Capitolo
uno: Psycho killer.
“We are vain and we are blind.
I hate people when they're not polite.
Psycho
Killer,
Qu'est-ce que c'est
Far better. Run away”.
(Psycho Killer- Talking Heads).
La
ragazza si strinse al braccio del suo
accompagnatore, piuttosto soddisfatta della serata. Era stata
inaspettatamente
divertente.
«
Avevi ragione »
gli disse
sorridendo. Non se lo sarebbe mai aspettata ma il film le era piaciuto
davvero.
Aveva
storto il naso la prima volta che lui
le aveva proposto quell’appuntamento. Da poco era uscita
quella nuova pellicola
fantascientifica di cui tutti parlavano. Dicevano che sarebbe stata una
vera
rivoluzione all’interno dell’industria
cinematografica, che avrebbe cambiato
totalmente il metodo di approccio alla cinepresa.
L’idea
all’inizio non l’allettava per
niente: non era molto convita dall’idea di navicelle spaziali
e spade laser;
non rientravano nel suo genere.
Eppure
con lo scorrere dei minuti, si era
trovata ritta su quella poltrona, protesa verso lo schermo,
completamente presa
dalla storia, ad incitare Luke Skywalker affinché facesse
saltare in aria
quell’enorme palla nera.
Ci era pure
rimasta male quando aveva scoperto che quel film faceva parte di una
trilogia e
che avrebbe dovuto aspettare almeno un anno prima di vedere il proseguo.
«
Te l’avevo detto »
si gongolò l’uomo
felice di aver fatto centro.
«
Era davvero bello »
continuò lei.
«
Vero? Sono contento che ti sia piaciuto ».
Lei
ridacchiò «
Sì. Grazie di
avermi invitato ».
Dentro
di sé, l’uomo esultò. Era stato il
loro secondo appuntamento e tutto sembrava procedere a gonfie vele.
Tentò
un’altra volta la sua fortuna «
Lo rifacciamo il prossimo weekend? »
«
Se sei fortunato »
lo stuzzicò. Aveva
tutta l’intenzione di accettare, ma voleva flirtare un
po’ prima di dargliela
vinta, sebbene il suo interessamento fosse palese.
Una
figura nell’ombra lo osservava ormai da
un po’. Li aveva seguiti fino al cinema e aveva pazientemente
aspettato che
finisse il film, prima di riprendere a pedinarli. Avrebbe potuto
attaccarli in
qualsiasi momento, ma il brivido della caccia era di sicuro la parte
migliore
della serata e l’attesa non faceva altro che aumentare il suo
piacere.
Alzò
gli occhi, mentre li ascoltava parlare
del film. Aveva sempre trovato molto stupida quella faccenda degli
appuntamenti, con rose annesse e frasettine ammiccanti. Durante la sua
vita
umana, aveva considerato il corteggiamento un qualcosa di sensato,
perché
sarebbe stato seguito da un matrimonio.
Adesso,
lo riteneva solo un modo come un
altro d’ingannare gli altri, svuotato di ogni significato.
Nessun uomo ormai
corteggiava una donna con intenzioni serie. La maggior parte desiderava
solo
infilarsi tra le sue lenzuola.
Quel
tipo non faceva la differenza. Si
stava sforzando di impressionarla, di dimostrarsi brillante, forse per
carenza
di altri doti; ma si sarebbe rivelata tutta fatica sprecata
perché quella donna
aveva capito di avere tutto il potere e si stava divertendo troppo a
tenerlo
sulle spine.
Il
vampiro si guardò intorno: erano finiti
in una lunga via, tanto trafficata di giorno quanto desolata di notte.
I bar attorno
stavano chiudendo, le insegne stavano per spegnersi. In lontananza un
allarme
stava suonando. In strada non c’era nessuno a parte quei due.
Non poteva
chiedere occasione migliore.
