“Ti avevo detto di non farmi
arrabbiare.”
La breve distanza tra loro
fu coperta in un secondo. Joseph l’afferrò stretta per la vita tappandole la
bocca con l’altra mano e la trascinò fuori senza troppa grazia. Appena qualche
passo e Cara rimbalzò di nuovo sul letto, stavolta sbattuta con forza contro il
materasso. Cercando di tenere l’asciugamano stretto a sé ignorò il dolore alle
costole e si tirò su con la schiena.
Il ritmo del suo respiro era
diventato frenetico, l’assassino stava dritto di spalle, i muscoli del dorso e
delle spalle vistosamente contratti sotto la maglietta. Cara rimase immobile
mentre lui chiudeva a chiave la porta, cercando poi di tirar fuori qualcosa
dalla tasca dei jeans.
Cara sentì il cuore mancarle
un battito, lo scatto del coltello arrivò alle sue orecchie amplificato e forte
come lo scoppio di una bomba. Scosse la testa, gli occhi sgranati e la
pressione sanguigna a mille, mentre cercava affannosamente una qualsiasi arma
di difesa.
Joseph inspirò profondamente
fissando l’italian stiletto stretto nella sua mano, il rumore del terrore di
Cara un sottofondo appena percepibile, ogni fibra del suo essere assorbita dal
riflesso della luce sul metallo. Le lame erano la sua arma prediletta, lo
strumento di morte che aveva scelto alla fine del suo lungo addestramento. Ogni
volta che teneva tra le mani un coltello, un pugnale o una katana, poteva
sentire il gelo dell’acciaio impossessarsi di lui, annullando ogni ombra di
sentimento nei confronti della vittima di turno. L’utilizzo delle armi da
taglio rendeva il suo lavoro inevitabilmente più lungo, sporco e complicato, ma
vi era un innegabile fascino poetico nel poter scegliere come e quanto
infliggere ai propri nemici, con la piacevole possibilità di guardarli in viso
durante tutto il procedimento.
La ragazza tuttavia non era
un nemico della sua famiglia, né una vittima prescelta da suo padre,
quell’omicidio sarebbe stato un’eccezione al codice, un atto di puro e
necessario sadico piacere. Sospirò stringendo le dita attorno all’impugnatura,
non poteva commiserare null’altri che sé stesso per quella situazione. Sentì in
bocca il fastidioso sapore di qualcosa simile al rimorso, come sull’aereo.
Imprecò in silenzio masticandolo via, decise di voltarsi e guardare la ragazza.
Cara stava iperventilando,
inginocchiata sul letto stringeva l’asciugamano al petto con entrambe le mani,
così stretto che le sue dita si erano fatte rosse di sangue. Sembrava ancora più
pallida, eppure aveva il viso colorato dall’ansia e le labbra scarlatte. I suoi
lunghi capelli biondi andavano lentamente asciugandosi in boccoli crespi e
scomposti, mentre i suoi occhi blu lo fissavano, lucidi e spalancati.
“No..”
Sussurrò appena al suo primo
passo, Joseph inclinò il viso verso di lei con le labbra leggermente protratte
in avanti, sul suo volto l’accenno di un broncio sardonico. Cara sentì un
brivido freddo correrle lungo la spina dorsale, c’era qualcosa di davvero
spaventoso nella sua espressione, la guardava come fosse un patrigno arrabbiato
pronto a punire la sua bimba disobbediente, come se cercasse disperatamente di
mostrare compassione, ma in realtà stesse per esplodere dall’eccitazione.
“Cosa dovrei fare adesso con
te, eh?”
L’assassino finalmente
parlò, il tono apparentemente impassibile, la voce morbida e liscia come un
liquido caldo pronto a scorrerle addosso. Più si faceva vicino e più sembrava
calarsi nei panni del sadico torturatore. Mentre lentamente passava il coltello
da una mano all’altra, riprese a fissarla nel modo che lei conosceva, il suo
sopracciglio destro si sollevò piano, come se stesse davvero attendendo una
risposta.
Cara rimase lì sul letto a
tremare, i suoi occhi dritti in quelli di lui, la pace nella stanza in completa
antitesi al subbuglio interiore.
“Dovrei liberarmi di te?”
Un angolo della sua bocca si
sollevò in un mezzo sorriso
“O forse dovrei farti male
soltanto un po’?...”
Avanzò di un nuovo passo
sollevando la lama, l’acciaio rifletteva la luce del tramonto imminente,
spandendo un alone arancione per tutta la stanza.
“…Qualcosa che ti ricordi
chi è che comanda.”
