۞
6.
Infondo
che cos’è una Felix Felicis se non un composto di
elementi? Una Pozione
Polisucco non è forse fatta di molecole? Perfino
l’Unguento Liscio Eterno Per
Capelli Disfattisti ha una sua logica in questa materia.
Quello
che sta capitando a me, invece, è contro ogni singola legge
confermata
nell’arco di secoli. Ho le sinapsi pigre, o meglio, dei
neuroni affetti da
un’acuta forma di poltronite. In un nanosecondo, la chimica
che sta alla base
del mio processo sinaptico dovrebbe
far reagire i miei neuroni all’istante affinché
emettano l’impulso logico
di erigermi in tutta la mia
bassezza.
Invece
no. Continuo a stare ferma, immobile, seduta sulle gambe di James
Potter.
Sono
circa venti secondi che mi sto fissando le ginocchia come paralizzate.
Osservo
come le mie gambe siano corte e i miei piedi non riescano a raggiungere
il
tappeto persiano per pochi centimetri. I miei occhi guizzano dai pugni
chiusi
che tengo sulle cosce, alle punte rovinate delle mie scarpe. Mentre
guardo le
mie gambe, inizio a pensare che quelle su cui sono adagiata
tranquillamente
adesso, sono le stesse gambe su cui sono capitombolata di malavoglia
prima. Le
mie sinapsi sembrano funzionare soltanto per farmi ponderare quanto
comodi e
turgidi siano i suoi quadricipiti. Questo non va affatto bene, Lily.
«Sei
ubriaca?»
«Che
cosa?»
«Ti
ho chiesto,» ripete tranquillamente la voce di James al mio
orecchio «se per
caso non ti sei ubriacata. Hai lo stesso colorito irritato degli
ubriachi.
Persino nelle orecchie.»
Mi
volto repentinamente. Pessima idea: sento il suo alito pulito non
più sulla mia
nuca ma direttamente in faccia. Inarco le sopracciglia e sento la mia
voce
balbettare «Sto benissimo. Molto bene, si.» gli
faccio un sorriso stiracchiato
«Sono rossa perché mi sto trattenendo, sai, dal
ridere.»
Lui
ride. «Ovviamente.»
«Si,
si. Certo.»
«Sono
comodo?»
«Abbast-
no, no. Per nulla.»
Lui
ride di nuovo, guardandomi da sopra le lenti dei suoi occhiali. Questa
è
un’occhiata che interpreterei come “Ti si legge
quello che pensi in faccia”.
Fanculo a te e alla Signora Grassa. Mi giro nuovamente attirata dalla
voce di
May Midwinter, che suona divertita e sconcertata allo stesso tempo.
Ha
poggiato il boccale che stringeva fra le mani sull’angolo del
tavolo più
vicino, da dove lo aveva appena riempito prima. «Come
prego?»
«Tesoro,
guarda, hai sentito benissimo. Ma se proprio non hai afferrato bene
quello che
ho detto prima, te lo traduco: elencami i miei difetti, e bada
bene,» Sirius
alza un dito e le sfiora delicatamente il naso lentigginoso
«è un privilegio
che concedo a poche…persone.» si affretta ad
aggiungere.
May
inclina la testa divertita «Posso davvero illuminarti
sull’argomento?»
«Precisamente.»
replica Black, portandosi le braccia sul petto ed incrociandole
«Illuminami,
stellina cara. Voglio sapere con esattezza quale suadente elemento del
mio
essere non ti attrae.»
«Oh,
Black, tanto per cominciare: sei uno spilungone. Io detesto gli uomini
troppo
alti.» Sirius sgrana gli occhi, non ci può
credere. È la seconda volta nel giro
di dodici ore che sente dire che l’altezza non è
sinonimo di bellezza. «Sei
allampanato, hai l’aria trasandata. Trasudi una
volgarità zuccherosa che mi da
il voltastomaco. Hai la pancia di un anoressico e i muscoli
troppo…sodi,ecco.
