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Autore: elsie    17/09/2007    1 recensioni
"Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel fuoco..." Pyro incontra una ragazza al Xavier Institute e insieme dovranno prendere la decisione più importante della loro vita. Basato su X-Men 2. PyroOC
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ItF13

Disclaimer: Pyro e gli X-men non appartengono a me ma a Stan Lee e a Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox, che ha acquistato i diritti per il film. Possiedo invece, dato che l’ho creata io, il personaggio di Meredith St.Clair.

Anche in questo capitolo prosegue a grandi linee la trama che appare già in X Men 2, quindi se lo avete già visto sapete già, mutatis mutandis (giuro che non l'ho fatto apposta!!), quello che succederà. Se invece, come la sottoscritta, ancora non avete avuto occasione di vedere il film, e non volete rovinarvi la sorpresa, allora vi consiglierei di girare al largo. Non ho ritenuto necessario mettere l'avvertimento spoiler perchè si tratta di un film uscito ben quattro anni fa, ma capisco che a qualcuno possa dare fastidio.

Buona lettura e buon divertimento!

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Meredith strinse più forte la mano di John, disperata e terrorizzata.

Era finita. La polizia li teneva sotto tiro, ora non potevano più scappare. Li avrebbero catturati e sicuramente li avrebbero consegnati a quegli uomini, a quei militari, e chissà cosa avrebbe fatto loro la iena con l’uniforme grigia...

“Mani in alto e faccia a terra, ora!” ripeté il poliziotto.

“Questi sono ragazzini.” Logan li indicò allargando le braccia, in un gesto allo stesso tempo incredulo e protettivo. “Non c’è bisogno di tutte quelle armi.”

“Questo è l’ultimo avvertimento!” gli urlò il poliziotto di rimando.

Logan fece un passo avanti. “Non vogliamo...”

Si sentì un colpo di pistola, e Meredith e Marie gridarono. Logan barcollò indietro e si portò una mano alla testa. Con orrore, Meredith vide un rivolo di sangue gocciolargli giù dal mento, prima che la ferita che aveva sulla tempia si autorimarginasse.

Era talmente spaventata da non accorgersi immediatamente che la mano di John era scivolata via dalla sua e che il suo Zippo era scattato.

“Avete presente quei mutanti cattivi di cui parlano tutti?” Meredith non riconobbe la voce che aveva parlato. “Io sono uno di loro.”

Accadde tutto in un secondo. Meredith fu spinta con violenza indietro, contro la porta, poi ci fu una fiammata e una delle auto della polizia saltò in aria con un boato che scosse l’intero quartiere.

Ci furono altre urla, e poi un’altra auto esplose, investita da una valanga di fuoco. I poliziotti cominciarono a scappare in cerca di riparo, troppo preoccupati per la loro incolumità per continuare ad occuparsi delle persone sotto il portico.

“John, adesso basta!” urlò Logan.

John lo ignorò. Meredith guardò il suo volto: era distaccato, e, nonostante la furia che deformava i suoi tratti, incredibilmente calmo e risoluto, come se quello che stava accadendo in quel momento fosse stato in preparazione per anni e anni, la naturale e prevedibile conseguenza di una reazione a catena, che non poteva in alcun modo essere evitata.

Come l’eruzione di un vulcano, pensò Meredith.

“John, no!” gridò Bobby, proprio mentre John si girava verso una terza auto. Ignorando anche il suo migliore amico, John puntò la mano verso la volante e in un secondo l’auto fu avvolta dalle fiamme. Il serbatoio esplose, proiettando verso il cielo una pioggia di frammenti di ferro e di schegge di vetro.

Perfino dal portico, a circa dieci metri di distanza, Meredith riusciva a sentire il calore degli incendi sulla pelle. Un fumo nero e denso si levava dalle carcasse delle auto in fiamme, e il puzzo della benzina e della plastica bruciata era quasi insopportabile.

“John!” chiamò Meredith.

Lui non rispose. Con la stessa espressione di gelida ira John puntò una quarta auto.

In quel momento Marie si tolse i guanti, corse verso John e gli prese il viso tra le mani. Per una frazione di secondo lui la guardò sorpreso, poi i suoi occhi rotearono verso l’alto e svenne. Marie lo lasciò andare e Logan lo afferrò al volo, deponendolo sulle assi di legno del portico.

