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Autore: Blackmoody    16/02/2013    4 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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6.

Thousand Fahrenheit hot metal lights

behind your eyes

 

 

 

 

 

 

Passò dunque un mese dalla caduta di Loki su Midgard, e due abbondanti da quando i Vendicatori avevano fermato l’attacco dei chitauri a New York.

Non vi furono grandi cambiamenti, ma alcune cose presero a muoversi. Erik Selvig e Jane Foster risposero alla chiamata di Nick Fury, recandosi alla nuova base che lo S.H.I.E.L.D. aveva costituito dopo la distruzione della precedente a causa del Tesseract, e aiutarono gli agenti a indagare sui recenti fenomeni. L’idea originaria era quella di scoprire se il picco di elettromagnetismo registrato nelle campagne di Boston nascondesse qualcosa di più, e questo fecero finché non scoprirono che i macchinari stavano rilevando altre lievi e anomale attività nell’atmosfera terrestre: non riuscirono a individuare precisi punti d’origine e fu loro difficile anche solo ipotizzare di cosa potesse trattarsi. I valori erano in media simili a quelli di Boston e, per l’accelerazione del battito cardiaco di Jane, a quelli raccolti durante la prima venuta del potente Thor – eppure questo non li aiutò minimamente.

Anthony Stark ricevette l’allerta del direttore di notte, e poiché era intento ad amoreggiare con l’adorata Pepper la faccenda lo annoiò non poco. Ma aveva un impegno da mantenere nei confronti di Fury e della sua organizzazione e si dichiarò a disposizione.

Nel frattempo, a molte miglia di distanza il Dio degli Inganni e la flautista di Galway seguitavano nella loro assurda convivenza, abituandosi sempre di più alla reciproca presenza. Più che abituarsi, anzi, si può dire che iniziavano a trarne un certo piacere, sebbene Loki ritenesse che da troppo ormai si trovava in quella situazione senza che una virgola fosse mutata. Odino rimaneva silente e Asgard lontana anni luce, così come i suoi divini poteri, e da umano era assai improbabile riuscire a sottomettere altri umani. Lo aveva imparato osservando e ascoltando dall’interno, in quei giorni, e facendo parlare l’irlandese: quando i midgardiani intendevano conquistare i propri simili mettevano in piedi eserciti, colpi di stato, rivoluzioni, e nessuno era mai arrivato a governare il pianeta per intero. Alcuni ci erano andati vicino, a sentire Erin, come gli imperatori di Roma, ma neppure loro avevano ottenuto quel che lui voleva ottenere. Perciò gli serviva la sua originaria natura per compiere l’impresa, per quanto avesse per un breve periodo sperato di iniziarla in condizione mortale.

A tale impazienza si aggiungevano le sensazioni fisiche che la vicinanza di lei continuava a provocargli: non gli dispiacevano affatto, e tuttavia le riteneva un ulteriore sintomo di terrena debolezza. Era convinto che col tornare in sé anche quelle sarebbero passate.

Da parte sua Erin sembrava non essersi accorta degli sguardi che l’asgardiano aveva preso a lanciarle, ma il calore del loro primo contatto le era rimasto in circolo nel sangue come una droga e faceva sì che tra i due spesso fluisse una sorta di morbida elettricità.

Morbida era pure la stagione, che piano piano scivolava verso l’estate, e presto giunse il giorno del concerto che la Boston Philharmonic Orchestra avrebbe tenuto alla Boston Symphony Hall. Era un concerto non troppo impegnativo ma di grande effetto, ed Erin arrivò al mattino del giorno fatidico con addosso una notevole fibrillazione: Loki la vide ballettare per tutto l’appartamento canticchiando una delle melodie che suonava col flauto d’argento quando studiava, un sorriso ebete dipinto sulle belle labbra, e pensò che da ebbra e da felice si mostrava in tutta la sua sciocca e attraente umanità.