Ormai era a pochi
centimetri, il coltello puntato verso di lei, così che la punta segnasse una
linea immaginaria tra l’impugnatura ed il suo petto, in mezzo alle costole, là
dove il suo cuore sembrare voler esplodere. Cara deglutì, aveva la gola secca
ed il sentore che anche se avesse provato ad urlare, non le sarebbe uscito un
filo di voce. Ormai riusciva ad immaginare chiaramente che tipo di dolore
avrebbe provato una volta coperta l’ultima breve distanza tra lei e
l’assassino, simile alla carta che ti taglia la pelle, rapido, fastidioso,
acuto. Il tipo di dolore che svanisce ancor prima di vedere il sangue.
Lui sbatté piano le
palpebre, ormai le sue ginocchia toccavano il letto e la ragazza era sempre
immobile di fronte a lui, come se, ancora una volta, fosse pronta a morire.
Inspirò l’odore della sua paura e sentì il sangue scorrergli più veloce nelle
vene, totalmente combattuto tra la sua natura, l’istinto di uccidere e la
voglia immensa, lussuriosa, di spingere la ragazza fino al limite.
Sollevò il coltello senza
fretta ed avvicinò la curva della lama al viso di Cara, accostando lentamente
pelle e metallo. La vide chiaramente fallire nel tentativo di contenere lo
spasmo del suo corpo, stringere le spalle e trattenere il respiro.
Cara chiuse gli occhi
d’impulso alla sensazione improvvisa di freddo, non solo in faccia, ma in ogni
centimetro del suo corpo. Il coltello prese a muoversi lentamente, indugiando
con la punta sulle sue labbra schiuse, sulla curva del suo mento, sulla linea
della mandibola. Finalmente Joseph si fermò, il coltello pressato sul collo
della ragazza, la lama inclinata contro la giugulare. Cara sentì che di lì a
poco avrebbe iniziato a tremare, spaventata all’idea che, anche solo respirando
o ingoiando, la lama le sarebbe entrata nella pelle. Non era più il dolore a
farle paura, bensì l’idea di sanguinare a morte, sentire freddo, assaporare
l’aroma ferruginoso del proprio sangue, perdere la vista e l’udito prima ancora
di svenire e farla finita.
“Guardami.”
L’ordine dell’assassino la
risvegliò dalla trance. Schiuse le palpebre espirando, lui le stava di fronte,
gli occhi dritti nei suoi mentre si passava la punta della lingua sulle labbra.
Sentì il coltello iniziare a scorrere verso il basso e si lasciò sfuggire un
sospiro, la tremante premessa del pianto o forse della preghiera.
Joseph sorrise a labbra
strette, in quel momento sentirla supplicare sarebbe stata dolce musica per le
sue orecchie. Solitamente non avrebbe impiegato così tanto tempo per uccidere
qualcuno, ma in questo caso specifico non aveva alcuna urgenza anzi, ogni
secondo passato in quell’impasse accresceva la sua eccitazione. Nel retro della
sua mente la tentazione di prolungare all’infinito quella deliziosa tortura.
Tutta la rabbia era scemata
senza che nemmeno se ne rendesse conto e solo in quel momento l’assassino realizzò
che Cara gli stava davanti, inginocchiata ed avvolta in nulla più che un
asciugamano. Le sue pupille scorsero lente lungo la sua figura minuta,
accompagnando l’impercettibile carezza con la punta del coltello. L’estremità
del metallo, ormai calda del suo tepore corporeo, segnò una linea dritta dalla
gola in giù, sbattendo contro la spugna in cui era avvolta.
Cara respirò a pieni
polmoni, notando che gli occhi di lui non la stavano più fissando. Seguì il suo
sguardo e sentì presto la lama toccarla di nuovo, stavolta in gola e poi più
giù, scorrendo sopra il tessuto e lo sterno, nello spazio tra i seni, lungo la
linea dell’aorta addominale. Un nuovo sospiro, più simile ad un gemito, sfuggì
alle sue labbra. Sotto quell’asciugamano era nuda, completamente nuda e lui,
ancora una volta, la stava guardando come fosse una torta di mele calda, come
se non vedesse l’ora di addentarla.
Smise di muoversi, Cara
riportò immediatamente l’attenzione al suo viso.
“Convincimi.”
Chiese. Lei deglutì cercando
di capire.
“Convincimi a non
ucciderti.”
Precisò, la voce bassa e
vibrante, la richiesta quasi sussurrata. Cara colse un nuovo luccichio negli
occhi dell’assassino, impossibile ignorare il modo in cui il suo sguardo le si
spalmava addosso, difficile far finta che non ci fosse qualcosa di
incredibilmente seducente in ogni sua mossa. Cara comprese di colpo come doveva
essersi sentita Cappuccetto Rosso nel bosco con il lupo, perfettamente
consapevole che lui l’avrebbe divorata, ma incapace di resistere al suo invito.
Lei se ne stava lì, persa nello stesso medesimo dilemma, spaventata fino al
midollo, ma attratta dalla sua sfida come un’ape dal miele. Convincimi a non ucciderti.
