Fanfic su attori > Jonathan Rhys-Meyers
Segui la storia  |       
Autore: viktoria    23/02/2013    1 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Quanto avevo sognato di incontrarlo, di fare una foto con lui e di parlargli. Come quelle ragazzine idiote che vanno dietro i propri idoli per anni. Potevo dire, con un certo orgoglio, che io i miei pensieri idioti su di lui me li ero tenuti per me benché avessi sempre ammesso di far parte di quel 99% della popolazione che ha un suo idolo famoso con cui sogna quella storia romantica da fiaba.
Jonathan Rhys Meyers era il mio.
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Entrai in quella stanza d’albergo che era quasi mattina. La sera prima avevo fatto ciò che mi era stato chiesto, contro voglia, eppure lo avevo fatto. Non mi piaceva raccontare bugie e la madre di Laura non sembrava nemmeno averci creduto.

Ricordai con amarezza la sua voce quando mi chiedeva se almeno Jonathan sarebbe tornato a casa.

- Non saprei, forse no Graziella, non è venuto con noi. Non abbiamo un gran bel rapporto con lui.- le avevo risposto sinceramente.

- Già. Non capisco se possa rappresentare un problema per Laura…- mormorò preoccupata per la sua bambina.

Cosa avrei potuto dirle? Che era il più grande problema che Lollo avesse mai avuto? Più di qualsiasi altro ragazzo o amica o chicchessia.

Non credo le faccia bene, lei è troppo innamorata di lui per vedere razionalmente la persona che è.- risposi io prima di sospirare. – comunque…- ecco lì che cominciava la bugia, io non ero brava, mia sorella Paola, mia gemella, mi invitò a continuare.

- Comunque?- mi invogliò Graziella, la mamma di Laura, dall’altra parte del telefono.

Non riuscivo a parlare. Paola mi prese il telefono di mano e si schiarì la voce. Fortunatamente al telefono non c’era nessuna differenza tra la mia e la sua.

- Comunque per stasera puoi stare tranquilla. Al massimo devi preoccuparti dei calzini sporchi che mia sorella lascia per casa.- scherzò lei.

Sentì una risata smorzata dall’altra parte dell’apparecchio. Dopo che si furono scambiate la buona notte mia sorella mise giù e tornò a dormire.

L’indomani mi svegliai molto presto. Anzi, a dire il vero non ero riuscita a chiudere occhio. Avevo pensato alla mia amica in balia di quel delinquente.

Ero uscita con la macchina chiedendo a Paola di coprirmi, e sapevo che l’avrebbe fatto anche solo per avere maggiori informazioni sulla storia della mia amica che ormai tutti seguivano con malato interesse, e avevo raggiunto il centro storico della città dove, la sera prima, avevo capito che si trovavano.

Quando trovai l’albergo in cui si trovava, oggetto di non facile ricerca, eppure le mie incredibili doti di pianto a comando erano servite per farmi dire dai responsabili alla hall che la notte precedente nessuno si era registrato improvvisamente chiedendo una stanza per una sola notte, avevo pianto disperatamente anche con il receptionist dell’albergo dove avevo capito fossero alloggiati, mostrando questa volta una migliore performance delle precedenti, una specie di Winnie the Pooh inquietante che mi aveva avvertita che la ragazza che aveva visto la sera prima non era in buone condizioni.

- Purtroppo io non ho il permesso di mandare via nessuno ma quell’uomo con quella ragazzina, mi ha fatto una certa impressione.-

Alla fine mi aveva dato la chiave della camera in cui l’aveva portata il “ragazzo”. Lei era a letto, sotto le coperte, tutta rannicchiata in se stessa. Da sola. Sul tavolo c’era un biglietto scritto con una grafia elegante in una carta intestata all’albergo.

Quello stronzo l’aveva lasciata sola. Voleva risparmiarsi la parte più brutta forse? Chissà cosa le aveva fatto durante la notte. Presi il bigliettino e lo lessi.

