Cara era riuscita a salire
sull’aereo per prima, saltando la fila grazie al nome di Sonia. Rincuorata
dalla solitudine si era trascinata fino ai primi sedili, quelli di rimpetto
alla cabina del capitano. Da quella posizione non avrebbe visto nessun altro dei
passeggeri e quindi avrebbe evitato di chiedersi in continuazione quale degli
sconosciuti fosse l’assassino. Trovata la posizione più comoda possibile tirò
fuori dalla borsa un libro, determinata a tuffarsi in una realtà parallela per
le prossime diciotto ore. Diciotto ore a migliaia di metri di altezza con un
feroce criminale alle spalle. Maledisse Ty ancora una volta.
Diverse voci riempirono
l’abitacolo a poco a poco, uomini di mezz’età, una simpatica signora sulla
sessantina con un brutto cappello in testa, una coppia di colore. Nonostante
l’idea iniziale di estraniarsi totalmente Cara non poté fare a meno di voltarsi
e sbirciare più e più volte il portellone dell’aereo. Lo stomaco continuava a
contorcersi, incredibile quanti viaggiatori avessero optato per jeans e
maglietta. Tornò a fissare la parete grigia davanti ai suoi occhi, prese a
tamburellare sui braccioli.
“Tutto bene?”
Di scatto si voltò verso il
ragazzo che aveva appena deposto il bagaglio a mano dall’altro lato del
corridoio. Cara non poté fare a meno di esaminarlo mentre toglieva anche la
giacca. Jeans. Maglietta grigia. Un paio di converse consumate ai piedi. Scattò
sul sedile. Che fosse proprio lui?
“Sì…” Rispose incerta
“…Tutto bene.”
L’altro sorrise “Anch’io ero
terrorizzato all’idea di restare diciotto ore su un aereo la prima volta, ma se
riesci a dormire un po’ passeranno molto più in fretta.”
Dormire? E come avrebbe mai
potuto dormire sapendo di avere accanto uno spietato criminale?
Il ragazzo tirò su le
maniche della maglia prima di accomodarsi ed allacciare la cintura intorno alla
vita. Gli occhi di Cara si catapultarono sui suoi polsi. Nessun braccialetto.
Riuscì finalmente a respirare. Forse avrebbe dovuto accettare il consiglio di
Sonia.
Cinque ore, centosessantadue
pagine ed un pessimo pasto dopo, Cara iniziò a sentire le gambe che chiedevano
pietà. Provando ad allungare i polpacci capì ben presto di non avere abbastanza
spazio. Senza contare che anche la vescica iniziava a brontolare. Inspirò a
pieni polmoni, doveva alzarsi e raggiungere l’altro capo dell’aereo fino alla
toilette. Doveva andarci per forza, nonostante l’inevitabile consapevolezza che
in quei pochi passi sarebbe di certo passata accanto al criminale. Ok. Posso farlo. Devo solo alzarmi e tirare
dritto fino al bagno senza alzare gli occhi. Ce la posso fare.
Incoraggiata dalla sua
stessa voce interna slacciò la cintura e si mise in piedi, ignorando le
dolorose fitte alle ginocchia. Passò le mani tra i capelli, diede una rapida
rinfrescata all’abito ormai irrimediabilmente sgualcito, ed iniziò la sua
impresa, un passo alla volta, gli occhi tenuti incollati alla moquette.
A metà strada qualcosa
bloccò la sua marcia, lo scontro con un altro corpo. Costretta a sollevare la
testa si trovò di fronte il sorriso cordiale di un’hostess in divisa blu.
“Tutto bene signora?”
“Sì, devo solo…” Senza
specificare altro indicò la toilette con un cenno del viso. La ragazza in
tailleur sorrise di nuovo “Certo, prego.” Rispose educatamente spostandosi per
lasciarla passare. Un altro passo appena e stavolta fu un vuoto d’aria a
bloccarla, lo sbalzo dell’aereo le fece perdere l’equilibrio e finire
maldestramente contro un altro dei passeggeri, seduto e beatamente perso nello
schermo del proprio pc.