Dopo un pranzo veloce l’irlandese si recò al teatro per un’ultima prova in vista della serata, e quando tornò aveva in mano un sacchetto di carta e una busta bianca e le brillavano gli occhi.

«Posso farti una proposta?» esordì Erin all’indirizzo del dio caduto.

Questi, che si trovava alla finestra e osservava la strada sottostante, la guardò scettico:

«Che genere di proposta, donna d’Irlanda?»

Lei gli porse la busta bianca e sorrise: «Per il concerto di stasera hanno dato un invito a ciascun orchestrale. Questo è il mio, e vorrei che lo usassi tu.» disse.

Loki le si avvicinò: «Vuoi che assista al tuo concerto? Perché?»

Erin arrossì appena: «Primo, non ho altri a cui dare l’invito, visto che tutti i miei amici sono con me in orchestra e che la mia famiglia vive a Galway. Secondo, puoi uscire di casa e studiare noi mortali da vicino. Terzo, credo che la nostra musica ti piacerebbe, e a me piacerebbe che tu venissi.»

Lui sogghignò a quell’ultima affermazione: «Parli sul serio, Erin Anwar?» la provocò.

«Io parlo sempre sul serio!» esclamò la musicista, contenta che l’avesse chiamata per nome.

«Allora accetto la tua gentile offerta.» decretò il dio prendendo la busta con l’invito.

«Basta che tu presenti il cartoncino alla biglietteria e ti faranno entrare con tutti gli onori.» spiegò Erin: «Non avrai bisogno di bastoni magici o minacce, ma in compenso mi sono presa la libertà di pensare che ti servirà questo.», e tirò fuori dal sacchetto un completo maschile verde scuro e una camicia bianca, ben piegati e sistemati su un paio di grucce.

Il ghigno garbato di Loki si allargò: «Somigliano agli abiti umani che ho sfoggiato a Stoccarda. Hai dunque apprezzato così tanto il mio sembiante di allora, donna d’Irlanda?»

Il rossore sulle guance di lei s’intensificò: «Sì, l’ho apprezzato da morire.» ammise.

Poi batté in rapida ritirata verso camera propria e lasciò l’asgardiano di fronte alle finestre infuocate dal tramonto imminente, a riflettere su quanto gli piaceva la sua schiettezza. Forse era strano, per il Dio degli Inganni, apprezzare in qualcuno la sincerità al posto della furbizia e della capacità di persuasione, ma in Erin Anwar cominciava ad apprezzare qualunque cosa, specialmente se diretta a lui. Forse avrebbe dovuto preoccuparsene, ma non lo fece e non se ne pentì, e soppesando la notevole qualità dei nuovi indumenti andò nella stanza degli ospiti a prepararsi a sua volta.

 

 

Erin si rimirò soddisfatta nello specchio verticale che campeggiava vicino al suo letto: la stoffa nera e frusciante dell’abito da sera la avvolgeva alla perfezione, e la parure d’oro bianco le sottolineava la linea del collo e dei polsi, brillando al di sotto dei capelli sapientemente raccolti. Si passò l’ultima mano di eye-liner sugli occhi e prese la borsa contenente il suo flauto più prezioso dall’armadio, muovendosi a proprio agio sulle elegantissime scarpe dal tacco alto e sottile. Era bella oltre ogni dire e sapeva di esserlo, e spense la luce uscendo dalla stanza con un’aggraziata giravolta. Non era però preparata a ciò che la attendeva nel soggiorno: il Dio degli Inganni era già pronto e se ne stava in piedi vicino alla libreria con espressione distaccata, alto e splendido nel completo di velluto leggero verde scuro che lei aveva scelto. Il taglio sartoriale della giacca metteva in risalto le sue spalle ampie e dritte, e così faceva la cravatta allentata col suo collo magro. L’irlandese deglutì a vuoto e azzardò un sorriso.

Loki stesso non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, poiché il vestito le sottolineava la scollatura e le belle gambe e l’intera sua figura riluceva come bagnata da miriadi di stelle, e la sua postura era quella di una regina.