“No!” urlò Meredith gettandosi in avanti. Troppo disperata per rendersi conto di quello che faceva, spinse via Logan e si inginocchiò accanto a John.

“John, John, amore, ti prego, svegliati...” mormorò con la voce rotta dal pianto mentre lo scuoteva delicatamente, cercando di fargli riprendere conoscenza. “Ti prego, ti prego amore mio, svegliati...” ripeté ancora e ancora, ma lui non aprì gli occhi.

Impietrita dal dolore, nemmeno si accorse dell’improvviso vento che si era levato, e solo una piccola parte del suo cervello registrò un rumore che si avvicinava, forte, sempre più forte, come la turbina di un aereo. Il suo John non apriva gli occhi, non le rispondeva, e che il mondo esplodesse in mille pezzettini o si schiantasse contro il sole la lasciava totalmente indifferente. Che le importava di tutto, se lui...

“Lascialo, Meredith, lo portiamo io e Logan.” le disse con dolcezza Bobby mentre sollevava il corpo di John. Meredith lo guardò senza capire quello che le diceva.

“Sono venuti a prenderci.” disse Logan indicando un punto sulla strada. “John starà bene. Corri!”

Solo in quel momento Meredith si accorse che l’X-Jet era fermo a mezz’aria davanti alle auto incendiate, nero e affusolato come un enorme uccello rapace, con il portellone posteriore abbassato. Le figure di due donne, una con lunghi capelli rossi e l’altra con i capelli candidi tagliati all’altezza delle spalle si stagliavano contro le fiamme.

Seguendo Bobby e Logan che trasportavano il corpo di John, si fece strada tra i detriti e raggiunse il jet. Non appena furono tutti a bordo, il portellone si chiuse dietro di loro e Meredith potè sentire l’aereo riprendere lentamente quota.

“Cosa gli è successo?” chiese la professoressa Munroe avvicinandosi a John e mettendogli una mano sulla fronte.

“Marie lo ha toccato.” rispose Logan guardando la dottoressa Grey.

Lei annuì. “Portalo di là.” disse rivolta a Logan, e lui si avviò, tenendo John tra le braccia, verso l’interno del jet.

Per un secondo lo sguardo di Jean Grey incrociò quello di Meredith, poi, insieme alla professoressa Munroe, sparì dietro a Logan.

“Che diavolo ti è preso?” urlò Meredith in direzione di Marie, che la guardò ammutolita, evidentemente stupita dalla violenza della sua rabbia. “Volevi ucciderlo?”

“Meredith, datti una calmata.” intervenne Bobby.

“Nessuno ti ha chiesto niente, Bobby.” Non riusciva a controllarsi. Era troppo angosciata e troppo furiosa per farlo.

“Mi dispiace, Meredith, ma lo hai visto anche tu!” si difese Marie. “Aveva completamente perso il controllo!”

“Aveva paura! Era terrorizzato da quelle persone, dopo quello che è successo a scuola!” le urlò Meredith. “Ma si può sapere da che parte stai?”

Marie la guardò a bocca aperta. “Ma che dici? Guarda che siamo tutti dalla stessa parte!”

“Senti, lasciamo stare.” tagliò corto Meredith. Rimpiangeva di essersi lanciata in recriminazioni proprio in quel momento, aveva fretta di andare da John e loro le stavano facendo perdere tempo prezioso. “Hai fatto quello che pensavi fosse giusto nel momento in cui l’hai pensato. Vorrei solo che ammettessi che era una cazzata.”

“Ti ho già detto di non parlarle così!” le urlò Bobby.

“E io ti ho già detto di starne fuori, Bobby! Questi non sono affari tuoi!”

“Non sono affari miei?” ripeté lui, incredulo. “Certo che sono affari miei! Lei è la mia ragazza e John è il mio migliore amico!”

“Senti, ma che altro potevamo fare?” disse Marie. “Credi che mi sia piaciuto? Ho dovuto farlo! Non ho avuto scelta!”

Una risata di scherno eruppe dalle labbra di Meredith prima che lei avesse il tempo di bloccarla.