Cara abbassò il viso
bagnandosi le labbra, il suo pugnale si era fermato proprio sotto l’ombelico,
la punta rivolta verso quello che sembrava essere il reale desiderio
dell’assassino. Inspirò ancora una volta sentendo un brivido correrle lungo la
schiena. Si era persa nel bosco ed ora il suo lupo chiedeva pegno in cambio di
una via d’uscita. Sollevò il mento per guardarlo dritto negli occhi
“Ti prego…”
Iniziò in un filo di voce
“…Ti prego non uccidermi.”
Joseph rimase saldo nella
sua posizione, sollevando appena un sopracciglio. Il suo sussurro tremolava,
tuttavia il tono era deciso. La ragazzina non voleva morire. Staccò il coltello
dal suo corpo e distese il braccio, lei era bella, troppo bella, con le guance
infiammate da una sorta d’imbarazzo e la presunzione di sembrare più coraggiosa
di quanto non fosse.
“Convincimi.”
Insistette. Joseph strinse
la presa attorno al coltello ancora una volta, stavolta per cercare di
contenersi, e non dal pugnalarla. Cara raddrizzò la schiena e si fece più
vicina, il respiro le tremava tra le labbra e le sue mani sembravano bollenti.
Le sollevò lente, chiudendo gli occhi per un secondo, cercando di arrivare a
lui nel tempo più lungo possibile. Gli toccò il viso, sentendo sotto le dita
l’ispido della sua barba. L’assassino sussultò al contatto
“Ti supplico…”
Ripeté. Gli era
pericolosamente vicino, ormai riusciva a sentire il calore del suo corpo e
quello del suo respiro.
“…Farò tutto quello che
vuoi… Non uccidermi.”
Joseph sentì tutto il sangue
arrivargli nei pantaloni, ormai l’idea di ucciderla era lontana mille miglia.
Le sue piccole fragili dita lo stavano toccando, inaspettatamente calde. La sua
voce lo stava pregando, dolce come lo zucchero, disperata come il canto di un
uccello in gabbia. Non poteva più resistere.
“Non è quello che voglio
farti.”
Rispose chiudendo lo spazio.
La sua bocca si lanciò contro quella di Cara in un bacio tutt’altro che
delicato, lei rischiò di perdere l’equilibrio, ma Joseph la trattenne premendo
il suo corpo contro il proprio. Ancor prima che potesse reagire, Cara sentì la
lingua dell’assassino spingersi tra le sue labbra cercando accesso, nel suo
respiro sapore di menta, fumo e metallo. Lo sentì emettere una specie di
lamento e ben presto si sentì afferrata con forza per i capelli, costretta a
sollevare il viso ed aprire la bocca. Nemmeno un istante ed ebbe coscienza che
la lingua di Joseph stava danzando con la sua, mischiando saliva e sospiri.
Cara si rese conto troppo
tardi che stava rispondendo al bacio, solamente dopo aver avvertito
un’inaspettata fitta al basso ventre, lì dove non avrebbe mai dovuto. Gli passò
le dita tra i capelli stringendo all’altezza della nuca, l’altra mano premuta
contro il suo torace, provando con tutte le forze a spingerlo via.
Joseph si sentì esplodere di
aggressiva lussuria non appena le sue labbra l’avevano toccata. Erano carnose,
morbide e sapevano ancora di sale. La voleva, la voleva in quel momento più di
ogni altra cosa, ma non poteva permettersi di perdere il controllo, non con un
ostaggio pronto a tutto per sopravvivere. Sentì la mano di Cara poggiarsi sul
suo petto e si staccò dal bacio, ancor più eccitato all’idea di riprendere il
potere. Scosse piano il capo afferrandola per i polsi, tenendoli entrambi serrati
in una sola mano, mentre l’altra stringeva ancora il coltello. Passò la lama
un’ultima volta sulle sue labbra, gonfie ed arrossate per il loro bacio
violento, poi la gettò via in un angolo. Ormai non gli serviva più, avrebbe
usato ben altre armi per rimettere la signorina al proprio posto.
Ancora bloccata, Cara lo
sentì avvicinarsi e lasciare una scia di baci bagnati lungo il collo e la curva
della spalla, la mano libera pronta a farsi strada dalla coscia in su. Strinse
il labbro tra i denti, anticipando la sensazione delle sue dita tra le gambe.
Era sbagliato, tremendamente sbagliato, ma non riusciva più a controllare gli
spasmi del suo corpo. La realtà se ne stava lentamente andando, al suo posto la
fantasia erotica più perversa, la scena di un film che, sperò, fosse proiettata
solo nella sua testa.
