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Autore: viktoria    10/03/2013    1 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Quanto avevo sognato di incontrarlo, di fare una foto con lui e di parlargli. Come quelle ragazzine idiote che vanno dietro i propri idoli per anni. Potevo dire, con un certo orgoglio, che io i miei pensieri idioti su di lui me li ero tenuti per me benché avessi sempre ammesso di far parte di quel 99% della popolazione che ha un suo idolo famoso con cui sogna quella storia romantica da fiaba.
Jonathan Rhys Meyers era il mio.
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Stavo tremando. Davvero.

Eravamo ormai in macchina, i capelli perfettamente acconciati grazie alle sapienti mani di Millie, la parrucchiera che si era occupata di me. era un ragazza venticinquenne che amava Jonathan e che mi aveva chiesto di raccontarle tutto su di lui.

- Guarda che è un rompiscatole, non è proprio come lo si sogna.- le raccontai io alzando gli occhi al cielo e ridacchiando.

- Ma il mio sogno non è mica quello di parlarci.- precisò lei facendomi l’occhiolino. –magari stasera sarai così fortunata da realizzare il mio sogno.-

- Non credo.- tagliai corto non riuscendo a non pensare alle sue labbra sul mio seno.

no, Laura!” mi rimproverai prendendo un respiro profondo. Non dovevo trasgredire le regole ferree che mi ero autoimposta.

Il suo lavoro comunque era stato davvero eccellente. Non mi ero mai vista tanto bella in tutta la mia vita nemmeno per il mio compleanno quando mi affidavo ad un parrucchiere e alla mia estetista. Non ero mai stata truccata così.

Non era qualcosa in particolare, era tutto il trucco in se. L’ombretto negli occhi infatti era molto leggero per accompagnare l’abito importante e l’acconciatura e solo le labbra erano state valorizzate molto. La il viso che vedevo riflesso nello specchio non sembrava nemmeno il mio tanto era perfetto. Sarebbe stato un dramma struccarsi.

- Bacialo anche per me ti prego!- mi aveva domandato implorante Millie baciandomi la guancia prima che uscissi dal locale in cui eravamo arrivate nel pomeriggio presto. Erano già le sei e mezza.

Lo avrei fatto con piacere se ne avessi avuto la possibilità.

Ci fecero scendere davanti all’ingresso. Il tutto era circondato da transenne e dai flash abbaglianti dei paparazzi che erano accorso in molti per quell’occasione. Era davvero una cosa ridicola per me.

- Ok, sei pronta?- sussurrò una voce al mio fianco.

Io annuì a Marie e la guardai mentre si allontanava sorridente per raggiungere Ettore e fare il suo ingresso. Erano davvero bellissimi. Si guardavano in quel modo che avevano due persone innamorate. Si cercavano sempre. Era l’amore che avrei tanto voluto avere anche io al mio fianco.

Noi entrammo da sole. Io e le mie amiche insieme. Sorridemmo un po’ ma in tutto andammo avanti lisce. Nessuno ci fermò per chiederci delle foto. Ovvio, non eravamo nessuno noi. La sala era splendidamente curata. I miei compagni erano già là seduti ad un tavolo che c’era stato destinato. Mario, Piero e Andrea mi vennero incontro entusiasti.

- Laura, sei bellissima. Ciao.- mi salutò sorridente abbracciandomi stretta Mario. – non ci siamo visti quando siete arrivate?- mi domandò mentre anche gli altri mi salutavano.

- Sembri davvero una fotomodella.- mi ricordò Andrea prima che potessi parlare.

- Grazie.- sussurrai sorridente. – siamo arrivate ieri sera tardi e stiamo a casa di Jamie.-

- Il fidanzato di Giulia?- domandò Piero abbracciandomi.

- Sì.- ammisi io sorridente toccandogli i capelli perfettamente legati e sistemati. – Olivier te li ha concessi lunghi?- domandai sorridendogli.

- Sì, ma solo grazie a Paul che era favorevole.- ammise lui. –non avrei mai permesso che li tagliassero comunque.- concluse con un’espressione seria.

Ci sedemmo tutte al tavolo mentre la sala si riempiva di gente dello spettacolo e donne bellissime. Betta era in crisi profonda così come ognuna di noi. Comunque non avevo speso una piccola fortuna per rimanere seduta tutta la sera. Mi alzai da tavola e le guardai.

