Mi
buttai a capofitto, mi dissi di attendere un po’ prima, ma
poi decisi di seguire il mio istinto e anticipare i tempi.
Riuscii a girare la manovella e ad accendere la fiamma, quando
d’improvviso una terribile emicrania mi trapassò
il cervello da parte a parte.
Non riuscì a muovermi, sembrava che i miei capelli stessero
penetrando addirittura nella mia corteccia cerebrale.
Cominciai a camminare molto lentamente verso la porta della cucina, ma
non ero io a volerlo, era come se loro avessero preso il controllo di
me, ero cosciente ma incapace di controllare il mio corpo, non riuscivo
neppure ad aprire bocca per proferir parola.
Mi costrinsero a risalire le scale, io lottava con tutta la mia
volontà per resistere, ma a ogni mio tentativo di resistenza
la loro morsa si faceva sempre più dolorosa nella mia testa.
Li sentivo muoversi nel mio cranio come tanti piccoli vermi che mi
divoravano il cervello. Era come se in me ci fosse una seconda
personalità che stava prendendo il sopravvento, un mostruoso essere
umanoide formato dal groviglio dei miei capelli.
Potevo sentire i suoi pensieri, proprio come i miei capelli potevano
sentire i miei. Volevano Marta e il ragazzino.
Mi costrinsero a percorrere il corridoio e a superare con non curanza i
due cadaveri dei malviventi che avevano divorato.
Mi costrinsero a tornare nella stanza da letto e ad avvicinarmi alla
porta del bagno dove erano nascosti mia moglie e Yellow.
Mi costrinsero a dire loro “Potete uscire, non
c’è più pericolo.”
La mia voce era calma e apatica, e in cuor mio speravo che la cosa
insospettisse i due e li convincesse a restare al sicuro, ma non fu
così.
Sentì la chiave girare nella serratura e la porta aprirsi,
li vidi uscire e guardarmi. Probabilmente avevano notato il fascio di
capelli muoversi tutto intorno a me e capire all’ultimo
momento di essere ancora in pericolo, ma due tentacoli di capelli li
afferrarono per il collo e li trascinarono nella stanza, mentre io,
incapace di controllare il mio corpo assistevo impotente alla scena.
I capelli si avvolgevano intorno a loro, erano pronti a farli a pezzi,
così come avevano fatto a pezzi Red e Blue.
Cercai di bloccarli, di prendere il controllo del legame psichico che
si era formato tra me ed essi e usarlo a mio favore. I miei capelli
penetravano ancora più dentro nel mio cervello, il dolore era
insopportabile, avevano iniziato a sanguinarmi gli occhi, le orecchie e
il naso, lo capì perché sentivo il sangue
gocciolarmi fuori e bagnarmi la camicia da notte.
Non sapevo dire se quello sforzo immane che stavo facendo serviva
veramente a qualcosa o se era solo un sanguinolento spettacolo fine a se stesso, ma i capelli sembravano aver rallentato la loro
avanzata sui corpi di mia moglie e del ragazzo, e ora li potevo anche
sentir gridare e chiedere aiuto, segno che la stretta sul loro collo si
era indebolita.
Nella mia mente vidi ancora quella figura umanoide formata di capelli,
mi gridava: “Loro sono miei, li voglio, li voglio, li
voglio!!”
Pensai a mia moglie, all’amore che provavo per lei, a tutti
gli anni trascorsi insieme, ai continui litigi per la villa che io non
volevo, alla nostra luna di miele.
Mi resi conto solo allora che dovevo fare una scelta, se volevo salvare
Marta, dovevo compiere un sacrificio. Se avessi potuto, mi sarei ucciso
io stesso gettandomi dalla finestra , ma i miei capelli non me
l’avrebbero mai permesso.
Il ragazzino che avevo conosciuto solo con l’appellativo di “Yellow” stava piangendo, era disperato, non era colpa sua se si trovava
in quella situazione, ma era uno sconosciuto, una persona che comunque
fossero andate le cose, era destinata a uscire dalla mia vita.
Mi sforzai di rallentare l’avanzata dei capelli carnivori sul
corpo di mia moglie, ma fui costretto a lasciarli liberi di avvolgere
il corpo del ragazzino.
I capelli lo avvolsero fino a farlo sparire sotto la loro massa, lui
gridava, si dibatteva, cercava di divincolarsi inutilmente, poi una
grossa chiazza rossiccia di sangue cominciò a espandersi sul
parquet. Lo stavano divorando, li vedevo crescere ancora di
più mentre lo consumavano.
I capelli che avvolgevano il corpo di Marta strisciarono via da lei e
si spostavano sull’altro corpo, e lo stesso fecero anche i
grovigli che si erano distribuiti per tutta la casa. Ogni singolo
filamento aveva percepito l’odore del sangue, e ora tutti ne
volevano un po’.
Il banchetto aveva completamente spezzato il legame psichico che mi
controllava, ora ero libero di parlare.
“Scappa! Vattene subito da qui!” Urlai a Marta.
Lei si alzò e cominciò a correre verso il
corridoio, ma si fermò a metà strada.
“E tu?”
“Non pensare a me, vattene via!”
