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Autore: elsie    04/10/2007    1 recensioni
Seguto di "Into the Fire". John e Meredith si sono ormai lasciati alle spalle i loro nomi e il loro passato e sono diventati Pyro e Medusa, soldati di Magneto nella Confraternita. Ma insieme alla guerra tra umani e mutanti, i due ragazzi dovranno combattere una battaglia molto, molto più importante, e che riguarda loro due soli. AVVISO: in questo racconto si parlerà di aborto. Se non vi sentite di affrontare questo argomento, allora per favore non leggete.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Confraternita, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: tutti i personaggi presenti in questo racconto, ad eccezione di Meredith St.Clair/Medusa, che è una mia creazione, appartengono a Stan Lee e Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox.

Salve a tutti e ben ritrovati. Ecco il capitolo 6.

...................................................................................

Medusa sedeva a gambe incrociate sul terreno umido di rugiada, in una piccola radura nascosta nel cuore della foresta. Da lontano le giungevano i rumori dell’accampamento, che proprio in quel momento si stava lentamente svegliando e si preparava per il suo ultimo giorno nel bosco. L’attacco all’isola di Alcatraz, sede della Worthington Pharmaceutics, era ormai alle porte.

Medusa stese le gambe e appoggiò la schiena contro il tronco di un albero, guardandosi in giro. Amava molto quella radura. L’aveva scoperta il giorno in cui un violento attacco di nausea l’aveva costretta ad abbandonare di corsa la tenda, mentre Pyro era impegnato a discutere con Madrox a proposito di qualcosa a cui lei non aveva fatto attenzione. Aveva corso a perdifiato tra gli alberi, cercando di allontanarsi quanto più poteva dal campo, ma alla fine non ce l’aveva fatta più a trattenersi ed era caduta in ginocchio, vomitando ai piedi di un albero di quercia. Quando aveva alzato la testa si era resa conto di trovarsi ai margini di una minuscola radura coperta di muschio verde e di felci nane. La cosa che l’aveva sorpresa di più, però, era un grosso cespuglio di rose selvatiche che cresceva accanto ad una piccola pozza di acqua piovana.

Ricordava di essersi avvicinata piena di stupore e di meraviglia, e di aver accarezzato con delicatezza i petali setosi di una delle piccole rose scarlatte. Aveva desiderato coglierla e portarla con sé alla tenda, ma qualcosa l’aveva bloccata, dicendole che non era giusto deturpare una cosa tanto bella e tanto pura.

Da allora era tornata spesso alla radura, eleggendolo a suo rifugio personale. Tutte le volte che si era sentita stanca e depressa mollava tutto e veniva a sedersi accanto alle rose selvatiche. Le ricordavano una vecchia canzone di Nick Cave che suo padre ascoltava sempre quando lei ed Evie erano piccole.

From the first day I saw her I knew she was the one
She stared in my eyes and smiled
For her lips were the colour of the roses
That grew down the river, all bloody and wild…

Medusa staccò gli occhi dalle rose e guardò il foglietto spiegazzato che si rigirava nervosamente tra le mani. Vi era riportata sopra una data (corrispondente ad un giorno della settimana seguente), e un orario, le dieci e trenta del mattino.

Chiuse brevemente gli occhi e sospirò, il suo cuore saturo di dolore e di lacrime non piante, poi si passò lentamente una mano sul volto prima di tornare a guardare il biglietto. Il giorno precedente era scesa in città di nascosto ed era andata al consultorio pubblico. Un paio di giorni prima aveva telefonato ed aveva preso appuntamento usando una delle sue false identità.

Aveva aspettato per quasi un’ora in una sala d’attesa gremita di donne e ragazze, seduta in silenzio su di una scomoda poltroncina di plastica verde. Quasi nessuno parlava. In fondo alla sala, una donna sulla quarantina piangeva sommessamente, stringendo la mano della ragazzina seduta al suo fianco. Medusa aveva pensato che non potesse avere più di tredici anni.

Di tanto in tanto un’infermiera grassa usciva da una porta bianca situata dietro il bancone dell’accettazione, inforcava gli occhiali da vista che teneva appesi al collo con una catenella dorata e chiamava un nome che stava scritto su una cartelletta. A quel punto una delle donne seduta in sala d’attesa balzava in piedi e spariva insieme all’infermiera grassa dietro la porticina bianca.

Medusa aveva guardato in terra, cercando di non ascoltare il pianto della donna seduta in fondo alla sala. Era stato un sollievo quando l’infermiera era ricomparsa e aveva letto un nuovo nome sulla cartelletta, e madre e figlia erano entrate nella stanza al di là del banco dell’accettazione. Finalmente libera di guardare in giro senza il timore di incrociare lo sguardo sofferente della donna o quello distaccato della ragazzina, Medusa aveva esaminato le pareti bianche della stanza e il lampadario al neon, punteggiato dai minuscoli cadaveri neri degli insetti che vi erano rimasti imprigionati dentro. Pessima igiene per essere uno studio medico, aveva pensato. Si era augurata che le condizioni sanitarie negli ambulatori e nelle sale operatorie fossero migliori.