- Andiamo a cercare Jonathan per fargli gli auguri?- domandai sperando che qualcuno di buona volontà mi seguisse. Si alzò solo Andrea e Mario fece lo stesso dopo che lo pregai un po’.

Camminammo tra la folla alla ricerca del festeggiato.

- Guarda Colin Farrel!- mi fece notare Andrea indicandolo.

- Guarda Alex O’Connell.- mi chiamò dall’altra parte Mario.

- Si chiama Luke Forde.- lo riprese Andrea stizzito.

Io cominciavo a sentirmi confusa. Mi aggrappai al fianco di Andrea che mi accompagnò silenziosamente lì dove eravamo effettivamente diretti.

- Ciao Jonathan, auguri.- lo salutò Mario coprendomi col suo corpo mentre gli porgeva la mano libera.

- Grazie.- sentì semplicemente rispondere mentre Andrea faceva la stessa cosa dall’altra parte.

- Divertitevi.- ci augurò semplicemente prima di girarsi pronto ad andare via.

- Non vuoi neanche che ti faccia gli auguri?- lo presi in giro facendomi largo tra i due ragazzi che mi avevano rubato la scena tenendo il fuggiasco per un braccio.

Dovetti fare due passi avanti per non cadere perché nonostante tutto aveva continuato indifferente a camminare.

- Ehi, O’Keeffe!- lo richiamai. A quel punto, finalmente, si fermò. Lo vidi voltarsi di scatto con la fronte aggrottata e mi fissò interrogativo.

- Che ci fai tu qui?- mi domandò con una punta di acidità nella voce.

- Che vuol dire che ci faccio qui?- domandai io a mio volta togliendo il braccio e guardandolo leggermente colpita. – ci ha invitati tua sorella.- conclusi in un sussurro.

- Anche tu?- chiese alzando un sopracciglio. Io annuii incapace di dire alcunché.

- Ti spiace?- domandai piano in risposta.

- Non dovevi essere in viaggio?- mi fece notare.

- Sì, però non potevo rifiutare l’invito.- scherzai cercando, con scarsi risultati, di sorridere. Sentivo che mi stava scoppiando il cuore nel petto.

- Oh sì che potevi ce la saremmo cavati comunque.- rispose semplicemente.

Guardandolo sembrava che stesse bene. Aveva un bel colorito naturale, niente occhiaie rossicce o cose del genere. Faceva anche un buon profumo. Ma il trucco, che aveva fatto miracoli sul mio viso, probabilmente nel suo era anche meglio.

- Sì, lo vedo che te la stai cavando.- acconsentì con un mezzo sorriso. – sono felice che sia così. Il lavoro va bene?-

- Sì, sì, tutto bene.- tagliò corto lui.

- Sei ancora arrabbiato per Londra?- domandai mordendomi il labbro. – i miei non mi avrebbero mai fatta venire comunque.- gli feci notare sotto voce.

- Laura non potrebbe fregarmene meno di Londra e del tuo rifiuto ok? Mi infastidisce che tu abbia pensato di dover venire conciata così.- mi apostrofò crudelmente facendomi fare un passo indietro mortificata.

- Comunque non c’era nessun bisogno di mascherarsi in questo modo.- mi fece presente continuando acidamente alzando un angolo delle labbra

- Cosa?- biascicai io cominciando ad arrossire.- di che parli?- domandai subito cercando di darmi un tono. Ovviamente non servì a molto.

- Del trucco che ti sei fatta spalmare sulla faccia.- mi fece notare lui passandomi il pollice sulla guancia e mostrandomi lo strato bello spesso che gli era rimasto sul dito.

- non ti piace?- domandai in un sussurro cercando di apparire indifferente.

- Sembri una prostituta.- concluse lui indifferente mettendo le mani in tasca e guardando altrove mentre io mi ripetevo di non scoppiare in lacrime. – goditi la serata.- mi auguro da bravo stronzo qual era.

Mi voltai e mi allontanai velocemente da lì a passo di carica. Mario e Andrea non c’erano più e trovare il tavolo era davvero un’impresa. Non volevo sembrare una scema davanti a tutta quella gente ma davvero non riuscivo a controllare la delusione.

