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Autore: Cornfield    25/01/2013    5 recensioni
(Dall'ottavo capitolo):
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a guardarla in faccia, non meritavo di guardarla in faccia, non sapevo suonare, non sapevo allacciarmi le scarpe, sapevo solo di non sapere. Ero un completo disastro.
E mia madre aveva ragione.
Scesi di corsa dalle scale e uscii da casa, mentre mia madre piangeva lacrime amare, mentre il cielo piangeva e la mia faccia era completamente bagnata.
Dal sudore, dalla pioggia e da altrettante lacrime.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Premessa: questa fan fiction racconta della vita di Billie Joe sin dal principio, dal lontano 1987 e vedrò di arrivare fino ad oggi, ma non so se avrei tutta questa costanza. E’ tutto strutturato in prima persona, ho immaginato tutti i suoi pensieri turbinati nella sua mente nel corso degli anni, niente di più, non è una cosa originale. E’ la mia prima fan fiction, non siate crudeli c: “Leggere è un’arte in via d’estinzione” quindi prima di chiamare il WWF, prendetevi  una bella tazza di cioccolata calda e mettevi comodi. Spero che la storia vi piaccia, buona lettura! (So che i primi capitoli non sono il massimo, ma dopo credo siano molto più "leggibili". Quindi vi chiedo di perseverare nella lettura anche se magari avrete subito storto il naso :'D)
 
Berkeley, 1987
Non avevo mai visto piovere cosi tanto a Berkeley, la pioggia aveva battuto su ogni angolo delle strade desolate, dei  marciapiedi rovinati dalle intemperie e perfino nei più piccoli e oscuri vicoletti della città di cui non si ricorda nessuno, se non le anime che un giorno avevano popolato quei posti e che sperano ancora che il loro vero corpo vada a riprenderseli. Ma i ricordi sono rimasti ancora li e nessuno sembra accorgersene.  Finalmente smise di piovere quella sera. Ne approfittai per uscire e prendere una boccata d’aria. I miei passi risuonavano nella mia mente come suoni sordi e si perdevano piano piano nell’infinità dei miei pensieri.  Non c’era nessuno a quell’ora se non me e la nebbia caduta all’improvviso sulla città, una perfetta coltre bianca che mi permetteva di stare lontano da tutti. Ma c’era qualcosa che continuava a tartassarmi. Cos’ero io? Non lo sapevo. Non avevo ideali, odiavo la scuola, andavo dietro ad una ragazza, era quasi un ossessione e questa ossessione stava cominciando a trasformarsi in pazzia. Non avevo niente, solo un cuore incerottato chissà quante volte. In qualche modo volevo dimostrare la mia rabbia, il mio amore,  ma come potevo, io, che non sapevo neanche allacciarmi le scarpe?  Cazzo, me ne stavo a ubriacarmi e a fumare canne ogni giorno, smascherando questi fottuti dubbi, creandomi un Billie Joe Armstrong fattone che illudeva se stesso. Credevo davvero di non avere nessun talento particolare se non quello di fumare tutto d’un fiato. Lo credevo. E passai la mia serata immerso nella nebbia e nei miei pensieri.
 
Quando arrivai a casa erano circa le due, avevo passato tutto quel tempo tra i rimorsi e le preoccupazioni, ultimamente erano le mie uniche cose sempre vicine a me. Entrai a casa in silenzio, sapevo che se mia madre mi avrebbe visto a quell’ora rientrare, si sarebbe davvero infuriata. Credevo fosse già a letto, invece era su una sedia consumata, in cucina, ad aspettarmi. Avrebbe voluto dire sicuramente molto, ma la sua rabbia gli scoppiò dentro e quando mi vide alla soglia della porta non articolò nulla. Sapevo che mi aveva visto, sapevo che stava nutrendo un profondo rimprovero nei miei confronti, conoscevo fin troppo bene mia madre. E’ la donna più buona che abbia mai conosciuto, una madre si ama e basta. Eppure non conoscevo me stesso, conoscevo un’altra persona e non me stesso.  Rimase un silenzio tombale nella casa. Mia madre continuava a fissare un punto fisso di qualsiasi parte della cucina, quasi come se volesse cercare delle parole che non trovava. Io rimanevo pietrificato ancora davanti all’uscio, indeciso sul da farsi. Alla fine entrai e stavo per accingermi a salire le scale. “Billie Joe, devo parlarti.” Fece un voce flebile alle mie spalle. Non era il solito vocione autoritario di mia madre quando si arrabbia, non sembrava lei. Era preoccupata. Mi sedetti accanto a lei in cucina. I suoi occhi continuavano a fissare un punto qualsiasi, non mi guardava negli occhi. Non voleva. O non ne aveva il coraggio? Era quasi diventata una situazione paradossale, quasi come si fosse macchiata lei di qualche colpa. Finalmente si risvegliò da quella posa ipnotica, ma abbassò gli occhi. “Non avevo visto l’orario, sono stato fuori con Mike per tutto il tempo, scusa”. Lei scosse la testa. Avevo paura che il silenzio ripiombasse in quella casa che ormai viveva solo di ricordi, ora quasi non vedevo l’ora che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Finalmente sembrò aprire bocca. “Ascolta Billie, non so come dirtelo…” Fece una pausa e si bagnò le labbra. “Io non posso continuare cosi. Non posso badare a tutti voi,o almeno non posso farlo da sola…” Deglutii. “Si chiama Charlie, non è pieno di soldi ma di certo non è nelle nostre condizioni. E lo amo Billie, lo amo.” In quel momento tutto il mondo mi cadde addosso. Quella non era mia madre, era un'altra voce, non era lei. Aveva sempre e solo amato Andy, solo lui. Aveva giurato amore eterno a mio padre. Non riuscivo a crederci, non era vero, era tutto un fottuto incubo.  Le mani cominciarono a sudare.  “No mamma, ti stai sbagliando…” Riusci a dire con un filo di voce, quasi cercando di dissuaderla da quell’uomo, ma era tutto inutile, il suo cuore ora apparteneva a qualcun altro. “Billie so che sei ancora legato a papà,ma lui è…” “FOTTUTA STRONZA, come cazzo ti permetti a rimpiazzare cosi papà? Te ne esci cosi , all’improvviso? Papà è qui, non è morto papà è qui, papà è QUI!” Gridai tantissimo per far uscire fuori la mia rabbia, la mia tristezza, il mio dolore, il mio tutto.  Mentre facevo questo il mio viso cominciò a essere solcato dalle lacrime e quello di mia madre era uguale, ora anche noi, non solo Berkeley, era stata bagnata, nei più minuscoli vicoletti della nostra mente e dei nostri ricordi. Presi Blue quasi con forza, mi misi il cappuccio e me ne andai da quell’inferno e le lacrime si confondevano con la pioggia. Mi sedetti su un gradino di una piccola casa abbandonata.Perché voleva lui? Perché? Fu allora che mi accorsi della chitarra che avevo portato con me, senza uno scopo preciso. La presi e cominciai a suonare alcuni accordi base. E mi placai. Mi resi conto che avevo ancora una possibilità per sfogarmi: la musica. Mi voltai a destra. Non proiettavo nessun ombra. E non mi meravigliavo. Mio padre non era con me, io non avevo un ombra.
  
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