“Oddio, mi scusi!”
Si sentì immediatamente addosso
gli occhi di almeno metà delle persone presenti, l’imbarazzo vistosamente
dipinto nel rosso delle sue guance. Solita imbranata. Subito sulla difensiva,
decise di riprendere la marcia per il bagno a testa alta, dimenticando in un
nanosecondo l’accaduto.
Fu solo allora che i suoi
occhi incrociarono uno degli sguardi puntati su di lei. Un ragazzo, trent’anni
o poco più, rigido contro il sedile, un fastidioso sorrisino divertito in
faccia. Cara deglutì respingendo una nuova ondata di vergogna, avrebbe voluto
riportare il viso a terra, ma non le riuscì facilmente come avrebbe creduto.
Quello era senza dubbio l’uomo più bello che avesse visto in molto, molto
tempo. Capelli biondo cenere, non troppo corti, mossi e spettinati. Occhi
azzurri, di un azzurro freddo e limpido. Lineamenti angelici, ma
incredibilmente virili. Zigomi perfetti e delle labbra… Costrinse sé stessa a
guardare altrove per un momento e riprendere fiato. Labbra disegnate, carnose
al punto giusto, di un rosa così intenso da… Scosse la testa senza rendersene
conto, determinata a tornare alla realtà. Anche lui la stava ancora guardando,
fissando, studiando, accarezzando… L’attimo in cui riuscì finalmente a superare
il suo sedile sembrò infinito, dopodiché la corsa verso il bagno.
Si guardò immediatamente nel
minuscolo specchio. Solita sfortuna. Solita maledetta sfortuna. Il ragazzo più
bello che abbia mai visto è lì, sul suo stesso aereo, intrappolato con lei per
le prossime dodici ore, ma i suoi capelli sono un casino e la sua faccia porta
i segni di due voli extracontinentali in tre giorni. Senza contare che avrebbe
dovuto preoccuparsi di ben altre cose, vedi il fallimento della sua storia con
Ty o la presenza di uno spietato boss mafioso tra i passeggeri.
Scosse la testa e lasciò
scorrere l’acqua sulle mani insaponate, sperando che il liquido freddo lavasse
via quei nitidi ed inopportuni pensieri sullo sconosciuto.
///////
Joseph teneva la schiena
dritta contro il sedile, doveva evitare di assumere posizioni innaturali e
troppo stancanti per mantenersi pronto a scattare. Le mani poggiate sui
braccioli e l’aria più indifferente che mai. I poliziotti erano sparsi per
tutto l’aereo, poteva facilmente individuarli anche a distanza. Il resto della
marmaglia composto da persone del tutto insignificanti.
Strinse i denti e tese i
muscoli del collo tornando a contare il tempo. Ormai dovevano già essere sopra
l’oceano. Ormai doveva mancare poco. Trattenne a stento l’istinto di stirarsi,
le guardie erano ancora convinte che fosse sedato e lui doveva impegnarsi per
mantenere tale convinzione. Nessun poteva sapere che durante l’addestramento
gli avevano iniettato pressoché qualsiasi tipo di sedativo, droga o veleno,
sempre in piccole quantità affinché il suo organismo ne diventasse immune.
Qualsiasi movimento troppo ampio o veloce avrebbe rischiato di compromettere la
copertura.
Inspirò. Avrebbero almeno
potuto dargli un libro o un lettore mp3. Quel viaggio stava davvero diventando
noioso. Fintanto che il piano di Elia non fosse scattato, ogni minuto sarebbe
stato lungo il triplo.
L’ingorgo creatosi al centro
del corridoio richiamò la sua attenzione, non che qualcuna di quelle persone
avesse la minima importanza o attrattiva per lui, ma tanto valeva concentrarsi
su altro.