Joseph le sollevò i polsi
sopra la testa e la baciò di nuovo, cercando di esplorare ogni angolo della sua
bocca, quasi fino a toglierle il respiro. L’altra mano era ferma sulla coscia
della ragazza e lui determinato a non renderle le cose troppo semplici. Il modo
in cui Cara aveva schiuso le gambe, probabilmente senza neanche accorgersene,
era un chiaro segno della sua eccitazione. La ragazzina voleva essere toccata, oh
sì… Solo che, Joseph sorrise tra sé e sé, la ragazzina non aveva ancora pregato
abbastanza.
“Vuoi che ti tocchi, non è
vero?”
Sussurrò nel suo orecchio.
Cara si irrigidì al suono compiaciuto della sua voce, tese le braccia e cercò
di scuotere la testa. Era inammissibile. inammissibile desiderare il proprio
aguzzino, inammissibile che lui se ne accorgesse.
“No.”
Rispose, cercando di suonare
decisa nonostante la voce bassa. Lui le sfiorò l’orecchio con le labbra.
“Ricordi? Riesco a capire
quando stai mentendo.”
Bisbigliando le parole
lasciò scivolare le dita sotto l’asciugamano e Cara si tese come una corda
contro di lui. La mano continuò lenta la sua risalita, trovando la propria
strada tra le cosce, adesso serrate, della ragazza. Non stava cercando di
forzare una via, stava sapientemente accarezzando la sua pelle, pregustando il
calore che riusciva già a percepire, aspettando che fosse lei a cedere e spalancare
le gambe per lui.
“Dillo.”
Ordinò, usando la lingua
contro il lobo del suo orecchio. Cara chiuse gli occhi, cercando disperatamente
di non reagire a quel piccolo gesto. Poteva sentire le gambe tremare, non più
sicura se fosse per paura o desiderio. La situazione era surreale,
sconvolgente… Lui era sconvolgente, in ogni suo piccolo movimento, in ogni
sillaba pronunciata… Lo stomaco le si annodò al solo pensiero di ammettere
quell’inaccettabile voglia, un misto di vergogna, incredulità e repulsione.
“Dillo.”
Chiese di nuovo. Cara provò
a pensare razionalmente per almeno un secondo. Stava cercando di salvarsi la
vita e quello, in fondo, era solo un modo come un altro per sopravvivere..
Giusto?
“S..sì.”
Joseph riuscì a malapena a sentirla,
ma era certo di aver capito. Riportò la faccia davanti a quella di Cara,
prendendole il viso nella mano, stringendo quel poco che bastava per catturare
la sua completa attenzione.
“Dillo come si deve.”
Scandì. Ed eccola di nuovo,
la sua espressione seria, quasi sadica. Questa volta Cara si sentì come una
scolaretta che ha sbagliato il compito di grammatica, pronta ad essere
bacchettata dal maestro cattivo.
“To..Toccami.”
Disse, incapace di guardarlo
negli occhi mentre glielo chiedeva. Le sue guance erano in fiamme.
“Ah. Ah. Ah…”
Obiettò lui, accompagnando
le parole con la testa.
“…Hai dimenticato qualcosa.”
Quella era l’ultima,
l’ultima goccia del suo autocontrollo. Il gioco era divertente, ma Joseph non
sarebbe riuscito ad aspettare un secondo di più.
Cara inspirò a fatica. Era
troppo, davvero troppo. Si ritrovò, quasi quanto l’assassino, a desiderare che
quella tortura finisse e che lui prendesse finalmente ciò che tanto voleva.
“…Ti prego.”
Sussurrò guardando a terra,
immaginando sul suo viso un grosso sorriso soddisfatto. Joseph la strinse,
poggiando la testa nell’incavo del suo collo, lì dove riusciva a sentire il
battito accelerato del suo cuore, lì dove nessun sospiro o gemito sarebbe
potuto sfuggire alle sue orecchie. Poggiando un ginocchio sul letto lo spinse
con decisione tra le gambe della ragazza per obbligarla ad aprirle, la sua mano
immediatamente pronta a farsi strada verso la meta.
Cara chiuse gli occhi
aspettando il contatto, ormai totalmente spogliata del suo falso coraggio e
della sua morale. Lui però non la toccò, bensì la spinse giù con forza,
lasciandola cadere di schiena sulle lenzuola sgualcite. Scomposta, agitata e
tremante, era l’immagine più invitante su cui mai avesse poggiato gli occhi.
Ogni donna della sua vita era stata una conquista facile, senza sforzi o attese,
ogni amante pronta e disponibile, ognuna di loro disposta a soddisfare le
richieste più scellerate per poi sparire, senza rimorsi o sprazzi di dignità.
Ed eccola lì invece, la
ragazzina dell’aereo, incerta, spaventata, accaldata, in attesa come una vergine
la sua prima notte di nozze. Joseph rimase immobile in piedi davanti a lei, gli
occhi incollati nei suoi, la voglia di esplodere sotto i vestiti. Non riusciva
a muoversi, totalmente perso in quel momento di perfezione, l’attimo in cui sai
di aver vinto e puoi già pregustare il sapore della vittoria. Il premio gli
stava di fronte e lui avrebbe assaporato ogni secondo prima di stringerlo tra
le mani.