Aveva scacciato quel pensiero e si era concentrata sui poster colorati appesi qua e là sui muri, che illustravano vari metodi di contraccezione. Medusa aveva sorriso amaramente. Forse cercano di evitare che chi viene qui compia di nuovo lo stesso errore. O magari si tratta solo di un rimprovero. Si era accarezzata la pancia ed era riuscita a sentirne il calore attraverso il tessuto pesante del giubbotto che indossava. “Chi è causa del suo male pianga sé stesso.”, come diceva la mamma.

In quel momento la porta bianca si era aperta di nuovo e la tredicenne era uscita quasi di corsa, seguita a ruota dalla madre che ora singhiozzava ad alta voce premendosi un fazzoletto sulla bocca. L'infermiera grassa aveva chiamato il nome che non era in realtà il suo nome, e Medusa si era alzata e l’aveva seguita oltre la porta bianca.

Si era ritrovata in una piccolo ambulatorio con le pareti candide e il pavimento di mattonelle verdi. Di fronte alla porta da cui erano entrate Medusa e l’infermiera c’era una scrivania su cui erano impilate due colonne di cartelle, e dietro la scrivania si trovava un grosso armadio con le ante di vetro, molto simile agli armadietti che Medusa aveva visto più o meno una vita fa nell’infermeria dell’X-Jet.
In un angolo della stanza si trovava un lettino d’ospedale, e accanto ad esso c’erano alcune apparecchiature mediche e un piccolo tavolino d’acciaio su cui era appoggiato un vassoio di plastica sigillato in un sacchetto di cellophane, che conteneva, o almeno così era parso a Medusa, una serie di strumenti chirurgici. Fu molto sollevata di vedere che tutto sembrava pulito e asettico.

L’infermiera grassa le aveva indicato la sedia che si trovava di fronte alla scrivania e Medusa si era seduta. L’infermiera aveva preso posto dall’altra parte del tavolo e aveva preso la cartella che si trovava in cima alla pila di sinistra. Senza neanche degnarla di un’occhiata aveva iniziato a compilare i fogli che vi si trovavano all’interno.

L'infermiera le aveva chiesto la sua data di nascita, e Medusa aveva cambiato il giorno e il mese ma non l'anno. Si era aspettata uno sguardo di disprezzo o perlomeno di stupore per la sua giovane età, invece l’infermiera non si era scomposta davanti al fatto che aveva appena diciassette anni. Probabilmente ha visto di peggio, si era detta Medusa, e aveva ripensato alla tredicenne che sedeva indifferente in sala d’aspetto.
Diede anche un indirizzo e un numero di telefono falsi, sperando che nessuno controllasse.

“Sai di quanto sei incinta?” le aveva chiesto l'infermiera.

“Otto settimane, se è vero che si conta dal primo giorno dell'ultima mestruazione.” aveva risposto Medusa. L'infermiera aveva annuito senza alzare gli occhi dal foglio.

Le aveva fatto ancora qualche domanda, poi si era tolta gli occhiali e l’aveva guardata.

“Svestiti e sdraiati lì.” le aveva detto indicando il lettino. “Il dottore arriva subito.”

Poi, mentre Medusa si stava sfilando il giubbotto per appenderlo sull’attaccapanni d’acciaio che si trovava in un angolo, l’infermiera si era alzata dalla scrivania ed era uscita dalla stanza, lasciandola sola.

Dopo qualche minuto il dottore era arrivato e l'aveva visitata. Medusa aveva fissato il soffitto, sforzandosi di pensare ad altro, e quando il dottore aveva acceso il monitor dell'ecografia aveva chiuso gli occhi e stretto i pugni.

“Puoi rivestirti.” le aveva detto infine il dottore mentre tirava la tendina che separava il lettino dal resto della stanza.

Medusa aveva obbedito e poi aveva scostato la tenda. Il dottore era seduto alla scrivania, e stava scrivendo qualcosa sulla cartella che l’infermiera grassa aveva iniziato a compilare.

“Sei già piuttosto avanti.” le aveva detto severamente.

Medusa l’aveva guardato senza farsi intimidire. “E' stata una decisione difficile.” aveva risposto.

Il dottore aveva posato la penna e le aveva restituito lo sguardo, annuendo gravemente. “Sì, lo immagino.”

A Medusa era sembrato sincero, e questo l’aveva spinta ad abbandonare un po’ dell’astio che aveva provato per il dottore mentre lui l’aveva visitata e si era seduta sulla sedia di fronte alla scrivania, guardandolo in silenzio mentre lui continuava a compilare la sua cartella.