Con
un movimento fulmineo, si stese sul
marciapiede, poco più avanti rispetto a dove camminavano
loro, a pancia in giù
con la testa voltata dall’altra parte, un braccio teso sopra
la testa e l’altro
piegato sulla schiena. Quel trucco era praticamente infallibile.
Udì
i passi avvicinarsi e le risate
cessare. La coppia trattenne il fiato, il vampiro ghignò.
«
O mio Dio »
boccheggiò lei «
È … credi che sia
morto? »
Fin
troppo facile, ci cascavano sempre.
«
Non lo so »
disse lui. Aveva l’aria di voler essere da
tutt’altra parte tranne che lì, ma era
l’uomo e doveva mostrarsi coraggioso.
Mosse qualche passo incerto verso il corpo.
«
Resta lì »
le ordinò.
Portò
di nuovo lo sguardo sul marciapiede e
lo trovò vuoto. In quel millesimo di secondo capì
di essere spacciato.
Alle
sue spalle un urlo e l’orrendo rumore
di un collo spezzato glielo confermarono.
«
O mio Dio »
non riuscì a trattenere un’esclamazione
non appena realizzò l’accaduto. Si
voltò di scatto e constatò con impotenza che
la donna era a terra, morta. Una grossa ferita sporca di sangue
spiccava sul
suo collo candido.
Si
piegò su di lei inorridito. Il panico si
faceva largo in lui. Una bottiglia rotolò
sull’asfalto, istigandolo ad alzarsi
sull’attenti.
Ma
furono dei passi proveniente dall’altro
senso che gli mandarono i brividi per tutta la colonna vertebrale.
Si
girò per l’ennesima volta, come un preda
braccata dal cacciatore.
Ed
eccolo arrivare, con una camminata
sicura e scanzonata, la maglietta imbrattata di sangue, così
come la bocca.
Il
cuore dell’uomo cominciò a battere
furiosamente per la paura.
«
Sei quel serial killer, vero? Il figlio di
Sam ».
Era destinato a
morire, ma almeno voleva sapere l’identità del suo
assassino.
Il
vampiro guardò prima la donna a terra,
poi riportò gli occhi su di lui. Non aveva mai incontrato
questo fantomatico
“figlio di Sam”, ma non era la prima volta che ne
sentiva parlare. Prima o poi
avrebbe dovuto ringraziarlo, perché ormai era diventato
un’ottima copertura per
i suoi crimini. Tutti sembravano incolpare quel povero omicida, che in
paragone, era solo un agnellino.
«
Figlio di Giuseppe »
gli rispose con
una smorfia annoiata «
Ma ci sei andato
vicino ».
Non
gli lasciò il tempo di reagire. Gli si
lanciò addosso, affondando i canini nella sua carne, e
succhiò avidamente il
liquido vermiglio.
Sentì
una debole resistenza da parte dell’uomo,
ma non durò molto. Lasciò cadere il corpo, ormai
morto, vicino a quello della
donna.
Si
passò la lingua sulla labbra, godendo di
quel sapore inebriante che non si era curato di pulire.
Frugò nelle loro tasche
in cerca dei documenti d’identità.
Li
mise al sicuro nel suo giubbotto e, dopo
aver gettato un’ultima occhiata ai cadaveri, si
allontanò, molleggiando sulle
ginocchia soddisfatto.
Canticchiò
il motivetto di una canzone che
aveva sentito qualche giorno prima alla radio. S’intitolava Psycho Killer o qualcosa di simile.
Sembrava
scritta apposta per lui.
Non
era particolarmente tardi, ma si
trovava in un quartiere residenziale e a quell’ora non si
vedeva in giro molta
gente. Probabilmente sarebbe passato parecchio tempo prima che qualcuno
trovasse quei due corpi.
Will
sarebbe stato contento della doppia
vincita. Il vampiro si passò ancora una volta la lingua sui
denti, pregustando
già le vittime che avrebbe circuito e assaporato quella
notte nel locale del
suo amico.