L’hostess in divisa blu gli
dava le spalle, anche da dietro era del tutto anonima, una bellezza nella media
non degna della sua attenzione. Fu solo quando l’hostess si tolse di mezzo che
qualcosa riuscì finalmente a catturare il suo interesse. Qualcuno, ad essere
precisi. Una ragazza, una giovane ragazza impacciata alle prese con un vuoto
d’aria. Vedendola crollare addosso al tizio con gli occhiali non riuscì a non
sorridere, l’accenno di un sorriso genuinamente divertito.
La sconosciuta si era tirata
su e le sue guance si erano accese di rosso, un rosso talmente innocente da
catalizzare la sua completa concentrazione. Accantonato il piano per un attimo
si concesse di osservare la totalità della sua figura, senza che alcun
particolare sfuggisse ai suoi occhi esperti. Lunghi capelli color platino,
lasciati liberi in morbidi boccoli. Pelle bianca e perfetta, così chiara che i
suoi occhi blu sembravano saltare fuori dal viso, grandi ed incerti. Nulla a
che vedere col colore freddo delle proprie iridi, quelle della sconosciuta
erano scure, intense, gli ricordavano il mare in tempesta dell’Irlanda del Nord.
Scorrendo più in giù ne accarezzò la figura minuta sotto il vestito blu scuro,
da come le cadeva sui fianchi era certo che il sottile strato di tessuto
nascondesse misteri altrettanto interessanti.
Oh, se solo non si fosse
trovato in quella situazione, se solo quello fosse stato un semplice viaggio
d’affari. Si passò la lingua sulle labbra mentre lei gli sfilava accanto
scomparendo alla sua vista. In altre circostanze si sarebbe già alzato e l’avrebbe
seguita nella toilette. In altre circostanze l’avrebbe spinta dentro senza
nemmeno dirgli il suo nome. In altre circostanze le avrebbe già strappato di
dosso quell’insignificante abito blu.
Si irrigidì contro il sedile
scoprendo con piacere che, nonostante la situazione, il suo corpo rispondeva
ancora benissimo agli stimoli. Peccato non poter sfogare quella voglia
improvvisa. L’immagine della ragazza gli riempì la mente. Spinta contro il
minuscolo lavandino, le gambe aperte, avvinghiate intorno ai suoi fianchi, le
guance tinte dello stesso rosso che le aveva visto addosso poco prima. Non più
di vergogna, ma di puro piacere. Il suo nome pronunciato più e più volte come
una preghiera. Nelle sue orecchie i miagolii della ragazzina.
Joseph poggiò la testa
all’indietro sghignazzando coi suoi stessi pensieri. Se ne avesse davvero avuto
modo l’avrebbe scopata come nessun altro prima, sicuro che non se ne sarebbe
dimenticata. Nessuna donna dimentica le mani del Lupo. Lui, d’altro canto,
l’avrebbe scordato subito dopo, lasciando che il ricordo del suo sapore e dei
suoi gemiti si mischiasse a quello di tutte le altre donne passate per il suo
letto.
Lo scatto della porta della
toilette lo riportò alla realtà, in attesa, con la coda dell’occhio, che la
sconosciuta ricomparisse. I suoi passi lenti e leggeri, quasi volesse ritardare
l’incontro il più possibile. Joseph sollevò l’angolo della bocca in una smorfia
compiaciuta, certo del suo effetto sulle donne, la sua arma preferita dopo i
coltelli affilati.
L’intenso profumo dolciastro
di fiori e vaniglia raggiunse le sue cellule olfattive, riaccendendo in un
istante la fantasia erotica. Doveva essere quello l’odore della sua pelle. Come
aveva potuto non notarlo prima? Ed eccola comparire al suo fianco, impossibile
resistere alla tentazione di seguirla con gli occhi e sorriderle. La sconosciuta esitò appena in prossimità del
suo sedile, quasi spaventata all’idea di incontralo ancora. Joseph voltò la
testa verso di lei, deciso a memorizzare ogni dettaglio prima di lasciarla
sfilare via. Lei rispose allo sguardo, un velo d’imbarazzo in viso mentre si
sforzava di restare impassibile. I suoi grandi occhi color lapislazzulo
brillarono contro quelli di lui, iridescenti come opali. Mai visti occhi così
prima. Di colpo l’idea che dovesse morire gli chiuse lo stomaco. Che gran
peccato.