“Hai nausea alla mattina?” le aveva chiesto.

“Sì.”

Il dottore si era voltato e aveva preso una scatoletta di pastiglie dall' armadio alle sue spalle. “Prendi queste. Una al giorno dovrebbe bastare. Due, se le nausee sono persistenti.” aveva detto a Medusa mentre le porgeva la scatola.

Medusa aveva infilato la scatola nella tasca del giubbotto. “Grazie.”

“Emicranie?” aveva continuato il dottore.

“Solo se sono molto stanca. Di solito se mi metto a dormire mi passa.”

Il dottore aveva annuito, poi era uscito dalla stanza. Medusa aveva cominciato a domandarsi se dovesse andarsene anche lei, ma in quel momento la porta si era aperta di nuovo ed era rientrata l’infermiera grassa. Mentre la guardava incedere dondolando verso la scrivania, Medusa aveva pensato che l’uniforme rosa che indossava la faceva assomigliare ad una gigantesca caramella gommosa al lampone.

L’infermiera aveva preso la cartelletta che il dottore aveva lasciato sulla scrivania e vi aveva scritto sopra ancora qualcos’altro. Medusa era rimasta zitta per un po’, ma poi non era più riuscita a sopportare tutto quel silenzio.

“Perchè la visita?” aveva chiesto.

“Per assicurarci che vada tutto bene.” aveva replicato l’infermiera, continuando imperterrita a compilare i fogli contenuti nella cartella.

Medusa l’aveva guardata stupita. “Mi prende in giro?”

L’infermiera aveva posato la penna e finalmente aveva alzato gli occhi. “Se tu o l'embrione presentate condizioni particolari, è necessario che il dottore lo sappia e lo prenda in considerazione durante l'intervento.” le aveva spiegato.

Medusa non aveva detto più nulla, e l’infermiera aveva scritto ancora qualcosa sulla cartella. Poi l’aveva richiusa e l’aveva posata in cima alla pila di destra. Si era tolta gli occhiali e si era appoggiata contro lo schienale della sedia, scrutando attentamente il viso di Medusa.

“Sai cosa succederà?” le aveva chiesto.

“Non lo voglio sapere.”

C’era stato qualche istante di silenzio. “L'intervento è in anestesia locale.” aveva iniziato l’infermiera, con il tono di qualcuno che si ritrova per la millesima volta a spiegare la medesima cosa. “Potrai tornare a casa nel giro di un paio d'ore, ma non sarai in grado di guidare.”

Medusa aveva alzato le spalle. “Non verrò in macchina.”

“Ad ogni modo, sarebbe meglio che ci fosse qualcuno con te, nel caso ti sentissi male dopo l'intervento.” aveva continuato l’infermiera. “Non hai un'amica che ti possa accompagnare?”

Medusa aveva scosso la testa. “Abito appena fuori città.” aveva replicato. “E sto con delle persone.”

L’infermiera l’aveva guardata per qualche secondo, poi aveva alzato le spalle a sua volta. “D’accordo.” aveva detto. Aveva scribacchiato qualcosa su un foglietto e l’aveva porto a Medusa. “Ecco il giorno e l'ora del tuo intervento. Vieni un’ora prima, e a digiuno.”

Medusa si era infilata il biglietto nella tasca del giubbotto insieme alle pastiglie che le aveva dato il dottore, e si era alzata in piedi. L’infermiera l’aveva accompagnata fino alla porta, e mentre aveva già la mano sulla maniglia si era voltata a guardare Medusa.

“Puoi cambiare idea quando vuoi.” le aveva detto con dolcezza. “Non saresti la prima. Se non ti presenterai all’appuntamento, nessuno ti verrà a cercare.”

Medusa aveva fatto scivolare la mano nella tasca del giubbotto e aveva stretto il biglietto tra le dita. “No, non succederà.” aveva risposto senza guardare l’infermiera.

E’ tutto deciso ormai, si disse Medusa rileggendo per l’ennesima volta la breve serie di numeri sul pezzo di carta che teneva in mano. Era talmente stropicciato e sgualcito che l’inchiostro blu aveva cominciato a sbavarsi e scomparire. Un ultimo sforzo e potrai uscire dal fuoco.

Strinse il foglio nel pugno con tutta la forza che aveva fino a ridurlo ad una pallina dura e compatta, ma poi si rese conto che non era il metodo migliore per distruggerlo. Lo riaprì con cura, poi lo piegò a metà e cominciò a farlo a pezzettini minuscoli. Le lacrime cominciarono a segnarle il viso e Medusa le asciugò con rabbia mentre le sue dita continuavano a sminuzzare il foglietto. Una parte di lei ricordò qualcosa di simile che era successo tanto tempo prima, quando si era trovata a lottare non contro della carta indifesa ma contro la neve e il gelo.