« Fatti una doccia, bevi questo caffè e se hai bisogno di me chiamami subito, sono da Allie. Jonathan »

Non abbiamo più bisogno dei tuoi servizi coglione!

Pensai prendendo il foglietto e buttandolo via. Il caffè lì accanto era ancora tiepido. Non doveva essere andato via da molto. Lo presi e lo buttai nel lavello. Stupido caffè americano, a che poteva servire? Presi la mia borsa e uscì a comprare ciò che veramente avrebbe potuto aiutarla.

Mentre mi occupavo di acquistare ciò che avrebbe potuto rivelarsi utile nelle prossime ore presi il telefono dalla borsa e chiamai Carolina che, squillante, rispose al telefono.

- Ho bisogno di te, Lollo ha avuto un problema con Jonathan Meyers.- mormorai mentre entravo in farmacia.

- Arrivo.- aveva risposto lei mettendo giù.

 

Pov Laura.

Quando mi svegliai e sollevai la testa dal cuscino un conato di vomito mi salì alla bocca e fui costretta a correre in bagno. Il problema principale stava nel fatto che non fossi più a casa mia. la stanza in cui mi trovavo era grande, luminosa, e sentivo il rumore del mare come se ci fossi sopra. La tremenda sensazione che fossi su una nave mi invase lo stomaco. Caddi in ginocchio a terra a causa di un forte capogiro e vomitai anche l’anima.

Quando sentì di non poter vomitare altro mi rannicchiai per terra contro la moquette.

- Jonathan.- sussurrai piano in cerca di aiuto. Ricordavo di essere andata via con lui e i suoi amici dal bar e poi…poi nulla.

Evidentemente però in quel momento non c’era. ero sola con un tremendo dolore alla testa, una nausea degna di un mal di mare con corrente forza nove e sentivo freddo. Ero nuda con solo l’intimo addosso. Che cosa avevo fatto quella sera? Cosa mi era saltato in mente? Scoppiai a piangere disperatamente senza sapere cosa fare quando la porta della camera si aprì e ne entrò un odore di caffè che mi colpì in viso facendomi rimettere di nuovo.

- Oh no, Lollo!- sentì mormorare in un suono strozzato.

Una mano mi teneva i capelli e l’altra era stretta alla mia vita, mentre altre due mi facevano alzare e mi portavano in bagno.

Non ero sola allora. Forse le avevo chiamate per farmi aiutare. Carolina e Betta cercavano di aiutarmi come potevano. Prima mi costrinsero sotto l’acqua ghiacciata della doccia, poi mi imbottirono di caffè.

Nei film avevo sempre visto che il caffè aiutava a superare la sbornia, a me non procurò altro che altri problemi che mi tenevano attaccata al gabinetto. Quindi dopo un po’ le mie amiche smisero di propormelo.

In realtà di quella mattina non ricordo molto, solo delle loro premure per farmi riprendere e la tremenda esperienza post sbronza. Se è terribile la prima lo sarà sempre. Perché mi ero fatta convincere da quell’idiota di Jonathan a bere? Ringraziai mentalmente dio per avermi dato delle amiche come loro che sprecavano così una giornata di studio solo per me, per farmi riprendere, per aiutarmi, per evitare chissà quale crollo emotivo che si aspettavano da un momento all’altro. In realtà, quando parecchie ore dopo, ritrovai il mio equilibrio interiore ero quasi certa di stare bene. Ero a stomaco vuoto dalla sera prima ma avevo vomitato tutto ciò che era passato dal mio stomaco nelle ultime dodici ore. Succhi gastrici compresi. Di sicuro non potevo dire di non essere riuscita a vomitare questa volta.

Le mie compagne mi portarono via quasi subito dopo avermi asciugata e rivestita e adesso me ne stavo sul divano di casa di Betta a guardare il soffitto con Paola seduta poco lontano che si faceva delle grasse risate.

