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Autore: Yvaine0    07/04/2013    6 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans

 
41

 
Allora, quella se ne va o no?”
Non lo so, ragazzo, non ha ancora deciso, pare”.
Sappiamo entrambi che lo farà”.
Forse. Ma lei non ha ancora deciso...”.
 
Le decisioni non erano mai state il mio forte. O magari sì? Nemmeno su questo sapevo decidermi al momento. Se messa di fronte ad un bivio, come avevo imparato, sarei sempre stata in grado di scegliere la strada sbagliata – non sapevo nemmeno più se considerarlo un pregio o un difetto. Per questo, in quel periodo di confusione totale, affrontare anche la più piccola scelta mi sembrava qualcosa di estremamente difficile.
In realtà, come avevo scoperto telefonando quella domenica, mio padre non aveva affatto già spedito i biglietti per farmi tornare a casa. Non ancora. Non era stato deciso nulla: la decisione avrebbe dovuto essere mia, secondo i miei genitori.
E il problema stava proprio lì.
Volevo o non volevo tornare in città dalla mia famiglia per le vacanze di Natale?
Ero piuttosto combattuta.
Da una parte morivo dalla voglia di rivedere Emily – e, sì, anche mio fratello –, ma dall'altra sapevo che una volta messo piede in casa non mi sarei affatto sentita a mio agio; avrei dovuto affrontare di nuovo mia madre, mio padre, George, i quotidiani litigi, la pessima cucina di Felicity.
Kameron, Aggie, Ginger e il nonno mi sarebbero mancati molto. Anche se, altro punto a favore della città, lì non c'era Dean. Non vederlo nemmeno una volta per due lunghissime settimane sarebbe stato fin troppo bello per essere vero. Ma ne valeva la pena? Dovevo che lui interferisse nelle mie scelte? Avevo pur sempre scelto di tagliarlo totalmente fuori dalla mia vita, dopo tutto.
La questione mi ossessionò all'incirca fino al venti Dicembre. Continuavo a chiedermi cosa avrei dovuto fare, se tornare o rimanere, se trascorrere metà delle vacanze in città e metà a Sperdutolandia, se smettere di pensarci e rimandare la decisione o scegliere subito lanciando in aria una moneta.
La verità era che, a pochi giorni dalle vacanze di Natale, non avevo ancora preso una decisione. E fortunatamente non ebbi bisogno di farlo.
Alla vigilia della mia incerta partenza, durante la notte, Sperdutolandia sembrava aver deciso che il freddo era troppo pungente per essere affrontato con un solo manto di foglie secche. Ecco perché, quando quella mattina mi svegliai, ormai rassegnata all'idea di dover prendere una decisione – o sarebbe davvero stato troppo tardi –, scoprii che si era messa la coperta. Una spessa coperta bianca ricopriva ogni cosa.
Il mio tentativo di spalancare la finestra per vedere meglio fuori, nel buio della mattina alle... be', comunque troppo presto, fu ostacolato dalla collinetta di poltiglia bianca sul davanzale.
Dopo un paio di spinte, rinunciai e corsi al piano di sotto, dove spalancai la porta d'ingresso trovandomi, in pigiama, in mezzo ad una distesa bianca.
Neve!” esclamai sorpresa, dando prova della mia acuta intelligenza. Poi, sempre per dimostrare al mondo che ero un tipo sveglio, corsi in ciabatte giù dalle scalette del portico e sprofondai fino al polpaccio nella neve.
Detestavo la neve, non mi era mai piaciuta. Troppo bagnata, troppo bianca, troppo fredda. Intasava le strade e rendeva non poco difficile le comunicazioni.
Sperdutolandia si dimostrò sorprendente anche sotto questo punto di vista; se normalmente il blocco dei trasporti era qualcosa che mi dava sui nervi, costringendomi a casa assieme al resto della mia incasinata famiglia, in quel luogo i treni fermi significavano solo una cosa: non si torna a casa.
Scoppiai a ridere, realizzando che non avevo più alcun bisogno di prendere una decisione, valutare pro e contro... Niente! Il tempo atmosferico aveva deciso per me.
“Pan!” Il richiamo del nonno attirò la mia attenzione, mentre guardavo, a braccia aperte, il cielo e i fiocchi che cadevano come se fossero la cosa più bella del mondo. Era un freddo beduino, ma, ehi, io non sarei tornata a casa! “Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Torna subito dentro!” sbottò, burbero, la fronte increspata da rughe di preoccupazione.