Non ti fai mai il nodo alla cravatta e lasci sempre uno scorcio di
petto
scoperto cosicché tutti possano ammirare la curva sinuosa
della tua clavicola.
Hai delle mani, voglio dire…sono enormi, e fra
l’altro non ti siedi né cammini
compostamente. E per concludere,» rivolge
un’occhiata truce alla testa di
Braccobaldo «quei capelli.»
Già
turbato dalle affermazioni precedenti della ragazza, Sirius schiude le
labbra
impaurito ed indignato, portandosi le mani sul capo.
«Cos’hanno
i miei bellissimi capelli che non va?!»
«La
lunghezza, il colore. Per esempio.» prosegue lei, fissandolo
con malizia.
«Ma…ma
se sono bellissimi! Scuri e lucenti, praticamente perfetti! Sono del
colore…»
«…della
cacca di drago.»
Silenzio.
Ops, duro colpo.
«Eh?»
«Ma
si, è vero che tu non stai mai attento ad
Erbologia,» celia
«Non
è divertente,» sbotta Sirius, particolarmente
indignato. Stringe i pugni e
sembra trattenersi dal balbettare in una maniera che ricorda molto la
cantilena
di Peter Minus: più cerca di dire qualcosa, più
questa risulta incomprensibile
«e-e comunque, si, ecco, beh, sono bellissimi allo stesso
modo!»
«Ma
sicuro.» ride l’altra, inarcando le sopracciglia
nere «fa molto rock star, dico
sul serio.»
«Beh,
se non ti piacciono i divi,» sottolinea Sirius pignolo
«non vedo allora come
possano interessarti i secchioni con due fondi di bottiglia al posto
degli
occhiali ed una sfumatura grigia nei capelli castani.»
Quando
May scuote energicamente la testa come a dire che non riesce a capire
cosa le
stia venendo detto, Sirius prosegue sanguigno «Quella
sottospecie di Corvonero
di mezza età che ti ronza intorno, come diavolo si chiama?
Vineyard?!»
L’altra,
sbigottita, batte le ciglia corrucciandosi «Adesso oltre che
pedinarmi ti
informi anche sui miei incontri?»
Sirius
pare ignorare la sua domanda «Beh, che vuole quello?
Perché a lui non dici che
ha i capelli color sterco? Perché non lo insulti e non gli
dici di sparire
dalla tua vita?»
Più
che delle domande sembrano degli ordini. Delle imposizioni che a May
sembrano
non fare troppo piacere.
«Siete
due persone totalmente diverse. Ecco perché esco con
lui,» brandisce nuovamente
il manico del boccale di Burrobirra che aveva lasciato sul tavolo e lo
leva in
aria, all’altezza del naso di Sirius «e detesto
te.»
In
un nanosecondo rovescia il liquido schiumoso sulle scarpe di Sirius, le
quali
hanno tutta l’aria di essere nuove. O meglio, avevano.
Troppo
preso dal disastro appena accaduto ai suoi piedi, Sirius si inchina
lasciando
che May si svincoli fra la folla e si disperda. Nemmeno io riesco
più a
seguirla con lo sguardo. Stasera c’è davvero un
sacco di gente qua dentro, il
che rende il salotto ancora più claustrofobico di
com’è solitamente.
Mi
sembra di avere il singhiozzo. In realtà è James
che come ride mi fa fare dei
saltelli impercettibili. Mi porto una mano sulle labbra che si stirano
in un
sorriso. James mormora il contro incantesimo e non contiene
più le risate.
Ondeggio pericolosamente verso le sue ginocchia, così
allungo i piedi verso il
tappeto persiano e mi alzo.
Non
appena mi volto, vedo James rotolare sull’ampia seduta della
poltrona e
sbellicarsi dalle risate, stringendosi le braccia sugli addominali.
«Cacca di drago! Adesso tenterà
di trasfigurarsi
i capelli! E gli stivali nuovi…quelli si che hanno a che
fare con i draghi!»
Caspita. Al giorno d’oggi gli stivali di pelle di drago sono
davvero costosi.