Quando
cacciava per procurarsi identità
false, di solito eseguiva il lavoro molto velocemente per evitare di
essere
visto. Quando, invece, si dedicava al suo piacere, allora le cose
diventavano
molte più dolci, lente e terribilmente stimolanti.
Dipendeva
dalle serate, poi. C’erano volte
in cui preferiva prendersi il suo tempo, e altre in cui aveva solo
voglia di
giocare con le sue prede, spaventarle e finirle nel momento in cui la
paura
saliva alle stelle.
Come
gli piaceva il suo potere!
Non
poteva pensare ad un modo migliore
d’iniziare la notte, ma fu presto smentito.
Dall’altra parte della strada una
ragazzina correva a perdifiato verso di lui.
Probabilmente
non l’aveva nemmeno visto,
perché quando si accorse della sua presenza era davvero
troppo tardi. Si fermò
un attimo prima di finirgli addosso e perse l’equilibrio,
cadendo a terra.
Il
vampiro la squadrò: mingherlina, non
molto alta, con i capelli biondi, appena più lunghi di un
caschetto, mossi e
spettinati e due occhi color nocciola che si allargarono a dismisura
nell’istante in cui si focalizzarono su di lui.
La
giovane strisciò di un pelo indietro,
intimorita. Alle sue spalle aveva problemi ben più grossi,
ma quella bocca
ancora sporca di sangue non era per niente rassicurante. Se non fosse
stato per
quel piccolo e macabro particolare, si sarebbe anche potuta innamorare
all’istante. L’individuo di fronte a lei era di una
bellezza devastante : era
vestito in pieno stile anni ’70, con una giacca di pelle nera
che si confondeva
quasi con i suoi capelli altrettanto neri. Gli occhi color ghiaccio
erano
segnati da una riga di matita nera. Aveva sempre trovato ridicola la
matita
negli occhi dei ragazzi, sebbene andasse molto di moda in quel periodo,
ma a
lui donava particolarmente.
Purtroppo
ogni tipo fascino veniva spazzato
via da quella scia di sangue che scendeva lungo il suo collo fino ad
allargarsi
in una grossa macchia sulla maglia bianca.
Il
vampiro sogghignò compiaciuto, pronto a
sporcarsi nuovamente di rosso. Non ne ebbe il tempo: dei passi
sopraggiunsero in
lontananza.
Lei
non si girò nemmeno, si alzò con uno
scatto fulmineo e si nascose dietro il suo corpo, usandolo come scudo.
Lui
corrugò la fronte. L’aveva fatto
davvero? Gli stava davvero chiedendo protezione?
Il
motivo di tutto il suo timore si rivelò
dopo poco, entrando finalmente nel cono di luce del lampione
più vicino: era un
uomo, sulla cinquantina, di bell’aspetto nonostante
l’aria dismessa. Aveva i
pantaloni slacciati.
Ora
la maglietta tutta stropicciata della
ragazza acquistava un senso.
«
Sul serio, amico? Potrebbe essere tua
figlia »
parlò per la prima
volta il vampiro. Era un efferato assassino, senza scrupoli, ma un
molestatore
… quello gli dava veramente la nausea. Non aveva mai
costretto una donna ad
avere rapporti intimi; erano sempre state tutte accondiscendenti,
merito della
sua bella presenza. Le aveva soggiogate per il sangue, non per il sesso.
Si
rendeva conto che detto da un assassino
fosse quasi un controsenso, ma … Santo Cielo…
amava così tanto le
contraddizioni!
L’uomo
non osò ribattere. Indicò con mano
tremante la giovane, come a volerla reclamare e balbettò
qualcosa
d’incomprensibile.
Il
vampiro alzò gli occhi al cielo,
piuttosto irritato. Aveva cominciato la serata così bene,
perché doveva essere
rovinata da una tale seccatura.
Non
gli capitava quasi mai di fare l’eroe,
quasi faticava a ricordare l’ultima volta che si era
comportato bene. Per una
sera, però, poteva trasgredire alla regola.