Ehi, nonno!” esclamai, ridendo. “Nevica!”
Cristo Santo, ragazzina! Certo che nevica! Torna dentro!” abbaiò lui affacciato dalla finestra della sala.
Quando un brivido di freddo mi attraversò la spina dorsale, mi resi conto dell'enorme sciocchezza che avevo appena fatto: ero in mezzo all'aia, affondata fino ai polpacci nella neve, con il pigiama e le ciabatte. A fine dicembre. Come se solo in quel momento fossi stata abilitata a percepire il gelo dell'inverno, saltellai il più svelta possibile sui miei passi e tornai in casa. Mi chiusi svelta la porta alle spalle e mi strinsi nelle mie stesse braccia, battendo i piedi sul pavimento nel vano tentativo di accumulare un po' di calore.
Dean, che stava scendendo in quel momento le scale diretto in cucina, si fermò a fissarmi. Cercai di non alzare lo sguardo su di lui, ma quando sputò il suo sarcastico “Mi complimento per la furbizia”, non potei fare a meno di stringere i denti. Senza replicare, mi fiondai a mia volta sulle scale, lo superai e mi chiusi in camera per mettermi dei vestiti caldi e possibilmente asciutti. Dovetti tuttavia ammettere che quella volta non aveva tutti i torti.
Come ebbi modo di scoprire nel giro di qualche ora; nonostante lo spettacolo di Sperdutolandia fosse meraviglioso e rappresentasse per me la risposta alle mie notti insonni, quel paesaggio alternativo significava anche essere bloccati in casa.
Che palle, questa non ci voleva” ripeté Dean per la diciannovesima volte, mentre spalava la neve nel vialetto? Poteva ritenersi tale? Insomma, non ero nemmeno sicura che si trattasse del vialetto, ammesso che la fattoria ne avesse uno, poiché del solito sterrato non si vedeva nemmeno l'ombra.
Quanto poteva nevicare in una notte? In città non ne era mai caduta più di una o due decine di centimetri. A Sperdutolandia al mio risveglio la coltre sul terreno era spessa già una trentina di centimetri. Alle tre del pomeriggio, ce n'era più di mezzo metro.
Per qualche assurda ragione, sembravo essere l'unica contenta di quell'inondazione di poltiglia ghiacciata.
Tra un'imprecazione e l'altra di Dean, mentre anche io facevo del mio meglio, coperta alla bell'e meglio, per scavare un passaggio che arrivasse almeno al pollaio e al porcile, decisi di fare una domanda al nonno, perché era evidente che mi fossi persa qualche passaggio. Da quando una nevicata provocava bestemmie e improperi da parte di qualcuno e il nonno, invece che prendere questo qualcuno a bastonate, si limitava a digrignare i denti e a spalare la neve?
Affondai la palla nella neve. “Senti nonno...” Feci per lanciarla via, ma quando notai che nonostante i miei sforzi non riuscivo a sollevare quell'arnese, intuii che pesava troppo per le mie scarse capacità. Sbuffai.
Cosa c'è?” domandò Abe, la voce incrinata dallo sforzo.
Diminuii il carico sull'attrezzo e poi lo scaraventai a fatica alle mie spalle. “Cosa succede adesso?”
Lo sbuffo di Dean risuonò forte nel silenzio causato dalla nevicata. Lo ignorai.
Di cosa parli?”
Come funziona in questo posto, quando nevica?” Presi dell'altra neve e la scaraventai sulla montagnola che si stava formando poco lontano. Non senza fatica, intendiamoci: nonostante fosse un freddo assurdo e continuasse a nevicare come se non ci fosse un domani, sotto gli strati di lana e piumino stavo sudando come fosse stato Agosto.
Come vuoi che funzioni?!” Sbottò Abe, parecchio contrariato. Evidentemente avevo appena fatto una domanda molto stupida. Ops. “Si sta chiusi in casa finché non smette! E poi ci si dà da fare finché non si libera la strada!” scaraventò il carico sul suo badile all'indietro con un gemito di frustrazione.
Ah. E quando avrebbe smesso di nevicare? Guardai il cielo: una coltre bianca non molto diversa da quella che copriva il terreno. E continuavano a cadere fiocchi grandi come il mio pugno – okay, forse un po' meno, ma fatto stava che nevicava maledettamente e... “Che senso ha stare qui a spalare se ancora nevica?” mi lasciai sfuggire poi.