- se scoppi a piangere gli darai di che parlare per mesi.- mi suggerì una voce contro l’orecchio.

Ero seduta su un divanetto in pelle nero su cui mi ero lasciata cadere perché mi sembrava il posto più vicino in cui fermarmi e aspettare che qualcuno di mia conoscenza passasse a prendermi. Avevo però disturbato a quanto pareva qualcuno che aveva sicuramente più diritto di me di stare lì.

- Non sto piangendo.- sbottai acida prima di sospirare e voltarmi dalla parte opposto a quell’osservatore indiscreto.

- Sì?- mi domandò lui cercando di non ridere.

- Sì.- confermai sempre più seccata. Mi voltai verso di lui e me lo ritrova davanti in tutta la sua sconvolgente bellezza. Non parlavo di qualcosa da: oh sì, carino. Era proprio uno di quelli a cui si salta addosso dopo 10 minuti.

- Allora mi spiace di aver pensato male di te.- concluse passando un braccio dietro lo schienale del divanetto poggiandosi meglio e sollevando un angolo delle labbra in un sorriso. Aveva un sorriso davvero carino. E aveva una faccia conosciuta.

- Ci conosciamo?- domandai sedendomi meglio e voltandomi verso di lui.

- Non credo, però possiamo rimediare. Io sono Gaspard.- si presentò porgendomi la mano.

Ah ecco perché lo conoscevo. Era un attore.

Gaspard Ulliel, con l’atteggiamento da attore e tutto il resto. Era bello quasi quanto nell’immaginario. Non credevo che fosse così poco photoshoppato. Era una bella sorpresa.

- Laura.- mi presentai a mia volta stringendogli la mano che mi porgeva. - sei francese.- precisai con quella frase scontata che lo fece sorridere.

- Sì.- ammise con dell’ironia nella voce come stesse per dire: “allora sei brava, Sherlock.”

- Io parlo francese.- affermai di nuovo come a spiegare la mia infelice battuta. Lo dissi in francese con quel tremendo accento italiano che sapevo di avere.

- È davvero bello incontrare qualcuno che parla la mia lingua.- rispose lui in francese con quella voce profonda che ti aspetteresti da un film. - anche se non è francese di nazionalità.- precisò lui con un sorriso che mostrò la fossetta che aveva nella guancia. Era una fossetta davvero molto carina, niente da ridire a riguardo.

- Sì, mi spiace.- mormorai io arrossendo e sorridendo in modo il più cordiale possibile.

Avevano aumentato il rumore della musica ma lui era rimasto sempre alla stessa distanza e non aveva aumentato il tono di voce. Facevo non poca fatica ad interpretare le sue parole.

- Oh a me no.- rispose semplicemente. O almeno io credetti di aver sentito questo. – di dove sei?- mi domandò cordialmente.

- Sono italiana.- gli risposi tornando all’inglese sollevando lo sguardo dalla sua mano che aveva appoggiato sul divanetto nello spazio tra me e lui come a tenere le distante.

- Di dove?- domandò di nuovo con insistenza. – ti prego, il tuo francese è davvero carino.-

In realtà ero troppo impegnata a cercare di interpretare i suoi movimenti per poter pensare anche a quello che stava chiedendomi. Mi stava tenendo a distanza, questo era ovvio, ma perché? Aveva paura che lo attaccassi? Ma erano tutti uguali gli attori? Non lo avrei attaccato, dopo l’esperienza Meyers non sarei mai più andata dietro ad un ragazzo se non fosse stato lui a provarci per primo.

- Una piccola città in Sicilia, non credo che la conosci.- tagliai corto allontanandomi un po’.

Lo vidi aggrottare la fronte e rimanere immobile per un secondo prima di avvicinarsi lui stesso.

- Proviamo.- scherzò non contento evidentemente della mia risposta. quel ragazzo assomigliava tantissimo nei modi al mio incubo personale da cui ero appena stata maltrattata.

Possibile che fossero tutti uguali? Assomigliava anche a quel ragazzo che una mattina avevo visto seduto al bar con Betta e che aveva attirato la mia attenzione per i suoi atteggiamenti simili a quelli di Jonathan. Risposi frettolosamente biascicando il nome della città.

- Ho passato lì un paio di giorni prima delle vacanze di pasqua. Davvero una città carina.- rispose lui attirando di nuovo su di se la mia attenzione.

