6.
Thousand
Fahrenheit hot metal lights
behind
your eyes
Passò
dunque un mese dalla caduta di Loki su Midgard, e due abbondanti da quando i
Vendicatori avevano fermato l’attacco dei chitauri a New York.
Non vi
furono grandi cambiamenti, ma alcune cose presero a muoversi. Erik Selvig e
Jane Foster risposero alla chiamata di Nick Fury, recandosi alla nuova base che
lo S.H.I.E.L.D. aveva costituito dopo la distruzione della precedente a causa
del Tesseract, e aiutarono gli agenti a indagare sui recenti fenomeni. L’idea
originaria era quella di scoprire se il picco di elettromagnetismo registrato
nelle campagne di Boston nascondesse qualcosa di più, e questo fecero finché
non scoprirono che i macchinari stavano rilevando altre lievi e anomale
attività nell’atmosfera terrestre: non riuscirono a individuare precisi punti
d’origine e fu loro difficile anche solo ipotizzare di cosa potesse trattarsi.
I valori erano in media simili a quelli di Boston e, per l’accelerazione del
battito cardiaco di Jane, a quelli raccolti durante la prima venuta del potente
Thor – eppure questo non li aiutò minimamente.
Anthony
Stark ricevette l’allerta del direttore di notte, e poiché era intento ad
amoreggiare con l’adorata Pepper la faccenda lo annoiò non poco. Ma aveva un
impegno da mantenere nei confronti di Fury e della sua organizzazione e si
dichiarò a disposizione.
Nel
frattempo, a molte miglia di distanza il Dio degli Inganni e la flautista di
Galway seguitavano nella loro assurda convivenza, abituandosi sempre di più alla
reciproca presenza. Più che abituarsi, anzi, si può dire che iniziavano a
trarne un certo piacere, sebbene Loki ritenesse che da troppo ormai si trovava
in quella situazione senza che una virgola fosse mutata. Odino rimaneva silente
e Asgard lontana anni luce, così come i suoi divini poteri, e da umano era
assai improbabile riuscire a sottomettere altri umani. Lo aveva imparato
osservando e ascoltando dall’interno, in quei giorni, e facendo parlare
l’irlandese: quando i midgardiani intendevano conquistare i propri simili
mettevano in piedi eserciti, colpi di stato, rivoluzioni, e nessuno era mai
arrivato a governare il pianeta per intero. Alcuni ci erano andati vicino, a
sentire Erin, come gli imperatori di Roma, ma neppure loro avevano ottenuto
quel che lui voleva ottenere. Perciò gli serviva la sua originaria natura per
compiere l’impresa, per quanto avesse per un breve periodo sperato di iniziarla
in condizione mortale.
A tale
impazienza si aggiungevano le sensazioni fisiche che la vicinanza di lei continuava
a provocargli: non gli dispiacevano affatto, e tuttavia le riteneva un
ulteriore sintomo di terrena debolezza. Era convinto che col tornare in sé
anche quelle sarebbero passate.
Da parte
sua Erin sembrava non essersi accorta degli sguardi che l’asgardiano aveva
preso a lanciarle, ma il calore del loro primo contatto le era rimasto in
circolo nel sangue come una droga e faceva sì che tra i due spesso fluisse una
sorta di morbida elettricità.
Morbida
era pure la stagione, che piano piano scivolava verso l’estate, e presto giunse
il giorno del concerto che la Boston Philharmonic Orchestra avrebbe tenuto alla Boston
Symphony Hall. Era un concerto non troppo impegnativo ma di grande effetto, ed
Erin arrivò al mattino del giorno fatidico con addosso una notevole
fibrillazione: Loki la vide ballettare per tutto l’appartamento canticchiando
una delle melodie che suonava col flauto d’argento quando studiava, un sorriso
ebete dipinto sulle belle labbra, e pensò che da ebbra e da felice si mostrava
in tutta la sua sciocca e attraente umanità.
Dopo un
pranzo veloce l’irlandese si recò al teatro per un’ultima prova in vista della
serata, e quando tornò aveva in mano un sacchetto di carta e una busta bianca e
le brillavano gli occhi.