A quella mia domanda, una delle imprecazioni di Dean risuonò un po' più forte delle altre e la successiva porzione di neve da spalare del nonno gli arrivò dritta sulla schiena. “Datti una regolata, ragazzo!” abbaiò il vecchio, prima di rivolgersi nuovamente a me. “Se ghiaccia non la levi più” spiegò, aggrottando le sopracciglia con fare severo.
Sì, ma...”
Dean sbuffò e smise per un attimo di lavorare, voltandosi nella mia direzione. “Cosa non capisci, principessina? L'utilità di lavorare? Se lasci che si accumulino due metri di neve, come pensi di fare ad uscire di casa?”
E anche questa volta aveva ragione lui, apparentemente. Senza trovare la voglia di replicare, annuii tra me e ricominciai a lavorare. Nel mio piccolo, stavo riuscendo a rendermi utile, una volta tanto. Questo però non impedì a mio nonno di spedirmi in casa non appena cominciai, mio malgrado, a starnutire. “E cosa dovrei fare, dentro, se voi siete qui a lavorare?” protestai, sotto lo sguardo severo di Abe.
Non lo so, pulisci!”
Prepara da mang-... meglio di no, forse”.
Quella frase fu quella che mi diede l'ispirazione. “Nonno, mi insegni a cucinare?”
Oh, Cristo...” fu il commento di Dean, mentre riprendeva a spalare la neve, scuotendo il capo.
Smettila di imprecare, pezzo di ignorante!” lo riprese il vecchio, fulminandolo con lo sguardo. Soppesò la mia risposta qualche istante, poi prese un respiro profondo e annuì: “Tanto credo che non avremo altro da fare nei prossimi giorni. Ora fila a fare le pulizie, però!”
Agli ordini!” trillai, entusiasta. Misi fine alla conversazione con un poderoso starnuto e scappai al calduccio dentro casa, lasciando i vestiti bagnati nello sgabuzzino accanto alla lavatrice – tanto era chiaro che non sarei uscita di nuovo al freddo e al gelo.
Era un po' strano pensare che, probabilmente, per i giorni successivi non sarei riuscita ad uscire di casa nemmeno volendo. Continuava a nevicare e, ogni volta che guardavo fuori da una delle finestre mentre mi dedicavo alle faccende domestiche, lo strato di neve sui davanzali e su ogni altra cosa sembrava essere cresciuto. Non mi restava davvero nulla di meglio da fare se non cimentarmi nei lavori domestici.
Spolverai ogni singolo mobile e soprammobile, feci la lavatrice e lavai i pavimenti. Quando Dean e il nonno rientrarono, ovviamente, dovetti rilavarli daccapo, visto che sporcarono tutto con i loro stivali incrostati di fango rimasto appiccicato lì sopra da secoli. Mi occupavo della casa solo da qualche ora e già parlavo come mia madre. Cioè, che come avrebbe parlato mia madre se solo avesse avuto una minima idea di cosa significa occuparsi di casa propria.
Quando quella mattina mi ero rallegrata al pensiero di non dover più decidere se tornare a casa o meno, mi ero dimenticata di diversi piccoli particolari. Tanto per dirne una, se ero bloccata alla fattoria, non avrei potuto avvisare a casa che non sarei tornata, né fare gli auguri il giorno di Natale, probabilmente, o chiamare i miei genitori di domenica. In secondo luogo, non avrei visto Kameron, Agatha o Terrence, ma soprattutto, aspetto più importante di tutti, ero bloccata dentro casa assieme a Dean. Questo non era decisamente quello che avrei definito un colpo di fortuna, ma mi sarei resa conto di tutte queste cose solo il giorno seguente, quando mi sarei cominciata a stancare di quella nuova e curiosa situazione. Al momento, invece, tutta quella situazione mi trasmetteva una strana euforia; era qualcosa di nuovo, mai provato prima. Era necessario darsi da fare, rimboccarsi le maniche, fare del proprio meglio per aiutarsi in quei giorni di emergenza. Da brava scioccherella di città, l'avevo presa come una cosa entusiasmante.
La cosa iniziò a puzzarmi solo quando, a mezzogiorno del giorno dopo, era smesso di nevicare, Dean aveva aperto un varco per poter raggiungere sia il porcile che il pollaio e, non avendo nulla di meglio da fare, si era stravaccato “per riposarsi un po'” su una delle sedie della cucina in cui il nonno cercava di evitare che dessi fuoco a casa nel tentativo di cucinare.