Cara sentì i suoi muscoli
perdere forza, come se gli occhi dell’assassino la stessero lentamente consumando.
Nessun uomo l’aveva mai guardata in quel modo.. Dio mio.. Sembrava davvero
volesse mangiarla. Ed una parte di lei, una minuscola parte di lei, sorrise in
un angolo buio della sua mente.
Joseph sospirò un’ultima
volta prima di avvicinarsi, poggiando le mani sulle ginocchia della ragazza,
sollevando il tessuto mentre le accarezzava la pelle. Prese a sbottonarsi i
pantaloni, deciso ad interrompere il più presto possibile quella specie di
incantesimo, sicuro che una volta svuotato, ogni sorta d’emozione che quella
ragazzina suscitava in lui sarebbe sparita.
Si spinse tra le sue gambe,
pronto a liberarsi dell’asciugamano, pronto a scaricare su di lei tutta la
tensione degli ultimi giorni, in qualche modo determinato a punire anche la
ragazza per il suo arresto, per l’aereo, per quella stupida scelta, per la sua
vita. Per tutta la sua vita.
Al suono improvviso di passi
sul ponte Joseph si bloccò immantinente. Premendo una mano sulla bocca di Cara,
affinché non avesse la brillante idea di urlare, tese le orecchie verso il
rumore e nel giro di pochi secondi riconobbe il peso ed il ritmo di quei piedi.
Cara lo sentì imprecare il suo disappunto tra i denti e tirarsi su
“Non provare ad urlare. Nessuno
è venuto a salvarti, è solo mio fratello.”
Lei si tirò su in un
secondo, memore di ciò che lui le aveva detto in precedenza. I suoi fratelli
non sarebbero stati contenti di trovarla lì anzi, si sarebbero subito liberati
di lei. Prese a guardarsi attorno nervosamente, senza capire se fosse più
delusa o sollevata per l’interruzione. Se avesse fatto l’amore con l’assassino,
forse poi, lui si sarebbe sentito in colpa ad ucciderla. Ragionamento idiota.
Gli assassini non hanno sensi di colpa.
Joseph sospirò ancora una
volta, avvicinandosi ad un cassettone nell’angolo opposto. Ne tirò fuori un
ammasso stropicciato di tessuti e colori.
“Tieni. Mettiti qualcosa. E
resta qui.”
Ordinò senza darle troppa
attenzione, come se avesse completamente dimenticato la sua presenza. Del resto
altri pensieri occupavano ora la sua mente, primo fra tutti cosa fare del suo
ostaggio. Conoscendo Nathaniel, non l’aspettava nulla di buono.
“Aspetta!”
Cara cercò di bloccarlo
prima che sparisse, Joseph inchiodò e sbuffò rivolgendole un’occhiata
impaziente. Lei sollevò le spalle per un istante, anche se lui sembrava aver
rimosso tutto al volo, lei non riusciva ancora a togliersi dalla testa ciò che
stava per fare, rendendosi conto, all’improvviso, di non sapere neppure con chi
stesse per farlo.
“Non so nemmeno come ti
chiami.”
Precisò a bassa voce, lasciando
la domanda implicita. Joseph le rivolse finalmente attenzione, sentendo nel
petto il peso del proprio nome, pieno d’orgoglio come ogni singola volta che
gli veniva offerta l’opportunità di pronunciarlo. Non era per vanità, ma per
rispetto, sempre e comunque fiero di portare
quel cognome.
“Joseph. Il mio nome è
Joseph Michaelson.”
Disse con un lampo negli
occhi, sparendo subito dopo. Buona cosa, pensò Cara. Se fosse rimasto lì
l’avrebbe vista tremare, se fosse rimasto lì avrebbe senz’altro colto l’ombra
di una smorfia di disgusto sul suo viso, l’inevitabile contrazione al suono di
quelle parole.
////////
Nathaniel. Saliti i pochi
scalini lo vide di spalle, i capelli scuri mossi dal vento e le mani poggiate
sui fianchi. Anche guardandolo da dietro riusciva a vedere il suo perenne
sorriso compiaciuto. Lui si voltò quasi immediatamente, come previsto due
lunghe file di denti bianchi riflettevano la luce della luna sul suo viso da
bambino.
“Fratello!”
Esclamò con entusiasmo
allargando le braccia, quasi si aspettasse un caldo abbraccio di benvenuto. La
sua voce squillante, ancora forte di accento inglese, riecheggiò in mare
aperto. Joseph digrignò i denti afferrandolo per il colletto della camicia e
sbattendolo forte contro la cabina di pilotaggio.