«Posso
farti una proposta?» esordì Erin all’indirizzo del dio caduto.
Questi,
che si trovava alla finestra e osservava la strada sottostante, la guardò
scettico:
«Che
genere di proposta, donna d’Irlanda?»
Lei gli
porse la busta bianca e sorrise: «Per il concerto di stasera hanno dato un
invito a ciascun orchestrale. Questo è il mio, e vorrei che lo usassi tu.»
disse.
Loki le
si avvicinò: «Vuoi che assista al tuo concerto? Perché?»
Erin
arrossì appena: «Primo, non ho altri a cui dare l’invito, visto che tutti i
miei amici sono con me in orchestra e che la mia famiglia vive a Galway. Secondo, puoi uscire di casa e studiare
noi mortali da vicino. Terzo, credo che la nostra musica ti piacerebbe, e a me
piacerebbe che tu venissi.»
Lui
sogghignò a quell’ultima affermazione: «Parli sul serio, Erin Anwar?» la
provocò.
«Io parlo
sempre sul serio!» esclamò la musicista, contenta che l’avesse chiamata per
nome.
«Allora
accetto la tua gentile offerta.» decretò il dio prendendo la busta con
l’invito.
«Basta
che tu presenti il cartoncino alla biglietteria e ti faranno entrare con tutti
gli onori.» spiegò Erin: «Non avrai bisogno di bastoni magici o minacce, ma
in compenso mi sono presa la libertà di pensare che ti servirà questo.», e tirò fuori dal sacchetto un
completo maschile verde scuro e una camicia bianca, ben piegati e sistemati su
un paio di grucce.
Il ghigno
garbato di Loki si allargò: «Somigliano agli abiti umani che ho sfoggiato a
Stoccarda. Hai dunque apprezzato così tanto il mio sembiante di allora, donna
d’Irlanda?»
Il
rossore sulle guance di lei s’intensificò: «Sì, l’ho apprezzato da morire.»
ammise.
Poi batté
in rapida ritirata verso camera propria e lasciò l’asgardiano di fronte alle
finestre infuocate dal tramonto imminente, a riflettere su quanto gli piaceva
la sua schiettezza. Forse era strano, per il Dio degli Inganni, apprezzare in
qualcuno la sincerità al posto della furbizia e della capacità di persuasione,
ma in Erin Anwar cominciava ad apprezzare qualunque cosa, specialmente se
diretta a lui. Forse avrebbe dovuto preoccuparsene, ma non lo fece e non se ne
pentì, e soppesando la notevole qualità dei nuovi indumenti andò nella stanza
degli ospiti a prepararsi a sua volta.
Erin si
rimirò soddisfatta nello specchio verticale che campeggiava vicino al suo
letto: la stoffa nera e frusciante dell’abito da sera la avvolgeva alla
perfezione, e la parure d’oro bianco le sottolineava la linea del collo e dei
polsi, brillando al di sotto dei capelli sapientemente raccolti. Si passò
l’ultima mano di eye-liner sugli occhi e prese la borsa contenente il suo flauto
più prezioso dall’armadio, muovendosi a proprio agio sulle elegantissime scarpe
dal tacco alto e sottile. Era bella oltre ogni dire e sapeva di esserlo, e
spense la luce uscendo dalla stanza con un’aggraziata giravolta. Non era però preparata
a ciò che la attendeva nel soggiorno: il Dio degli Inganni era già pronto e se
ne stava in piedi vicino alla libreria con espressione distaccata, alto e
splendido nel completo di velluto leggero verde scuro che lei aveva scelto. Il
taglio sartoriale della giacca metteva in risalto le sue spalle ampie e dritte,
e così faceva la cravatta allentata col suo collo magro. L’irlandese
deglutì a vuoto e azzardò un sorriso.
Loki
stesso non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, poiché il vestito le
sottolineava la scollatura e le belle gambe e l’intera sua
figura riluceva come bagnata da miriadi di stelle, e la sua postura
era quella di una regina.