Così il fuoco troppo alto. No, così invece è troppo basso, la fiamma deve essere media. Media ho detto!”
Così è media!”
Sì, se sei all'Inferno! Diavolo, ragazzina, così è giusto!”
Scusa!”
E non scusarti senza motivo”.
Scus-”
Che ti ho detto?!”.
Sc- … Voglio dire, okay”.
Dean rise. Rise davvero, senza troppo scherno, senza cattiveria, rise e basta. Ecco perché, sorpresa, per poco non rovesciai la pentola con l'acqua addosso al nonno. “Stai attenta!”
Sì, sì, scusa!”
Santi numi...”
D'accordo, sto attenta, sto attenta!” mi corressi, scuotendo il capo. “E ora che si fa?”
Ora prepari la tavola”.
D'accordo”. Questo sapevo farlo. Recuperai la tovaglia nel cassetto, pulii il tavolo con la spugna prima di stenderla, ignorai totalmente Dean che non accennava a spostarsi né tanto meno a dare una mano, stesi il panno, poi mi fiondai a recuperare i piatti.
È inutile che prendi i piatti piani se non c'è niente da metterci” osservò Dean. Non aveva tutti i torti, ma, come se non lo avessi sentito, li misi comunque in tavola. E lui rise di nuovo, motivo per cui, per poco, non mi caddero tutti a terra.
Vuoi stare attenta?!” mi rimproverò il nonno con uno sbuffo.
Certo, sc-... Certo.” mi corressi appena in tempo.
Dean si alzò pigramente dalla sedia e si stiracchiò. “Non ce la può fare” commentò divertito.
Qualcuno, di grazia, può fulminarlo? Dio? Mago Merlino? Voldemort? Chiunque, basta che me lo leviate dai piedi!
Quello fu solo l'inizio, però, perché durante quella giornata me lo ritrovai ovunque. Qualunque lavoretto stessi svolgendo, lui era sempre lì, pronto a ridere di qualche mia gaffe – come se fosse possibile non farne, sotto il suo sguardo da uccellaccio del malaugurio! - e a nulla fare come se non ci fosse un domani. Incredibile che, nel momento in cui io, la pigra cronica, mi mettevo al lavoro e non mi prendevo un attimo per respirare, lui avesse deciso di fare le ferie.
Secondo te è logico pulire i vetri mentre fuori nevica?” mi domandò, trovandomi in equilibrio precario su una sedia mentre cercavo di tirare a lucido la finestra del salotto.
Mi voltai a guardarlo, mollemente appoggiato allo stipite della porta, per poi lanciare una rapida occhiata fuori. “Non sta nevicando”.
Ora, ma ricomincerà entro stasera”. Se fossi stata un maschio una grattata nelle parti basse ci sarebbe stata, ma essendo io una ragazza, sarebbe stato sciocco, volgare e inutile.
Non hai niente da fare?” Oltre che gufare, intendo. Un po' mi mancavano i giorni in cui il mio acido gli si riversava addosso con una naturalezza invidiabile. Non ero però disposta a dargli più la possibilità – o il motivo – di ferirmi. Aveva vinto, in un certo senso. Non avrei più opposto resistenza, non avrei risposto alle sue cattiverie, non gli avrei più dato alcuna soddisfazione. Mi ero arresa, gli avevo lasciato vincere non solo la battaglia, ma anche la guerra. Tutto pur di poter mettere fine a quella pazzia che continuava a far star male solo me.
C'è la legna da spaccare”.
Ottima idea, vai” suggerii, riprendendo il mio lavoro da dove lo avevo interrotto per causa sua.
Lo sentii sbuffare. La porta scricchiolò, quando lui si diede la spinta per allontanarsi da essa. “Continuo a pensare che tu stia perdendo tempo, comunque” borbottò, mentre si allontanava.
Questa volta non risposi, ma continuai imperterrita a pulire come unica, personale e discreta vendetta. E se avesse ripreso a nevicare, una volta smesso li avrei puliti di nuovo. Certamente la neve non avrebbe sporcato i vetri interni delle finestre, in ogni caso.
Naturalmente nemmeno mezz'ora dopo aveva ripreso a nevicare che Dio la mandava. Ovvio, no?
Per cena Abe mi fece nuovamente da supervisore in cucina e anche questa volta il mio caro coinquilino rimase comodamente spaparanzato su una sedia ad osservare cosa sarebbe accaduto, dando non pochi problemi al normale funzionamento del mio cervello – che già, poverino, aveva i suoi problemi a funzionare correttamente.