“Stupido idiota! Ti avevo
chiesto solo una cosa, una soltanto! Tutto quello che dovevi fare era essere
puntuale!”
Nathaniel non smise di
sorridere, sforzandosi di aggrottare le sopracciglia
“Sono stato puntuale! Voglio
dire, lo sarei stato.. Ero già praticamente per strada quando..”
“Quando cosa Nate?”
“Pushkin.”
Fu come se un’incudine da
mezza tonnellata fosse piombata tra loro.
“Vladimijr Pushkin?”
“Il solo ed unico! Me lo
sono trovato di fronte mentre uscivo dal bar per venire a prenderti…”
Joseph mollò la presa sul
fratello e Nathaniel si ricompose immediatamente
“…Inutile dirti che ho
dovuto sprecare il mio prezioso tempo per ripetergli, ancora una volta, che non
abbiamo idea di dove sia finita quella cagna di sua figlia.”
Quello era ovviamente un
eufemismo. Erano stati necessari cinque uomini, due pistole, nonché una spranga
di ferro affinché il russo ed il suo entourage mollassero la presa.
Joseph si passò una mano
sulla faccia, senza alcun bisogno di pronunciare quel nome ad alta voce. Katrina.
Katrina Pushkina. L’unico grande errore di Elia. Il peggiore. La donna in
questione era effettivamente la moglie di suo fratello, se non altro
legalmente. Il loro matrimonio era stato pianificato da suo padre e Pushkin
come una qualsiasi altra transazione di lavoro, il modo perfetto per siglare
un’alleanza tra famiglie in vecchio stile regency. Purtroppo però, Elia non era
riuscito a trattenersi, si era innamorato della ragazza, sia stato per i suoi
grandi occhi scuri o per la crudeltà pura celata dietro il viso d’angelo. Ad
ogni modo la stronza aveva deciso di sparire due anni prima, fuggendo nel cuore
della notte, senza lasciarsi tracce dietro. Joseph era convinto che suo
fratello sapesse più di quanto non volesse ammettere riguardo le ragioni di Katrina,
tuttavia lei non sembrava voler essere trovata e alla fine tutti loro avevano
smesso di cercare. Tutti eccetto Vladimijr. Quell’uomo era davvero una spina
nel fianco.
“Come faceva a sapere che
eravamo a Johannesburg?”
Nathaniel sollevò le spalle
“Non ne ho idea. Suppongo
che ci spii ancora.”
Joseph afferrò il suo stesso
mento come se avesse bisogno di riflettere
“Ed io suppongo che ci sia
lui dietro il repentino arrivo degli sbirri.”
Sentì le mani stringersi in
due pugni chiusi. Maledetto il giorno in cui quell’arpia sovietica aveva
varcato la soglia della loro casa.
Nathaniel sospirò
rumorosamente passando le dita tra i capelli
“Beh…Visto che siamo in
tema, Elia ci aspetta!”
Esclamò trillando come un
ragazzino, entusiasta al pensiero di passare finalmente un po’ di tempo con i suoi
fratelli maggiori. Pur sembrando strafottente e vanesio la maggior parte del
tempo, aveva davvero un gran senso della famiglia, esattamente come ogni altro
Michaelson.
“Lui dov’è?”
“Comodamente seduto in
elicottero, sulla spiaggia di una deliziosa isoletta deserta qui vicino.”
Joseph sospirò, sentendo lo
stomaco smettere di contorcersi per un po’. Aveva bisogno di rivedere Elia, una
grossa dose della sua imperturbabilità gli avrebbe davvero fatto comodo.
///////
Cara frugò tra gli stracci
che aveva in mano, individuando una specie di prendisole bordeaux ed un bikini
nero. Non esattamente i suoi colori, ma in mancanza di una boutique e di
biancheria intima pulita, sarebbero andati più che bene. Portò i vestiti al naso e riconobbe profumo di
crema solare e cocco. Odoravano di vacanze, pensò, come se fossero stati
indossati durante un romantico viaggio alle Hawaii. Iniziò a pensare alla donna
cui potessero appartenere e lentamente unì i pezzi del puzzle, sommando
quell’odore e quei vestiti ai cosmetici che aveva intravisto nel bagno. La
barca doveva appartenere a qualcuno, qualcuno che senza dubbio non era Joseph
Michaelson. Lentamente, ma chiaramente, iniziò a tracciare le possibili
conclusioni, trovando risposta ai suoi precedenti interrogativi. L’assassino
aveva rubato la barca, togliendo di mezzo i legittimi proprietari. Dopodiché
aveva navigato il più lontano possibile dal punto d’impatto dell’aereo. O forse
i suoi fratelli l’avevano presa per lui, lasciandola a portata di mano dopo il
volo in paracadute. Senza dubbio qualcuno ci aveva rimesso la vita.
