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Autore: Tsu_Chan    09/02/2013    2 recensioni
Ho amato i tuoi occhi dal momento in cui li ho incrociati la prima volta e ora li potrei riconoscere ovunque: nel buio, nel dolore e nel tormento, nello sbaglio e nella gioia... Anche dietro ad una maschera rossa, anche quando tu non ti vuoi far riconoscere da me...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Castiel, Nuovo personaggio, Rosalya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo in un buio e caldo antro, così tanto caldo che quasi si faticava a respirare, l’umidità saturava l’aria fino a un livello insopportabile: nell’ombra, molto vicino a me, potevo sentire un altro respiro sovrapporsi al mio. Tentai di sollevarmi a sedere ma avevo un peso che mi inchiodava il torace al suolo. Suolo? Era un po’ troppo morbido per trattarsi di un terreno comune. Da qualche parte risuonavano i rintocchi di una campana. Navigavo a metà tra la consapevolezza e il sonno come spesso capita quando ci si sveglia presto e si ha bisogno di qualche minuto per connettere il cervello al resto del corpo. Allungai una mano nell’oscurità e, poco sopra la mia testa, trovai un piccolo spiraglio dove infilare le dita: tirai con delicatezza e un raggio di luce filtrò sotto il copriletto blu.
Lo tirai indietro con un mugugno e un raggio di sole mi investì direttamente sugli occhi, il rumore della campana che avevo sentito altro non era che il trillo di una sveglia. Mi voltai per vedere che cosa mi teneva ancorata al materasso e constatai, senza troppo realizzare che cosa significava, che un braccio mi cingeva le spalle.
“Wow…” sbadigliai senza controllo e strofinai la guancia contro il cuscino su cui ero appoggiata per trovare una posizione comoda per ricominciare a dormire “Ho tre braccia.”
Appena terminai di parlare percepii una leggera pressione sulla schiena che mi obbligò a svegliarmi del tutto, anche se in realtà il mio cervello era ben lontano dall’essere sveglio. Mi rigirai nel letto per poter controllare cosa mi avesse toccato e, non appena mi misi supina, la testa di Castiel, ancora profondamente addormentato mi si poggiò sulla spalla. In quel momento mi resi conto della situazione nella quale mi ero cacciata: il sangue mi si gelò nelle vene e per poco non rischiai di svenire. Come diavolo c’ero finita a dormire abbracciata a Castiel? COME!? Anche scavando nella memoria non riuscivo a ricordarmelo: mi ricordavo di aver suonato tutta sera, ti essere salita sul letto per svegliarlo e di averlo visto addormentato e in lacrime e poi… poi mi ero addormentata. Se non fossi stata inchiodata nel letto mi sarei alzata e avrei preso a testate il muro.
Spostai gli occhi dal soffitto, che mi ero obbligata a fissare, al volto di Cas addormentato: molti dicono che quando si dorme anche le persone peggiori assomigliano a degli angeli, io non so se sia vero, ma lui lo sembrava di certo. Teneva le labbra socchiuse e contratte in un tenero sorriso, le lunghe ciglia gli gettavano lunghe ombre sugli zigomi e ne accarezzavano la pelle, sotto le sottili e pallide palpebre gli occhi guizzavano a destra e sinistra. Probabilmente stava facendo un bel sogno perché di tanto in tanto si lasciava sfuggire un sospiro di sollievo. In tutto questo la sveglia continuava a suonare ma lui pareva non sentirla; con delicatezza gli scostai un ciuffo di capelli rossi, sotto i quali iniziava a notarsi una piccola ricrescita nera, e gli carezzai una guancia. Al mio tocco arricciò il naso e si spinse il mento contro il petto: compresi subito che si stava svegliando perché inizio in contemporanea a stiracchiare le braccia e le gambe. Caddi nel panico più assoluto: che potevo fare? Che scusa mi sarei inventata? Come l’avrebbe presa?
