfortunata credette di scorgere la luce della vendetta.

Avrebbe voluto scusarsi, invocare nuovamente il perdono della Principessa, ma sapeva benissimo che sarebbe stato del tutto inutile. Con il crimine che aveva compiuto, che sapeva essere gravissimo anche se non lo ricordava, non poteva permettersi di chiedere ancora scusa alla Principessa.

Poteva solo aspettare la condanna.

In quel momento un atroce urlo di agonia risuonò per la stanza, talmente forte da sembrare vicinissimo. La ragazza sfortunata si guardò attorno in preda al panico, ma non vide nulla che potesse giustificare un simile grido. In compenso, le ragazze che l’avevano accolta nella Sala del Trono sembravano aver perso la loro aria di superiorità: Eleanor si era accucciata e stringeva fra le braccia la propria gabbietta mentre il suo sguardo, di solito così freddo, tradiva un terrore profondo; Meg si era arrampicata verso i due Troni stringendo al petto il suo libro e con la bocca spalancata in un urlo muto. L’unica che non sembrava spaventata era Diana: sebbene si fosse guardata attorno anche lei, sembrava più infastidita che impaurita.

Quando si fu estinta anche l’eco del terribile grido, nella grande Sala del Trono sì udì un altro suono: una voce maschile, calma, cantilenante, ed in sottofondo, come se fosse lontanissimo, l’abbaiare di un cane.

La voce recitava una filastrocca, che per qualche motivo fece rabbrividire Jennifer.

E con questa sono otto,

il Randagio fa fagotto.

Ascoltate con orrore,

Fiuta fiuta il Cacciatore.

Trattenendo il fiato per la paura, la sfortunata ragazza si chiese che cosa stesse per succederle, ma non poté avere una risposta. Infatti, le orecchie le si riempirono delle grida di panico delle tre ragazze del Club degli Aristocratici: persino Diana, scossa dai tremori, aveva abbandonato il suo fare affettato e si era sbrigata a scendere dalla cassa, subito imitata dalle sue compagne. Nei loro occhi Jennifer vide una paura senza nome, un terrore che lei non aveva mai creduto possibile, una sensazione fatta di occhi sbarrati e denti digrignati.

Quando loro furono scomparse e lei fu rimasta sola, con quella terribile filastrocca ancora nelle orecchie e l’eco dell’ultimo verso che vibrava ancora nell’aria, la ragazza sfortunata si sentì pervadere dal panico: qualunque cosa fosse successa in seguito a quelle inquietanti parole, l’avrebbe trovata sola e indifesa.

Come sempre.

Doveva scappare, il più lontano possibile. Senza esitare ancora Jennifer balzò in piedi e corse verso la direzione in cui aveva visto scomparire Meg ed Eleanor. Non le importava dove l’avrebbe condotta quella strada, l’unica cosa che contava era fuggire da quel posto pericoloso.

Non capì come aveva fatto ad uscire dalla Sala del Trono, perché per quel che le era parso aveva sempre corso, da sola e al buio, senza mai trovare una porta o un muro. Solo la consistenza del pavimento sotto i suoi piedi era cambiata spesso, dandole l’impressione di volta in volta di camminare sul legno, sul metallo, su un tappeto o addirittura sul terriccio. Quando si fermò per riposare, trafelata, si accorse di trovarsi in un altro corridoio. La fievole luce della luna era tornata gradualmente ad illuminarle la strada, attraverso ampie finestre sulla sua sinistra. In basso, sotto la pallida luce dell’astro, si stendeva un mare di nuvole, mentre in alto si riuscivano a vedere le stelle più luminose, le uniche che riuscivano a contrastare la luce lunare. Di fronte a sé Jennifer vide che il corridoio svoltava quasi subito a destra, e si stupì a considerarsi, nonostante la situazione, fortunata a non essere andata a sbattere contro il muro di fronte a lei. Alle sue spalle, invece, il corridoio sembrava continuare all’infinito. La sfortunata ragazza pensò di tornare sui propri passi e controllare, alla confortante luce della luna, ma una sorda sensazione di pericolo la bloccò. Era come se si sentisse braccata da qualcosa di pericoloso che le era molto, molto vicino. Soffocando un gemito di disperazione si decise a proseguire per la sua strada, e sperò di raggiungere le altre bambine del Club degli Aristocratici prima che le succedesse qualcosa di brutto.

Perché c’era davvero qualcosa che le era molto, molto vicino.

 

Lei era una bellissima, sfortunata principessa. Lui soltanto un solitario intrepido cacciatore sporco di polvere e fuliggine…

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Rule of Rose / Vai alla pagina dell'autore: DarkPenn