Il suono distante di una
risata mascolina la riportò alla realtà. Cara sospirò ficcandosi velocemente
costume ed abitino, poi tese le orecchie al piano di sopra. Non riusciva a
cogliere le parole precise, ma si trattava senza dubbio di una chiacchierata
amichevole. Quello sarebbe stato il momento migliore per tentare una nuova fuga.
Peccato che tutt’intorno ci fosse solo acqua e lei non avesse la minima possibilità
di riuscire a nuotare per miglia fino alla terra ferma. Ascoltò ancora una
risata e si decise a muoversi, cercando di spiare il nuovo venuto. Suonava
contento dopotutto, forse non l’avrebbe uccisa seduta stante.
Presa dall’urgenza di capire
almeno che faccia avesse, Cara cercò di sbirciare senza far rumore, sollevando
la testa al di sopra della scaletta. Sembrava solo un ragazzo, notò, più
giovane del “suo assassino” e dai tratti diametralmente opposti. Capelli scuri
e lisci, occhi castani dal taglio vagamente orientale, pelle rasata, tratti
delicati, non fosse stato per le folte sopracciglia ed il sorriso beffardo.
Il ragazzo colse la sua
presenza quasi immediatamente, interrompendo l’ultima frase a metà e
piantandole gli occhi addosso come macigni. Quello non era certo lo sguardo di
un ragazzino innocente.
Nathaniel sollevò le ciglia
senza distogliere l’attenzione da Cara
“Oh Oh Oh!”
Esclamò, come una specie di
raccapricciante Santa Klaus. I suoi piedi si mossero verso la scala, i passi
intervallati da sguardi divertiti ed ammiccanti verso il fratello.
“Cosa abbiamo qui?”
Afferrò la ragazza per il
vestito e la costrinse e venir su per gli scalini. Esaminò Cara dalla testa ai
piedi per poi rivolgersi a Joseph con un gran sorriso
“Hai preso un souvenir?”
Lui restò serio, cercando di
ignorare l’estremamente fastidiosa consapevolezza che la ragazzina aveva
ignorato i suoi ordini, ancora una volta. Doveva restarsene sotto fino al suo
ritorno. E lui avrebbe fatto meglio a legarla.
Nathaniel sollevò le mani
incapace di togliersi l’espressione compiaciuta dalla faccia
“Tranquillo fratello, non
sto giudicando! Lo so che un uomo ha bisogno di tenere le mani occupate in
certe situazioni.”
Il suo tono si era fatto
allusivo, tornando a guardare la ragazza. Cara trattenne il respiro sentendosi
scrutata come sotto ai raggi x. Quella era di certo un’abilità che i Michaelson
avevano in comune, ciononostante lo sguardo del più giovane era forse ancor più
inquietante. E perverso.
Lui si avvicinò, passandole
due dita tra i capelli, portandosi una ciocca al naso. Inspirò profondamente.
“Ha un buon odore.”
Commentò, rivolto al
fratello come se lei non ci fosse nemmeno. Cara strinse le labbra e cercò di
divincolarsi dalla sua presa.
“E non l’hai ancora domata a
quanto vedo.”
Nate ridacchiò al suo
tentativo, afferrandola con forza all’altezza del braccio. Serrò la presa e la
strattonò verso di sé
“Sta’ buona dolcezza.”
Ordinò, serio di colpo.
Cara sgranò gli occhi
avvertendo la sua mano addosso e le dita che giocherellavano col laccetto del
suo bikini.
“Ora basta.”
Joseph si decise finalmente
a parlare. La vista di suo fratello minore spalmato addosso alla sua ragazza dell’aereo iniziava a dargli
la nausea. Nathaniel mollò la presa su Cara pur restandole accanto
“Oh Joseph…”
Sospirò
“…Sempre così restio a
condividere! Toglie punti al tuo fascino, sai?”
“Ho detto basta Nate.”
Il tono ancora fermo, gli
occhi puntati sul fratello come un’aquila. L’altro sollevò le mani
allontanandosi finalmente dalla ragazza
“Come vuoi…”
Sospirò, passando i palmi
sul colletto della camicia per accertarsi che il suo aspetto fosse ancora una
volta impeccabile
“…Ad ogni modo, cosa vuoi
farne di lei? Come stavo dicendo pocanzi Elia attende.”
Cara divenne di pietra. Il
momento era arrivato ed un sospiro le sfuggì dalle labbra. Un assassino
appassionato di coltelli ed il suo terrificante fratellino stavano decidendo
della sua vita, le sue chance di sopravvivere erano praticamente inesistenti.