«Possiamo andare?» le domandò con voce arrochita dalla sorpresa.
«Possiamo andare.» gli fece eco lei senza smettere di sorridere.
«Questa
notte sarai la mia guida, Erin Anwar.» disse l’asgardiano, e le offrì il
braccio.
Uscirono
così dal condominio, regali e fieri, e la giovane chiamò un taxi con un gesto
imperioso. Arrivarono alla Boston Symphony Hall in perfetto orario: Erin guidò
il dio alla biglietteria e quivi lo salutò, promettendo che sarebbe passata a
salutarlo durante l’intervallo. Quando fu scomparsa nei corridoi che
conducevano ai camerini degli artisti, Loki si godette le occhiate ammirate e
stupite che i midgardiani presenti nel salone d’ingresso del teatro gli
lanciavano e il fatto di svettare su gran parte di essi nonostante l’assenza
di poteri e di propositi crudeli. La donna che controllò il suo invito lo
squadrò con malcelato interesse e gli sfiorò di proposito le dita nel porgergli
il programma del concerto, ma lui ritenne che non meritasse neppure metà
dell’attenzione che invece serbava per l’irlandese.
Si
accomodò allora nella sala principale del teatro, su una delle piccole poltrone
color sangue che la riempivano: sul fondo campeggiava un palco sopraelevato
fatto di legno chiaro e stucchi, colmo di sedie disposte a semicerchio e di
alcuni grandi strumenti musicali già pronti per essere suonati. L’aria era
leggera e profumata nonostante l’ambiente chiuso, e gli umani che sedettero
intorno a lui indossavano indumenti eleganti e piacevoli alla vista, come alla
serata di gala di Stoccarda. Ciò lo mise a proprio agio, giacché
quell’estetica non si distaccava troppo dalle feste scintillanti e misurate che
si tenevano nel palazzo di Odino.
Mentre le
molte luci del teatro lampeggiavano a intervalli regolari, annunciando l’imminente inizio dello spettacolo, Loki lesse rapidamente il foglio che la
bigliettaia gli aveva consegnato: era un elenco non troppo lungo di nomi a lui
sconosciuti, tra cui parole in lingue bizzare come il Dies Irae di Giuseppe Verdi e l’Intermezzo
di Pietro Mascagni,
Poi tutto
fu buio, in sala, e nella pozza luminosa dei riflettori puntati sul proscenio i
musicisti della Boston Philharmonic Orchestra presero posto tra gli applausi del
pubblico; l’asgardiano non faticò a riconoscere l’irlandese, che coi capelli
color oro brunito e la figura flessuosa spiccava tra le altre donne come un
sole in una galassia, il flauto argenteo tra le mani. Lo teneva come avrebbe
forse tenuto una spada, e lui trovò la cosa fin troppo seducente.
Il
concerto cominciò e la potenza della musica colpì Loki dritto al petto con la
stessa forza di un’arma: il suono prodotto da quel vasto insieme di fiati, corde e percussioni non rassomigliava a niente che avesse udito prima d’allora,
ed era corposo e violento e meraviglioso e trovò che gli si addicesse. Gli orchestrali
seguivano il ritmo e ondeggiavano con i rispettivi strumenti come un esercito in
marcia, Erin pareva danzare da seduta e il Dio degli Inganni ne fu
irrimediabilmente ammaliato – non da lei soltanto ma da lei soprattutto, e non
perché voleva riconquistare così il favore del Padre degli Dei bensì perché
davvero la ammirava.
Il Dies Irae fu possente e trascinante, l’Intermezzo si rivelò un brano di estrema
e struggente bellezza e
La
ragazza di Galway mantenne la parola e comparve in platea subito dopo, ridente
e seguita a distanza da Sylvia. Volle sapere se Loki era soddisfatto della
capacità mortale di musicare e la sua risposta affermativa la rese felice.