Quasi gli avesse letto nel
pensiero la ragazza abbassò lo sguardo, seguendo la linea dei suoi muscoli
sotto la t-shirt, schiudendo appena le labbra rosse, accarezzandogli il braccio
sinistro con gli occhi, fino alla mano, fino alla punta delle dita. L’incontro
di pochi passi divenuto una scena a rallentatore per entrambi.
Di colpo la magia si
interruppe, Joseph la vide spalancare gli occhi ed irrigidirsi, l’imbarazzo
divenuto paura in un secondo. Spiazzato da un simile repentino cambio d’umore,
individuò immediatamente il punto preciso che lei stava fissando, la causa di
quell’ improvviso, incomprensibile spavento. Le pupille del Lupo finirono a
guardare il suo stesso polso, stretto dentro quell’orrendo braccialetto di
metallo. Il braccialetto.
Sollevando la testa con un
colpo secco si accorse che la ragazza era già in fondo all’aereo, come se dal
suo sedile in poi avesse corso verso la sicurezza. Joseph socchiuse le palpebre
serrando le labbra. Lei sapeva. La sconosciuta sapeva del braccialetto e di
cosa volesse dire. La ragazza dell’aereo conosceva la sua identità. Fissò il
sedile davanti quasi potesse attraversarlo ed arrivare fino a lei. Non era una
poliziotta, di questo era sicuro, tantomeno un’agente di sicurezza o una
diplomatica americana immischiata nel suo caso. Era una ragazza qualunque in
volo da Johannesburg. Come poteva conoscere la regola del braccialetto? E come
mai lui invece non aveva idea di chi fosse? Si morse piano il labbro inferiore.
Elia avrebbe fatto meglio a muoversi col suo piano di fuga, altre tre ore con
quel dubbio e avrebbe finito per avere un terribile mal di testa.
///////
Cara era crollata sul sedile
allacciando la cintura immediatamente dopo, quella breve corsa a passi veloci
sembrava averla sfinita. Inspirò piano, ripassando a mente ciò che aveva appena
vissuto. Lo sconosciuto sexy, i suoi occhi addosso, la sensazione di calore
improvvisa, l’impressione di essere nuda davanti a lui. Il suo mezzo sorriso da
ragazzo cattivo, i muscoli scolpiti sotto la maglietta bianca, l’avambraccio
teso, un braccialetto anonimo al polso, le dita lunghe lasciate riposare sui
jeans… Cosa avrebbero mai potuto farle quelle dita? Aspetta… Il suo cervello si era riacceso in
un flash… Jeans.. Braccialetto… Maglietta bianca… Ragazzo cattivo… Braccialetto…
Braccialetto d’acciaio… Assassino. Lui. Lui è l’assassino. Il suo cuore aveva preso a battere come una
mitragliatrice ed i piedi l’avevano portata a posto in un secondo. L’atmosfera
dell’aereo era mutata immediatamente dopo, l’aria divenuta difficile da
respirare. Cara strinse gli occhi chiusi cercando di cancellare completamente
la fantasia di essere toccata da quelle mani, rimpiazzandola con l’idea che
fosse un mostro. Fantastico. Era riuscita ad attirare l’attenzione del mostro.
Probabilmente, mentre lei sognava di rotolare tra lenzuola di seta, lui stava
immaginando di squartarla e dipingere un quadro con le sue budella. Le venne da
vomitare. Tirò fuori l’Ipod e decise di farsi aiutare dalla musica, per quanto
possibile.