Joseph però non lasciò
cadere quel suono ed il suo sguardo incontrò subito quello di lei. Era
stranamente difficoltoso, per una volta, riuscire a capire cosa stesse
pensando. Aveva paura, era evidente, ma una paura diversa… Come se l’dea di morire per mano di Nathaniel
fosse più spaventosa di qualsiasi morte lui potesse offrirle. Tutta la sua
attenzione era per lui, come se suo fratello fosse divenuto trasparente, i suoi
grandi occhi blu gli brillavano addosso e Joseph sentì finalmente il peso della
vita tra le mani. Cara stava aspettando, in religioso silenzio aspettava
qualcosa. L’assassino sbatté le palpebre più volte sperando che quell’immagine
in qualche modo sparisse.
“Se preferisci me ne occupo
io.”
Si offrì “gentilmente”
Nathaniel, pronto a tornare sui suoi passi con espressione del tutto ordinaria.
Joseph chiuse i pugni
“No.”
“Ok, pensaci tu allora.”
Mandò giù. Il sapore dolce
salmastro delle sue labbra ancora in bocca.
“Non la uccideremo.”
Sentenziò. Sia Nathaniel che
Cara gli puntarono gli occhi addosso come se avesse appena detto qualcosa di
assurdo.
“Non ancora almeno.”
Si sentì di precisare,
rivolgendosi esclusivamente a suo fratello
“Era sull’aereo. Sapeva chi
ero e perché mi trovavo lì.”
L’altro arricciò il naso
“Credi sia una spia? La spia
di Pushkin magari?”
Cara si morse il labbro per
non parlare. Non aveva idea del perché l’assassino stesse mentendo, o se
davvero fosse convinto di quello che stava dicendo, ma se ciò voleva dire restare
in vita ancora un giorno, certo non avrebbe commesso di nuovo l’errore di
proclamarsi del tutto innocente.
Joseph sollevò le spalle,
serio ed impassibile
“Non lo so ancora. La
ragazzina non è stata molto disponibile al dialogo, ma sono convinto che presto
canterà.”
Nathaniel non trattenne il
sorriso
“Conoscendo i tuoi modi
fratello, non ho dubbi!”
Digrignando i denti, prese a
sfregarsi le mani
“Bene…In tal caso prendi
pure il tuo nuovo cucciolo e andiamocene. Tutta questa umidità mi rovina i
capelli.”
Il più giovane saltò giù
dalla barca con agilità, senza nemmeno barcollare, mentre tornava alle redini
del motoscafo che l’aveva portato fin lì.
Cara e Joseph si guardarono
di nuovo senza dir nulla. Davvero credeva che fosse una spia? O aveva qualche
altra incomprensibile ragione per portarla con sé? Lui abbassò gli occhi per
primo, si stava chiedendo se non fosse meglio prendere le chiavi della barca e
mollarla lì. Non avrebbe avuto nulla da bere, e non mangiava già da due giorni,
forse sarebbe morta prima che quelli della guardia costiera si decidessero a
controllare come mai la barca degli Schultz non fosse rientrata in porto.
E se invece l’avessero
trovata prima? Per il resto del mondo Il Lupo era morto in quell’incidente
aereo ed è così che le cose dovevano restare, almeno per un po’. Si leccò le
labbra. Se l’avesse lasciata lì si sarebbe per sempre ricordata di lui come del
bastardo che l’aveva rapita, quasi violentata, e poi condannata ad una morte di
stenti. Sarebbe stato solo quel brutto ricordo per lei e, sicuramente, la
ragazzina avrebbe mosso mari e monti purché lo trovassero e ficcassero a vita
in una cella senza uscita.
Ma perché se ne stava
preoccupando? Poteva spararle, strangolarla, annegarla o tagliarle la gola in
qualsiasi momento. Tutto quello che doveva fare era scegliere un’opzione.
“Muoviti Joseph! Non abbiamo
tutta la notte!”
No. Non l’avevano. Dopo le
prime 24 ore dallo schianto probabilmente stavano allargando la zona di ricerca
e ben presto avrebbero notato la loro barca nella stessa medesima posizione.
Anche se i coniugi Schultz avevano lasciato il porto con le dovute
autorizzazioni ed il permesso di attraversare le acqua internazionali, ormai
sarebbero dovuti arrivare a Capo Verde già da un po’. Senza contare che Elia li avrebbe certamente
abbandonati tutti e due al loro triste destino se non fossero tornati nel tempo
stabilito.
Indicò al di là del
parapetto con un rapido cenno della mano.
“Avanti.”
Cara schiuse le labbra senza
emettere suoni. Avrebbe potuto chiedergli di lasciarla lì, ma a che scopo?
Guardò avanti a sé e strinse
il metallo tra le dita mentre scivolava sull’altra imbarcazione. Così vicina
all’acqua, completamente avvolta dall’oscurità e dai suoi rumori, strinse le
braccia al petto. Joseph le fu subito dietro, mollando poi la cima che teneva
lo scafo legato alla barca. Le si
sedette accanto, ma non la guardò più, per tutto il tempo di quel viaggio.