Ebbe il suo bel daffare per convincere l’amica che l’uomo con cui conversava
non era lo stesso della Galleria Schäfer, però si divertì a lasciare che gli
altri compari e colleghi spettegolassero sul suo conto, per quella sera. E il
cuore le batteva forte e il respiro le si mozzava in gola, e sapeva
perfettamente che quella gioia e quell’eccitazione non erano dovute unicamente
all’ottima riuscita del concerto.
Il
secondo tempo fu dedicato alla Suite di
Sibelius, e fu un successo clamoroso: il pubblico ne salutò la conclusione
alzandosi in piedi e gridando ovazioni entusiaste all’indirizzo dei musicisti e
del direttore della BPO, e la sala si riempì di lampi di flash e scrosci di
applausi simili a pioggia battente. Erin rideva felice dietro il proprio
leggìo, e il suo sorriso incredibile era tutto per il dio nordico seduto al
centro della platea.
«Erinni,
noi andiamo a cena tutti insieme da qualche parte. Sei dei nostri?» la
apostrofò Owen quando furono finalmente dietro le quinte e poterono riporre gli
strumenti.
La
flautista nicchiò, incerta sul da farsi:
«Mi
piacerebbe, Owen, ma avrei un altro programma.»
«Il
cosiddetto “altro programma” sarebbe il bel tenebroso da cui sei corsa durante
l’intervallo?» indagò la collega che suonava l’ottavino, ammiccando, e Sylvia
si fece attenta.
«Maledetti impiccioni!» rise Erin: «Da me non saprete un bel niente.»
«Ah no?
Vorrà dire che lo chiederò direttamente a lui, così magari scoprirò anche se è
il tipo di Stoccarda.» disse la rossa Neu di rimando.
«Il tipo
di Stoccarda? Il supereroe con l’elmo cornuto?» s’intromise Francis con un
certo entusiasmo, e l’irlandese ci tenne a sottolineare che non era affatto uno
stupido supereroe.
«Allora
è lui veramente!» insistette Sylvia puntandole un dito contro.
«Ho
forse detto questo?» sogghignò Erin, e chiuse l’astuccio del flauto. «Andate,
abbuffatevi e sbronzatevi, amici miei, e divertitevi tanto quanto me!»
Gli altri
le fischiarono dietro mentre usciva dal camerino e le augurarono cose
innominabili e fantastiche da realizzare prima che giungesse l’alba, e lei volò
leggiadra fino al salone d’ingresso della Symphony Hall con la mente
concentrata solo sull’immagine di Loki che di nuovo la aspettava sulla soglia.
Gli annunciò che sarebbero andati a mangiare da qualche parte, loro due da
soli, e volle sapere cosa gli era parso sinora degli umani e del loro
comportamento; lui rispose che i terrestri erano scialbi e prevedibili come li
rammentava ma che quella sera non gl’interessava più di tanto studiare la loro
sciocca essenza. Il significato sottinteso di quella frase gonfiò enormemente
il cuore già entusiasta di Erin.
Si recarono a piedi fino a un locale rinomato e piuttosto antico di Boston, celebre per
l’ottima carne e per i gruppi musicali che sovente vi si esibivano. Camminarono
senza fretta per le strade affollate della città, e il loro incedere nobile e
sicuro fece sì che coloro che incrociavano lungo i marciapiedi si scostassero
per lasciarli passare, osservandoli con meraviglia e stupore, uomini o donne
che fossero. Loki colse il proprio riflesso e quello d’irlandese in una vetrina
oscurata e trovò che i loro sembianti fossero perfetti l’uno accanto all’altro:
assieme erano splendidi come due sovrani di divini natali su cui mai occhio
terreno si fosse posato, ed era bizzarro, dato che Erin Anwar di natali divini
certo non era.
Il
ristorante scelto dalla ragazza di Galway era un trionfo di legno lucido e
rossiccio e lumi soffusi ben distribuiti al suo interno, con vetrate che si
affacciavano sulla via e pochi fronzoli. Un cameriere li accolse con garbo e li
fece accomodare a un tavolo rotondo lasciando loro due menu e una carta dei
vini disponibili. Ordinarono una bistecca al sangue ciascuno e una bottiglia di
buon vino rosso, e nell’attesa che il cibo fosse loro servito riempirono i
propri bicchieri e presero a conversare senza impegno, guardandosi negli occhi.