«Possiamo andare?» le domandò con voce arrochita dalla sorpresa.

«Possiamo andare.» gli fece eco lei senza smettere di sorridere.

«Questa notte sarai la mia guida, Erin Anwar.» disse l’asgardiano, e le offrì il braccio.

Uscirono così dal condominio, regali e fieri, e la giovane chiamò un taxi con un gesto imperioso. Arrivarono alla Boston Symphony Hall in perfetto orario: Erin guidò il dio alla biglietteria e quivi lo salutò, promettendo che sarebbe passata a salutarlo durante l’intervallo. Quando fu scomparsa nei corridoi che conducevano ai camerini degli artisti, Loki si godette le occhiate ammirate e stupite che i midgardiani presenti nel salone d’ingresso del teatro gli lanciavano e il fatto di svettare su gran parte di essi nonostante l’assenza di poteri e di propositi crudeli. La donna che controllò il suo invito lo squadrò con malcelato interesse e gli sfiorò di proposito le dita nel porgergli il programma del concerto, ma lui ritenne che non meritasse neppure metà dell’attenzione che invece serbava per l’irlandese.

Si accomodò allora nella sala principale del teatro, su una delle piccole poltrone color sangue che la riempivano: sul fondo campeggiava un palco sopraelevato fatto di legno chiaro e stucchi, colmo di sedie disposte a semicerchio e di alcuni grandi strumenti musicali già pronti per essere suonati. L’aria era leggera e profumata nonostante l’ambiente chiuso, e gli umani che sedettero intorno a lui indossavano indumenti eleganti e piacevoli alla vista, come alla serata di gala di Stoccarda. Ciò lo mise a proprio agio, giacché quell’estetica non si distaccava troppo dalle feste scintillanti e misurate che si tenevano nel palazzo di Odino.

Mentre le molte luci del teatro lampeggiavano a intervalli regolari, annunciando l’imminente inizio dello spettacolo, Loki lesse rapidamente il foglio che la bigliettaia gli aveva consegnato: era un elenco non troppo lungo di nomi a lui sconosciuti, tra cui parole in lingue bizzare come il Dies Irae di Giuseppe Verdi e l’Intermezzo di Pietro Mascagni, la Sicilienne di Gabriel Fauré e una certa Karelia Suite di Jean Sibelius.

Poi tutto fu buio, in sala, e nella pozza luminosa dei riflettori puntati sul proscenio i musicisti della Boston Philharmonic Orchestra presero posto tra gli applausi del pubblico; l’asgardiano non faticò a riconoscere l’irlandese, che coi capelli color oro brunito e la figura flessuosa spiccava tra le altre donne come un sole in una galassia, il flauto argenteo tra le mani. Lo teneva come avrebbe forse tenuto una spada, e lui trovò la cosa fin troppo seducente.

Il concerto cominciò e la potenza della musica colpì Loki dritto al petto con la stessa forza di un’arma: il suono prodotto da quel vasto insieme di fiati, corde e percussioni non rassomigliava a niente che avesse udito prima d’allora, ed era corposo e violento e meraviglioso e trovò che gli si addicesse. Gli orchestrali seguivano il ritmo e ondeggiavano con i rispettivi strumenti come un esercito in marcia, Erin pareva danzare da seduta e il Dio degli Inganni ne fu irrimediabilmente ammaliato – non da lei soltanto ma da lei soprattutto, e non perché voleva riconquistare così il favore del Padre degli Dei bensì perché davvero la ammirava.

Il Dies Irae fu possente e trascinante, l’Intermezzo si rivelò un brano di estrema e struggente bellezza e la Sicilienne, il cui solo di flauto fu eseguito da Erin medesima, placò gli animi infuocati degli spettatori prima che l’orchestra si ritirasse per una breve pausa in vista del lungo pezzo conclusivo.