Decisi di far finta di essere ancora addormentata e spiarlo tenendo gli occhi socchiusi, aveva funzionato una volta, poteva funzionare ancora. Non appena chiusi gli occhi mi balenò in mente la malsana idea di fargli una foto; combattei un paio di secondi tra la coscienza che mi diceva che facendolo sarei passata per una maniaca e il cervello che mi diceva che era troppo bello per non fotografarlo. Mi diedi della maniaca non so quante volte ma estrassi il cellulare da una tasca dei pantaloni che, ne fui sollevata, ancora indossavo, gli scattai una rapida foto e lo nascosi di nuovo, questa volta dentro la maglietta.
Feci appena in tempo a rigirarmi verso di lui, sdraiandomi su un fianco per vedere meglio la sua reazione, e socchiudere gli occhi che lui iniziò ad aprire i suoi. Come me ci mise un po’ a realizzare la situazione: la prima espressione che gli comparve sul volto quando mi vide fu estremamente dolce e colma di gioia dopodiché, a mano a mano che analizzava la situazione, gli occhi gli si spalancarono gli angoli della bocca si inclinarono verso il basso e le guance gli si colorarono di rosso acceso. Mi tolse il braccio dalla vita, tirò un pungo alla sveglia che stava sul comodino alle sue spalle, si sollevò a poggiare sui gomiti e tornò a fissarmi. Improvvisamente si tirò una manata dritta in faccia e rimase per po’ in quella posizione mugugnando parole incomprensibili. Quanto avrei voluto essere nella sua mente in quel momento…
Senza voltarsi a guardarmi di nuovo scivolò fuori dalle coperte silenzioso come un gatto, scelse una maglia pulita e un paio di jeans da un cassetto e si andò a chiudere in bagno: quando il suono dell’acqua della doccia divenne discontinuo, segno che ci si era buttato sotto, mi sollevai a sedere a gambe incrociate nel letto e mi tolsi il cellulare dalla maglia. Aprii a tutto schermo la foto appena scattata a Castiel e mi lasciai scappare un risolino felice: potevo anche essere una maniaca ma quella foto era uno spettacolo.
Mi guardai intorno per cercare le mie scarpe e quando le individuai scivolai giù dal letto e mi misi in piedi, il pavimento era così freddo che un lungo brivido mi percorse partendo dalla punta delle dita fino alla punte delle orecchie. In punta di piedi, per fare il meno rumore possibile, mi avvicinai alla porta e mi infilai le calze prima di passare alle mie consunte scarpe. Alle mie spalle la porta del bagno si aprì cigolando e, accompagnato da una spessa nuvola di vapore, Castiel ne scivolò fuori silenziosamente con i capelli ancora bagnati e pettinati all’indietro. Quando mi posò una mano sulla spalla, dato che non lo avevo sentito avvicinarsi, sobbalzai e lanciai un gridolino.
“Beh buongiorno anche a te.” Sbuffò lui sarcastico incrociando le braccia sul petto “Non ti chiederò cosa ci fai ancora qui.”
“Buongiorno Cas…” riuscii a biascicare mentre facevo girare la chiave nella toppa della porta e la socchiudevo.
“Di grazia bimbetta dove credi di andare ?” mi domandò afferrandomi per una spalla e allontanandomi di forza dalla porta.
“In camera a prendere i libri delle lezioni.” Buttai li tentando di nuovo di darmi alla fuga.
“è sabato, oggi la nostra classe non ha lezioni.” Mi smontò Cas esibendo uno dei suoi migliori sorrisi soddisfatti.
Lasciate che vi spieghi; è vero la mia compagna di classe quel giorno aveva un test di chimica ma era normale che alcune classi frequentassero le lezioni anche di sabato mentre altre no. Difatti, per organizzare meglio gli orari dei professori, per sfruttare al meglio le aule adibite a laboratori e smaltire il traffico in mensa, la direzione del liceo aveva optato per creare due differenti tipologie di orario: alcune classi, come quella dove ero finita io, restavano a scuola 45 minuti in più da lunedì a venerdì mentre le altre, uscivano si prima, ma il sabato erano obbligati a stare in classe ancora.