- Sai cosa? Spero almeno che stanotte tu ti sia scopata quel figo che abita a casa tua, perché se ti sei lasciata scappare la possibilità sei una scema.- e poi ricominciava a ridere. Un po’ per la situazione un po’ per la mia faccia.

In effetti non dovevo essere proprio quello che si chiama un bello spettacolo. Non riuscivo a muovere la testa ne a parlare quindi dovevo sorbirmi le angherie di quella stronza ragazzina indisponente che mi stava a fissare senza muoversi. L’avrei presa volentieri a calci nelle gengive se fossi stata nel pieno delle mie forze. Il pensiero mi fece ridere e un altro conato di vomito mi impedì di continuare su quella strada. Qualcosa di utile sarebbe stato, forse, cercare di ricostruire le dinamiche che, la sera prima, mi avevano portata in quella stanza d’albergo. E a quella disastrosa situazione anche.

Ricordavo di essere stata in quel pub e di aver bevuto più di un paio di birre. Ricordo di essere uscita da lì sulle spalle di Max che rideva divertito e mi faceva da cavallino. Ricordo di… no, non ricordo altro. Forse avevo pianto ma non ne ero certa. Ero certa di aver sentito un caldo tremendo.

Forse per questo mi ero svegliata nuda.

Era stato Max a portarmi in quell’albergo? E mia madre? E Betta come mi aveva trovato?

Mentre Paola continuava a fissarmi e scattare foto sceme da mettere su facebook io cercavo di riprendermi per recuperare la facoltà di parola e poter chiedere spiegazioni alle mie eroine. Per ora però tutto ciò che potevo fare era cercare di non vomitare l’anima sul pavimento del salotto di casa della mia amica.

 

Qualche ora dopo le cose cominciarono ad andare sensibilmente meglio. Ero seduta sul divano con una zuppa calda in grembo e ascoltavo le mie amiche che mi raccontavano della pessima cera in cui mi avevano trovata la mattina, riversa nel mio stesso vomito.

- Vi prego ragazze, sto cercando di mandar giù qualcosa!- le sgridai facendole ridere piano entrambe prima di domandarmi scusa e di lasciarmi mangiare.

- Comunque sono felice che adesso stai bene, mi hai fatta preoccupare.- aveva concluso Betta sorridendomi e coccolandomi con la stessa dolcezza e affetto di una mamma con i suoi figli.

Le sorrisi e mandai giù un'altra cucchiaiata di quella insana brodaglia disgustosa che però sembrava coccolarmi il mio stomaco scombussolato.

- Cosa c’è dentro?- domandai quando fui sicura che non sarebbe risalita.

- Ogni tipo di verdura che avevo a casa.- mi rispose lei comprensiva.

Morivo dalla curiosità di porle tutte le mie domande ma non volevo sembrare irriconoscente e sgarbata quindi cercai non ignorare tutto e subissarla di domande su tutto ciò che mi passava per la mente. Anche se ormai il pensiero di mia madre era diventato fin troppo invadente.

- Lei sa che sei qui, solo che crede che tu lo sia da stanotte dopo che ci siamo incontrare in Ortigia.- mi rispose Caro come se avesse sentito i miei pensieri e mi stesse rispondendo.

La guardai con immensa gratitudine e una lacrima mi rigò la guancia.

Entrambe sapevano che quella lacrima non era dovuta alla tristezza. Ero solo felice di avere delle amiche come loro.

- Ero con Jonathan e con i suoi amici…- ricordai piano sperando che qualcuna di loro sapesse darmi una risposta.


- Lui mi ha chiamata ieri notte dicendomi di chiamare tua madre e coprirti perché eri sbronza.- mi rispose Betta arrabbiata. – dovresti frequentare compagnie migliori.- mi consigliò lei.


- Non che abbia molta scelta visto che lui sta a casa mia.- mormorai piccata come se mi fossi sentita punta da quel commento.

In realtà lo ero. Avrei tanto voluto che le mie amiche andassero d’accordo con lui. Avrei voluto che anche lui fosse stato gentile con loro in modo da evitarmi tanta sofferenza e tanti problemi.