Nonostante la presenza inquietante di Dean, che in quei giorni sembrava aver deciso di trasformarsi in avvoltoio, per il solo gusto di dare fastidio, mi piaceva passare del tempo con mio nonno, lasciare che mi insegnasse e aiutasse a migliorare, correggendo i miei errori. Nonostante ne combinassi una dietro l'altra e lui passasse più tempo a ripetermi di non scusarmi ogni volta, mi faceva piacere passare così tanto tempo con lui. Non credo di essere stata così tanto legata a lui come da quel periodo in poi. Dean o meno, essere bloccati in casa con la neve aveva i suoi lati positivi. Stavo piano piano riscoprendo una parte della mia famiglia, l'unica, forse, in cui ancora non avessi perso fiducia; era stato un po' difficile abbattere il muro di orgoglio e imbarazzo che vi aveva separati in un primo momento, ma stavamo imparando ad aver confidenza e a fidarci l'uno dell'altra.
In quei giorni imparai a preparare almeno tre piatti in maniera almeno decente. Alla sera del quarto giorno, dopo aver lavato per l'ennesima il pavimento dopo i continui vai e vieni di Dean e del nonno, trovai una piacevole sorpresa sul tavolo della cucina: una vecchia scatola di cartone decorata a fiorellini blu e rossi.
Cos'è?” domandai, avvicinandomi.
Abe scrollò le spalle e mi fece cenno di aprirla, così obbedii. Alzai il coperchio trovando una serie di grossi volumi rilegati. Ne estrassi uno e, aprendolo, scoprii che non era affatto un libro, ma un album di vecchie fotografie. Fotografie di famiglia, mi resi conto sfogliando le prime pagine. Come non riconoscere il sorriso dolce di nonna Margareth in quella donna paffuta che si chinava a raccogliere il bambino dai ricci capelli scuri?
Rivolsi un'occhiata sorpresa al nonno, che si schiarì la voce per allontanare l'imbarazzo e mi affiancò. “C'è anche qualche altro libro di ricette lì dentro” spiegò.
Inconsciamente alzai la testa per guardare lo scaffale sopra al tavolo, su cui avevo visto i vecchi ricettari della nonna durante i miei primi giorni alla fattoria. Abe parve capire al volo cosa stessi pensando e aggiunse: “Ormai quelle le abbiamo provate tutte. Tutto il possibile, almeno. Non è che ci possa preparare le pesche sciroppate, senza pesche in pieno inverno...” bofonchiò lisciandosi distrattamente la grossa camicia di flanella a quadri che indossava quel giorno.
Tornai a fissare la foto della nonna e, senza sapere bene il perché, ci lasciai scorrere sopra le dita. La nonna. Quanto mi mancava... E chissà quanto mancava a lui. Senza pensarci due volte, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi forte. “Grazie, nonno” sussurrai senza riuscire a trattenere un sorriso grato.
Solo dopo qualche lunghissimo istante, nonno Abe ricambiò timidamente l'abbraccio, posandomi leggeri colpetti sulla schiena. “Prego. Ora fila a lavarti e poi cuciniamo” concluse, burbero.
Interpretai quella frase come un invito a farla finita con quelle smancerie, quindi lo strinsi un po' più forte un'ultima volta, prima di allontanarmi ridendo. Scartai Dean sulla soglia, correndo poi fino al bagno di servizio, lo sguardo severo di quel ragazzo sempre addosso.
 
Fu solo dopo quattro giorni di reclusione totale, che la neve smise di cadere e cominciò, piano piano, a sciogliersi. Grazie al cielo la semi-bufera del primo giorno era andata infiacchendosi così che ora la fattoria non si trovava del tutto sommersa da quattro metri di neve – grazie a Dio. Era anche vero che, se Dean e il nonno non avessero spalato un po' nell'aia, sarebbe stato davvero difficile uscire di casa.
I viveri iniziavano a scarseggiare, però, per cui la necessità di uscire e trovare un modo per raggiungere il paese – o almeno la casa di qualche vicino – diventò impellente. Nonostante tutte le mie proteste, obiezioni, bislacche proposte alternative, il nonno decretò che l'unico modo per spostarsi era sulle proprie gambe. Questo significava vestirsi a cipolla, imbottirsi per benino, indossare gli stivali di gomma troppo grandi del nonno e arrancare nella neve per chilometri. Ma soprattutto, dal momento che il nonno aveva la schiena bloccata per gli eccessivi sforzi di quei giorni, avrei dovuto fare tutto ciò da sola con Dean.