Umiliata fino all’invero simile mi misi a fissarmi le scarpe ed ad arricciarmi una ciocca di capelli scompigliati intorno al dito indice.
 “Ti va di andare al bar a fare colazione insieme?” mi propose senza alcun preavviso passandomi insieme una spazzola, il mio codino, che ancora aveva dal pomeriggio precedente, e una maglia pulita. Non sapendo cosa rispondere studiai la maglietta che mi aveva infilato in mano: era un t-shirt rossa unisex rappresentante il logo di una band, un po’ consumata  e con l’orlo di una delle maniche scucito. Aprendola mi resi conto che Castiel doveva averla indossata molto ma che ora non poteva più perché, almeno a prima vista, gli andava stretta di spalle; non che contasse molto visto che a me sarebbe comunque andata larga…
“Grazie” gli dissi con tono di sufficienza rendendomi conto che dovevo sembrargli molto strana tutta timida e contrita.
“Vai pure in bagno, ti ho tirato fuori un spazzolino nuovo.” Aggiunge lui indicandomi da sopra la spalla la porta del bagno “Sappi però che me lo ripaghi.”
“Quante storie per uno spazzolino.” Passandogli accanto gli tirai una spallata e mi feci scappare una risatina.
Se lui voleva fare finta di niente, come se fosse normale addormentarsi nel letto di un altro e al mattino svegliarsi abbracciati per me andava benissimo, mi semplificava di molto le cose.
 
Dato che era orribilmente presto, non riuscirò mai a capire perché anche nei giorni di festa lui continuasse a svegliarsi alle 6:00, il giardino dell’istituto era completamente deserto e silenzioso, anche la caffetteria, con mio grande disappunto, aveva ancora le luci spente.
“Ma dove diavolo vuoi andare a quest’ora? È tutto chiuso qui dentro…” mi lamentai cercando di sistemarmi la maglia tirando la cucitura sulle spalle e infilandone parte del orlo inferiore nella cintura.
“Qui dentro.” Cas riusciva a malapena a trattenere le risate, dovevo essere uno spettacolo comico “Ti ho già detto che con quella maglia sembri una senzatetto ?”
“Sì almeno tre volte da quando siamo usciti dalla tua stanza…” gli tirai un colpo con il fianco destro e lo feci incespicare nella bassa recinzione che delineava il viottolo che stavamo percorrendo. “Comunque, vuoi dirmi dove stiamo andando ?”
“Andiamo a fare colazione.” mi rispose lui prima di tirarmi una pacca sulla nuca e allungare il passo lasciandomi indietro di parecchi metri.
“Non eludere la mia domanda in questo modo!” gli urlai mentre si infilava dietro una siepe e spariva alla mia vista. Mi guardai intorno incerta sul da farsi; mi ero già buttata una volta dentro le siepi della scuola e di certo non era un’esperienza che rimpiangevo. Feci un paio di passi verso la siepe e scostai un ramo.
“Ehy muso lungo dove sei andato ?”  mi sporsi per vedere cosa ci fosse dall’altra parte
Ero così tanto presa a sistemarmi i vestiti che non mi ero nemmeno resa conto di dove Cas mi avesse condotto. Oltre la siepe si alza il muretto grigio che delimitava il cortile della scuola e, pochi metri alla mia destra, era incastonata una porticina di metallo verde scuro: Castiel era lì che mi attendeva tenendo aperta la porta con un piede.
“Ti muovi o vuoi stare li fino a domani ?” mi domandò imbronciandosi.
Per sicurezza mi buttai un’altra occhiata alle spalle prima di infilarmi tra i rami della siepe e a fatica saltare fuori dall’altro lato.