- Come sono finita in albergo?- domandai poi facendole un sorriso di scuse

- Lui ti ha lasciato là, stamattina c’era un biglietto con scritto sono da Allie. Cos’è un bar?- mi chiese lei dopo aver risposto alla mia domanda.

Se mi avesse dato un pugno nello stomaco avrebbe fatto male nello stesso modo.

Mi alzai di corsa dal divano e mi chiusi in bagno dove vomitai per l’ennesima volta. Ma questa volta oltre alla zuppa, ai succhi gastrici e all’alcol c’era anche il dolore e la delusione.

Lui non poteva perdere tempo, non poteva riaccompagnarmi a casa, doveva andare da Allie che lo aspettava per dargli ciò di cui aveva bisogno. Era molto più facile lasciarmi in un albergo vicino a quello della bella biondina dagli occhi azzurro ghiaccio.

Mi lasciai cadere sul pavimento e singhiozzai.

Se anche quella notte fossi stata così fatta da dargliela effettivamente non era servito a nulla. Mi sentivo il cuore spezzato come un bimba.

Ma che mi aspettavo? Lui era un uomo. Un uomo meraviglioso con dei grandi occhi azzurri profondi e terrificanti. Era un uomo ricco e problematico. Era un uomo che io avevo trattato male e poi bene e poi di nuovo male. Era un uomo che stava giocando con me. voleva solo prendermi in giro perché mi vedeva piccola e indifesa.

E lo ero in realtà. Perché lo avevo già fatto entrare. Mi stava già facendo male nel profondo.

Cosa può darle una donna come Allison che una ragazzina come me non può dargli?

La lista si aprirebbe con un punto chiave che è il sesso e si chiuderebbe con meno importanti ma pur sempre necessari fondamentali punti. La bellezza, la capacità di adattarsi a lui e ai suoi ambienti, i soldi, lo stile. Lei sembrava una modella appena uscita da vanity fair e sarebbe stata benissimo nelle copertine dei giornali accanto a lui, lo avrebbe affiancato benissimo sui red carpet a cui avrebbe dovuto partecipare e poi, una volta soli nella loro camera d’albergo, lo avrebbe fatto sfogare come piaceva a lui.

Mi persi nel sapore dei ricordi. Il gusto delle sue labbra e il suo corpo sotto le mie mani. Chissà come doveva essere averlo dentro di se… sospirai a mi lasciai andare sul pavimento.

Guardavo il soffitto in silenziosa contemplazione.

Io, probabilmente, non l’avrei mai scoperto.

 

19 Giugno 2012.

Entrai in quella grande stanza che per tutto l’anno mi era apparsa piccola e confortevole. Adesso credevo che ci fosse un girono dell’inferno molto simile. Tre banchi erano schierati sul fondo. Una sedia davanti a undici persone che ti fissavano mentre entravi e ti accomodavi davanti a loro. Presi un respiro profondo, la sacca che avevo preparato, ed entrai.

- Cerca di sembrare sicura e determinata.- mi aveva consigliato mia madre.

- Rispondi ad ogni domanda anche se devi un po’ arrampicarti sugli specchi.- aggiunse mio cugino.

- Non farti vedere spaventata ad una domanda.- intervenne una mia compagna che aveva appena finito il suo esame.

Sì, chiarissimo. Dissi a me stessa senza credere ad una parola. Mio padre, davanti alla porta dell’aula, mi guardava con gli occhi un po’ lucidi di commozione. Io lo guardai a mia volta. Erano stati mesi difficili per noi. Il nostro rapporto si era molto raffreddato e lui sembrava guardarmi in modo differente da prima. Più serio e distaccato. Quella volta sembrava voler fare un’eccezione. Mi posò una mano sulla spalla e mi diede un bacio in fronte.

- Divertiti.- mi augurò semplicemente.

