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Autore: Alvin Miller    02/02/2013    2 recensioni
Un uomo e sue moglie, Marta, vengono assaliti nel sonno nella loro villetta di campagna da una spietata gang criminale.
Lui viene picchiato selvaggiamente, lei viene ferita al collo dal coltello di uno dei malviventi, ma è solo quando il sangue della donna toccherà i capelli del marito e risveglierà una letale mutazione rimasta sopita per troppi anni, che il vero terrore comincerà a serpeggiare.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi buttai a capofitto, mi dissi di attendere un po’ prima, ma poi decisi di seguire il mio istinto e anticipare i tempi.
Riuscii a girare la manovella e ad accendere la fiamma, quando d’improvviso una terribile emicrania mi trapassò il cervello da parte a parte.
Non riuscì a muovermi, sembrava che i miei capelli stessero penetrando addirittura nella mia corteccia cerebrale.
Cominciai a camminare molto lentamente verso la porta della cucina, ma non ero io a volerlo, era come se loro avessero preso il controllo di me, ero cosciente ma incapace di controllare il mio corpo, non riuscivo neppure ad aprire bocca per proferir parola.
Mi costrinsero a risalire le scale, io lottava con tutta la mia volontà per resistere, ma a ogni mio tentativo di resistenza la loro morsa si faceva sempre più dolorosa nella mia testa.
Li sentivo muoversi nel mio cranio come tanti piccoli vermi che mi divoravano il cervello. Era come se in me ci fosse una seconda personalità che stava prendendo il sopravvento, un mostruoso essere umanoide formato dal groviglio dei miei capelli.
Potevo sentire i suoi pensieri, proprio come i miei capelli potevano sentire i miei. Volevano Marta e il ragazzino.
Mi costrinsero a percorrere il corridoio e a superare con non curanza i due cadaveri dei malviventi che avevano divorato.
Mi costrinsero a tornare nella stanza da letto e ad avvicinarmi alla porta del bagno dove erano nascosti mia moglie e Yellow.
Mi costrinsero a dire loro “Potete uscire, non c’è più pericolo.”
La mia voce era calma e apatica, e in cuor mio speravo che la cosa insospettisse i due e li convincesse a restare al sicuro, ma non fu così.
Sentì la chiave girare nella serratura e la porta aprirsi, li vidi uscire e guardarmi. Probabilmente avevano notato il fascio di capelli muoversi tutto intorno a me e capire all’ultimo momento di essere ancora in pericolo, ma due tentacoli di capelli li afferrarono per il collo e li trascinarono nella stanza, mentre io, incapace di controllare il mio corpo assistevo impotente alla scena.
I capelli si avvolgevano intorno a loro, erano pronti a farli a pezzi, così come avevano fatto a pezzi Red e Blue.
Cercai di bloccarli, di prendere il controllo del legame psichico che si era formato tra me ed essi e usarlo a mio favore. I miei capelli penetravano ancora più dentro nel mio cervello, il dolore era insopportabile, avevano iniziato a sanguinarmi gli occhi, le orecchie e il naso, lo capì perché sentivo il sangue gocciolarmi fuori e bagnarmi la camicia da notte.
Non sapevo dire se quello sforzo immane che stavo facendo serviva veramente a qualcosa o se era solo un sanguinolento spettacolo fine a se stesso, ma i capelli sembravano aver rallentato la loro avanzata sui corpi di mia moglie e del ragazzo, e ora li potevo anche sentir gridare e chiedere aiuto, segno che la stretta sul loro collo si era indebolita.
Nella mia mente vidi ancora quella figura umanoide formata di capelli, mi gridava: “Loro sono miei, li voglio, li voglio, li voglio!!”
Pensai a mia moglie, all’amore che provavo per lei, a tutti gli anni trascorsi insieme, ai continui litigi per la villa che io non volevo, alla nostra luna di miele.
Mi resi conto solo allora che dovevo fare una scelta, se volevo salvare Marta, dovevo compiere un sacrificio. Se avessi potuto, mi sarei ucciso io stesso gettandomi dalla finestra , ma i miei capelli non me l’avrebbero mai permesso.
Il ragazzino che avevo conosciuto solo con l’appellativo di “Yellow” stava piangendo, era disperato, non era colpa sua se si trovava in quella situazione, ma era uno sconosciuto, una persona che comunque fossero andate le cose, era destinata a uscire dalla mia vita.
Mi sforzai di rallentare l’avanzata dei capelli carnivori sul corpo di mia moglie, ma fui costretto a lasciarli liberi di avvolgere il corpo del ragazzino.
I capelli lo avvolsero fino a farlo sparire sotto la loro massa, lui gridava, si dibatteva, cercava di divincolarsi inutilmente, poi una grossa chiazza rossiccia di sangue cominciò a espandersi sul parquet. Lo stavano divorando, li vedevo crescere ancora di più mentre lo consumavano.
I capelli che avvolgevano il corpo di Marta strisciarono via da lei e si spostavano sull’altro corpo, e lo stesso fecero anche i grovigli che si erano distribuiti per tutta la casa. Ogni singolo filamento aveva percepito l’odore del sangue, e ora tutti ne volevano un po’.
Il banchetto aveva completamente spezzato il legame psichico che mi controllava, ora ero libero di parlare.