Allora c’era John al tuo fianco, le ricordò una voce nel suo cervello mentre si accaniva sul foglio come se fosse lui la causa di tutta la sua disperazione. Lo ridusse in pezzetti così piccoli che le sue dita faticavano a trattenerli e volavano via, disperdendosi tra le felci e planando delicatamente sulla superficie dell’acqua.

Alla fine gettò rabbiosamente lontano gli ultimi angolini di carta e si passò le mani tra i capelli. Adesso basta piangere, si rimproverò con astio. Non cambierà proprio niente e lo sai benissimo. Tirò su col naso e fissò lo sguardo sul cespuglio di rose selvatiche davanti a lei. Ora come ora non puoi proprio permetterti di mostrarti debole. Non con quello che sta per succedere.

“Medusa?”

Per una frazione di secondo sperò con tutto il suo cuore che fosse stato Pyro a pronunciare il suo nome, ma poi si rese conto che quella voce doveva appartenere ad una donna.

Medusa si voltò e si alzò lentamente in piedi. Di fronte a lei, Callisto la guardava con un espressione a metà tra il curioso e il preoccupato, poi i suoi occhi passarono ad esaminare i minuscoli pezzettini di carta sparsi qua e là nella radura.

“Che cosa c’è?” chiese Medusa. Il suo tono di voce era talmente fermo e autoritario che Callisto sobbalzò e tornò immediatamente a fissare il suo sguardo su di lei.

“Magneto ti cerca.” disse. “Sta per annunciare al resto della Confraternita l’attacco ad Alcatraz e vuole che i luogotenenti appaiano tutti al suo fianco mentre parla.”

Medusa annuì e si incamminò verso il campo. “ Andiamo.” ordinò rivolta a Callisto, che si affrettò ad obbedirle.

Presto sarà tutto finito, si disse Medusa mentre marciavano tra gli alberi. Presto ogni cosa tornerà al suo posto.

****

Quando Medusa e Callisto arrivarono alla collinetta gli altri, escluso Magneto, erano già lì. Il Fenomeno, Kid Omega, Madrox e Archlight si tenevano a qualche metro di distanza dalla sommità, evidentemente intimiditi dalla folla che vociava sotto di loro.

Più avanti di qualche passo rispetto al gruppo stava in piedi Pyro, lo sguardo fisso davanti a sé. Un paio di metri a sinistra c’era Jean Grey, il suo volto bianco teso e sofferente. Per un istante i suoi occhi offuscati dall’ombra incrociarono quelli di Medusa, poi tornarono a contemplare qualcosa che la ragazza non riuscì a scorgere. Medusa ebbe l’impressione che Jean stesse lottando per trattenere dentro di sé qualcosa che non vedeva l’ora di erompere fuori. Ricordò le parole che proprio Jean Grey le aveva detto, tanto tempo prima, a proposito delle eruzioni vulcaniche, e per qualche motivo la cosa la fece sentire stranamente inquieta.

Callisto prese posto accanto ad Archlight, anche lei evidentemente a disagio per un rituale a cui assisteva per la prima volta, mentre Medusa si fermò davanti al Fenomeno, avendo cura di trovarsi più o meno alla stessa altezza di Pyro ma lasciando qualche metro di distanza, in modo che Magneto potesse trovarsi nell’esatto centro del gruppo. Le cose cambiano così in fretta, si disse. Qualche mese fa eravamo io e John a starcene indietro di qualche passo mentre Magneto e Mistica arringavano la folla, ed ora eccoci qua. I comandanti in seconda, le fidate guardie del corpo. Magari, chi può dirlo, ancora un paio di mesi e saranno Callisto e Kid Omega a fare scena a fianco del capo, ed io e John chissà che fine avremo fatto.

Medusa si voltò a guardare Pyro e, per qualche strano motivo, le tornò in mente un'altra strofa della canzone.

On the second day I brought her a flower
She was more beautiful than any woman I'd seen
I said, "Do you know where the wild roses grow
So sweet and scarlet and free?"

Lei e John non si erano più parlati dal giorno della lite nel bosco. Il giorno successivo a quell’episodio, Medusa era tornata nella loro tenda e aveva scoperto che tutte le cose di John erano scomparse. Sospettava che dormisse all’addiaccio, da qualche parte nella foresta. Qualche volta aveva scorto una luce andare e venire tra gli alberi di pioppo che proteggevano il lato sud del campo.

Pyro staccò gli occhi dalla folla e diresse per qualche istante uno sguardo gelido verso Medusa, poi tornò a fissare le persone che chiacchieravano e si agitavano ai piedi della collinetta. Medusa lo fissò ancora a lungo dopo che lui ebbe distolto lo sguardo, ma Pyro non si voltò più.