«Talvolta non è così male essere umani.» commentò Erin d’un tratto.
«Talvolta.» precisò l’asgardiano, eppure il suo tono era leggero e più caldo
del normale.
Aveva
pensato di sfruttare quella cena improvvisata per concretizzare i propri obiettivi,
ma via via che il nettare d’uva gli bagnava la bocca e la carne tenera gli
riempiva lo stomaco Loki finì col dimenticarsi di quei piani e di quei
propositi d’inganno. L’irlandese parlava e lui non si tirava indietro, le dava
corda, godeva della sua bellezza così come del vino e se ne inebriava; lei non
si stancava di ammirarlo e di assorbire ogni singolo particolare delle sue
espressioni e dei suoi gesti, di quelle sue iridi di ghiaccio ardente e della
sua voce profonda. Le sembrava di essere immersa in una bolla dorata e tiepida,
e quando la band ospite della serata prese posto sul palco del locale,
lanciandosi in un moderato swing, quella sensazione sognante si
fece incredibilmente forte.
Chiese
con malizia al dio nordico di raccontarle delle dame che fino a quel momento
aveva conosciuto – non era forse definito una divinità lasciva, nelle leggende?
– e Loki si prese bonariamente gioco di lei senza mai risponderle davvero,
senza negare né confermare come già aveva fatto nei giorni precedenti.
Terminarono il cibo e vuotarono la bottiglia di vino, e ordinandone un’altra si
spostarono sui bassi divani che arredavano la zona riservata al palco e alla
piccola pista da ballo, nella sala posteriore del ristorante. I musicisti
proposero pezzi via via più rapidi e coinvolgenti, e quando la cantante intonò
il ritornello di un noto brano rockabilly Erin non seppe resistere e posando il
bicchiere si alzò per ballare.
L’asgardiano
trovava strano quel genere di musica, specie se confrontato con quella che
aveva ascoltato al concerto della Boston Philharmonic, con quei suoni più stridenti
e il ritmo più serrato, più irregolare, e nonostante tutto non gli dispiaceva.
Inoltre l’irlandese si muoveva dinanzi a lui in maniera quasi conturbante e si
divertiva, e sorridendo irriducibilmente lo invitava a seguirla in pista. Loki
bevve ancora il buon vino scuro e ancora la guardò, e infine si decise: balzò
in piedi e le afferrò una mano, assecondandone i movimenti senza dimenarsi
troppo a sua volta, ma Erin era trascinante e così la musica e ben presto si
ritrovarono pressoché abbracciati a danzare all’unisono. Ogni idea o strategia
di conquista, ogni tattica per avere il controllo sulla situazione e sull’altro
scomparvero dalle loro menti e il ricordo del primo contatto fisico che
avevano avuto vi si sostituì, e il desiderio dirompente che il Dio degli
Inganni reprimeva da giorni tornò alla ribalta con prepotenza.
Eppure anche
Erin lo provò, mentre la stretta di Loki intorno ai suoi fianchi si rafforzava,
e lo accolse come qualcosa di conosciuto e a lungo bramato. Magari non sarebbe stato niente,
e magari sarebbe stato tutto.
Le mani
dell’asgardiano le carezzarono lentamente la schiena, in su e in giù, e le dita
sottili della donna d’Irlanda gli scivolarono tra i capelli folti più e più
volte.
Loki la
strinse a sé e portandole una mano sulla nuca avvicinò il suo viso al proprio,
e per un attimo si fissarono attraverso le palpebre abbassate. Erin inghiottì
un grosso respiro, sentendosi affogare con gratitudine, e il dio caduto la
baciò.
La baciò
a lungo e intensamente e l’irlandese ricambiò quel bacio con gioia, e unirono
labbra e sospiri per un tempo che parve loro infinito.
Continuarono
a baciarsi uscendo dal locale e sul taxi che Erin fermò per tornare a casa.