L’uomo
intese che non l’avrebbe mai
scampata: quel pazzo di fronte a lui aveva la bocca piena di sangue,
chissà
quali altre atrocità era capace di commettere.
Il
suo tentativo di fuga venne stroncato
sul nascere: un minuto prima stava correndo via, il minuto dopo era a
terra con
il collo spezzato.
Il
vampiro scavalcò il corpo e riportò la
sua attenzione sulla ragazza che non si era mossa di un millimetro. Lo
guardava
impietrita.
Non
aveva tentativo di fuggire, forse
perché ne aveva compreso l’inutilità.
Non indietreggiò nemmeno quando lui si
avvicinò.
La
squadrò a sua volta, indeciso sulla sua
prossima mossa.
Considerò
che quella biondina aveva già
ricevuto la sua dose di guai per quel giorno. Era decisamente il tipo
di
ragazza con cui avrebbe voluto divertirsi e giocare, ma lei non era
proprio
nelle condizioni. Anche se l’avesse soggiogata, non sarebbe
stata una grande
compagnia, anzi probabilmente sarebbe finita, comunque, a piangere
sulla sua
spalla, lamentandosi di tutti i suoi problemi.
Non
era precisamente l’idea di divertimento
del vampiro.
Decise
di lasciarla andare e levarsi da
quell’impiccio il più presto possibile.
«
Come ti chiami? »
le chiese.
«
C-charlie »
rispose lei schiarendosi la gola seccata.
«
Bene, Charlie
»
incominciò influenzandola
con il suo potere «
Ecco cosa succerà:
ora te ne andrai a casa e ti farai una bella dormita. Quando domani
mattina ti
sveglierai, non ti ricorderai né di me né di
quello che è accaduto stanotte,
intesi? ».
Lei
si limitò ad annuire. Un momento dopo
si trovò sola in mezzo alla strada.
Fissò
un po’ scossa il corpo dell’uomo che
l’aveva aggredita e tirò un sospiro di sollievo.
Non l’avrebbe mai ucciso con
le sue mani, ma non poteva dire di essere dispiaciuta della sua morte.
Quella
creatura – vampiro o quel che era –
aveva ragione:
doveva andarsene di lì e alla svelta. Non desiderava essere
ricollegata a
quell’omicidio, non aveva bisogno di altre rogne. Avrebbe
fatto molto meglio a
dimenticarsi tutto.
Prima
di abbandonare il luogo del misfatto,
si guardò in giro ancora un’altra volta nella
speranza di scorgere il suo
salvatore.
Solo
in quell’istante si era resa conto di
non avergli detto neanche grazie.
Paura.
Terrore.
Angoscia.
Panico.
Sofferenza.
Ecco
cosa leggeva negli occhi di
quell’uomo.
Ecco
cosa leggeva negli occhi di tutti, a
dire il vero.
Ogni
volta si ripeteva la solita storia:
dopo un attimo di sbigottimento, iniziavano a rivolgergli domande
prepotenti,
offese poco convincenti, gli intimavano di uscire da casa loro, lo
intimidivano
senza molti risultati. Afferravano la prima cosa che capitava a tiro e
cercavano di spaventarlo come se in mano avessero un’arma
potente e letale.
Infine minacciavano di chiamare la polizia.
E
a quel punto lui scoppiava a ridere. Una
risata malvagia e perversa. Come se degli uomini in divisa potessero
fare
qualcosa, come se li potessero proteggere, come se potessero fermarlo!
Erano
tutti degli stolti che credevano di
avere a che fare con un comunissimo ladro o un assassino ma pur sempre umano .
Era
proprio questo che lo faceva
imbestialire più di tutto: venire scambiato per un lurido
essere privo di potere.
Nonostante fosse evidentemente più potente di un mortale
qualunque, nonostante
rappresentasse qualcosa al di fuori della normalità cui
erano abituati,
nonostante i suoi occhi fossero il ritratto di disgusto e odio, quegli
sciocchi
continuavano a considerarlo uno di loro.