“Ma è legale questa cosa ?” chiesi mentre mi infilavo fuori dalla porta e Castiel se l’accostava alle spalle.
“Come se di recenti non avessimo mai infranto le regole della scuola!” sbottò lui poggiandomi una mano sulla schiena e spingendomi delicatamente in direzione del centro cittadino. Effettivamente dal momento del mio ingresso al Liceo ero stata testimone di parecchie cose al limite del regolamento scolastico tipo bere alcolici, anche se leggeri, fumare in spazi chiusi, scassinare finestre con un coltellino svizzero… Forse anche introdursi negli edifici dalle finestre era una cosa che non veniva vista di buon occhio per cui tacqui e mi lasciai guidare da Cas. Passando per le vie della città riuscimmo a vedere le prime saracinesche delle edicole, dei fornai e dei bar che venivano sollevate da commercianti con gli occhi ancora impastati dal sonno. L’aria profumava dell’umidità della notte mischiato con il dolce profumo delle brioches e del pane appena sfornato: non mi capitava di farlo spesso  ma amavo guardare il mondo in quella magica stasi che precedeva l’inizio della nuova giornata. Tutto sembra in pace, non sembrano esserci problemi e tristezza solo l’incerta luce del sole nascente.
“Mi madre dice sempre che questo momento della giornata è il migliore per cantare canzoni d’amore…” dissi d’un tratto senza sapere precisamente perché lo feci.
“Ma dai? Mia madre dice sempre che è il momento migliore per spegnere la sveglia e continuare a dormire.” Mi rispose Castiel scrollando le spalle “Non è ugualmente poetico però.”
“Non mi hai mai parlato dei tuoi genitori.” Constatai rendendomi conto che effettivamente di lui al di fuori dell’ambiente scolastico sapevo ben poco. Con Lys e Rosa mi era capitato di parlare di queste cose ma, chissà perché, mi sembravano argomenti troppo personali e seri da affrontare con Cas.
“Se è per questo nemmeno tu ci hai mai detto qualcosa della tua famiglia.” Mi rimbeccò lui girando rapidamente gli occhi per guardarmi.
“Ma è diverso! Io non posso parlartene invece mi sembra che tu non voglia parlarne.” Calcai particolarmente il tono sull’ultima parte della frase sperando di smuovere in lui una reazione.
“Beh hai ragione: non ho voglia di parlarne.” si bloccò di scatto e mi fece girare verso di lui tenendomi per le spalle “Aspetta aspetta… come non puoi parlarmi della tua famiglia? Non sarai mica la figlia di un qualche mafioso? Non mi sto cacciando in qualche guaio? Non mi verranno a gambizzare vero?”
Non riuscii a capire se stava scherzando o se dicesse sul serio così mi stampai in faccia la mia miglior faccia apatica e gli posi a mia volta una mano sulla spalla.
“Scusami tanto ma… EH?” storsi il naso e lui esplose a ridere.
“Stavo scherzando no? Andiamo buttala un po’ sul ridere.” Mi riprese lui abbracciandomi mentre esplodeva a ridere.
“E ora perché mi abbracci ?” dissi tentando di nascondere il rossore delle mie guance girando il viso lontano dalla sua vista. Il profumo del suo bagnoschiuma mi avvolgeva come una coperta.
“Perché se c’è un cecchino nascosto qui nei dintorni non mi può sparare o prende anche te.”
Stanca dei suoi scherzi lo spinsi via con tutte le mie forze e ricomincia a camminare velocemente senza voltarmi a vedere se mi seguiva: in quel periodo non ero proprio in ottimi rapporti con la mia famiglia, ma sentirlo scherzare su di loro mi irritava comunque.
“Ehy non scappare!” lo sentii che mi correva dietro e, prima ancora di raggiungere il primo incrocio, mi afferrò per un braccio e mi obbligò a girarmi di nuovo verso di lui “Scusami, non pensavo di darti fastidio.”