“Tu non hai idea di che significhi non avere scelta.” disse mentre voltava le spalle a Bobby e Marie e si incamminava verso l’interno del jet, preoccupata solo di trovare John.

I suoi passi riecheggiavano sul pavimento di acciaio mentre esplorava l’aereo, stranamente senza incontrare anima viva. Presumibilmente si trovavano tutti nella cabina di pilotaggio o in qualche altro posto tranquillo dove discutere dei recenti avvenimenti. Di questo Meredith si sarebbe interessata dopo; ora l’unica cosa a cui riusciva a pensare era di trovare qualcuno che la portasse dal suo ragazzo. Finalmente, dopo aver girato un angolo, si trovò faccia a faccia con la professoressa Munroe.

“Dov’è?” domandò. Non le importava nulla di sembrare scortese.

“Quarta porta a sinistra. Meredith...”

Lei la ignorò e cominciò a correre nel corridoio finché non trovò la porta che le aveva indicato la professoressa. Tremando per l’angoscia spinse il portellone ed entrò.

Era una stanzetta con le pareti e il pavimento di metallo, con un lettino d’acciaio nel centro e alcuni armadietti con le ante di vetro, contenenti medicinali e attrezzature mediche di vario tipo, imbullonati al pavimento. Appoggiato alla parete in fondo c’era un letto a castello, e nella cuccetta più bassa giaceva John.

Meredith corse da lui e si inginocchiò accanto al letto. Si chinò su di lui per sentirne il respiro, poi gli passò una mano tra i capelli e gli toccò la fronte. La pelle era fredda e appiccicosa.

“John.” lo chiamò dolcemente.

Lui non rispose, ma le sembrò di vedere gli occhi muoversi sotto le palpebre, come succede spesso quando si sogna. Sembrava profondamente addormentato.

Accarezzandogli i capelli, si chinò su John per baciarlo sulla bocca. Fu un dolore per Meredith sentire che le sue labbra erano fredde e non rispondevano al bacio.

In quel momento la porta si aprì e Jean Grey entrò nell’infermeria. Quando scorse Meredith non le disse nulla, ma si diresse verso un armadietto e cominciò a trafficare con i medicinali.
Meredith si chiese se avrebbe dovuto parlare, ma poi decise che non era necessario e tornò ad occuparsi di John. Mentre gli accarezzava il viso, però, le sembrò di sentire gli occhi della Grey puntati addosso. Dopo aver ignorato quella sensazione per qualche minuto, si voltò per affrontarla.

La dottoressa stava ancora trafficando con le medicine, e sembrava non aver fatto altro per tutto il tempo.

“Si è solo difeso.” le disse Meredith, e la sua voce la stupì per quanto era roca. Non avrebbe potuto spiegare perché parlò. Forse aveva solo bisogno di dirlo a voce alta.

La dottoressa Grey alzò gli occhi e la guardò. “Io non ho aperto bocca, Meredith.” le rispose con il suo tono calmo e controllato.

“Il giorno in cui ci siamo conosciute lei mi ha detto che a volte la forza è necessaria.” continuò Meredith.

Ci fu una pausa.

“Ed è per questo che urlavi in quel modo contro Bobby e Marie?” chiese infine la dottoressa.

Meredith sentì le guancie avvampare come se l’avesse appena presa a schiaffi.

“La forza impiegata deve essere proporzionata alla minaccia, Meredith.”

“Lo era.”

La dottoressa Grey la guardò. “Stai parlando di te o di John?”

Prima che Meredith potesse pensare ad una risposta, l’aereo ebbe un violento sobbalzo, come se avesse incontrato un grosso vuoto d’aria. La dottoressa Grey dovette aggrapparsi al lettino per mantenessi in equilibrio, e un armadietto si spalancò, rovesciando a terra parte dei flaconi che conteneva.

Meredith si aggrappò istintivamente al letto a castello, anche se lei, essendo già in ginocchio, non rischiava di cadere. Guardò Jean Grey, ma la dottoressa sembrava spaventata e confusa quanto lei.

“Cosa...” iniziò Meredith.