Possibile
che, anche in punto di morte,
anche quando era così palese, si rifiutassero di credere che
nel mondo
esistesse un potere superiore?
Ovviamente
no! Loro si reputavano i padroni
del mondo, loro decidevano la sorte del pianeta, erano loro a comandare
tutti;
si sentivano la specie eletta.
Ma
non avevano mai compreso che i viventi
si dividevano sostanzialmente in due categorie: i forti e i deboli; e
gli umani,
con la loro mente ottusa e chiusa, appartenevano di certo alla seconda.
Loro,
specie
eletta e padroni del mondo, non contavano nulla, erano degli
esseri
inferiori.
L’uomo,
rannicchiato in un angolo,
parzialmente nascosto tra il divano e il muro, fece l’ultimo
disperato
tentativo di scacciare lo sconosciuto che lo stava terrorizzando con i
suoi
occhi iniettati di sangue. Si lanciò contro il suo
avversario e cercò di
colpirlo.
L’attacco
andò a vuoto, in quanto il vampiro
si spostò in tempo, ma riuscì comunque a
graffiarlo di striscio su una guancia.
L’immortale
portò la mano alla parte lesa
tastandola e si guardò i polpastrelli: erano sporchi di
sangue. Il suo sangue, puro e
antico di un secolo,
versato per colpa di un uomo che nemmeno poteva definirsi tale.
Non
perse tempo a torturarlo, non meritava
ulteriori attenzioni; con un movimento veloce gli si gettò
addosso, mordendolo
con ferocia. Qualche urlo frantumò il silenzio, per poco, e il corpo cadde a terra
pesantemente.
Il
martedì era il giorno di chiusura per il
Billy’s e il vampiro si era dovuto arrangiare per procurarsi
il suo cibo. Ormai
entrare nelle case di sconosciuti era diventato così facile:
bastava suonare e
soggiogarli. Amava violare la sacralità delle loro dimore;
la sentiva come una
doppia vincita.
Fissò
l’uomo privo di vita ancora per
qualche secondo prima di uscire da quella casa infetta e sparire nelle
vie
deserte. Un occhio normale non lo avrebbe mai scorto. Lui poteva
strisciare
contro i muri e saltare tra i tetti; era veloce come un falco, felpato
come un
felino e letale come un serpente. I sensi sovrasviluppati e la forza
inumana ne
facevano un predatore perfetto, in perenne caccia, spinto
dall’istinto.
New
York a quell’ora appariva quasi
disabitata. In molti avevano una concezione un po’ distorta
della Grande Mela.
Come la chiamavano? La città che non dorme mai.
La
città dei desideri, la città dei
grattaceli luminosi, la città dei negozi favolosi, della
statua simbolo della
libertà.
Quella
era solo una parte di New York; la
parte della luce, la patria del bene, degli uomini e delle donne
convinti di
poter vivere il sogno americano, dei poveri illusi che credevano ancora
nelle
favole. Ma quando calava il sole, arrivava anche la vera New York,
quella che
il vampiro preferiva. La New York del mistero e della trasgressione,
dei
segreti indicibili e del pericolo. La New York del buio più
profondo,
territorio dell’indomabile male.
Nessuno
sano di mente si sarebbe mai
addentrato negli anfratti scuri della City quando la luna era alta nel
cielo;
la notte non era un luogo rassicurante, fatta eccezione per gli
ubriachi, per
gli sprovveduti e gli squilibrati, e ovviamente per lui.
Non
c’era più spazio per i buoni
sentimenti, niente più giustizia, niente più
compassione, niente più umanità.
Non quando le paure aumentavano e la pazzia trovava spazio.
E
il vampiro era ben contento
dell’appellativo disumano, perché
voleva essere considerato un qualcosa di superiore; uno spietato
assassino,
senza limiti, senza scrupoli; voleva incutere terrore con il suo
comportamento
inumano.