La ragazza di Galway mantenne la parola e comparve in platea subito dopo, ridente e seguita a distanza da Sylvia. Volle sapere se Loki era soddisfatto della capacità mortale di musicare e la sua risposta affermativa la rese felice. Ebbe il suo bel daffare per convincere l’amica che l’uomo con cui conversava non era lo stesso della Galleria Schäfer, però si divertì a lasciare che gli altri compari e colleghi spettegolassero sul suo conto, per quella sera. E il cuore le batteva forte e il respiro le si mozzava in gola, e sapeva perfettamente che quella gioia e quell’eccitazione non erano dovute unicamente all’ottima riuscita del concerto.

Il secondo tempo fu dedicato alla Suite di Sibelius, e fu un successo clamoroso: il pubblico ne salutò la conclusione alzandosi in piedi e gridando ovazioni entusiaste all’indirizzo dei musicisti e del direttore della BPO, e la sala si riempì di lampi di flash e scrosci di applausi simili a pioggia battente. Erin rideva felice dietro il proprio leggìo, e il suo sorriso incredibile era tutto per il dio nordico seduto al centro della platea.

«Erinni, noi andiamo a cena tutti insieme da qualche parte. Sei dei nostri?» la apostrofò Owen quando furono finalmente dietro le quinte e poterono riporre gli strumenti.

La flautista nicchiò, incerta sul da farsi:

«Mi piacerebbe, Owen, ma avrei un altro programma.»

«Il cosiddetto “altro programma” sarebbe il bel tenebroso da cui sei corsa durante l’intervallo?» indagò la collega che suonava l’ottavino, ammiccando, e Sylvia si fece attenta.

«Maledetti impiccioni!» rise Erin: «Da me non saprete un bel niente.»

«Ah no? Vorrà dire che lo chiederò direttamente a lui, così magari scoprirò anche se è il tipo di Stoccarda.» disse la rossa Neu di rimando.

«Il tipo di Stoccarda? Il supereroe con l’elmo cornuto?» s’intromise Francis con un certo entusiasmo, e l’irlandese ci tenne a sottolineare che non era affatto uno stupido supereroe.

«Allora è lui veramente!» insistette Sylvia puntandole un dito contro.

«Ho forse detto questo?» sogghignò Erin, e chiuse l’astuccio del flauto. «Andate, abbuffatevi e sbronzatevi, amici miei, e divertitevi tanto quanto me!»

Gli altri le fischiarono dietro mentre usciva dal camerino e le augurarono cose innominabili e fantastiche da realizzare prima che giungesse l’alba, e lei volò leggiadra fino al salone d’ingresso della Symphony Hall con la mente concentrata solo sull’immagine di Loki che di nuovo la aspettava sulla soglia. Gli annunciò che sarebbero andati a mangiare da qualche parte, loro due da soli, e volle sapere cosa gli era parso sinora degli umani e del loro comportamento; lui rispose che i terrestri erano scialbi e prevedibili come li rammentava ma che quella sera non gl’interessava più di tanto studiare la loro sciocca essenza. Il significato sottinteso di quella frase gonfiò enormemente il cuore già entusiasta di Erin.

Si recarono a piedi fino a un locale rinomato e piuttosto antico di Boston, celebre per l’ottima carne e per i gruppi musicali che sovente vi si esibivano. Camminarono senza fretta per le strade affollate della città, e il loro incedere nobile e sicuro fece sì che coloro che incrociavano lungo i marciapiedi si scostassero per lasciarli passare, osservandoli con meraviglia e stupore, uomini o donne che fossero. Loki colse il proprio riflesso e quello d’irlandese in una vetrina oscurata e trovò che i loro sembianti fossero perfetti l’uno accanto all’altro: assieme erano splendidi come due sovrani di divini natali su cui mai occhio terreno si fosse posato, ed era bizzarro, dato che Erin Anwar di natali divini certo non era.