In quel momento il jet ebbe un altro sobbalzo, ancora più violento del primo, e per un secondo le luci si abbassarono lasciando la stanza nel buio. La dottoressa Grey, che questa volta era quasi caduta in ginocchio, si rialzò e si diresse di corsa fuori dalla stanza.

“Rimani qui.” ordinò a Meredith mentre attraversava la porta.

Lei si guardò attorno freneticamente, mentre la paura cominciava a montarle dentro. L’X-Jet era una leggenda per i ragazzi della scuola: le sembrava altamente improbabile che le luci si spegnessero per un semplice vuoto d’aria. Si chiese cosa diavolo stesse succedendo: anche la dottoressa Grey le era sembrata seriamente preoccupata. Aveva quasi deciso di disobbedirle e andare a vedere se trovava qualcuno a cui chiedere spiegazioni, quando l’aereo fece uno scarto violento sulla destra e Meredith dovette afferrare con tutta la forza che aveva una delle sbarre d’acciaio che costituivano la struttura del letto a castello per non essere lanciata contro la parete. Molti altri armadietti si aprirono gettando sul pavimento il loro contenuto, che si sparpagliò per la stanza.

L’aereo fece un altro scarto, e poi un altro ancora. Era come se... Come se cercassimo di seminare qualcosa, pensò Meredith mentre la paura le pugnalava il cuore con una lama di ghiaccio. O qualcuno.

Poi, prima che il suo cervello avesse il tempo di formulare un altro pensiero coerente, ci fu un esplosione sotto di loro, e l’intero jet fu percorso dalla violenta onda d’urto. Le ante aperte degli armadietti sbatterono e il vetro di cui erano costituite si frantumò in mille pezzi, ricoprendo il pavimento di schegge taglienti. Meredith si buttò sul corpo di John e premette il viso contro il suo petto, terrorizzata. Le luci si spensero di colpo e una sirena cominciò a suonare, e Meredith sentì il cuore in gola e lo stomaco risalirle lungo l’esofago mentre l’aereo perdeva velocemente quota e precipitava, e tutto attorno a lei si frantumava e crollava, e il jet continuava a cadere, a cadere...

Poi, con un improvviso sobbalzo, l’X-Jet smise di precipitare e le luci si riaccesero come se nulla fosse accaduto. Meredith, che ormai si aspettava di sentire l’impatto con il suolo da un momento all’altro, rialzò di scatto la testa dal petto di John e si guardò in giro perplessa. L’infermeria era un disastro, il pavimento ricoperto da schegge di vetro e dai medicinali che si erano riversati dagli armadietti. Decise di uscire ed andare a vedere cosa succedeva.

“Mmm...” John si mosse nel suo letto, e Meredith lo guardò attentamente, speranzosa e in ansia.

“John...” lo chiamò, e lui girò la testa verso di lei e aprì gli occhi, o almeno ci provò.

“Ciao...” gli sorrise Meredith, piangendo contemporaneamente per il sollievo. Si sentì una scema; sicuramente non doveva sembrare molto intelligente. “Finalmente, era ora...” gli disse mentre si chinava a baciarlo. Questa volta, seppur debolmente, John rispose al bacio.

“Meredith... cosa...” tentò di chiedere lui quando si staccarono.

Lei si rese conto di non avere la più pallida idea di quello che era successo. “Siamo sull’X-Jet, e credo che stessimo precipitando... ma adesso... beh, adesso non precipitiamo più.” balbettò, rendendosi conto mentre parlava che quello che stava dicendo era totalmente incoerente.

John richiuse brevemente gli occhi, come se lo sforzo che aveva fatto ascoltandola fosse troppo per lo stato di debolezza in cui si trovava. Meredith gli accarezzò i capelli e lui riaprì gli occhi, alzando stancamente la mano destra come se volesse accarezzarle il viso. Meredith gli prese la mano tra le sue e se la portò alle labbra, baciandone più volte il palmo con devozione. Calde lacrime di paura mischiata a sollievo ricominciarono a solcarle il viso.

“Basta piangere.” l’ammonì John, tentando debolmente di accarezzarle una guancia.

Lei si asciugò rapidamente gli occhi e sorrise. “Non sto piangendo.” mentì.