Si
pulì la bocca dal sangue rivelando il
suo viso diafano. Percorse tutta la via senza fretta, godendosi quei
momenti in
cui tutto sembrava fermarsi al suo passaggio.
Si
era affermato per determinazione ed
efferatezza, solo per raggiungere il suo obiettivo ultimo: conquistare
il pieno
potere e la totale indifferenza. Per questo adorava passeggiare per i
vicoli
immersi nelle tenebre e nel silenzio; perché quella era la
New York che amava:
malvagia, amorale, ambigua, sfacciata e disinibita; la New York che gli
calzava
a pennello, la New York della notte.
E
lui, Damon Salvatore, ne era il padrone
indiscusso.
Il
mio spazio:
Salve
a tutti!
Prima
di tutto grazie di essere arrivati
fin qui e di avermi dedicato un po’ del vostro tempo.
È
da parecchio che volevo scrivere una
fanfiction su TVD ma mancava sempre l’idea giusta.
L’episodio 4x17 mi ha dato
una bella scossa.
Come
nasce questa storia? Da una crescente
antipatia verso Elena Gilbert.
Non
è mai stato il mio personaggio
preferito, ma riuscivo ad apprezzarla durante le prime due stagioni.
Dalla terza,
invece, mi sembra sempre più vicina al suo corrispettivo
cartaceo (in pratica
una Mary Sue fatta e finita).
Mi
dà un po’ fastidio che tutto giri sempre
intorno a lei. Va bene che è la protagonista, ma a tutto
c’è un limite. Insomma
lei dice “Salta” e gli altri rispondono
“Quanto in alto?”. Trovo che abbia
bisogno di una ridimensionata, sia da parte degli autori, sia da parte
degli
altri personaggi.
E
sono anche un po’ stufa vedere i fratelli
Salvatore correre da una parte all’altra per salvarle la
pelle e renderla
contenta.
Non
sono una grande fan della coppia
Damon/Elena; lei non mi sembra la ragazza giusta e ho
l’impressione che sarà lì
sempre in bilico, sempre indecisa.
Per
cui ho deciso di mandare a quel paese switch
off, sire bonding, doppelgänger e Mystic Fall e scrivere del
periodo “buio” di
Damon a New York, durante gli anni settanta, quando era ben lontano da
qualsiasi forma di Petrova.
Cercherò
di essere più originale possibile
e soprattutto molto accurata su quell’epoca. Se
cambierò qualche data o cose
simili per ragioni di trama, vi avvertirò nelle note.
So
che ci sono molte storie Damon/Nuovo
personaggio, quindi spero di darvi qualche motivo per continuare a
leggere.
Vi
do qualche informazione per chiarire il
contesto: siamo intorno alla metà di luglio; Lexi se
n’è andata da un mese e
Damon ha deciso di restare a New York a spassarsela. La scena iniziale
è la
stessa dell’episodio. Mi piaceva molto e ho voluto inserirla;
fate finta che
sia successo dopo la partenza di Lexi e non prima del suo arrivo.
Il
figlio di Sam è
un serial killer realmente esistito, che in quello stesso periodo ha
colpito
diverse vittime a New York.
Il
primo film di Star Wars è
uscito nel maggio del 1977 (qui ho posticipato di un
paio di mesi). Luke Skywalker è
uno
dei protagonisti.
Grande
Mela è
una definizione nata agli inizi del Novecento. Negli anni settanta
è stata
rilanciata in una campagna di promozione turistica.
La
Statua
della Libertà è stata costruita negli
anni ’80 dell’Ottocento.
Psycho
Killer è
una canzone dei Talking Heads, tratto dall’album Talking Heads: 77, pubblicato sempre nel
1977.
Spero
davvero di avervi almeno un po’
incuriosito. Se vi va, lasciatemi un commentino con le vostre prime
impressioni
=)
Il
banner è di Bumbuni.
A
questo punto, vi do la buona notte!