Ad occhi chiusi lasciò che
la voce di Ed Sheeran compisse il miracolo, permettendo al tempo di scorrere
più in fretta, interrompendo il conto mentale di quanti fossero i modi per
morire torturata da un assassino psicopatico. Il suo petto andava su e giù come
stesse dormendo, l’idea che probabilmente si era fatta l’hostess al suo fianco,
intenta a studiarne l’espressione per capire se fosse il caso di disturbarla o
meno. Cara spalancò le palpebre sentendosi di colpo osservata, la ragazza
dell’American Airlines si ritirò quasi spaventata
“Mi, mi scusi signorina.
Gradisce qualcosa?”
Cara roteò in bocca la
lingua asciutta “Sì…Un caffè macchiato per cortesia.”
L’altra sorrise ed afferrò
immediatamente il bicchiere di cartone, riempiendolo quasi fino all’orlo con la
bevanda fumante. Glielo porse senza togliersi dal viso l’irritante espressione
di cortesia. Cara fece per afferrarlo, ma la sua mano non strinse abbastanza
forte la presa, il bicchiere cadde dritto sulle sue ginocchia, il caffè
bollente rovesciato in un’onda su tutto il suo vestito. La prima sensazione fu
la pelle che le andava a fuoco, l’estrema necessità di raffreddarsi il prima
possibile. Davanti allo sguardo mortificato dell’hostess balzò in piedi cercando
di staccare la stoffa bollente dalla pelle sottostante. Il fastidio sparì
abbastanza veloce da lasciare il passo alla consapevolezza di avere addosso un
vestito completamente impiastricciato di panna e caffè. Cara sbuffò ruotando
gli occhi al cielo. Possibile che non ne andasse una dritta? Scosse la testa.
Ora avrebbe dovuto di nuovo attraversare l’aereo per raggiungere il bagno e
darsi una ripulita, l’odore della miscela già divenuto fastidioso. Con un
sospiro vistoso ignorò le scuse superflue dell’hostess e si allungò per
recuperare il proprio bagaglio a mano, salviettine una e getta e fazzoletti di
carta. Guardò la porticina lontana della toilette e decise che stavolta
davvero, davvero non avrebbe distolto lo sguardo dalla meta per nessuna ragione
al mondo.
///////
Eccola di nuovo. Joseph la
vide balzare in piedi, la piccola doveva davvero essere imbranata; la sua
innocente incapacità, un interruttore per le fantasie più perverse. Sorrise
appena guardandola avvicinarsi con sguardo determinato, il suo abito un
disastro marrone, la stoffa sintetica appiccicata alla curva del suo seno. La
cosa si stava facendo sorprendente, quella ragazza attirava le sue cellule come
un magnete, come forse nessuna donna incontrata prima. Di nuovo le sue
interiora sembrarono intrecciarsi, che grande spreco lasciarla andare giù con
l’aereo.
Se solo lo show potesse
cominciare in fretta. Lanciò un’occhiata al finestrino, si era fatta notte e
ormai dovevano aver passato il confine delle acque internazionali. Strinse la
presa intorno ai braccioli cercando di riguadagnare tutta la concentrazione
necessaria. Inspirò a pieni polmoni. Due volte. Tre volte. Eccolo. Il segnale
che tutto stava cominciando.
L’odore dolciastro
dell’etere etilico diluito con qualche altro gas raggiunse le sue narici
esperte prima di tutte le altre, prese a respirare più lentamente,
intervallando venti secondi prima di inalare di nuovo. Controllò in maniera
impercettibile che tutti i suoi muscoli rispondessero ai comandi e se ne stette
ad aspettare. Elia non aveva smentito la sua naturale inclinazione verso veleni
e tossine.
Non appena il tizio alla sua
sinistra prese a sonnecchiare, del tutto ignaro dell’azione della miscela sui
suoi polmoni, Joseph staccò la schiena dal sedile. Gli occhi attenti dell’agente
accanto a lui gli piombarono addosso.
“Devo pisciare.”