Oltre il danno, la beffa: fui costretta ad insistere per convincere il vecchio Abe a rimanere in casa e andare al suo posto a tentare il suicidio per ipotermia assieme a Dean. Cioè, ehm, volevo dire a fare rifornimento. Suonava disgustosamente romantico, però, no? Una sorta di Romeo e Giulietta in versione 'odi et amo', ma senza 'amo' e con mesi di relazione alle spalle anziché tre giorni. Parlando per assurdo, è anche più realistico dell'originale.
Okay, la smetto.
Dov'ero rimasta?
Ah sì.
Ecco il motivo per cui in quel momento stavo arrancando faticosamente in mezzo ad un mare di neve alto più o meno come la mia intera gamba. Probabilmente in vita mia non avevo né mai avrei fatto nulla di più faticoso. Avevamo portato con noi le pale e, quando la situazione diventava davvero insostenibile, ci facevamo largo con quelle. Anche usarle come puntello per non affondare quando inciampavo e finivo a faccia in giù non era una cattiva idea, comunque.
Il lato positivo di tutta quella faccenda, fu che due o tre volte persino Dean perse l'equilibrio e sprofondò nella neve. Alcune di quelle scene epiche, che probabilmente non dimenticherò mai nella vita.
L'aspetto assurdo della questione, invece, furono quelli che sembravano a tutti effetti goffi tentativi del mio biondo coinquilino di socializzare. Con me.
 
Nevica mai, da dove vieni tu?”
Voltai il capo nella sua direzione per controllare di non aver sentito male: camminava faticosamente, teneva il capo ritto e lo sguardo fisso di fronte a sé, impassibile come sempre. Dovevo essermi sbagliata.
Allora?”
Ah, dici a me?”
No, principessa, stavo scambiando qualche parola con tutta questa neve” replicò, sarcastico. Come al solito.
Sbuffai e mi scrollai nelle spalle. Era necessario rispondere? “A v-”, proprio in quel momento misi male un piede, sprofondando così a faccia in giù nella neve. “A volte” bofonchiai, mentre, sputacchiando, cercavo di rialzarmi.
Dean rise e avanzò ancora di qualche passo, prima di fermarsi per aspettarmi. “Perché sembra che tu non abbia mai visto la neve, allora?”
E perché a me sembra che tu sia impazzito, tutto d'un tratto? “Perché non nevica così tanto, di solito. E poi da noi passano gli spartineve, non si viaggia a mezza gamba per le strade” risposi concisamente, riprendendo la marcia. Lo vidi annuire con la coda dell'occhio e con un certo sollievo mi resi conto che il nostro scambio di battute era appena concluso.
Era molto meglio camminare circondati dall'assordante silenzio della neve piuttosto che sforzarsi di fare conversazione con Dean, specialmente se si considerava il fatto che quel tizio, quello di cui ero innamorata, mi aveva pubblicamente rifiutata, umiliata, dopo aver frugato tra le mie cose e letto il mio diario. Non si era nemmeno degnato di chiedermi scusa. Precisiamolo: non mi ero aspettata nemmeno per un momento che lo facesse, era logico che non lo avrebbe fatto, era troppo Dean per fare una cosa del genere. Tuttavia una parte di me sapeva che una persona normale avrebbe dovuto farlo. Me le meritavo, delle scuse. Scuse qualsiasi, anche inverosimili, stiracchiate, borbottate o tossicchiate in mezzo ad una risata di scherno. Me le sarei meritate, ma sapevo che non sarebbero arrivate.
Ad ogni modo, dopo ore di faticoso cammino, raggiungemmo la fattoria dei Towell. Non ci volle molto per riconoscere il pickup incastrato in un cumulo di neve in mezzo a quella che avrebbe dovuto essere la strada sterrata.
Ce la fai ad arrivare in paese?”
Lo guardai di sottecchi, stranita. Seriamente, stava cercando di far nevicare di nuovo? Magari proprio mentre eravamo da soli in mezzo al nulla, dove una terribile per colpa sua ci avrebbe travolti e uccisi; probabilmente avrebbero ritrovato i nostri cadaveri congelati solo qualche secolo dopo, intenti a guardarci in cagnesco anche mentre piano piano morivamo ipotermia.
