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Autore: sheeranshoodie    05/03/2013    3 recensioni
"ed mi fece innamorare con la sua poesia. non ho mai definito vere e proprie canzoni ciò che scriveva, per me erano una sorta di 'odi' (...) mi innamorai anche della sua semplicità, della capacità che aveva di farti dimenticare che lui era 'ed sheeran, il famoso cantautore' e di portarti a credere che lui fosse lo stesso ragazzo di halifax, di quasi un decennio prima."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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rimasi immobile, senza riuscire a dire nulla. voleva trascorrere del tempo con me? dopo circa due mesi, che avevo trascorso ad illudermi e a pensare ai suoi meravigliosi occhi, due mesi che mi avevano fatto sorgere ridicoli interrogativi nella mente e altrettanto ridicole aspettative sul suo ritorno, lui voleva stare con me. dopo tutto ciò lui era lì, ignaro di cosa stesse accadendo nella mia testa, e mi stava chiedendo di fare un giro, a mezzanotte passata, sotto la pioggia.
«va tutto bene?» disse, quasi in un sussurro, posando la sua mano calda - doveva averla tenuta in tasca per un po’ - sopra la mia.
«tutto apposto, vado a prendere la mia roba e andiamo» si avvicinò e aprì il bancone per me.
«un vero gentiluomo» credevo di averlo detto tra me e me, mi sorpresi quando rispose.
«grazie, mi ci impegno molto» facendo uno di quei sorrisetti timidi, che ricordavo dalla prima sera e che avevo potuto rivedere solo in foto, mi sciolse il cuore.
feci per andare in bagno a darmi una sistemata, ma poi tornai indietro: non ne avevo le forze, ero decisamente troppo stanca per preoccuparmi anche del mio aspetto.
«erhm, ed, senti.. non ce la faccio proprio a cambiarmi» ammisi, la mia logora felpa grigia da maschio in una mano, le chiavi della caffetteria nell’altra.
«che problema c’è?»  chiese, guardandomi perso, come se non capisse nemmeno quello che stessi dicendo.
«è che.. sono terribilmente in disordine e faccio più schifo del solito» forse la stavo prendendo troppo sul serio. non avevo capito che a lui non interessavo in quel senso, che per lui probabilmente ero un amico, nemmeno un’amica. non mi sarei nemmeno sorpresa se, incontrandolo per strada, mi avesse salutato dicendomi “yeah buddy”. la sua voce irruppe nelle mie riflessioni e le interruppe con molta facilità.
«a me vai bene così, non fai schifo. non importa se hai il trucco sbavato o i capelli in disordine, sono cose superficiali, futili. guarda me, ti sembro un modello per caso?»
ero su di giri. quelle parole mi avevano stravolto, era riuscito a conquistare la mia anima con davvero poco. mi sentivo stupida, molto stupida. e adesso mi accorgo del fatto che facevo bene a sentirmi una completa idiota; nemmeno lo conoscevo e il mio cuore già sussultava alle sue parole.
senza riflettere feci quello che il mio istinto chiedeva. strepitando e scalciando dentro di me, la voglia di abbracciarlo stava sorpassando tutto il resto. così lasciai cadere ciò che avevo in mano, mi sbilanciai verso di lui e gli gettai le braccia al collo.
«cosa stai facendo?» disse con voce imbarazzata, tremolante. a quel punto mi staccai prima che potesse dire altro, mortificata, con gli occhi sgranati, indietreggiai boccheggiando, per trovare aria e parole.  mi appoggiai sul tavolino dietro di me, per sostenermi. sarei potuta morire dalla vergogna, per quanto impossibile, sarei stata il primo essere umano a morire d’infarto causato da ciò.
«io, perdonami, non volevo che smettessi» aggiunse, anche se in fretta, troppo in ritardo.
«non ti ha scocciato?»  ed non rispose. mi guardò fisso negli occhi, come se stesse temporeggiando.
«ed, dormi?» intervenni, consumata da quegli attimi interminabili.
«cerco coraggio»  disse schietto.
«coraggio per fare cosa?»
«questo» senza che potessi ribattere, mi si avvicinò velocemente, mi cinse la vita con le braccia e mi guardò dritto negli occhi. fece salire le mani lungo la mia schiena, fino alle scapole, per stringermi a sé. sentivo il suo respiro caldo, il suo volto nei capelli. mentre godevo di quel meraviglioso momento, continuavo a non capire.
«ed, che significa? che.. che fai?» mentre ancora mi teneva stretta, mormorò:
«scusami, ma era tanto che non abbracciavo qualcuno in una maniera così vera.  sembra una cosa stupida, ma per me è importante» sembrava sincero, era la cosa più strana che mi fosse mai capitata. quel ragazzo così solitario, con il fascino da poeta, irraggiungibile, sembrava così fragile in quel momento. mi stringeva ancora, sentivo il suo respiro caldo sul collo.
«grazie, anche per me è importante. insomma, ti capisco» risposi, mentre si staccava sorridendo.
«è stata una cosa imbarazzante» rise.
«concordo» raccolsi le mie cose, mi infilai la felpa e misi una sciarpa di lana, dello stesso colore della polo. ed mi aprì la porta, uscii e lui fece altrettanto dopo aver spento le luci per me. inchiavai la porta e tirai giù la serranda.
«dove andiamo?» chiesi. la mezzanotte era trascorsa da un po’, sarei dovuta rientrare, ma era l’ultima delle mie preoccupazioni.
«io ho voglia di una birra, potremmo andare al mcgarrow’s pub anche se è un po’ tardi»
«ne dubito fortemente, ed»
«perché mai?»
«è il pub di mio zio e.. potrebbe uccidermi»
ed sembrò titubare, poi disse: «ma non eri italiana?» cazzo, ma come faceva a ricordarselo? riflettei un attimo e poi realizzai che non era un particolare poi così rilevante.
«sì, arthur è il marito di mia zia, mi sono trasferita qua con loro, ma è irrilevante. fatto sta che non posso. però mi è venuta un’idea» cominciai a costeggiare l’angolo della caffetteria, per poi fermarmi e accorgermi che ed non mi stava seguendo.
«ed, se non muovi il culo niente birra!» urlai, e ripresi a camminare, stavolta un po’ più velocemente. mi fu dietro quasi subito, un po’ spaesato. camminammo in silenzio un altro po’, finchè non svoltai in una traversa e la percorsi fino in fondo, dove si apriva un cortile trasandato e illuminato da lampioni dalla luce giallastra.
«vuoi stuprarmi?» scoppiò a ridere e si appoggiò a un muro sudicio, senza preoccuparsene troppo.
«non provocarmi, sono più pericolosa di quanto ti aspetti» scavalcai la recinzione che era adagiata per metà a terra, scostai qualche mattone e scoprii un buco nel muro. presi due birre e ne porsi una a ed, insieme all’apribottiglie.
«mio dio, ragazza, sei  piena di sorprese» afferrò la birra e la stappò. così feci anche io. gli presi la mano e lo trascinai verso di me, fino a una panchina poco distante dal buco. mi gettai a peso morto, stanca, e mi portai dietro anche lui. sorseggiammo un po’ le nostre birre prima che ed ricominciasse a parlare.
«mi spieghi perché diavolo c’erano delle birre in quel muro?» scoppiò a ridere e mi guardò, attendendo una risposta. spostai le gambe sopra le sue, mi avvicinai un po’ .
«diciamo che.. i miei zii, come la mia famiglia del resto, mi hanno cresciuto con un’educazione un po’.. da suora»
«e tu, per tutta risposta, ti ubriachi in un giardinetto abbandonato?»
«esattamente»
«direi che la cosa mi piace» ed finì la sua birra e la appoggiò per terra. feci anche io l’ultimo sorso e raccolsi la sua.
«mm non hai capito come funzionano le cose qua, amore mio» afferrai la bottiglia per il collo con due dita, la dondolai avanti e indietro, alzai il braccio e mollai la presa. qualche secondo dopo andò in frantumi contro il muro, scatenando una mia risatina flebile.
«sei un po’ matta, direi»
«i migliori sono matti, ed» mi alzai e andai a prendere altre birre. tante, davvero tante. mi riposizionai sopra le sue gambe e ne stappai altre due. e ripetei questa azione ancora, ancora e ancora.
 