Specificò senza troppe
cerimonie, l’altro rispose con un cenno della testa. Joseph non tentò nemmeno
di tradurlo, tutta la polizia a bordo si era fatta forte dietro la presunta
impossibilità di fuga a dodicimila metri di altezza. Poveri illusi. Si tirò su
lentamente e stirò la schiena smettendo di respirare, poi si voltò verso la
toilette. No. Cazzo. La sconosciuta nel
bagno. Imprecò a denti stretti, non poteva perdere tempo, anche se il suo corpo
era allenato, non avrebbe potuto resistere al gas narcotico tanto più a lungo
degli altri. Raggiunse la porta in pochi passi e bussò cortesemente.
“Occupato!”
Joseph imprecò di nuovo.
Bussò una seconda volta.
“Un attimo!”
Bussò una terza volta,
stavolta più deciso.
Cara aggrottò la fronte.
L’altro passeggero doveva davvero stare per farsela addosso. Oppure era un gran
maleducato. Il suo abito faceva comunque schifo, ma almeno era riuscita ad
asciugare il salvabile. Di nuovo un colpo secco alla porta.
“Ma che diavolo…”
Non appena girò la serratura
la porta le si aprì addosso e qualcuno piombò nella stanzetta chiudendosi a
chiave dietro le spalle. Cara si ritrovò schiacciata contro la parete, senza
capire cosa stesse succedendo. Sollevò gli occhi cercando di ricavarsi uno
spazio vitale. Oh no. No no no no no. Lui. Il mostro. L’assassino crudele. Lo
stupratore. Il pazzo maniaco.
Guardandola in viso,
sconvolta e pronta a liberare un urlo in grado di svegliare anche i morti,
Joseph le premette una mano sulla bocca. Cara prese a scalciare nello spazio
ristretto, cercando di colpire un qualunque punto doloroso. Lui sospirò per
nulla messo in difficoltà dai suoi movimenti scoordinati. Stretta alle spalle
con l’altro braccio la spinse contro il lavandino, sbattendole la testa contro
il piccolo specchio. I suoi grandi occhi blu sgranati come se sapesse di stare
per morire. Smise di dimenarsi come un’anguilla e Joseph poté allentare la
presa. Il suo seno andava su e giù ad un ritmo incredibile, consumando più aria
del consentito. Doveva riuscire a calmarla.
“Tranquilla. Non ti farò del
male.”
Cara rimase immobile,
nessuna emozione diversa dalla paura le attraversò il viso.
“Ti prego, non urlare.”
Aggiunse. Cara restò un
pezzo di ghiaccio sotto le sue mani. La presa attorno alla bocca lentamente
meno stretta, le sue labbra di nuovo in grado di muoversi e prendere aria. Gli
occhi di lui la tenevano inchiodata al muro, lo sguardo vitreo, ma anche
impercettibilmente nervoso. Cara studiò le sue carte in silenzio, mentre le dita
dell’assassino si allontanavo dal suo viso. Prese fiato e fece appello a tutta
la forza della sue corde vocali
“Aiut…”
Il suo cranio si schiantò
contro la parete, stavolta in maniera ben poco delicata, la mano di Joseph
pressata contro la bocca e l’avambraccio opposto premuto sulla trachea.
Respirare le sembrò di colpo impossibile. Scelta sbagliata quella di urlare.
“Ti ho detto di non
urlare.” Ogni parvenza di cortesia
sparita dal tono gelido della sua voce. Gli occhi di Cara spalancati ed
arrossati dall’ipossia. La paura di morire. Una visione fin troppo conosciuta
per lui, tanto scontata che riusciva benissimo ad ignorarla. Più difficile
ignorare il suo corpo premuto contro quello della sconosciuta, l’abito
sollevato all’altezza delle cosce, le mani di lei premute in difesa contro il
suo torace. Un vero peccato essersi incontrati così.
Scosse la testa e le lasciò
il respiro libero. Pian piano allontanò di nuovo la mano senza distogliere
l’attenzione, neanche per un decimo di secondo. Le labbra della ragazza restarono
serrate.
“Brava.”