“Che pessima bugiarda sei.” disse John, e Meredith rise.

“Vedo che ti riprendi in fretta.” gli rispose accarezzandogli la fronte. “Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?”

Lui scosse la testa con un espressione di disgusto. “No, mi viene da vomitare.” Sembrava di nuovo esausto. “Ma sto morendo di sete.”

Meredith gli diede un altro bacio sulle labbra. “Vado a prenderti qualcosa da bere.” gli disse mentre si alzava. “E dirò alla dottoressa Grey che sei sveglio.”

“No, la Grey no.” protestò John mentre Meredith apriva la porta dell’infermeria.

“Non fare il bambino, John Allerdyce.” lo rimproverò lei con un sorriso. Decisamente John si riprendeva in fretta.

Quando la porta dell’infermeria si richiuse dietro di lei e si ritrovò in corridoio, Meredith si rese conto di non avere la più pallida idea di dove trovare un bicchiere d’acqua. Guardò prima a destra e poi a sinistra, quindi decise che una direzione valeva l’altra: in fondo si trattava pur sempre di un aereo, per quanto grande, e prima o poi doveva per forza incontrare qualcuno.

Scelse di andare verso destra. Mentre camminava si accorse che i motori non erano più in funzione e che l’X-Jet non era più in volo. Sicuramente la sosta aveva a che fare con gli strani avvenimenti di poco prima. Stavano precipitando, di questo era sicura, e a giudicare da quanto era stata lunga la caduta avrebbero dovuto impattare al suolo con una violenza immane. Invece non era successo niente: era come se l’aereo si fosse fermato a mezz’aria. Come se qualcosa lo avesse afferrato al volo e gli avesse impedito di schiantarsi.

Improvvisamente sentì la voce di Logan e Meredith si diresse verso quel suono; dopo aver girato un angolo, vide che una porta era aperta e la luce che proveniva dall’interno della stanza si proiettava nel corridoio buio.

Si avvicinò: la porta era aperta a metà, e Meredith potè vedere solo alcune delle persone presenti nella stanza. Sentiva la voce della professoressa Munroe, anche se non riusciva a scorgerla; Logan era di spalle di fronte alla porta, e alla sua sinistra Meredith riconobbe, con un tuffo al cuore, due persone che non aveva mai incontrato prima, anche se sapeva perfettamente chi fossero. Rimase ferma davanti alla porta, pietrificata, mentre guardava Magneto e Mistica, i famosi e temuti capi della Confraternita dei Mutanti, lui in un elegante vestito di panno nero, lei con la pelle blu scuro e i capelli rosso fuoco, impegnati in conversazione con i suoi professori a pochi metri da lei. Professori che, per quanto ne sapeva Meredith, erano nemici giurati dei suddetti capi della suddetta Confraternita.

Mentre Meredith era impegnata con questi pensieri, Magneto si voltò, la vide e, con sua grande sorpresa, le sorrise. Impaurita, come se fosse stata appena scoperta a fare qualcosa di immorale, Meredith si riscosse e si allontanò in fretta da quella stanza.

Provava una strana inquietudine mentre ripensava al modo in cui Magneto le aveva sorriso. Era un sorriso gentile, lo stesso genere di sorriso che ti aspetti di vedere sul volto di un nonno amorevole mentre gioca con i suoi nipotini. Per un istante, le era sembrato di desiderare che lui le sorridesse ancora in quel modo.

****

Meredith si rigirò nella sua branda, incapace di prendere sonno. Marie giaceva nel lettino di fronte al suo, il viso rivolto alla parete d’acciaio della loro cabina all’interno dell’X-Jet, dormendo o fingendo di dormire.

Per tutta la sera Meredith aveva ignorato la coppia di fidanzati, e Bobby e Marie avevano ignorato lei. Mentre la dottoressa Grey spiegava loro quello che era successo alla scuola e quello che stava per succedere, i tre ragazzi avevano evitato di incrociare gli sguardi e si erano concentrati al massimo sulle parole della Grey.