Lei mi obbedì.
Il banchetto terminò pochi secondi dopo. I capelli erano di
nuovo pronti ad avvolgere la villetta, e sta volta avrebbero invaso
anche il giardino divorando ogni forma di vita che gli sarebbe capitata
a tiro, niente li avrebbe più fermati.
Corsi fuori dalla stanza.
Dovevo tornare alla cucina, la fiamma del fornello era ancora accesa,
era l’unica speranza che avevo di distruggerli.
Mi venne un’idea, ma perché funzionasse, dovevo
trarli in inganno, fregarli come loro avevano fregato me più
e più volte.
Sentì ancora quella terrificante fitta alla testa, stavano
cercando di ristabilire il contatto psichico con me. Grandioso, era
quello che volevo!
Non mi feci trovare impreparato e nel momento in cui loro tentarono di
prendere il controllo dei miei muscoli, io li anticipai, e sta volta
fui io a controllare loro.
Li costrinsi a raggomitolarsi in un enorme agglomerato tubiforme dalla
lunghezza di qualcosa come venti o ventuno metri - una specie di enorme
treccia - e li costrinsi a uscire fuori dalla stanza da letto.
Vedevo nella mia testa l’essere umanoide agitarsi nel
tentativo di spezzare il legame.
“Niente da fare, ora voi verrete con me!” Gridai.
Li trascinai giù per le scale. Alcuni dei tentacoli
più piccoli tentavano di aggrapparsi al corrimano per
opporsi, ma la massa più grande obbediva ai miei comandi.
Raggiunsi il pianterreno, guardai in giardino e vidi mia moglie che
stava parlando con qualcuno al cellulare, forse la polizia.
Sì girò verso di me e mi guardò.
“Oh mio dio!” Esclamo, vedendo la colossale treccia
scendere metro dopo metro i gradini.
“Vieni a darmi una mano, presto!” le ordinai.
Lei rientrò in casa.
“Ho chiamato la polizia, stanno arrivando... ma... ma tu
sanguini!”
Non me n’ero nemmeno reso conto, il naso e le orecchie
Avevano ricominciato a sanguinarmi a causa del legame psichico.
“Già... ma penso che avresti fatto meglio a
chiamare i vigili del fuoco, perché ora brucerò
questi figli di puttana!”
Marta restava a distanza di sicurezza mentre io costringevo
l’enorme treccia vivente a entrare nella cucina.
I miei capelli continuavano a cercare di opporsi a me, ma ormai li
avevo in pugno.
Entrai in cucina e mi avvicinai al fornello, la fiammella era ancora
accesa, ma da sola non era sufficiente per ardere venti metri di
capelli, così accessi anche le altre sei, cercando, nel
frattempo di non perdere il controllo su di essi.
Quando si erano tutti radunati nella stanza da letto per consumare il
ragazzo, avevano lasciato cadere a terra tutte le posate che mi avevano
sequestrato poco prima dai cassetti della cucina. Raccolsi da terra un
grosso coltello e uscì dalla stanza raggiungendo mia moglie
vicino alla porta d’entrata.
Continuavo a vedere nella mia mente l’umanoide di capelli
lottare per ribellarsi. Se avessi ceduto, mi avrebbe letteralmente
fatto esplodere il cervello all’interno della scatola cranica
e ottenuto il controllo totale del mio corpo, ormai non potevo
più tornare indietro.
Un ultimo sforzo, il più arduo di tutti, per convincere
l’estremità dell’enorme treccia a
sollevarsi da terra e distendersi sulle sei fiamme dei fornelli e
finalmente i bastardi avevano preso fuoco.
“Tagliameli via, presto!” Ordinai a Marta
porgendole il coltello.
Lei me lo prese di mano e cominciò l’operazione,
tagliandomeli via il più vicino possibile alla cute e
togliendomeli a ciocche.
In cucina il fuoco aveva invaso tutta la stanza e in pochi secondi
iniziò a divorare anche i metri di capelli che erano rimasti
fuori con noi, nell’atrio.
Marta tagliava rapidamente, senza preoccuparsi di farmi male.
“Sta attenta al tuo sangue, o rischiamo di ricominciare da
capo!” La avvertì.
Lei mi tagliò via le ultime ciocche rimaste e insieme ci
allontanammo dall’enorme treccia, che senza più il
mio controllo, si disfò in un immenso e informe groviglio, mentre il
fuoco lo divorava completamente.
In testa mi erano rimasti altri rimasugli di capelli che Marta non era
riuscita a tagliare, ma come vigeva la regola, divennero inoffensivi.
Uscimmo fuori di casa di corsa, finalmente liberi, mentre il fuoco si
propagava rapidamente per tutta la casa.
Dal giardino guardavamo la villa – che io non avevo mai
potuto soffrire – di suo Zio bruciare sotto i nostri occhi.
“E’ tutto finito...?” Mi
domandò con voce stanca.
No, non era finito niente, era solo un timeout, i miei capelli erano
ancora una minaccia e sarebbero tornati alla carica appena una nuova
goccia di sangue li avrebbe toccati.
“Già, tutto finito.” Le mentii, e restammo in silenzio
aspettando l’arrivo della polizia.