Con uno schiaffo gli allontanai la mano dal mio braccio “Ah, non importa…” gli feci cenno con la testa di ricominciare a camminare senza però cambiare la mia espressione corrucciata “Spera solo che i miei fratelli non vengano a sapere che mi hai abbracciato senza il mio permesso. Altrimenti… beh, ti toccherebbe cambiare nome e passaporto.”
“Stai scherzando ?” mi domandò lui spalancando gli occhi “Insomma i tuoi fratelli non oserebbero mai fare del male al meraviglioso sottoscritto, vero?”
“Umm…” ci pensai un attimo, godendo della sua espressione interdetta e della piega che avevano preso le sue labbra così perfette e rosa “Probabilmente mio fratello maggiore non ti farebbe nulla ma, per quanto riguarda i gemelli, non ci giurerei più di tanto.”
“Se sono solo due posso affrontarli che credi.” Si pavoneggiò Castiel alzando il mento.
“Chi ha mai detto due!” lo corressi io scuotendo vigorosamente la testa “I gemelli sono cinque e farebbero di tutto per la loro unica sorellina.”
“Quanti!? Ma in quanti siete in famiglia?” esclamò sempre più sorpreso.
“Edward, i due gemelli Julian e David, i tre gemelli Kevin, Leonard e Oscar e poi io.” Iniziai ad elencare tenendo la conta sulla punta delle dita “Naturalmente devi contare anche i miei genitori .”
“Senza offesa ma… i tuoi genitori sono dei conigli ?”
Mi misi a ridere alla sua faccia sconvolta: pensandoci bene, se io fossi stata un’estranea, ci sarei rimasta di sasso in egual modo.
“Comunque ora che io ti ho detto qualcosa della mia famiglia tocca a te parlarmi della tua!”
“Non è che ci sia molto da dire: i miei sono sempre via e non ho fratelli. Tutto qui niente di speciale come abbastanza fratelli per creare una squadra di basket.” Si rabbuiò leggermente anche se tentò di buttarla di nuovo sul ridere.
“Sai ti invidio.” Gli dissi tirandogli una gomitata nelle costole “Magari fossi io figlia unica!”
“Non è per niente emozionante fidati.”
“Perché crescere attorniata da sei ragazzi in preda alle tempeste ormonali dell’adolescenza per te è emozionate ?”
“Sì?” chiese lui sarcastico ricambiando la mia gomitata.
“Forse non è una buona argomentazione da proporre ad un ragazzo in preda alle tempeste ormonali dell’adolescenza.” Costatai massaggiandomi dove Cas mi aveva appena colpito: anche se ci andava chiaramente leggero con me, metteva sempre troppa forza quando mi schiaffeggiava o mi spintonava con il risultato che spesso mi comparivano lividi bluastri un po’ ovunque . Che volete il mio corpo è così poco allenato che perfino un bambino mi potrebbe fare male…
“Siamo arrivati.” Mi disse lui indicandomi con il dito un baretto incastonato tra una banca e un negozio di vestiti di seconda mano.
 
 
Il bar dove mi portò sembrava piccolo solo da fuori; all’interno in realtà si sviluppava in verticale per più di due piani. Meravigliose scale in stile gotico intarsiate e dipinte a mano si innalzavano dal pavimento correndo lungo le pareti ricoperte da caldi pannelli di legno di noce, dal soffitto, molti piani più in alto, pendeva un vecchio lampadario carico di lucidi cristalli sfaccettati.
Rimasi per così tanto tempo a bocca spalancata a guardare incantata le librerie ricolme di volumi rilegati in pelle, le sedie e le poltrone in stile elisabettiano che non mi resi nemmeno conto di essere stata condotta a un tavolino fino a che Castiel non mi scoccò le dita di fronte agli occhi.
“Se devo morire, ti prego, fammi sotterrare nella cantina di questo posto!”
“Immaginavo ti sarebbe piaciuto. La prima volta mi ha portato qui Lys.”