Giuro però che se qualcuno me li regala prima lo scuoio poi
mi faccio un paio
di scarpe con la sua di pelle; detesto i maltrattamenti sugli animali.
Ridacchio
sommessamente. Non so perché ma mi suscita più
ilarità James che si rotola
dalle risate, che Sirius umiliato dalla sua ultima vittima, che
ovviamente non
è cascata nella sua trappola. Cerco di individuarlo nella
folla: si è
precipitato ad una fontanella che lascia magicamente scrosciare della
Burrobirra nella sua polla. Ne riempie un boccale e lo scola in una
sorsata.
Poi ripete l’operazione una seconda ed una terza volta. Il
tutto agitando
convulsamente i piedi, tentando di scrollarsi la bevanda alcolica che,
evidentemente, ha raggiunto la punta delle calze.
«Certo
che ci è rimasto male…» mormoro
rivolgendomi a James.
Lui
cerca disperatamente di reprimere il risolino acuto e mi risponde con
un tono
isterico «Già…non era mai successo
prima…eh eh…che proprio lui si sentisse
rivolgere certi insulti.» si passa una mano nei capelli e si
siede
compostamente. Alza gli occhi ancora umidi di felicità verso
di me e soffia,
con il suo sorriso sghembo:
«Sai,
un tempo una ragazza mi rispondeva proprio così. Diceva di
preferire l’amicizia
della Piovra Gigante piuttosto che scambiare due chiacchiere con
me…pensa che
mi odiava a morte ed eravamo perennemente in competizione. Insultare i
miei capelli
era all’ordine del giorno per lei: mi ha apostrofato molto
più pesantemente in
cinque anni che la conosco. Un bel giorno
però…» si aggiusta gli occhiali sul
naso con un gesto terribilmente lento. Fa una pausa poi riprende di
slancio a
parlare, senza mai distogliere lo sguardo «…dalla
sua boccuccia sono uscite
soltanto risate e non più insulti. E ti dirò,
ormai mi ci sono terribilmente
abituato a sentire la sua risata.»
Deglutisco
sonoramente. Come fa a fare di me una massa di gelatina inerme e
silenziosa?
Ma
certo. Mi parla. Prima invece riuscivo ad insultarlo prima che
riuscisse ad
articolare anche un semplice “Buongiorno!”. Lo
sapevo già che era un gran
parlatore. Una sorta di Rettilofono che incanta tutte le bisce in
calore di
Hogwarts. O almeno, tutte tranne una.
Rimango
impalata a fissarlo, incapace di rispondere alla sua affermazione o di
contraddirlo.
«Vuoi
da bere?»
«Cosa?
Oh, no. No, James.»
Lui
rotea gli occhi distrattamente «Allora ti va
di…»
I
singhiozzi di Sirius raggiungono le nostre orecchie
«Jaaaaaaamessssh…Cornutino…Ho bisogno
di…bere qualcosaaaah…Jamesssh..» un
boccale oscilla pericolosamente fra l’indice e il pollice
della sua mano
destra. Sorrido prendendoglielo dalle mani e lasciandolo sul tavolino
che mi
sfiora gli stinchi.
…James
è un nome che mi è sempre piaciuto.
Ah?!
Ma che vado a pensare? Ok, questa festa è ufficialmente
fallita, e visto che
Lumacorno si è appisolato sulla sua poltrona preferita in
mezzo al chiasso, io
sparisco. Non ho intenzione di restare abbastanza a lungo per vedere
Sirius
vomitare. Non stasera.
«Senti,»
inizio a dire mentre James raccoglie Sirius e lo mette a sedere su un
divano
borbottando sproloqui a bassa voce «io me ne
vado…davvero, sto morendo di
sonno,» improvviso uno sbadiglio «vado a
dormire.»
«Ma
se sono…le dieci e mezza!» esclama James guardando
l’orologio e rivolgendomi
un’occhiata ferita,come se stessi bestemmiando «Ti
prego, non lasciarmi qui!