Il ristorante scelto dalla ragazza di Galway era un trionfo di legno lucido e rossiccio e lumi soffusi ben distribuiti al suo interno, con vetrate che si affacciavano sulla via e pochi fronzoli. Un cameriere li accolse con garbo e li fece accomodare a un tavolo rotondo lasciando loro due menu e una carta dei vini disponibili. Ordinarono una bistecca al sangue ciascuno e una bottiglia di buon vino rosso, e nell’attesa che il cibo fosse loro servito riempirono i propri bicchieri e presero a conversare senza impegno, guardandosi negli occhi.

«Talvolta non è così male essere umani.» commentò Erin d’un tratto.

«Talvolta.» precisò l’asgardiano, eppure il suo tono era leggero e più caldo del normale.

Aveva pensato di sfruttare quella cena improvvisata per concretizzare i propri obiettivi, ma via via che il nettare d’uva gli bagnava la bocca e la carne tenera gli riempiva lo stomaco Loki finì col dimenticarsi di quei piani e di quei propositi d’inganno. L’irlandese parlava e lui non si tirava indietro, le dava corda, godeva della sua bellezza così come del vino e se ne inebriava; lei non si stancava di ammirarlo e di assorbire ogni singolo particolare delle sue espressioni e dei suoi gesti, di quelle sue iridi di ghiaccio ardente e della sua voce profonda. Le sembrava di essere immersa in una bolla dorata e tiepida, e quando la band ospite della serata prese posto sul palco del locale, lanciandosi in un moderato swing, quella sensazione sognante si fece incredibilmente forte.

Chiese con malizia al dio nordico di raccontarle delle dame che fino a quel momento aveva conosciuto – non era forse definito una divinità lasciva, nelle leggende? – e Loki si prese bonariamente gioco di lei senza mai risponderle davvero, senza negare né confermare come già aveva fatto nei giorni precedenti. Terminarono il cibo e vuotarono la bottiglia di vino, e ordinandone un’altra si spostarono sui bassi divani che arredavano la zona riservata al palco e alla piccola pista da ballo, nella sala posteriore del ristorante. I musicisti proposero pezzi via via più rapidi e coinvolgenti, e quando la cantante intonò il ritornello di un noto brano rockabilly Erin non seppe resistere e posando il bicchiere si alzò per ballare.

L’asgardiano trovava strano quel genere di musica, specie se confrontato con quella che aveva ascoltato al concerto della Boston Philharmonic, con quei suoni più stridenti e il ritmo più serrato, più irregolare, e nonostante tutto non gli dispiaceva. Inoltre l’irlandese si muoveva dinanzi a lui in maniera quasi conturbante e si divertiva, e sorridendo irriducibilmente lo invitava a seguirla in pista. Loki bevve ancora il buon vino scuro e ancora la guardò, e infine si decise: balzò in piedi e le afferrò una mano, assecondandone i movimenti senza dimenarsi troppo a sua volta, ma Erin era trascinante e così la musica e ben presto si ritrovarono pressoché abbracciati a danzare all’unisono. Ogni idea o strategia di conquista, ogni tattica per avere il controllo sulla situazione e sull’altro scomparvero dalle loro menti e il ricordo del primo contatto fisico che avevano avuto vi si sostituì, e il desiderio dirompente che il Dio degli Inganni reprimeva da giorni tornò alla ribalta con prepotenza.

Eppure anche Erin lo provò, mentre la stretta di Loki intorno ai suoi fianchi si rafforzava, e lo accolse come qualcosa di conosciuto e a lungo bramato. Magari non sarebbe stato niente, e magari sarebbe stato tutto.

Le mani dell’asgardiano le carezzarono lentamente la schiena, in su e in giù, e le dita sottili della donna d’Irlanda gli scivolarono tra i capelli folti più e più volte.

Loki la strinse a sé e portandole una mano sulla nuca avvicinò il suo viso al proprio, e per un attimo si fissarono attraverso le palpebre abbassate. Erin inghiottì un grosso respiro, sentendosi affogare con gratitudine, e il dio caduto la baciò.

La baciò a lungo e intensamente e l’irlandese ricambiò quel bacio con gioia, e unirono labbra e sospiri per un tempo che parve loro infinito.