Il cameriere ci si avvicinò e si chinò verso di me per prendere la mia ordinazione ma, ero così persa com’ero nel contemplare il suo elegantissimo panciotto a righe sottili bianche e grigie, che riuscii solo a biascicare qualche parola.
“Ci porti due caffè lunghi, un bricco di latte freddo e due piatti di pancake con fragole e frutti di bosco.” Sospirò Castiel sorridendo cordiale al cameriere e congedandolo chinando la testa.
Io me ne stavo ancora imbambolata a fissare il cameriere che si allontanava attirata dal luccichio della catena dorata dell’orologio a cipolla che gli spuntava dal taschino.
“A sapere che era così facile farti tacere ti ci avrei portato prima!” sogghignò mettendosi a giocare con le zollette di zucchero riposte nel piattino d’argento che si trovava al centro del tavolino in legno. “Sai sono curioso di sapere cosa suonerai pomeriggio.”
“Pomeriggio? Per cosa?” domandai ribaltando indietro il capo e studiando con gli occhi sgranati l’affresco che adornava il soffitto sopra di me: purtroppo la mia attenzione, come ben avrete capito, si può concentrare su una cosa sola per volta. Se stavo studiando le tonalità di rosso dei fiori dipinti sul soffitto non potevo concentrarmi contemporaneamente sul programma della giornata, no?
“Le selezioni…” mi ribadì lui alzando a sua volta lo sguardo per comprendere cosa stessi studiando “Ma che ha di così interessante il soffitto?”
“Il mazzo di fiori, quello al centro della composizione…” alzai un braccio per indicarlo “Il colore usato per i petali dei fiori rossi è stato ottenuto miscelando Arancio, Arancio Scuro, Cremisi e Mandarino mentre quelli azzurri sono ottenuti con una miscela più semplice composta da Azzurro Cristallo, Ceruleo e Blu Ardesia.”
“E tu come fai a saperlo? A me sembrano semplicemente azzurri e rossi.” Mi domandò scettico strizzando gli occhi per poter mettere meglio a fuoco.
“So fare più cose di quelle che credi. Quando mio padre mi chiede di lavorare…” con uno scatto abbassai rimisi dritta la testa e mi portai una mano alla bocca.
“Che hai detto?” domando di rimando Castiel con gli occhi che brillavano di curiosità mal celata.
“Mi spiace, territorio minato.” Mi girai ringraziando il cielo per la puntualità del cameriere che si stava avvicinando con un grosso vassoio con le nostre ordinazioni.
“Vuol dire che non mi puoi parlare nemmeno di questo? ” continuò lui quasi indignato. “Non puoi dire nulla sua tua famiglia? A che pro scusa?”
“Una scommessa” ammisi con uno sbuffo sorridendo al cameriere che mi poso di fronte un piatto di porcellana bianca dove svettava una piccola pila di pancake grondanti sciroppo e ornate con tante piccole fragoline e mirtilli viola. “Ti basta sapere questo ?”
“No che non mi basta!” rispose Cas tuffando un paio di zollette di zucchero nel suo caffè.
“Se vuoi sapere altro dovrai attendere fino alle vacanze di Natale.”
“Sono più di due mesi di tempo!”
“è il termine ultimo della nostra scommessa, intendo mia e di mio padre; dal 23 dicembre potrò dirti tutto.” Affondai la forchetta d’argento nei miei pancake e me ne portai un pezzo alle labbra: erano dolci, caldi e morbidi proprio come ci si aspetterebbe da dei pancake fatti a regola d’arte.
“Non sono una persona paziente.” Incalzò ancora lui assaltando a sua volta le sue frittelle.
“Se mi farò scappare qualcosa prima perderò la scommessa.” Gli puntai contro i denti della forchetta e strizzai gli occhi per sembrare minacciosa “Sappi che io odio perdere e se, per caso, dovessi perdere a causa tua te lo farò rimpiangere.”