- Davvero?- domandai rivolgendo il viso verso di lui e rimanendo a debita distanza. Lui era straordinariamente vicino adesso. Si fidava che non lo attaccassi?

- Già.- confermò con un mezzo sorriso.

- Eri con una ragazza?- domandai involontariamente meritandomi un’occhiata da parte sua che sembrava volermi leggere dentro. Si era avvicinato ancora, adesso quasi sussurrava ma lo sentivo lo stesso.

- Avevi un cappottino rosso?- mi domandò a sua volta dando prova di ricordarsi addirittura di me.

Mi allontanai un po’ e lo guardai con un enorme sorriso. Io sapevo di non sbagliarmi.

- Sei il ragazzo del bar!- esclamai strappandogli un enorme sorriso.

 

Ero appena uscita dal bar, in bocca avevo ancora quel buon sapore di caffè amaro che adoravo la domenica mattina presto, al mio fianco Betta che mi chiedeva come fosse andata la settimana e se mi stessi già preparando per i prossimi compiti in classe. Erano le vacanze di pasqua. Era il sabato di pasqua. Perché quelle domande? Non riuscivo a concentrarmi bene. Mi mancava. Ogni volta che non gli stavo attorno mi mancava. Che scema. Non riuscivo a non pensare a quel bacio, ai suoi occhi visti da vicino, al suo sapore. Per una volta quello del caffè non mi sembrava più granché. Avrei voluto un altro sapore, di cioccolato, fumo e libidine. Arrossì. Lo sapevo perché improvvisamente in quella fredda mattina di Aprile mi sentì le guance infiammate. Calde. Risi tra me. Mi voltai verso di lei sorridendole appena, stretta nel cappottino rosso che aveva scelto per me tremando come una foglia a causa del leggero vestitino blu. Lei con la moda ci sapeva fare. Ogni volta che mi vestiva, come fossi la sua bambola, mi sentivo bellissima e molto più sicura di me. che potere enorme che aveva quella ragazza.

- Non sono ancora…- prima che potessi finire la frase incrociai gli occhi blu di un ragazzo seduto ad un tavolino.

Erano dei begli occhi. Profondi e rassicuranti. Il contrasto con la camicia bianca era sconvolgente. Un turista. Francese probabilmente. I francesi avevano quella mascella pronunciata e sexy. Non lo stavo guardando più. Avevo altri occhi davanti, degli occhi chiari, di ghiaccio. Un paio di labbra spesse, morbide, un buon sapore in bocca. Lui non aveva gli occhi rassicuranti e non mi guardava mai con curiosità come quel turista. Di solito era disprezzo o derisione.

Ci eravamo allontanate di qualche passo. Quando realizzai che anche lui mi aveva guardata come se mi stesse studiando. Il mio incubo mi distraeva sempre dalla realtà e finivo per perdermi dei dettagli essenziali. Non era la prima volta quella che accadeva. Mi voltai di nuovo indietro e lui era ancora lì a guardarmi. Allora non lo avevo immaginato.

- Betta, guarda quel ragazzo, non ha qualcosa di tremendamente familiare?- le domandai scrollandola piano per il braccio.

Lei si interruppe. Stava parlando e non l’avevo ascoltata. Mi dispiaceva. Ero davvero un’amica tremenda. Forse Jonathan non aveva tutti i torti. Neanche la migliore amica che mi aveva abbandonata in un angolino. Chissà se glielo avessi detto, magari l’avrebbe trovata simpatica e avrebbe smesso di litigare con le mie amiche.

Lei si voltò, lo guardò mentre ancora lui guardava me. poi arrivò una ragazza, straniera anche lei, non sembrava francese ma chi poteva dirlo. Aveva un vestito leggero leggermente alzato dietro a mostrare una porzione troppo generosa di coscia. Probabilmente lo pensavo solo io. Benchè cercassi di liberarmi della retrograda mentalità del sud io ero la tipica ragazza del sud con i suoi stereotipi e i suoi pregiudizi. Povera ragazza, neanche la conoscevo e già la mia mente l’aveva etichettata.

Puttana.