Meredith pensò che raramente aveva sentito un racconto più raccapricciante di quello. La iena si chiamava Stryker, e a quanto pare era un colonnello dell’esercito con la sacra missione di sterminare i tutti i mutanti esistenti sulla faccia della terra. Come? aveva chiesto Bobby. Jean Grey si era mantenuta sul vago, ma aveva detto che grazie all’incursione nella scuola Stryker aveva raccolto abbastanza informazioni da creare una macchina distruggi-mutante chiamata Cerebro II, ed intendeva utilizzarla al più presto. Dove stiamo andando? aveva domandato Marie. Abbiamo scoperto che la sua base operativa si trova all’interno della diga ad Alkali Lake, aveva risposto la dottoressa, perciò si va là per fermarlo.

Finita la spiegazione, Bobby e Marie erano scomparsi e Meredith era tornata da John. Si era aspettata che Marie e Bobby entrassero in infermeria da un momento all’altro, invece non si erano fatti vivi. Meredith aveva sospettato che finché lei sarebbe rimasta lì con John loro non sarebbero mai venuti a trovare il loro amico. Fortunatamente John aveva dormito quasi per tutto il tempo e non le aveva domandato perché Marie e Bobby non erano lì con lei. Non poteva negare che si sarebbe sentita mortificata a raccontare a John della lite e di come aveva urlato contro di loro.

Meredith si rigirò su un fianco, con gli occhi aperti a fissare la stanzetta buia. Un filo di luce proveniente da sotto la porta le permetteva di scorgere Marie sdraiata sulla branda, ed era quasi sicura che anche lei fosse sveglia. Per un istante, fu sul punto di chiamarla, ma poi si morse la lingua. Era ancora arrabbiata. Molto, molto arrabbiata. Se fosse successo che... Se avesse fatto del male a John, per proteggere quegli uomini che volevano solo far loro del male...

Se Marie si fosse voltata e l’avesse guardata, glielo avrebbe detto. Stavolta si sarebbe sforzata di non gridare e le avrebbe spiegato con calma quello che provava riguardo a quello che era successo a Boston. Quello che provava riguardo a John. Forse le avrebbe raccontato ogni cosa. Ma Marie non si voltò.

Meredith si sentì infastidita dal suo comportamento. Che cosa stupida e infantile, fingere di essere addormentata. Ad un certo punto prese una decisione e gettò via le coperte con un movimento irritato. Le molle cigolarono quando si tirò a sedere sulla branda, e Meredith guardò Marie come se volesse sfidarla a dire qualcosa, ma lei rimase immobile. Sempre più irritata, si alzò e senza nemmeno vestirsi si diresse fuori dalla stanza.
Quando fu sulla porta, le sembrò che Marie si fosse tirata su e la stesse guardando, e per una frazione di secondo Meredith indugiò, aspettando, quasi sperando, che Marie pronunciasse il suo nome; ma ci fu solo silenzio, e lei si richiuse la porta alle spalle.

Le luci nel corridoio erano accese, e mentre camminava a piedi nudi sul pavimento gelido Meredith maledisse la sua vena melodrammatica che l’aveva spinta ad uscire dalla sua stanza con indosso solo una maglietta a maniche corte e la biancheria intima. Se avesse incontrato qualcuno avrebbe fatto proprio una bella figura, senza contare che non aveva una scusa plausibile per trovarsi in giro per l’aereo a quell’ora di notte. Fortunatamente sembrava che tutti fossero nelle loro rispettive cabine.

Aprì cautamente la porta dell’infermeria ed entrò in punta di piedi. Il pavimento era stato ripulito dal vetro e lei si avvicinò al letto di John, guidata dalle piccole luci opache incastonate tre il muro e il pavimento. Quando fu vicina, John si svegliò e la guardò con gli occhi annebbiati dal sonno.

“Ehi.” sussurrò Meredith, sperando che lui non se la prendesse troppo per essere stato svegliato nel cuore della notte.

“Ehi.” le rispose John, sollevando le coperte perché lei potesse infilarsi nel letto.

Meredith obbedì volentieri e si accoccolò contro di lui, godendosi il tepore del letto e il profumo del suo ragazzo. Gli accarezzò il viso e John si sfregò gli occhi, rivolgendole un sorriso assonnato.

“Come ti senti?” gli chiese Meredith baciandogli la fronte. Fu contenta di sentire che il suo corpo stava gradualmente recuperando il suo abituale calore.