Ancora più dei silenzi e degli sguardi gelidi, la faceva a pezzi non sapere se la loro relazione esisteva ancora, oppure se era oltre ogni tentativo di aggiustare le cose. Era fin troppo cosciente che l’unica soluzione era quella di affrontare l’argomento e parlarne insieme, eppure le possibili risposte la terrorizzavano. Andare da John e sentirsi dire che non esisteva più niente in grado di salvare il loro rapporto era qualcosa che davvero non sarebbe stata in grado di affrontare, specialmente in quel momento.

Tutte le volte che tornava nella tenda e si sdraiava da sola nel sacco a pelo le tornava in mente la discussione che lei e Pyro avevano avuto nel bosco, il giorno in cui lei aveva confessato a Jean Grey di essere incinta, e si malediceva per avergli fatto quella domanda. John ha ragione, si rimproverava. Perché hai voluto rivangare il passato? Che cosa ne hai guadagnato? Tu sei l’unica persona al mondo che si getta tra le braccia del dolore, invece che tentare di sfuggirgli come fanno tutti.

In quel momento Magneto salì la collinetta e si sistemò nello spazio vuoto tra Pyro e Medusa, guardando la folla sotto di lui come un monarca osserva i suoi sudditi dal balcone della sua residenza imperiale. Immediatamente un silenzio pieno di riverenza cadde sul campo, e ogni sguardo si impresse fermamente sul capo della Confraternita. Magneto lasciò passare ancora qualche secondo, poi alzò entrambe le braccia verso il cielo, lasciando che il lungo mantello nero gli scivolasse oltre le spalle. La gente accalcata sotto la collinetta trattenne il respiro, e Medusa vide le labbra di Magneto piegarsi in un impercettibile sorriso, talmente leggero e veloce che difficilmente qualcun altro avrebbe potuto notarlo. Si va in scena, pensò.

“Membri della Confraternita!” chiamò Magneto. Dalla folla eruppe un grido, e a Medusa tornò alla mente una scena che aveva visto tempo prima alla televisione. Un uomo in doppiopetto grigio parlava da un podio e il pubblico lo incitava con il canto “No-ai-mutanti! No-ai-mutanti!”. Scacciò con forza quel pensiero.

“Loro vogliono curarci.” continuò Magneto, poi fece una piccola pausa. Medusa guardò Pyro, e lui le restituì lo sguardo. La sua mano sinistra stringeva il polso destro e Medusa sorrise brevemente prima di intimare a se stessa che doveva ricordarsi dov’era e mantenere un contegno solenne. Pyro metteva sempre le mani in un certo modo, e camminava in un certo modo, quand’era nervoso.

“Ma io dico che la cura siamo noi!” concluse Magneto, e dalla folla che aveva atteso trepidante di sentire il resto della frase si alzò un grido di gioia misto ad orgoglio. Un altro sorriso, questa volta chiaramente visibile, apparve sul volto di Magneto. Si possono dire molte cose di lui, pensò Medusa mentre osservava il capo della Confraternita. Ma non che non sia un grande showman.

Magneto disse ancora qualcos’altro e la folla esultò di nuovo, ma Medusa smise di ascoltare. Sapeva benissimo come Magneto avrebbe concluso il suo discorso, e provò un certo fastidio al pensiero di essere anche lei una specie di addobbo per quella ridicola sceneggiata.
Era talmente infastidita che quando Magneto disse, indicando Jean Grey, “Abbiamo le nostre armi!”, e la folla applaudì di nuovo, lei si voltò dall’altra parte, ma poi il suo senso del dovere intervenne e le intimò di smetterla di fare la bambina. Medusa obbedì e si rimise a guardare la folla sotto di lei con l’espressione più neutrale che le riusciva, ma con la coda dell’occhio vide che Pyro la stava fissando. Il suo gesto di stizza non gli era sfuggito.

“E se qualche mutante si metterà sulla nostra strada, noi useremo questo veleno contro di lui!” esclamò Magneto, con una tale rabbia che Medusa sobbalzò per la sorpresa, temendo, per qualche istante, che il capo della Confraternita ce l’avesse con lei per la sua mancanza d’attenzione. Oddio, ucciderei per una spremuta d’arancia, sospirò una vocina dentro di lei, e Medusa chiuse brevemente gli occhi imprecando a bassa voce. Ecco, adesso sono veramente a posto, pensò rassegnata. Niente di meglio che avere le voglie dispersa nel bel mezzo del nulla.