 

 

Continuarono a baciarsi uscendo dal locale e sul taxi che Erin fermò per tornare a casa.

Nelle pause tra un bacio e l’altro si guardavano e sorridevano, maliziosi e affatto turbati dal repentino cambiamento del loro rapporto fuori dal normale, e poi riprendevano a baciarsi con foga, le mani che ormai vagavano libere chiedendo qualcosa di più.

Entrarono nell’appartamento avvinghiati, e mentre la ragazza di Galway lasciava cadere a terra la borsa del flauto e calciava via le proprie scarpe, sfilando al contempo la giacca dalle spalle del Dio degli Inganni, questi la spinse sull’ampio divano del salotto e le fu sopra, e il resto dei loro abiti presto raggiunse la borsa, la giacca e le scarpe sul pavimento.

Con tocchi abili Loki blandì il corpo di Erin, sentendolo caldo e fremente sotto di sé, ed Erin rispose con baci che bruciavano sulla pelle come scintille.

E quando finalmente fu dentro di lei l’irlandese gli s’inarcò contro aggrappandosi alla sua schiena e lo chiamò per nome, e di nuovo danzarono insieme seguendo un ritmo noto a loro due soltanto e che trascendeva l’abisso di universi opposti che sino ad allora li aveva separati. Quel ritmo crebbe e crebbe e simile a un’onda raggiunse i loro lombi in fiamme, e nell’istante in cui toccarono l’apice Loki catturò la bocca di Erin in un bacio più profondo di tutti gli altri.

A miglia di distanza i tecnici dello S.H.I.E.L.D. osservarono nervosi i grafici sugli schermi dei computer, certi che qualcosa di brutto stava accadendo nel buio del cosmo – e nel buio del cosmo Thanos il Rosso scoppiò in una risata di pura e maligna soddisfazione.

Ma il dio caduto e la donna d’Irlanda nulla sospettarono e rimasero avvinti l’uno all’altra su quel divano, consci solo del piacere immenso che si erano appena procurati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Aggiornare con un po’ di ritardo e a orari improbabili: pardon, è da due settimane che son sempre a suonare!

Questo capitolo è piuttosto importante, perciò volevo ricontrollarlo con calma. È veramente l’ultimo “introduttivo” e mediamente calmo, e come avrete notato rappresenta un punto di svolta (o di non ritorno) per la relazione tra Erin e Loki: perché, lasciatemelo dire, questi due fanno quello che vogliono – e anch’io – ed essendo adulti e consenzienti e desiderandosi a vicenda non aveva senso girarci attorno, né tenerli altri dieci capitoli a punzecchiarsi e mordersi le mani. Inoltre il loro rapporto è sì fondamentale, ma altrettanto lo è la storia che va dipanandosi e in cui tale rapporto andrà a inserirsi. Spero di aver creato un’atmosfera sufficientemente intrigante intorno al suddetto punto di svolta :)

Il Dies Irae è il secondo movimento del Requiem di Giuseppe Verdi, la Sicilienne è il quarto della suite sinfonica Pelléas et Mélisande di Gabriel Fauré e l’Intermezzo fa parte della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni ed è uno dei brani più belli che mai siano stati scritti; anche la Karelia Suite di Jean Sibelius, composta da tre ‘tempi’, è strepitosa.

Rimanendo in tema musicale, il titolo del capitolo è tratto da Invincible degli Ok Go, una delle canzoni portanti della storia; per la scena alla Boston Symphony Hall (teoricamente la “sede” della Boston Symphony Orchestra, benché spesso vi si esibisca pure la Boston Philharmonic Orchestra) trovo perfetto il dittico Instrumental I e Love of an orchestra dei Noah And The Whale, mentre il brano rockabilly su cui Erin balla al ristorante potrebbe essere Da doo ron ron delle Crystals. E dal bacio in poi, Trembling hands dei Temper Trap.

Io li amo, questi due. E voi? Ossequi asgardiani e alla prossima!

  
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