Joseph riuscì finalmente a
guardarsi intorno alla ricerca del punto prestabilito.
“Che succede lì dentro??”
Due colpi alla porta e la
voce dell’agente. Joseph imprecò ancora, stavolta a voce alta. Il suo primo
pensiero rivolto alla sconosciuta, se avesse provato ad urlare, bellissima o
meno, le avrebbe spezzato il collo. Cara rispose al suo sguardo senza muovere
un muscolo, le dita strette contro il lavandino, le nocche diventate bianche
per la forza impiegata. Sotto sotto doveva essere vero diavolo.
“Tutto bene.”
“Apri la porta! Adesso!”
Lui sbuffò. Perché non era
ancora svenuto come gli altri?
“Apri Michaelson! So che
stai combinando qualcosa!”
Joseph rimase immobile, fin
troppo tranquillo, prendendo a contare a bassa voce. Arrivato più o meno ad
otto un tonfo sordo si udì al di là della porta. Lui riprese immediatamente a
muoversi, spostando di peso Cara verso la porta.
“Ora puoi urlare quanto
vuoi.”
Finalmente lei si decise a
parlare
“Che vuoi fare?”
Lui tirò un pugno al
soffitto facendo facilmente saltare il rivestimento, allungò un braccio nel
buco cercando di tirarsi su sui piedi il più possibile. Ne tirò fuori una
specie di zaino marrone. La spinse ancora contro il muro per farsi spazio nella
minuscola toilette. Cara si trovò di fronte la porta, la sua mano scivolò
immediatamente sulla maniglia.
“Fossi in te non lo farei…”
La avvertì lui senza
distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo
“…A meno che tu non voglia
morire.”
Cara si irrigidì cercando il
viso dell’assassino, poteva permettersi di disobbedirgli di nuovo?
“Che cosa vuoi fare?”
Ripeté incerta. Joseph
indossò quella specie di zaino e lei riuscì finalmente a capire cosa fosse. Un
paracadute.
“Farò precipitare l’aereo.”
Rispose. La sua espressione
quasi divertita, come fosse un bambino che sta per rubare un pacchetto di
caramelle.
“Cosa?”
Joseph controllò che le
cinghie fossero abbastanza strette e finalmente rivolse lo sguardo a Cara. I
suoi occhi blu sgranati dal terrore, sul suo viso il chiaro desiderio di
chiedere pietà, la terrificante idea di schiantarsi ed esplodere, la
determinazione di non supplicare. No. Dopo anni passati ad uccidere ormai
poteva leggere qualsiasi espressione negli occhi delle sue vittime. Quella
ragazza no, non avrebbe supplicato.
Cara rimase immobile a
fissare l’uomo di fronte a lei, consapevole di colpo che sarebbe morta col
ricordo di quel viso negli occhi. Nessun addio. Nessun abbraccio. Le lacrime
provarono ad affacciarsi, ma le scacciò via di corsa. Inspirò restando in
silenzio. Ripensò a Ty e alla ragazza mora, ma non provò niente. Pensò a Sonia
che avrebbe atteso invano all’aeroporto. Quanto si sarebbe sentita in colpa?
Contemplò l’idea di chiedere pietà, di inginocchiarsi e supplicare per la
propria vita. Sarebbe mai riuscita ad impietosirlo? E perché poi? Non si
sarebbe lasciata dietro nulla più che un lavoro da cameriera ed un bilocale
disordinato. Non ne valeva la pena.
Joseph si mosse lentamente
coprendo il piccolo spazio tra loro, di nuovo premette il suo corpo contro
quello della ragazza, stavolta senza violenza. Sollevò una mano e lasciò
scivolare la punta di un dito contro il suo viso. Quella pelle color latte
morbida sotto il suo tocco ruvido. I suoi capelli soffici come seta. Le lunghe
ciglia spalancate, decise a non cedergli. L’urgenza di baciare quelle labbra
rosse lo colpì come un pugno inaspettato. Qualcosa in lei lo teneva incollato,
qualcosa che non aveva mai incontrato prima. Mai provato. Il rimpianto. La
consapevolezza che avrebbe vissuto da quel momento in poi senza poter conoscere
il tocco ed il sapore di quelle labbra.