“Se ogni cosa che faccio potrebbe portare conseguenze poco piacevoli, quali pestaggi e roba simile, farei meglio a smetterla di frequentarti.” Scherzò lui sorseggiando il caffè.
“Comunque…” infilzai sulla punta della forchetta un piccola fragola ricoperta di sciroppo e la rigirai più e più volte “… sono cresciuta tra note musicali e scale cromatiche per questo mi viene facile riconoscere i colori. Tu d’altrocanto sai riconoscere le note musica anche solo sentendole no? Non scambieresti mai un Si per un Fa, no?”
“Ovvio che ne sono in grado e, tanto per cronaca, nessuno scambierebbe mai un Si per un Fa.” Disse mentre allungava una mano e mi strappava di mano la forchetta “Almeno nessuno con un po’ di cervello.”
 Con non calanche se la portò alle labbra e strappò con i denti la fragola che avevo infilzato, sogghignando quando notò l’espressione triste che aveva incurvato le mie labbra.
“Ma quella era la mia ultima fragola!” Mi lamentai riprendendomi la forchetta e usandola per pungolargli la una guancia “Sei orrendo!”
La mia piccola vendetta fu interrotta dal rumore di una sedia che veniva trascinata malamente e veniva sbattuta contro il bordo del tavolino alla mia destra; alto, scarmigliato e con delle occhiaie da paura Lysandro mi stava piazzato alle spalle con l’aria imbronciata.
“Ciao Lys!” lo salutò Cas facendo sfumare nell’aria la sua risata “Ehy qualcosa non va amico?”
“Mi hai mandato un sms alle 6:24 di sabato mattina dicendomi di correre qui il più in fretta possibile perché avevi assolutamente bisogno del mio aiuto, anzi…” si lamentò Lysandro estraendo da una tasca dei pantaloni il suo cellulare ed iniziando a leggere l’ultimo messaggio di Cas “ ‘Pet fsvre veni allbar, ho bisogno di prlarti e d chierti un favvre.’ ”
“Non ti lamentare: mi sembra comprensibile se conti che stavo scrivendo senza guardare il messaggio.”
“Farò finta di non vederti per i prossimi dieci minuti.” Gli rispose il ragazzo dai capelli bianchi lasciandosi cadere sulla sedia e rivolgendomi un sorriso stanco ma cordiale “Buongiorno Mira.”
“Darei il buongiorno anche a te Lys, se non sembrassi uno che non dorme da giorni.” Presi la mia tazza di caffè e gliela porsi pensando che gli avrebbe fatto bene.
“Tutta colpa di quel…” si bloccò prima di dire qualcosa di poco piacevole e mi prese la tazza dalle mani “Tutta colpa di Cas; mi ha tenuto sveglio fino a tardi con messaggi strappalacrime e ora mi obbliga ad alzarmi presto di sabato. Di sabato, ci terrei a precisarlo.”
Mi voltai e fulminai Castiel con lo sguardo “Stavi messaggio con Lys mentre suonavo? Pensavo mi stessi ascoltando, hai idea di quando sia fastidiosa questa cosa?”
“Ehy ehy buoni tutti e due” Castiel iniziò alzò le mani davanti a se come per farsi scudo e voltò il capo, forse pensando di sembrare più figo “Non ho fatto nulla di male…”
“Questo lo dici tu, odio chi scrive al cellulare mentre tu stai suonando per lui.” Scostai il mio piatto di pancake oramai vuoto e mi alzai in piedi.
“Pensavo stessi solo provando non che stessi suonando per me!” cerco ancora di scusarsi lui.