Nelle
pause tra un bacio e l’altro si guardavano e sorridevano, maliziosi e affatto
turbati dal repentino cambiamento del loro rapporto fuori dal normale, e poi
riprendevano a baciarsi con foga, le mani che ormai vagavano libere chiedendo
qualcosa di più.
Entrarono
nell’appartamento avvinghiati, e mentre la ragazza di Galway lasciava cadere a
terra la borsa del flauto e calciava via le proprie scarpe, sfilando al
contempo la giacca dalle spalle del Dio degli Inganni, questi la spinse
sull’ampio divano del salotto e le fu sopra, e il resto dei loro abiti presto
raggiunse la borsa, la giacca e le scarpe sul pavimento.
Con
tocchi abili Loki blandì il corpo di Erin, sentendolo caldo e fremente sotto di
sé, ed Erin rispose con baci che bruciavano sulla pelle come scintille.
E quando
finalmente fu dentro di lei l’irlandese gli s’inarcò contro aggrappandosi alla
sua schiena e lo chiamò per nome, e di nuovo danzarono insieme seguendo un
ritmo noto a loro due soltanto e che trascendeva l’abisso di universi opposti
che sino ad allora li aveva separati. Quel ritmo crebbe e crebbe e simile a un’onda raggiunse i loro lombi in fiamme, e nell’istante in cui toccarono
l’apice Loki catturò la bocca di Erin in un bacio più profondo di tutti gli
altri.
A miglia di
distanza i tecnici dello S.H.I.E.L.D. osservarono nervosi i grafici sugli
schermi dei computer, certi che qualcosa di brutto stava accadendo nel buio del
cosmo – e nel buio del cosmo Thanos il Rosso scoppiò in una risata di pura e
maligna soddisfazione.
Ma il dio
caduto e la donna d’Irlanda nulla sospettarono e rimasero avvinti l’uno
all’altra su quel divano, consci solo del piacere immenso che si erano appena
procurati.
> Note a piè di
pagina
Aggiornare con un po’ di ritardo e a orari improbabili: pardon, è da due
settimane che son sempre a suonare!
Questo capitolo è piuttosto importante, perciò volevo ricontrollarlo con
calma. È veramente l’ultimo “introduttivo” e mediamente calmo, e come avrete
notato rappresenta un punto di svolta (o di non ritorno) per la relazione tra
Erin e Loki: perché, lasciatemelo dire, questi due fanno quello che vogliono –
e anch’io – ed essendo adulti e consenzienti e desiderandosi a vicenda non
aveva senso girarci attorno, né tenerli altri dieci capitoli a punzecchiarsi e
mordersi le mani. Inoltre il loro rapporto è sì fondamentale, ma altrettanto lo
è la storia che va dipanandosi e in cui tale rapporto andrà a inserirsi. Spero
di aver creato un’atmosfera sufficientemente intrigante intorno al suddetto
punto di svolta :)
Il Dies Irae è il secondo
movimento del Requiem di Giuseppe
Verdi, la Sicilienne
è il quarto della suite sinfonica Pelléas
et Mélisande di Gabriel Fauré e l’Intermezzo
fa parte della Cavalleria Rusticana
di Pietro Mascagni ed è uno dei brani più belli che mai siano stati scritti; anche
la Karelia Suite di Jean Sibelius, composta
da tre ‘tempi’, è strepitosa.
Rimanendo in tema musicale, il titolo del capitolo è tratto da Invincible degli Ok Go, una delle
canzoni portanti della storia; per la scena alla Boston Symphony Hall (teoricamente la “sede” della Boston Symphony Orchestra,
benché spesso vi si esibisca pure la Boston Philharmonic Orchestra) trovo
perfetto il dittico Instrumental I e Love of an orchestra dei Noah And The
Whale, mentre il brano rockabilly su cui Erin balla al ristorante potrebbe
essere Da doo ron ron delle Crystals. E dal bacio in poi, Trembling hands dei Temper Trap.
Io li amo, questi due. E voi? Ossequi asgardiani e alla prossima!