Cercò di lottare contro quel pensiero e di concentrarsi sulle parole di Magneto, ma non c’era niente da fare. Aveva talmente voglia di bere un bel bicchiere di succo d’arancia che le sembrava quasi di sentirne il profumo. Nella sua mente apparve l’immagine di una brocca di vetro piena di spremuta appena fatta, con alcuni cubetti di ghiaccio che vi galleggiavano in mezzo, e le venne l’acquolina in bocca a pensare a quanto sarebbe stata fresca e dissetante... Certo, con l’aggiunta di un paio di biscotti alla cannella sarebbe stata assolutamente perfetta...

Di nuovo il suo senso del dovere la pungolò con forza, e Medusa si riscosse da quella fantasia culinaria proprio nel momento in cui Magneto raggiungeva l’acme del suo discorso. “Andremo sull’isola di Alcatraz per impossessarci della Cura, e distruggeremo la sua fonte!” esclamò il comandante della Confraternita, e le sue parole furono quasi soffocate dal ruggito estatico ed entusiasta della folla. Medusa si girò a guardare il suo capo. Adesso lo fa, si disse. Proprio in quel momento Magneto sollevò entrambi i pugni, come aveva fatto all’apertura del suo discorso, e fece lentamente correre lo sguardo sulla folla in attesa sotto di lui. Medusa sapeva, per esperienza diretta e personale, che ognuna delle persone ai piedi della collinetta avrebbe avuto l’impressione di sentire gli occhi del capo della Confraternita scrutare dentro i suoi.

“E poi niente potrà più fermarci!” concluse Magneto tra le grida di giubilo del suo pubblico in delirio. Medusa rimase immobile con le mani lungo i fianchi, il suo sguardo severo e impassibile. Era andato tutto come previsto, ma questo pensiero, invece di renderla felice, la fece sentire ancora più depressa e irritata. Magneto, invece, sembrava molto soddisfatto dell’effetto che il suo discorso aveva sortito sul resto della Confraternita; guardò soddisfatto la folla che esultava sotto la collina, poi si voltò e si diresse verso il bunker seguito dal resto dei suoi luogotenenti, ma non da Jean Grey, che a quanto pareva era scomparsa.

Medusa, al contrario, rimase ferma al suo posto. Aveva la vaga sensazione che Magneto non volesse averla attorno, ma la cosa la disturbava meno di quanto avrebbe desiderato; anzi, se doveva essere totalmente sincera, era quasi felice di essere stata sollevata dal suo incarico di seconda guardia del corpo, anche se ciò aveva praticamente ridotto a zero le sue occasioni di incontrare Pyro.

John fu l’ultimo ad abbandonare la collina. Lui e Meredith si ritrovarono faccia a faccia per la prima volta dopo settimane, così vicini che Medusa riuscì a sentire l’odore del suo profumo. Si morse le labbra per non scoppiare a piangere. Improvvisamente, si era ricordata che nella canzone c’erano due voci, una maschile ed una femminile. La prima strofa cantata dalla donna faceva più o meno così:

When he knocked on my door and entered the room
My trembling subsided in his sure embrace.
He would be my first man, and with a careful hand
He wiped at the tears that ran down my face.

Ebbe l’impressione che Pyro stesse per dire qualcosa, e attese con ansia che lui parlasse. Invece, dopo qualche secondo, John distolse lo sguardo e si allontanò da lei, incamminandosi lentamente verso il bunker. Medusa rimase ferma a guardarlo scendere dalla collina con le lacrime che le pizzicavano gli occhi.

E’ finita, si disse mentre sentiva il suo cuore frantumarsi in mille schegge. E’ tutto finito ormai.

****

Era ormai notte fonda quando Medusa si svegliò di soprassalto e accese la piccola torcia elettrica che teneva accanto a sé la notte da quando Pyro se n’era andato. Si passò una mano sulla fronte umida di sudore e allungò una mano verso lo zaino, cercando qua e là una bottiglietta d’acqua che non fosse già vuota. Alla fine ne trovò una ancora sigillata avvolta in una maglietta e bevve a grandi sorsi, non tanto perché avesse sete ma perché il suo cuore stava correndo all’impazzata, e prendere qualche sorso d’acqua di solito la calmava.

Sgusciò fuori dal sacco a pelo e si mise a sedere sul sottile telo di nilon che la separava dal terreno duro e freddo, strofinandosi gli occhi con la mano che ancora le tremava leggermente. La maglietta che un tempo era appartenuta a John era zuppa di sudore, e i capelli le scendevano sul viso tutti annodati ed in disordine. Se li scostò dal collo e rabbrividì a causa del freddo della notte contro la sua pelle umida.

Aveva avuto un incubo. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare a proposito di cosa, ma sentiva che c’entrava la canzone, e anche John ed Evie. La voce della donna nella canzone si ostinava testardamente a vorticarle nel cervello, insistente e sgradita come un ospite inatteso.

On the second day he came with a single red rose
Said: "Will you give me your loss and your sorrow?"
I nodded my head, as I lay on the bed
He said, "If I show you the roses, will you follow?"

