Accadde per sbaglio…
Dato che non
avrebbe dovuto affrontare l’esame né studiare per le vacanze, Rea decise di
aiutare suo padre con la documentazione riguardo al caso in cui era stata
infilata anche lei.
Passò tutta
la settimana delle vacanze pasquali con in mano fascicoli e cartelle piene
zeppe di roba noiosa, facendosi sei caffè al giorno per non addormentarsi.
Nemmeno quando affrontava sei ore di professori privati per dare la maturità
con un anno di anticipo era così annoiata.
Alla fine
tornò a scuola con le idee piuttosto chiare: quel caso era un caos completo.
L’unica cosa certa era che in quell’edificio succedevano cose piuttosto
anomale. Secondo le statistiche erano sei mesi che, con cadenza periodica,
almeno un alunno si sentiva male per cause ignote. Su diciotto ragazzi ben
dodici erano morti e questo aveva insospettito la polizia, che si era messa
subito in moto per riuscire a capire cosa stava succedendo. E chi, meglio di
una ragazza ancora adolescente e figlia di un agente, poteva infiltrarsi in
quell’istituto?
“Dannato papà, mi convince sempre a fare tutto”
disse sospirando. Appoggiò la testa sulla mano e fissò la finestra.
“Un penny per i tuoi pensieri” le sussurrò Fabio,
avvicinandosi di soppiatto. Lei sobbalzò, presa alla sprovvista.
“Ciao. Ti diverte molto arrivarmi alle spalle?” gli
chiese irritata. Lui rise e prese una sedia, mettendola al contrario e
sedendosi con le gambe aperte.
“In effetti sì. Sei così facilmente sorprendile”
rispose.
“Ah, carino da parte tua” lo freddò la ragazza.
Quella mattina non era nelle condizioni di far finta di essere timida e
silenziosa, non ce la faceva.
“Qualche problema? Sembri di cattivo umore” notò lui.
“Lascia perdere, non mi va di parlarne” disse.
“Perché no? Siamo amici, no?” le fece presente. Rea
arrossì e sbuffò.
“Ci siamo visti due volte, non si chiama essere amici
questo, si chiama essere conoscenti al massimo” ribatté.
Fabio ci
rimase un po’ male, soprattutto perché la ragazza non gli sembrava una di
quelle aggressive.
“Va bene, come vuoi. Sei tu a dover decidere, ero venuto solo
per chiederti come sono andate le tue vacanze di Pasqua” ammise
arrendendosi. Lei sospirò e si rese conto di essere stata sgarbata, così
sorrise.
“Scusami, non ho avuto un risveglio piacevole stamani.
Papà mi aveva lasciato un biglietto dicendomi che stamani era sciopero dei
pullman, così sono dovuta venire a piedi facendomi due chilometri di corsa nel
giro di quindici minuti” gli spiegò. Sentiva ancora male alle gambe e maledisse
suo padre per averle praticamente sequestrato la macchina con la scusa che “Se la usi senza pensarci e ti vede qualcuno poi la gente
s’insospettisce”. Va’ al diavolo.
“Allora ti capisco e sei perdonata. Tornando alla domanda
iniziale, come sono andate le tue vacanze di Pasqua?” domandò il
ragazzo, tornando sorridente.
“Studiose. E le tue?”
“Divertenti, sabato siamo usciti tutti insieme per andare alla
festa. Come mai tu non c’eri?”
“Non avevo idea che ci fosse una festa, semplice”
rispose con un’alzata di spalle.
La
professoressa della prima ora entrò in classe sbattendo la porta e facendo
calare il silenzio in aula. Ognuno tornò al proprio posto, Fabio compreso, e
Rea tornò ai suoi pensieri.
“Per lunedì
voglio che tutti voi lavoriate in squadra e mi portiate una relazione sulle
diverse composizioni rocciose della luna. Ogni gruppo di quattro persone, va
bene?” disse l’insegnante.
“Sì,
professoressa” risposero gli alunni. La campanella suonò e lei recuperò le sue
cose, uscendo dalla stanza.
Emma, Laura
e Fabio si unirono al banco delle due ragazze, quello, cioè, davanti a Rea.
“Noi studiamo insieme?” propose la mora.
“Non c’è nemmeno da
chiederlo” rispose la bionda, sgranchendosi le braccia.
“Sentite, posso farvi una proposta?” chiese il ragazzo.
Loro lo guardarono incuriosite.
“Certamente” lo spronarono.
“Lo chiediamo anche alla nuova, se studia con noi?”
disse. Le ragazze si guardarono e poi annuirono sorridenti.
“Perché no? Potrebbe essere una buona idea per fare
amicizia” rispose Emma.
Rea non si
era nemmeno posta il problema del dover studiare in quelle settimane che
passava a scuola né aveva ascoltato una sola parola di ciò che aveva detto
l’insegnante, così rimase spiazzata quando si vide comparire davanti gli unici
tre suoi compagni con cui era riuscita a spiccicare più di due parole di
seguito.
“Che c’è?” chiese a disagio.
“Niente di
importante, ci chiedevamo semplicemente se avevi voglia di fare gruppo con noi”
rispose Laura.
“G-gruppo?” balbettò.
“Sì, per la ricerca
di geologia” le spiegò. “Nota per me: ogni
tanto ascoltare i professori”
“Ah, sì… ce-certo” rispose poco convinta. Stavolta
non aveva avuto nessun bisogno di fare finta di essere imbarazzata perché lo
era per davvero.