“Beh,” rispose John stringendola a sé. “una splendida ragazza seminuda si è appena infilata nel mio letto. Direi che mi sento molto, molto bene.”

Meredith rise, lusingata, e si sporse in avanti per dargli un bacio dietro l’orecchio, che sapeva essere un punto sensibile per John. Lui rabbrividì leggermente e le prese il viso tra le mani, scrutandola attentamente nella penombra. Meredith gli restituì lo sguardo, fissando i suoi occhi grigi in quelli blu scuro di lui, poi John l’attirò a sé e la baciò.

Non si erano mai baciati così, con tutta quella passione e quella fame e quella tenerezza mista a irruenza. Si baciavano come se quella fosse la loro ultima occasione per farlo, e non dovessero sprecare neppure un istante di quel poco tempo che rimaneva. Le loro labbra si separarono più di una volta solo per una frazione di secondo, per poter riprendere fiato, e poi ricominciarono a baciarsi, famelici e disperati.

Quando alla fine si staccarono, Meredith appoggiò la testa al centro del suo petto, mentre John le accarezzava i capelli. Meredith lasciò che il suo respiro la cullasse mentre ascoltava il battito del suo cuore, rapido e violento come dopo una lunga corsa. Lentamente, entrambi cominciarono a rilassarsi e i loro respiri e i battiti del loro cuore tornarono al loro ritmo normale.

Meredith si voltò a guardare John. Aveva gli occhi chiusi e sembrava stesse scivolando nuovamente nel sonno, anche se le sue mani erano ancora appoggiate sui capelli di lei.

“John?” chiamò Meredith.

Lui tenne gli occhi chiusi. “Mmm?” mugugnò, già mezzo addormentato.

“Io... Io voglio fare l’amore con te.” disse Meredith, mentre il cuore ricominciò a batterle come impazzito nel petto.

John aprì gli occhi di scatto e la guardò nella semioscurità. “Cosa?” domandò con un sussurro.

“Voglio fare l’amore con te, John.” ripeté Meredith restituendogli lo sguardo.

Lui la tirò su finché i loro visi non si trovarono alla stessa altezza, e i suoi occhi non lasciarono quelli di Meredith neppure per un momento. “Sei sicura?” le chiese.

“Sì.” rispose lei, e nonostante la trepidazione che stava provando era certa di volerlo davvero.

A quel punto John la baciò di nuovo e Meredith lo strinse e lo baciò a sua volta, impaurita all’idea di aprirsi a lui eppure desiderosa di appartenergli con tutta se stessa.

............................................................................................

Ecco. Lo hanno fatto, finalmente. Beh, dopo quello che gli ho fatto passare, poveretti, se lo merivano proprio un momento di pace e di tranquillità.

Per Lia: di nuovo grazie per aver recensito, sono molto felice che il racconto riesca ad integrarsi con la trama del film, era il mio progetto fin dall'inizio. Mi fa anche molto piacere che una "fan" di Rogue (se così si può dire) non giudichi la mia resa del personaggio troppo patetica; non sai il sospiro di sollievo che ho tirato! Di nuovo grazie per le tue belle parole e a presto.

Per Star_Dust_Daga: Wow, la mia prima critica negativa! Sai, devo confessarti che nemmeno io ritengo che questo sia il mio capitolo migliore. Ho scoperto che scrivere capitoli d'azione non è affatto facile, anzi! Inoltre, non avendo visto il film, faccio una fatica immane a immaginare le situazioni che si presentano. (Colpa mia, certo, che avrei potuto scegliere un percorso diverso o almeno affittare X Men 2, ma sai com'è, facciamoci del male...). In che senso però non ti è piaciuto? I contenuti o lo stile? Se volessi dettagliare la tua critica mi faresti un enorme favore, così la prossima volta, magari, eviterò di fare gli stessi errori. Nel frattempo ti ringrazio per la recensione e spero che vorrai continuare a seguire la storia.

Da parte mia, vi saluto e vi aspetto tra un paio di giorni con il capitolo 14, che è, tanto perchè lo sappiate, il penultimo capitolo di questo racconto.

Un abbraccio a tutti e a presto!

  
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