Medusa alzò lentamente lo sguardo, e notò che c’era una debole luce che brillava attraverso il telo della tenda. Durò solo qualche istante, poi si spense subito. Medusa continuò a guardare il punto in cui aveva visto il riflesso scomparire, e infatti dopo qualche secondo la luce tornò, ma solo per spegnersi nuovamente. Senza staccare gli occhi dal bagliore intermittente, Medusa indossò velocemente un paio di jeans, una maglietta a maniche lunghe e una felpa pesante, e, dopo essersi allacciata le scarpe e afferrato la torcia elettrica, abbassò la chiusura lampo che chiudeva la tenda e si avventurò fuori.

****

Non fu difficile trovare il suo rifugio. Le fiamme che si accendevano e si spegnevano le indicarono il punto in cui doveva dirigersi, e la torcia elettrica le permise di raggiungere gli alberi senza inciampare in una delle tende.

Trovò Pyro sdraiato sull’erba in una piccola radura tra gli alberi, un braccio ripiegato dietro la testa a fargli da cuscino e l’altra mano che faceva scattare nervosamente lo Zippo. Le vampe di fuoco che si alzavano, troppo grandi per essere generate da un accendino così piccolo, permisero a Medusa di vedere lo zaino di Pyro appoggiato contro il tronco di un albero. Allora è vero, si disse tristemente. E’ davvero qui che dorme.

Quando la sentì arrivare, John smise di far scattare lo Zippo e per quasi mezzo minuto tutto fu buio. Gli alberi erano troppo fitti perché il debole chiarore lunare potesse penetrare tra le foglie e illuminare la radura, e per qualche istante Medusa ebbe paura che lui scivolasse via nella notte e la lasciasse lì da sola.

“John.” sussurrò.

Improvvisamente sentì il click dello Zippo, e una grossa palla di fuoco si formò tra le mani di Pyro e poi si librò in aria, rimanendo appesa al nulla qualche metro sopra le loro teste come un enorme e fluorescente lampadario da discoteca. Medusa vide che ora John era in piedi davanti a lei, un’espressione grave sul viso pallido e la mano destra che stringeva con forza l’accendino. Non c’era traccia del lanciafiamme.

Medusa cercò i suoi occhi e chiuse lentamente i pugni. Una parte di lei tremava terrorizzata per quello che stava per chiedere, ma non ce la faceva più a vivere in quello stato di perenne incertezza. Doveva sapere senza il minimo dubbio se tra loro due era tutto finito.

“John, se vuoi chiudere con me, è un tuo diritto.” La voce le usciva tremante e smozzicata, ed ogni parola era come una lama incandescente che le bruciava la carne. Si avvolse le braccia attorno al corpo come aveva visto fare da Danielle all’ospedale, anche se non era il freddo a farla rabbrividire: aveva corso abbastanza nella notte per ricordarsi, questa volta, di infilarsi una felpa per proteggersi dalla bassa temperatura delle ore crepuscolari. Lasciò che un altro tremito le percorresse la spina dorsale prima di concludere. “Ma se vuoi farlo, me lo devi dire in faccia.”

Pyro abbassò lo sguardo e si infilò lo Zippo nella tasca dei jeans. Rimase in silenzio qualche secondo prima di alzare la testa e guardare Medusa negli occhi, e ogni istante che passava fu per lei come un ago piccolo e appuntito che le si infilava sotto le unghie.

“Non so dirti se sarei rimasto, Meredith.” disse infine Pyro, i suoi profondi occhi blu fissi in quelli di lei. Trasse un lungo respiro prima di continuare. “Ma, pistola alla testa, ti risponderei che me ne sarei andato comunque.” Distolse lo sguardo e serrò gli occhi con un’espressione di dolore misto a rabbia. “Mi dispiace.”

Medusa annuì. “Sì, lo so.” rispose con un bisbiglio roco. Sorrise tristemente. “Non saresti davvero tu, se non scegliessi sempre di combattere.”

Pyro la guardò con un’espressione perplessa, indeciso se considerare l’ultima frase come un rimprovero oppure come un’affermazione. I suoi occhi brillavano alla luce del fuoco che bruciava tra i rami degli alberi sopra di loro.

“Ed io non ti amerei tanto.”

Gli occhi di Pyro si spalancarono non appena l’ultima sillaba lasciò le labbra di Medusa, e lei esitò, spaventata dalla sua reazione. Non aveva avuto intenzione di pronunciare ad alta voce quella frase, ma oramai era troppo tardi per tornare indietro e rimangiarsela.

“Comunque, questo non cambia le cose.” sussurrò Medusa mentre le lacrime cominciavano di nuovo ad offuscarle la vista. “Se mi vuoi lasciare, John, allora fallo, e fallo in fretta. Io non ce la faccio più a stare così, fa troppo male.”