Lui sosteneva che il liceo altro non fosse che divertimento e che ogni cosa che si faceva doveva essere presa per quello che era. un meraviglioso gioco che faceva parte di un progetto più grande. “prendilo sul serio, segui le regole e dai il massimo. Stai sicura che non potrai non vincere.” Diceva sempre lui sorridendomi e dandomi forza. Ultimamente non lo aveva più fatto. Ero felice che per quel giorno avesse deciso di mettere da parte le ostilità.

Era stato un periodo molto difficile per me.

Dopo quella tremenda e dolorosa esperienza non avevo più parlato con Jonathan. Lo evitavo come la peste e, quelle poche volte che lo incrociavo, mi voltavo dalla parte opposta ignorandolo e tornando al mio lavoro, allo studio. Le prime volte aveva cercato di chiedermene il motivo ma alla mia sgarbataggine e alla mia cattiveria aveva risposto con il silenzio. Finalmente sembrava aver capito che non volevo averlo semplicemente più tra i piedi. Che andasse a spaccarsi la testa dove voleva, non doveva più coinvolgere me.

Voleva fumare? Che fumasse.

Voleva drogarsi? Io non lo avrei certo fermato.

Basta che mi lasciasse fuori da tutto questo.

Non mi ero mai sentita tanto svilita nella mia dignità come quando avevo realizzato che mi aveva smollata in una stanza d’albergo per stare con la sua fidanzatina troietta. Fidanzatina poi un cazzo. Io se fossi stata la sua fidanzata mi sarei fatta carico di lui invece che lasciarlo con una sconosciuta. Le era solo una vagina ambulante e lui, ovviamente, invece di prendersi il peso di una minorenne ubriaca, aveva preferito ricercare altrove i piaceri che desiderava.

- Devi ringraziarlo che non ti abbia fatto chissà cosa nel sonno allora.- aveva cercato di sdrammatizzare Caro, durante un pomeriggio di studi passato insieme, senza riuscirci.

- Già sì, mi sento proprio in vena di ringraziamenti.- avevo risposto cercando di non mostrarmi ferita com’ero effettivamente.

Mi accomodai sulla sedia davanti la commissione. Sorrisi e misi sui banchi un bel vassoio ricco di dolci sorridendo allegra.

- Buongiorno.- salutai gentilmente.

Per prima cosa cominciarono a elencarmi i voti dei compiti. Non avevo nessuna eccellenza ma almeno non avevo fatto errori troppo assurdi nella terza prova e meritai un sorriso da parte dei miei professori che mi dissero di stare tranquilla.

– per cominciare vi prego, prendetene pure uno.- consigliai indicando i dolci quando toccò a me parlare.

Tutti i miei professori sorrisero gentili e presero un dolce, tutti tranne il presidente di commissione. Già lo odiavo. Uno stronzo fascista di merda!

Cercai di sorridergli senza che lui rispondesse in alcun modo.

- Vuole cominciare signorina o rimaniamo qui a degustare dolcetti tutto il tempo?- mi domandò quello incrociando le braccia al petto.

Un cinquantenne, senza capelli, con una pancia tanto grande da poterci poggiare sopra il vassoio che avevo portato, osava rifiutare il mio dolcino? Va bene.

- Comincerò subito da quello che io ritengo essere il più delizioso dei piaceri.- sorrisi e guardai il mio professore di greco. – il cibo.- conclusi benchè la mia forma fisica in quel momento non sembrava essere d’accordo con me.

- Davvero? Sembri un po’ sottopeso.- mi fece notare quell’uomo con disgusto.

- Lo stress degli esami.- risposi semplicemente.

I professori intervennero per farmi iniziare. Parlai per molto tempo passando da una materia all’altra con facilità e pertinenza. Il vecchio rimase zitto mentre i miei professori continuavano ad annuire senza intervenire.

- Parlami della teoria della relatività.- mi bloccò quell’uomo mentre stavo discutendo della possibilità di cercare il piacere assoluto.