“Non hai paura di morire?”
“Non ho molte ragioni per
vivere.”
Cara sospirò a pochi
centimetri da lui, immobilizzata dalla paura e dalla scia di calore che il dito
di lui aveva lasciato dopo il breve percorso. L’ultimo gesto di compassione del
suo assassino.
Joseph si staccò di colpo.
Era un pazzo per pensare davvero di riuscire a farlo. Comunque ci avrebbe
provato.
“Ascoltami bene…”
Di nuovo richiamò
l’attenzione della ragazza prendendole il viso tra le mani e costringendola a
guardarlo.
“…E fa esattamente come ti
dico.”
Senza specificare oltre
allentò le cinghie del paracadute e voltò Cara così che la sua schiena fosse
premuta contro il proprio torace. La strinse forte a sé, premendo sul diaframma
quasi fino a toglierle il respiro, allungò le cinghie e le fece girare intorno
alla sua vita sottile. Dopodiché le afferrò le braccia una alla volta, senza
troppa delicatezza fece in modo che passassero sotto le bretelle del
paracadute. Sì, era davvero un folle.
“Che…che vuoi fare con me?”
Cara si ritrovò a respirare
affannosamente, la cinghia del paracadute le stringeva la vita e la posizione
innaturale le limitava i movimenti. Tutto il suo corpo era spalmato contro
quell’uomo, riusciva a sentire la solidità dei suoi muscoli addosso, il suo
respiro lento che le si perdeva tra i capelli. Un nuovo terrore la percorse
come un brivido lungo la schiena. Vuole che mi butti con lui?? Improvvisamente
l’idea di schiantarsi col resto dell’aereo non le sembrò più tanto male.
“Sta’ zitta.”
Ordinò lui prima di
muoversi, forte abbastanza da strascinarla con sé senza alcuno sforzo. I piedi
di Cara sembravano non toccare più terra.
Joseph afferrò la maniglia.
“Appena aprirò questa porta
smetti di respirare.”
Cara deglutì fissando la
porta della toilette. Come avrebbe potuto smettere di respirare? Per quanto
tempo poi?
“Io..Non po…”
Prima che riuscisse a
completare una frase di senso compiuto la maniglia scattò e lei prese a
muoversi senza intenzione, totalmente sollevata e spinta da lui. Nonostante il
cervello in completa confusione, serrò le labbra e respinse l’intenso desiderio
di riempirsi i polmoni fino all’orlo. Intorno a lei sembravano dormire tutti,
l’hostess inopportuna sdraiata e scomposta al centro del corridoio. Joseph la
saltò in un solo passo e spalancò la porta della cabina di pilotaggio. I due
piloti in divisa bianca avevano gli occhi chiusi e la testa ciondolante come
tutti gli altri. Cara sentì in gola la bruciante necessità di prendere aria,
senza nemmeno rendersene conto strinse la maglietta di Joseph nei pugni. Lui
sembrò ricordarsi solo in quel momento della sua presenza, si sporse avanti e
spinse un tasto. Un solo unico tasto.
Di colpo, come se fossero
piombati in un gigantesco vuoto d’aria, la pressione nell’aereo aumentò. Cara
si portò le mani alle orecchie cercando di uccidere quel dolore improvviso, il
suo stomaco si torse ed il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio su tutto
il resto. Spalancando bocca e polmoni, si riempì le vie aeree di un intenso
odore dolciastro, in bocca il sapore fastidioso di alcool ed acetone. Stavano
precipitando. Stavano precipitando mentre Joseph armeggiava col portellone.
Cara chiuse gli occhi, non voleva più sapere come sarebbe finita.
Fortunatamente tutto intorno a lei sembrò svanire di colpo, compreso il suo
stato di coscienza.