Si sedette e gli poggiò una mano sul braccio. Non sembrava nulla di volgare quello. Sembrava il gesto di una qualsiasi ragazza. Lui aveva smesso di guardarmi, di studiarmi come se fossi un quadro in un museo, e adesso parlava con la sua compagna.

- Non mi sembra di conoscerlo, forse ha una faccia comune. Si vede lontano un miglio che è francese.- rispose la mia amica alla mia domanda. E così mi riportò con i piedi per terra mentre la mia mente continuava a cercare una possibile soluzione a quel rebus. Possibile che lo conoscessi? Forse no. forse semplicemente Betta aveva ragione.

- Sì.- acconsentì io mentre tornavamo a camminare e ci allontanavamo.

Ci eravamo fermate e non me ne ero neanche resa conto.

La sensazione di aver avuto davanti un volto conosciuto non mi abbandonò mai. Forse era uno di quei ragazzi che avevo conosciuto a Parigi durante il mio stage lavorativo di quell’estate. Forse lo avevo visto su facebook tra gli amici del mio corrispondente francese. Forse…

Quando, nella tranquillità della mia camera, ripensai a quell’episodio, mi resi conto che somigliava a qualcuno. Era per quel motivo che lo avevo guardato, me lo ricordava. Era bello, non quanto lui però, e aveva lo stesso, affatto discreto, atteggiamento.

 

 

Erano passati parecchi minuti. Forse anche delle ore perché ci eravamo resi conto ad un tratto che erano tutti seduti e mangiavano silenziosamente. Lui mi stava vicinissimo, avevo le sue labbra quasi contro il viso e il suo braccio dietro la schiena. Quando sollevavo il viso per guardarlo o lo abbassavo per nascondere una risata i miei capelli gli sfioravano il viso o il petto.

- Davvero non hai mai lasciato l’Europa?- mi stava chiedendo adesso giocherellando con una ciocca dei miei capelli che erano sfuggiti all’acconciatura.

- Sì, te lo giuro.- ammisi io passandomi una mano sul viso.

- Potremmo andarci insieme qualche volta.- mi invitò con un tono bassissimo di voce contro il mio orecchio.

- Non temi che possano fare qualche foto che finisca sul giornale?- domandai allontanandomi appena ma lui mi bloccò con una mano sulla schiena.

- No. non mi importa.- completò semplicemente avvicinandosi di nuovo.

Alzai il viso puntandolo dietro di lui meditabonda. Quanto sarei stata tremendamente felice di quel momento se non l’avessi conosciuto al compleanno di Jonathan. Sarei stata felice ogni oltre misura se l’avessi conosciuto prima. Ma non riuscivo ad essere pienamente felice.

- Non ti ho chiesto come conosci il festeggiato.- cercai di deviare sorridendogli apertamente e meritandomi un sorriso che mostrò la sua bella fossetta.

- Lavoriamo insieme ad un progetto a Londra.- rispose vago.

- A sei anche tu nel cast di Dracula?-

- Sì.- ammise aggrottando appena la fronte ma sempre con un certo sorriso. – come fai a sapere di quel film?-

- Me ne ha parlato lui tra una sfuriata e l’altra.- gli raccontai facendo spallucce sulla difensiva.

- Come lo conosci tu?- mi domandò lasciando trapelare una certa curiosità.

- Siamo amici.- risposi vaga a mia volta.

- Davvero? Ha degli amici?- domandò scoppiando a ridere. Aveva una bella risata. Non dovevano essere grandi amici dopo tutto, anzi sembrava proprio che Gaspard sembrava non credere che quell’uomo potesse avere degli amici.

- Sì, ma pochi.- risposi facendo spallucce. – è parecchio selettivo nei suoi affetti.- conclusi semplicemente.

- Chissà com’è la ragazza che gli piace…- mormorò come se parlasse tra se.

- È bionda.- risposi io leggermente avvelenata. – alta, magra, bella come una fotomodella e con due grandi occhi azzurri.- conclusi stringendo le labbra.

lui si voltò verso la sala seguendo il mio sguardo al tavolo in cui sedevano i cinque ragazzi che avevo conosciuto a casa mia. Allie mi stava guardando, anzi mi stava fulminando con lo sguardo.

- Neanche lei sembra essere molto felice di vederti.- costatò Gaspard guardandola.

- Già.- acconsentii io indifferente tornando a guardarlo e sorridendo tranquilla. – fortuna che non me ne importa nulla.- conclusi facendo spallucce.