Rimasi per un attimo spiazzata da quella domanda che in quel momento, impegnata in discorsi filosofici, non mi aspettavo di ricevere.

- In fisica, con il termine relatività si fa riferimento genericamente alle trasformazioni matematiche che devono essere applicate alle descrizioni dei fenomeni nel passaggio tra due sistemi di riferimento in moto relativo. L'espressione teoria della relatività è usata per riferirsi alla teoria della relatività speciale e generale che Einstein ha elaborato tra il 1905 e il 1913, le quali hanno come elemento fondante il principio di relatività secondo cui le leggi fisiche sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento.-

Conclusi convinta di aver dato la più esauriente risposta per il quesito che mi aveva formulato. Evidentemente non sembrava contento.

- Sì. E poi?- domandò lui annoiato.

E poi? Poi che cosa? Pensai io facendomi prendere dal panico. Subito le parole di mio padre mi vennero in mente e mi bloccarono. No. niente panico. Lui non conta niente Laura, sono i tuoi professori quelli a cui devi dimostrare di essere capace e competente.

- Poi nulla, questo è tutto ciò che so.- risposi sfidandolo con lo sguardo.

- Bene.- rispose quello senza scomporsi più di tanto.

L’esame continuò per altri cinque o dieci minuti poi mi invitarono ad andarmene. Mi alzai dalla sedia, presi il mio vassoio e cercai di non scoppiare a piangere.

Il presidente di commissione si alzò e mi porse la mano.

- Arrivederci signorina.- mi salutò con tono di sfida. Aveva intenzione di bocciarmi? Davvero?

Gli porsi la mano e gliela strinsi tremante mordendomi il labbro.

- Arrivederci.- risposi a mia volta mentre quello mi degnava di un sorriso.

- Complimenti.- concluse prima di riprendere l’espressione da culo che aveva avuto per tutto l’esame e tornare a sedersi al suo posto. – i dolci li lasci qui così possiamo addolcire un po’ il resto della giornata.- mi invitò.

Sorrisi di un sorriso ampio e coinvolgente, posai di lato il vassoio e la borraccia con il thè freddo che avevo preparato. Cercai di non saltare addosso a quello stupido fascista non tanto male per ringraziarlo e mi voltai.

Quello che vidi mi piacque e lo odiai allo stesso tempo. Andrea, Francesca, Mario, Valentina, Giulia, Eleonora e Piero erano tutto lì che mi guardavano e applaudirono quando uscì dalla classe saltandomi addosso.

- Brava bambina!- mi dissero divertiti riempiendomi di baci e di complimenti.

Anche i miei capi erano lì che mi fecero i complimenti abbracciandomi. Ero ufficialmente diplomata.

Ed ero anche l’ultima del mio gruppo di amiche ad aver sostenuto l’esame.

Durante l’anno avevamo tanto sognato quel momento e adesso che finalmente era arrivato ci sentivano cariche di aspettative e di gioia. Adesso ci aspettava un mese di relax in vacanza chissà dove. I nostri genitori ci avevano organizzato un viaggio che sarebbe stato sicuramente una favola. L’ultimo insieme tra l’altro.

Comunque adesso ero troppo presa dalla visione mistica davanti a me per pensare al mio viaggio della maturità. Lui era lì. Era venuto. I capelli scombinati, gli occhi azzurrissimi cerchiati da lievi occhiaie rossicce. Segno che non stava andando tutto bene come avrebbe dovuto. Avrei dovuto preoccuparmi. In realtà ero preoccupata, ma rimasi in silenzio sperando che fosse una visione e che scomparisse. Lui invece si avvicinò, le mani in tasca come sempre.

- Complimenti.- mi disse senza un particolare trasporto.

- Grazie.- risposi guardandolo e valutando velocemente le sue condizioni di salute.

Non erano buone.

Presi il suo polso avvicinandomi la mano al naso e annusai le sue dita. Facevano una puzza tremenda di fumo e qualcos’altro. Mi misi l’anulare in bocca e il sapore orrendo della coca mi invase la bocca. Sapevo che era quella perché una volta un mio compagno di classe me l’aveva fatta assaggiare.