Un singulto la scosse dalla testa ai piedi e cominciò a piangere, indifferente al fatto che doveva sembrare davvero patetica e triste. Il dolore era troppo forte per continuare ad occuparsi di dettagli futili come quello.

Pyro non si mosse; continuò semplicemente a fissarla con un espressione illeggibile sul volto. Medusa singhiozzò più forte.

“Ti prego, John, ti prego.” implorò con un sussurro. Voleva solo che finisse, così avrebbe potuto tornare alla tenda e raccogliere i cocci del suo cuore in frantumi. Era così stanca e dolorante che non le importava più di nulla e di nessuno.

John avanzò lentamente verso di lei, la luce delle fiamme sopra le loro teste che si riflettevano nei suoi occhi blu profondo e facevano risaltare i suoi capelli biondi. Prima che Medusa avesse il tempo di abbassare lo sguardo, e offrire così il collo alla scure che era certa stava per darle il colpo di grazia, lui le prese il viso tra le mani e premette le labbra contro quelle di lei.

Per cinque o sei secondi Medusa non riuscì proprio a capire cosa stesse succedendo. Perché non parla? si domandò inebetita, prima di rendersi conto che John stava già rispondendo alla sua domanda. Ancora esitante, come se temesse che fosse solo un bel sogno pronto a svanirle tra le dita, avvolse le braccia attorno al corpo di lui e il suo cuore ebbe un piccolo sussulto di gioia quando fece correre le mani aperte sulla sua schiena senza che lui si trasformasse in fumo. Chiuse gli occhi, pazza di felicità ma ancora incredula nel sentire dopo tanto tempo il sapore del suo ragazzo, un sapore che aveva creduto perso per sempre.

Pyro staccò la bocca da quella di Medusa e la guardò negli occhi, appoggiando la fronte contro quella di lei. E’ così che vi siete baciati la prima volta, ricordi? sussurrò una vocetta emozionata da qualche parte nel suo cervello. Tu gli stavi tamponando i tagli sulle mani e lui ha premuto la fronte contro la tua.

“Ti amo, Meredith.” lo sentì dire contro le sue labbra, poi ci furono solo i suoi baci, e le loro mani che afferravano vestiti e li gettavano da parte, e il corpo di John sul suo mentre le loro bocche ripetevano all’infinito quelle due parole.

...................................................................................

Uhm... Vedete, la mia idea iniziale prevedeva che Meredith e John si lasciassero. Ma quando ho scritto la scena, proprio non ce l'ho fatta... E ho deciso di dar loro una seconda possibilità. Forse, nel tentativo di cambiate le carte in tavola, Meredith mi è diventata un po' Mary Sue, ma con tutto quello che sta passando, poverina, si può permettere di essere un po' debole e fragile. Ormai mi sono affezionata troppo a lei per serbarle rancore...

Secondo voi va bene così, o avrei dovuto farli lasciare? E' un po' patetica come scena, vero? Fatemi sapere che ne pensate.

N.B.: La canzone che compare nel capitolo è "Where the Wild Roses Grow" di Nick Cave, appunto. Le strofe sono in alternanza maschile/femminile, ma dato che nel testo appaiono tutte scomposte ho deciso di rispettare, per la traduzione che compare qui di seguito, la sequenza in cui vengono riportate nel racconto, così da non creare confusione.

VOCE MASCHILE: "Dal primo giorno in cui l'ho vista ho saputo che era quella giusta
Mi ha guardato negli occhi e ha sorriso
Le sue labbra erano del colore delle rose
Che crescono vicino al fiume, rosse come il sangue e selvaggie"[..]

VOCE MASCHILE: [...]"Il secondo giorno le ho portato un fiore
Era più bella di qualsiasi altra donna avessi mai visto
Ho detto: "Lo sai dove crescono le rose selvagge
Così dolci e scarlatte e libere?"[..]

VOCE FEMMINILE: [...]"Quando bussò alla mia porta e entrò nella stanza
I miei brividi si calmarono nel suo forte abbraccio
Sarebbe stato il mio primo uomo, e con una mano amorevole
Asciugò le lacrime che mi solcavano il viso."

VOCE FEMMINILE: [...]"Il secondo giorno venne con una sola rosa rossa
Ha detto: "Vuoi darmi le tue perdite e il tuo dolore?"
Ho annuito, e mente mi sdraiavo sul letto
Ha detto: "Se ti mostrassi le rose, mi seguiresti?"[...]

Da ultimo, grazie di cuore a joey_ms_86 per la sua recensione. Mi ha fatto molto piacere leggerla, soprattutto per il fatto che non consideri Meredith una Marie Sue: era la mia preoccupazione principale! Davvero grazie per le tue parole.

Ecco fatto. Ciao e a presto!

  
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