“Scappa! Vattene subito da qui!” Urlai a Marta.
Lei si alzò e cominciò a correre verso il corridoio, ma si fermò a metà strada.
“E tu?”
“Non pensare a me, vattene via!”
Lei mi obbedì.
Il banchetto terminò pochi secondi dopo. I capelli erano di nuovo pronti ad avvolgere la villetta, e sta volta avrebbero invaso anche il giardino divorando ogni forma di vita che gli sarebbe capitata a tiro, niente li avrebbe più fermati.
Corsi fuori dalla stanza.
Dovevo tornare alla cucina, la fiamma del fornello era ancora accesa, era l’unica speranza che avevo di distruggerli.
Mi venne un’idea, ma perché funzionasse, dovevo trarli in inganno, fregarli come loro avevano fregato me più e più volte.
Sentì ancora quella terrificante fitta alla testa, stavano cercando di ristabilire il contatto psichico con me. Grandioso, era quello che volevo!
Non mi feci trovare impreparato e nel momento in cui loro tentarono di prendere il controllo dei miei muscoli, io li anticipai, e sta volta fui io a controllare loro.
Li costrinsi a raggomitolarsi in un enorme agglomerato tubiforme dalla lunghezza di qualcosa come venti o ventuno metri - una specie di enorme treccia - e li costrinsi a uscire fuori dalla stanza da letto.
Vedevo nella mia testa l’essere umanoide agitarsi nel tentativo di spezzare il legame.
“Niente da fare, ora voi verrete con me!” Gridai.
Li trascinai giù per le scale. Alcuni dei tentacoli più piccoli tentavano di aggrapparsi al corrimano per opporsi, ma la massa più grande obbediva ai miei comandi.
Raggiunsi il pianterreno, guardai in giardino e vidi mia moglie che stava parlando con qualcuno al cellulare, forse la polizia. Sì girò verso di me e mi guardò.
“Oh mio dio!” Esclamo, vedendo la colossale treccia scendere metro dopo metro i gradini.
“Vieni a darmi una mano, presto!” le ordinai.
Lei rientrò in casa.
“Ho chiamato la polizia, stanno arrivando... ma... ma tu sanguini!”
Non me n’ero nemmeno reso conto, il naso e le orecchie Avevano ricominciato a sanguinarmi a causa del legame psichico.
“Già... ma penso che avresti fatto meglio a chiamare i vigili del fuoco, perché ora brucerò questi figli di puttana!”
Marta restava a distanza di sicurezza mentre io costringevo l’enorme treccia vivente a entrare nella cucina.
I miei capelli continuavano a cercare di opporsi a me, ma ormai li avevo in pugno.
Entrai in cucina e mi avvicinai al fornello, la fiammella era ancora accesa, ma da sola non era sufficiente per ardere venti metri di capelli, così accessi anche le altre sei, cercando, nel frattempo di non perdere il controllo su di essi.
Quando si erano tutti radunati nella stanza da letto per consumare il ragazzo, avevano lasciato cadere a terra tutte le posate che mi avevano sequestrato poco prima dai cassetti della cucina. Raccolsi da terra un grosso coltello e uscì dalla stanza raggiungendo mia moglie vicino alla porta d’entrata.
Continuavo a vedere nella mia mente l’umanoide di capelli lottare per ribellarsi. Se avessi ceduto, mi avrebbe letteralmente fatto esplodere il cervello all’interno della scatola cranica e ottenuto il controllo totale del mio corpo, ormai non potevo più tornare indietro.
Un ultimo sforzo, il più arduo di tutti, per convincere l’estremità dell’enorme treccia a sollevarsi da terra e distendersi sulle sei fiamme dei fornelli e finalmente i bastardi avevano preso fuoco.
“Tagliameli via, presto!” Ordinai a Marta porgendole il coltello.
Lei me lo prese di mano e cominciò l’operazione, tagliandomeli via il più vicino possibile alla cute e togliendomeli a ciocche.
In cucina il fuoco aveva invaso tutta la stanza e in pochi secondi iniziò a divorare anche i metri di capelli che erano rimasti fuori con noi, nell’atrio.
Marta tagliava rapidamente, senza preoccuparsi di farmi male.
“Sta attenta al tuo sangue, o rischiamo di ricominciare da capo!” La avvertì.
Lei mi tagliò via le ultime ciocche rimaste e insieme ci allontanammo dall’enorme treccia, che senza più il mio controllo, si disfò in un immenso e informe groviglio, mentre il fuoco lo divorava completamente.
In testa mi erano rimasti altri rimasugli di capelli che Marta non era riuscita a tagliare, ma come vigeva la regola, divennero inoffensivi.
Uscimmo fuori di casa di corsa, finalmente liberi, mentre il fuoco si propagava rapidamente per tutta la casa.
Dal giardino guardavamo la villa – che io non avevo mai potuto soffrire – di suo Zio bruciare sotto i nostri occhi.
“E’ tutto finito...?” Mi domandò con voce stanca.
No, non era finito niente, era solo un timeout, i miei capelli erano ancora una minaccia e sarebbero tornati alla carica appena una nuova goccia di sangue li avrebbe toccati.
“Già, tutto finito.” Le mentii, e restammo in silenzio aspettando l’arrivo della polizia.

   
 
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