- La coca si assaggia per vedere se è buona prima di ficcarsela su per il naso.- mi aveva fatto presente lui.

Io non me l’ero mai ficcata su per il naso.

- Che stai facendo Jonathan?- gli domandai in un sussurro.

- Non sono cazzi tuoi.- mi rispose lui fulminandomi con lo sguardo e tirando via la mano malamente.

- Sì che lo sono.- gli risposi.

- Non mi sembrava che lo pensassi in questi giorni.- mi fece notare con cattiveria malcelata.

Era arrabbiato. Potevo capirlo ma non giustificarlo per ciò che stava facendo.

Non risposi nulla e lo guardai negli occhi sperando che quello fosse abbastanza per fargli capire ciò che pensavo di lui e di quello che stava combinando.

- Devo andare a Londra per lavoro. Se ti interessa tanto puoi venire con me.- mi propose con un tono di voce più calmo e pronto alla discussione di quanto non fosse sembrato prima.

Era un invito. Lui stava invitando me ad andare a Londra con lui?

Probabilmente se non fosse successo nulla tre settimane prima avrei accettato di buon grado, anzi, sarei stata felicissima di andarci. Ma immaginavo che a Londra ci fosse altro oltre il lavoro e che quell’altro fosse una ragazza bionda sai grani occhi azzurri.

- Non posso, devo andare con le mie compagne.- risposi semplicemente cercando di non sembrare seccata.

- Dove?- chiese lui lapidario nuovamente arrabbiato.

- Non lo so.- risposi onestamente.

-Quando torni?- mi domandò con più urgenza.

- A metà Agosto.- risposi di nuovo. – e poi a te che frega?- gli domandai incrociando le braccia al petto piccata.

Lui mi guardò con gli occhi che brillavano di rabbia. Vedevo che se avesse potuto mi avrebbe volentieri picchiata anche. Ma non lo fece. Mio padre e mia madre mi guardavano dalle sue spalle. I miei compagni e le mie amiche erano pronti a saltargli addosso e ucciderlo.

Pian piano la rabbia però cedette il passo alla tristezza, alla frustrazione, alla delusione. Avrei voluto sporgermi verso di lui e abbracciarlo stretto, dirgli che andava tutto bene. Ma non lo feci perché avevo troppa paura di essere respinta.

- Me lo chiedo spesso anche io.- rispose sfiduciato con un gran sospiro che mi strinse il cuore.

Non aggiunse altro semplicemente si voltò e si allontanò, le mani in tasca, senza salutare nessuno.

Potevo lasciarlo andare via così? No. non potevo. Aveva bisogno di aiuto adesso più che mai ed io, vile, ferita per una sciocchezza, lo stavo facendo andare via senza fare nulla.

Era colpa sua se non voleva stare con una ragazzina come me?

- Laura, muoviti, la nostra sorpresa ci aspetta qua sotto ed io sto morendo dalla curiosità!- gridarono le mie amiche ridendo.

Scendemmo le scale di corsa, io un po’ meno eccitata delle altre e molto più abbattuta per quello che era appena successo. In cortile ci attendeva una macchina e un ragazzo, davvero carino, appoggiato ad essa. Le altre gridarono entusiaste.

- Ciao.- ci salutò il ragazzo cortese. – io sono Mattia, sarò il vostro autista, guida turistica e tutore legale molto maturo per questo viaggio.- ci annunciò facendoci l’occhiolino e ridendo.

Io non dissi nulla. Le mie compagne erano super eccitate. I nostri genitori ci dissero di aver pensato a tutti, che Mattia era al corrente e di lasciarci solo guidare da lui. Salimmo in macchina dopo vari saluti e andammo via pronte a partire per quella strana avventura.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Jonathan Rhys-Meyers / Vai alla pagina dell'autore: viktoria