erano quasi le due e mezzo di notte. eravamo stanchi, avevamo riso tanto, ma eravamo arrivati a quel punto delle sbronze in cui diventi improvvisamente filosofo, che tu lo voglia o meno.
«tu.. sei come alice»
«alice..?»
«alice nel paese delle meraviglie. sembri così innocente e quando ti si conosce sei così»
«pensi che sia un male?»
«personalmente.. lo adoro» fece scivolare la mano sull’interno della mia coscia, mi avvicinò a sé e mi accarezzò i capelli. i nostri nasi si sfiorarono.
«siamo ubriachi, ed»
«non mi interessa» le sue labbra sfiorarono le mie. sussultai, senza motivo. sentivo che quello che stavo facendo era sbagliato. eppure, mi lasciai andare. cominciammo a baciarci sempre più con foga, mentre intrecciavo le mani con i suoi capelli rossi. faceva scivolare le sue mani lungo mi miei fianchi, sempre più in basso, lungo le gambe, per poi tornare ad accarezzarmi i capelli e tenermi la testa per baciarmi meglio. ci staccammo, lo guardai dritto negli occhi. erano un po’ rossi per la stanchezza, lucidi per il freddo, ma bellissimi come sempre. era come se lo conoscessi da una vita. ma, analizzando la situazione, avevo baciato uno sconosciuto con cui mi ero ubriacata. non era esattamente quello che una brava ragazza avrebbe dovuto fare. mi buttai a terra tra vetri rotti e erba malconcia, lui si stese accanto a me. tentò di prendermi la mano, ma mi scansai per avvicinarmi. mi appoggiai sulla sua spalla e mi accorsi che un brivido lo scosse quando le mie labbra entrarono in contatto con il suo collo. girò la testa e continuò a baciarmi come prima, mi prese e mi fece spostare sopra di lui, mentre infilava una mano sotto la mia maglietta, scoprendomi un fianco e facendomi sentire l’aria fredda sulla pelle. l’altra mano nel frattempo scendeva lungo la mia schiena, fino ai glutei, dove si fermava compiendo movimenti pieni di desiderio. d’un tratto ed fece un movimento brusco, facendomi finire sotto di lui.
«sei mia, solo mia» sussurrò.


*angolo autrice*
saaaalve. secondo capitolo. okay non è nulla di speciale ma sul prossimo ci sarà un colpo di scena eheh. vi prego, se leggete lasciate una recensione! criticate, insultate se necessario, ma lasciatemi un "segno del vostro passaggio". vi amo tutti sdfgj -lou
  
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