- Hai fame?- mi domandò poi lasciando la biondina che invece sapevo stava ancora guardando noi.

- Non molta a dire il vero, però credo di dover tornare a tavola, le mie compagne si staranno chiedendo dove sono.- gli risposi alzandomi dal divanetto nero.

- Mi devi un ballo ricordi?- mi domandò alzandomi a sua volta.

- Anche due.- acconsentii io sorridendogli. –dopo cena.- conclusi passandogli una mano sulla spalla.

L’avevo sollevata per accarezzargli la guancia e sentire la consistenza della sua pelle e sentire sotto le dita la fossetta. Fortunatamente ero riuscita a fermarmi prima e gli avevo solo fatto una carezza sulla guancia. Sorrise gentile e mi allontanai tornando al mio tavolo. Sentivo ancora gli occhi di Gaspard addosso e anche lo sguardo di Allie.

Le mie compagne erano sedute a guardarmi con i piatti mezzi vuoti davanti. Quando mi sedetti applaudirono felici e mi fecero i complimenti.

- Hai parlato per tre ore con Gaspard Ulliel, come è stato?- mi domandarono cinguettando soddisfatte.

- Interessante. Ha una bella voce.- raccontai semplicemente prendendo una forchettata di riso.

- Sembrava volesse saltarti addosso.- mi fece notare Caro. – io gli sarei saltata addosso immediatamente.-

- Io ho dato quest’impressione?- domandai curiosa.

- No, sei stata brava a cercare di scappare dalle sue attenzioni.- mi rispose Benny facendomi l’occhiolino. Non volevo il suo occhiolino onestamente. Era la cosa più falsa del mondo.

- Sei di un culo assurdo!- mi fece notare Ale. – io lo amo, ho visto tutti i suoi film. E tu lo incontri una sera e lui sembra innamorato perso di te.-

- Non è la prima volta.- risposi prendendo un altro boccone.

- Cosa?- mi domandarono tutte incredule.

- Era il ragazzo che avevamo visto al bar per pasqua.- ricordai a Betta che aggrottò la fronte.

- Non lo ricordo.- rispose semplicemente aggrottando la fronte cercando di ricordare.

- Quello carino che ti avevo detto somigliava a qualcuno e ti mi hai detto che era solo un francese come un miliardo di altri.- cercai di ricordarle aggrottando la fronte.

- Niente, mi spiace ho il vuoto.- rispose lei facendo spallucce e provocando un mio sorriso rassegnato.

- Va bene fa niente, comunque è quello lì.- conclusi semplicemente prima che le mie compagne interrompessero le loro risatine a sfottò dirette a me e Betta e si raddrizzassero sulla sedia come punte dagli spilli.

- C’è il raggio di sole.- sussurrò Betta un po’ troppo forte provocandosi una gomitata.

- Quest’uomo provoca la mia bile ogni volta che lo vedo.- mormorò Ale in ricordo forse a quella vecchia battuta un sabato a casa mia.

- Lo prenderei a calci nelle gengive.- acconsentì Caro. Il suo odio era del tutto giustificato assolutamente.

Abbassai lo sguardo sul piatto che avevo di fronte quasi completamente intatto e dovetti trattenermi a stento quando sentì la sua mano sullo schienale della mia sedia.

- Ciao a tutte. Laura, balliamo?- domandò senza essere per nulla gentile.

Comunque era arrabbiato.

Aveva cominciato a chiamarmi Lorie già da un po’ ed era rimasto un sostenitore di quel nome ogni volta che non era troppo arrabbiato per non rispondermi male. Evidentemente era arrabbiato.

- Sì, perché no.- mormorai alzandomi da tavola con calma.

Mi aveva poggiato la mano sulla schiena nuda. Era fredda e asciutta. L’ultima volta che lo aveva fatto era leggermente umida della mia saliva. Mi imposi di trattenermi e, stringendomi le labbra tra i denti, presa la sua mano, lo seguì al centro della pista.






Note Autore:
salve ragazze.
non sono molto convinta di questo capitolo quindi mi interessa davvero molto il vostro parere riguardo a ciò che abbiamo scoperto.
fatemi sapere onestamente mi raccomando e grazie per il tempo che mi dedicate :)
  
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