“Bene, è meraviglioso!” esultò Emma, battendo le
mani. Non seppe che rispondere e rimase zitta.
Incredula di
aver davvero accettato il gruppo di studio sulle rocce, la ragazza tornò a casa
in trance. Rimase zitta per tutto il viaggio, cosa che suo padre notò.
“Sei arrabbiata perché sei dovuta andare a scuola a piedi
stamani?” le domandò.
“Mh? No, figurati” rispose.
“Allora che problema c’è? Hai già scoperto qualcosa
riguardo a quella scuola?”
“No, sono andata anche oggi in presidenza con una scusa ma
non riesco a penetrare negli archivi, ogni volta capita qualcosa che mi blocca”
“Quindi c’è qualcos’altro che ti preoccupa” dedusse
l’uomo. Lei lo guardò e rise.
“Elementare, Watson. Si nota così tanto?” chiese
imbarazzata.
“Abbastanza. Problemi con i tuoi compagni?”
“Non sono proprio problemi, semplicemente oggi mi sono
fatta convincere a mettere a disposizione la casa per fare una ricerca. Domani
pomeriggio verranno alcuni alunni della mia classe per studiare geologia”
spiegò poco felice.
“Non vedo dove sia il problema, mi sembra una cosa
meravigliosa no?” considerò suo padre. Lei storse il naso.
“No, affatto. Non voglio portare avanti relazioni
interpersonali dato che a breve ce ne andremo e, soprattutto, non pensavo che
qualcuno mi invitasse a far parte di un gruppo studio così presto”
ammise. Arrossì pensando che quella sarebbe stata la prima volta che faceva
qualcosa in gruppo e si sentì infantile nell’essere felice per questo.
“Ti prometto che andrà tutto bene. Ti fidi del tuo vecchio
papà?” le chiese ridendo.
“Non sei poi così vecchio. È il lato positivo dell’avermi
avuta prestissimo, no?” lo prese in giro. Ma, anche se non lo ammetteva,
si sentì sollevata nel sapere che l’uomo era accanto a lei.
Sarebbero
arrivati per le quattro e suo padre aveva detto che per quell’ora sarebbe stato
a casa. Si sentiva ansiosa e impaurita per quella nuova esperienza, così si era
messa a pulire casa. Lo faceva sempre quando era nervosa.
In tre ore
era riuscita a spolverare tutti i mobili, spazzare tutti i pavimenti e poi era
uscita in veranda. Aveva ancora il tempo di salire sul tetto e pulire le
grondaie. Inoltre, anche se non fosse scesa in tempo, suo padre entro poco
sarebbe tornato per accogliere gli ospiti.
Prese la
scala e salì sulla tettoia, dandosi lo slancio con le braccia per tirarsi su.
Nel far quel movimento dette un colpo allo scaleo, che si inclinò
pericolosamente all’indietro.
“No, no, no, fermo!” esclamò, girandosi per
recuperarlo. Troppo tardi. “E io sarei una quasi
poliziotta” si disperò. “Ho i riflessi di un
elefante” si disse.
Guardò la
terra sotto di sé: non era a più di cinque metri di altezza, poteva saltare.
Oppure…
“Sta qua, vero?” domandò Emma, facendo imboccare a
sua madre il vialetto di casa di Rea.
“Sì, ma consiglio di scendere qua, non so se c’è il posto per
fare retromarcia più avanti” rispose Fabio, togliendosi la cintura di
sicurezza.
“Va bene,
torno tra un paio d’ore a riprendervi. Divertitevi” li salutò la donna.
I tre si
incamminarono verso la casa, parlottando tra sé.
“Chissà che tipi sono
i suoi genitori” si chiese Laura.
“Secondo me sono tipi composti e seri come lei”
rispose la mora.
“Per me fanno gli studiosi” s’inserì il ragazzo.
Sentirono
delle voci che urlavano che provenivano da poco più avanti ed allungarono il
passo incuriositi.
“Non vengono dalla
sua abitazione, vero?” chiesero le ragazze.
Arrivati
davanti alla porta d’ingresso le voci si fecero più forti, però non si vedeva
nessuno.
“Forse sul retro?” propose Fabio. Fecero il giro
dell’edificio e rimasero immobili in mezzo al prato.
“Vieni giù da lì!”
“Cosa pensi che stia cercando di fare?”
Un uomo che
non aveva più di quarant’anni e Rea stavano discutendo animatamente. Lui la
fissava da terra con le mani sui fianchi, infuriato, mentre lei…
“Possibile che tu debba sempre fare cose stupide? Abbiamo
una palestra per allenarci, lo sai, non devi penzolarti dai rami!” la
sgridò lui.
“Oh, certamente! Io sono salita sul tetto per poi calarmi
su un albero perché mi annoiavo! Ero venuta per pulire le grondaie, testone!”
ribatté la ragazza.
Stava seduta
su un ramo a quattro metri da terra, con le mani strette al legno.
“Comunque torna giù” ripeté l’uomo.
“Se tu non mi avessi urlato contro sarei scesa da dieci
minuti” lo freddò lei.
Premendo i
palmi sul ramo si penzolò sotto di sé, dondolandosi avanti e indietro. Alla
fine fece un salto di un paio di metri, eseguendo una perfetta capriola in
aria. Atterrò di fronte a tre ragazzi stupiti e con la bocca aperta e subito
suo padre si mise una mano sulla faccia, pensando che fosse un caso perso.