Il freddo stava avendo pessimi effetti sul mio cervello. Forse anche lui stava avendo lo stesso problema: neuroni infreddoliti.
Ho altra scelta?” domandai piccata, mentre le grida furioso di un uomo giungevano alle nostre orecchie.
Ci risiamo” lo sentii borbottare, mentre deviava sulla sua traiettoria e puntava dritto verso il pickup di Kameron, bloccato in mezzo ad un cumulo bianco. Senza poter fare altro – di certo non potevo continuare da sola: avevo problemi ad orientarmi a Sperdutolandia quando si vedeva la strada, figurarsi quando tutto era bianco e informe! -, lo seguii.
E dai, papà, non-”
Sta' zitto, almeno! Sei un totale imbecille, lascia che te lo dica!” stava abbaiando il signor Towell, piegato in avanti verso Kameron come se volesse dare una testata al figlio da un momento all'altro. Questi, da parte sua, osservava il padre a braccia aperte, come se volesse convincerlo che – qualunque fosse stato il problema – non era colpa sua.
Ma papà, dico davvero, pensavo che...”
Ti ho detto di stare zitto! Non so più che cosa fare con te! A scuola non vai bene, a casa non fai che combinare danni.” Questo mi era parecchio familiare. “Dimmelo tu, Kameron, che cosa devo fare? Sei troppo grande per la baby sitter, non posso metterti sempre alle costole Agatha McDonnel, lo capisci? Cosa ti è saltato in mente questa volta?!”
Kameron stava per rispondere, ma Dean fece la sua comparsa nell'aia ricoperta di neve della fattoria. “Salve!” salutò ad alta voce, agitando una mano sopra la testa.
Il signor Towell prese un respiro profondo per calmarsi, prima di ricambiare il saluto. “Ehi, ragazzo...” bofonchiò, allontanandosi di un paio di passi da lui.
Mettere i piedi su di una porzione di terra quasi completamente ripulita dalla neve mi parve un sogno. Sentivo le gambe maledettamente pesanti.
Ciao Dean. Oh, Pan, ci sei anche tu!” esclamò, in tono un po' meno allegro del solito. Che qualcosa non andasse era evidente, dallo scarso entusiasmo con cui ci aveva accolti. Non che vedere suo padre rimproverarlo non fosse bastato a farmi intendere che non era il momento adatto ad andare a fargli visita, ma il mio caro coinquilino non sembrava pensarla allo stesso modo.
Che è successo alla macchina?” domandò con naturalezza, accennando al pick up incastrato.
Il signor Towell alzò gli occhi al cielo, spazientito, e incrociò le braccia al petto. “Chiedilo a lui”.
Kameron si passò una mano sulla nuca coperta dalla sciarpa pesante, mentre si dondolava sui talloni. “Stavamo spalando e ho pensato che il pickup avrebbe potuto spostare molta più neve della pala e...”
Oh” mi lasciai sfuggire, arrossendo appena sulle guance, come se il gelo non le avesse arrossate già abbastanza. Abbassai lo sguardo, ma non abbastanza rapidamente da non notare l'occhiata divertita che mi aveva appena rivolto Dean. “Sì, non sei l'unico ad aver avuto questa idea, oggi” commentò.
Kameron mi diede una pacca sulla spalla. “Secondo me non era un'idea così stupida” mi difese. O si difese. Insomma, ci difese.
Siete fatti l'uno per l'altra non c'è che dire” commentò Dean, alzando gli occhi al cielo. “Una più idiota dell'altro”. La più cretina dovevo essere io, immaginai. “Anche se la vedrei meglio con quel ritardato di Doyle...”
Oh, fantastico. Mi vedeva bene con Terrence. Ma sì, continua pure, gioca con i miei sentimenti in questo modo barbaro. E ridi, sì, ridi più che puoi, chissà che prima o poi tu non muoia soffocato facendolo.
Non era un'idea così stupida?!” abbaiò il signor Towell, non credeva alle sue orecchie. “Hai bloccato l'entrata, pezzo di deficiente!”
Credevo avrebbe spostato la neve, non che ci si sarebbe bloccata in mezzo!” si giustificò il figlio,
Dean annuì, affondando una mano nella tasca del giubbotto, mentre con l'altra alzò leggermente la pala che reggeva: “Volete una mano a spalare?” si offrì.
Il signor Towell scosse il capo, “Non ce n'è bisogno, Dean. Suppongo voi due abbiate da fare...” .