“Lascia perdere, torno a scuola…” mi avviai verso l’uscita del locale senza nemmeno pensare di pagare, Castiel mi aveva fatto arrabbiare, come minimo mi doveva pagare la colazione. Trovo oltremodo irritanti le persone che si distraggono con il cellulare mentre sto suonando: magari per qualcun altro non sarà così grave, ma per me sì. Una volta per questo motivo ho tirato l’archetto in faccia ad una persona che era venuta a trovare i miei genitori a casa nostra…
“Ehy!” la porta del locale si aprì alle mie spalle e Lysandro saltò fuori ad una velocità impressionante “Dove vai?”
“Torno a scuola, l’ho già detto…” gli dissi sorridendo e iniziando a camminare fiancheggiando la vetrina del negozio di abiti.
“Sì ma…” mi raggiunse e mi appoggiò con delicatezza una mano sul braccio mentre con l’altra indicava la direzione opposta a quella dove mi stavo recando io “ è da quella parte.”
“Sul serio?” domandai vergognandomi come se fossi in mutande davanti ad un’intera platea di persone ridenti.
“Sai quando dicevi di avere un senso dell’orientamento pessimo non ti ho creduto ma mi devo ricredere. Ti perderesti in bicchier d’acqua.”
“La tua memoria invece non è così pessima come l’hai descritta…” lo presi a braccetto come oramai mi ero abituata a fare quando camminavamo da soli e mi lasciai guidare nuovamente verso l’Istituto.
“Solo per le cose che mi interessano: comunque non prendertela con Cas lui è…”
“Un idiota.” Dissi storcendo il naso sbuffando.
“Un idiota senza tatto ma è comunque una brava persona.” Tirò di nuovo fuori il suo cellulare e fece scorrere la lista dei messaggi ricevuti “Vuoi che ti legga cosa mi ha scritto ieri sera?”
“So che vuoi rabbonirmi Lys ma non c’è bisogno che…”
“ ‘Mi sembra di sentir cantare gli angeli, non ho mai sentito qualcuno suonare così.’ e poi ‘Se non mi contengo mi sentirà piangere e non credo di poterlo sopportare. La sua musica… se solo la sentissi piangeresti anche tu’. ”
Allungai la mano per prendere il cellulare di Lys ed iniziai a leggere gli ultimi messaggi: mi sentivo bruciare il sangue nelle vene.
“Allora mi ascoltava…” sussurrai sentendomi uno schifo per come lo avevo trattato.
“è un’idiota ma non sottovalutarlo, può rivelarsi molto più cortese e sensibile di quello che da a vedere.”
“Grazie Lys: se non ci fossi tu lo avrei già ucciso nel sonno da un pezzo…”
“A proposito di sonno: che ci facevi in camera sua a quell’ora della notte?” mi domandò lui chinandosi verso di me con fare malizioso “Ma soprattutto perché indossi la maglia preferita di Cas e perché eravate già insieme così presto?”
“Non indagare!” gli urlai mentre tentavo di nascondere il rossore che mi infiammava le guance “Non indagare che al solo pensarci mi viene voglia di buttarmi sotto una macchina.”
“Oh questo non fa altro che incuriosirmi ancora di più!”
Passeggiammo sottobraccio fino alla porticina verde che portava all’interno del cortile dell’Istituto dove Lys mi lasciò dicendo di avere ancora alcune commissioni da portare a termine e promettendomi che, prima o poi e con ogni mezzo, sarebbe venuto a sapere cosa era successo quella notte.

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Buonasera a tutti!
Sono di nuovo io, questa volta vi scrivo per ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia fino ad adesso che l'hanno apprezzata e aggiunta alle preferite, per chi l'ha commentata e anche chi l'ha odiata.
Purtroppo ho dovuto tagliare questo capitolo in due parti differenti, cosa che si nota dal finale inconclusivo: mi sono sentita in dovere di farlo visto che sta venendo assurdamente lungo e, almeno personalmente, trovo fastidiosi i capitoli troppo lunghi.
Ma lasciamo perdere, tolgo il disturbo e torno a lavorare non al nuovo capitolo ma alla seconda parte di questo!

Un saluto, un bacio e un abbraccio,
Darky
   
 
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