Sì, ma può continuare lei da sola”.
Cosa? Sgranai leggermente gli occhi per la sorpresa. Davvero potevo andare avanti da sola? Come diavolo avrei fatto a continuare da sola, che non sapevo nemmeno dove dovessi andare? E poi, diamine, era impossibile orientarsi su quella distesa bianca!
Kameron lesse lo smarrimento nel mio sguardo e scoppiò a ridere. “Pan non la pensa così” osservò.
Dean mi lanciò una breve occhiate e si strinse nelle spalle. “Può sempre rimanere lei qui a spalare e io andrò dai Jenkins a far rifornimento”.
Jenkins. Perché nessuno mi aveva parlato di arrivare alla fattoria Jenkins? Ero convinta che sarei dovuta arrivare fino al paese a piedi! Non che io sapessi dove si trovava tale fattoria, ma ero sicura che non fosse lontana quanto il paese.
Presi un respiro profondo e annuii: “Va bene, va bene, vado avanti da sola. Dove dovrei andare, esattamente?”
Dai Jenkins” ripeté Dean, senza degnarmi di uno sguardo. Prese la pala e si avvicinò al pick up per osservare la situazione e decidere da dove iniziare a spalare.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, cose che sembrò divertire Kameron. Rise e, quando gli rivolsi un'occhiata truce, mi strizzò l'occhio. “Quattro case più avanti, per di là” mi spiegò, indicandomi le direzione con le mano.
È la casa con i cani” aggiunse suo padre. Notando la mia preoccupazione a quella notizia, si affretto a specificare: “Sono chiusi in un recinto, non ti preoccupare. Però abbaiano sempre, per cui quando li sentirai ti accorgerai di essere arrivata”.
D'accordo. Allora vado” bofonchiai, incerta. “A dopo”.
Stai attenta!” si raccomandò Kameron, mentre mi allontanavo.
Sì, cerca di non affogare” gli fece eco Dean, ridendo tra sé. Bastardo.
E fu così che rischiai la crisi di nervi in mezzo alla neve, da sola, senza sapere bene dove andare, né cosa chiedere una volta arrivata alla fattoria Jenkins. Questa, però, non è una storia che vale la pena di essere raccontata. Non quanto quello che sarebbe successo di lì a qualche giorno, qualcosa di davvero, davvero sconvolgente.
 
 
In der Ecke - Nell'angolo:
Tadannn!
Dopo avervi fatto aspettare tanto, eccomi. Non l'ho fatto betare, perché non volevo disturbare nessuno – immagino siano tutti sommersi dalla scuola come lo sono io, in questo periodo. No, dai, non è vero, è che ci tenevo a postare questa mattina, visto che oggi pomeriggio sarò impegnata con qualcosa come quindici cante di Dante mai letti per il test di domani.
(Vi state chiedendo se sono una deficiente? La risposta è la seguente: sìììììì!)
So che vedere il numero di one shot che sale sul mio profilo ma niente aggiornamenti di questa storia per mesi può essere davvero irritante. Scusatemi, davvero, non è che io abbia molte scuse, non ne ho.
Ma torniamo al capitolo. È un po' di passaggio, non succede poi molto e credo che sia uno dei più noiosi che abbia mai scritto – non sono nemmeno riuscita a farci entrare la “cosa importante” che avevo paura di scrivere male. Ma il punto è: qualcuno ha notato qualcosa di strano? (Non parlo di errori, ma se ne avete notati, non abbiate paura e segnalatemeli, cercherò di correggerli il prima possibile). Chessò:personaggi OOC, situazioni strane, cambiamenti... Niente? XD
Vabbè, smetto di fare la cretina.
Mi scuso se questo capitolo non è stato all'altezza delle vostre aspettative – di sicuro non lo è delle mie.
Aspettatevi un Missing Moments di questo capitolo, prima o poi. Cercherò di mettermi subito al lavoro, per scriverlo. :)
Spero che comunque a qualcuno sia piaciuto almeno un po'. (Giuro che non mi sto lagnando in cerca di commenti positivi, anche se può sembrare: mi sto scusando per qualcosa che non credo sia venuto come avrebbe dovuto).
Basta.
Ciao a tutti e grazie, grazie, grazie mille per le vostre recensioni, le vostre richieste di aggiornamenti, tutto il vostro sostegno e le piacevoli chiacchierate che ogni tanto capitano sul gruppo. Grazie di tutto, siete davvero fantastiche. ♥
  
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