Sirius sta per cadere in catalessi, poi domattina avrà un
attacco di vomito…»
rabbrividiamo insieme, lui accenna una risatina.
Spero
vivamente che sia domattina e non fra tre secondi «Beh
ma…non c’è Remus?» mi
alzo in punta di piedi scorrendo per l’ennesima volta la
folla con lo sguardo.
Lui
sbuffa. «Figurati, si è passato per portarsi
avanti con i compiti, il
secchione…»
Sirius
agita mani e piedi nel vuoto quasi fossero delle zampe
«Concime…Jamesssh –
anche she ho i capelli color merda shono…un
cane…con gli ssshtivali, Jamesh!»
«Non
ora Sirius,» sussurra lui trattenendo il dito che Black gli
voleva ficcare nel
naso «Lily, giuro che ti riaccompagno, più tardi.
Ti prego non andartene!
Quando non sei nei paraggi mi viene
l’ansia…» mentre parla evita
accortamente
di guardarmi negli occhi. Sui suoi zigomi riesco a scorgere
l’ombra di un
rossore naturale.
No,
guarda, stai proprio sbagliando. Io non ne ho nessuna voglia.
Poi
sorrido «…okay».
Come
me, non se l’aspettava nemmeno lui. È proprio vero
che sono diventata una
pappamolle.
All’inizio
non facciamo che commentare la scenetta comica fra May e Sirius, mentre
ogni
tanto ci interrompe il russare di quest’ultimo. James
è divertito, ma è anche
dispiaciuto per il suo migliore amico. Sa che Sirius è un
tipo orgoglioso,
facilmente offendibile, poiché molto permaloso.
«Lui
cerca sempre di non darlo a vedere,» mi dice sorridente
«è per questo che
appare sempre come una persona fredda e misteriosa. In
realtà si contraddice da
solo. È un gran calcolatore, a volte.». Benvenuto
nel Club, Sirius.
Alla
fine mi ha convinto a bere, e con mia grande sfortuna mi rammento che
sono
pessima in quanto a reggere le bevande alcoliche. Mi sento un
po’ strana mentre
rivolgo una tenera occhiata a Sirius che si gratta il naso nel
dormiveglia,
lungo disteso su un divanetto rosso troppo piccolo per le sue
proporzioni, mi
viene in mente che anch’io vorrei dormire e che domani
è domenica.
«Domani
c’è la prima partita di
Quidditch…» sospiro, poi dopo aver ripreso fiato
aggiungo «dovrò tenere d’occhio i
primini con Remus.»
James
mugugna sorseggiando dal suo bicchiere. Non appena finisce fa un gesto
che
indica chiaramente quanto la bibita lo abbia dissetato poi mi fa un
cenno
«L’unica cosa che ti viene in mente è
che dovrete badare a delle sottospecie di
nani? – Hai mai notato che ogni annata sono sempre
più bassi?» e rinfila in naso
nel bicchiere.
Rimango
per un po’ a guardare come il vetro rosso distorce la forma
dritta e precisa
del suo setto nasale, che così appare più scuro e
sembra rotto in svariati
punti. «Volevo dimenticarmi che domani sarò
l’unica a riprendere altre persone
che invece perderanno la voce a furia di incitarti. Mi sembra inutile
continuare
a ripetere di non fare chiasso – voglio dire, siamo in un
campo da Quidditch,
non in classe – però…è un
riflesso incondizionato.» la mia voce sembra
lamentosa e sconsolata. Sirius fa un grugnito che mi fa sobbalzare.
Sento James
posare un secondo bicchiere vuoto sul tavolo e mi volto verso di lui.
Ci
guardiamo, mi sorride ancora una volta. Il suo canino appuntito fa
un’apparizione all’angolo della sua bocca umida di
alcool.
«Fai
uno strappo alla regola: incitami anche tu, no?»
Sento
una sorta di stizza trafugarmi la poca lucidità che tento
disperatamente di
conservare «Sai bene che non faccio parte della categoria
delle tue ammiratrici
sbavanti.»
«Ma
puoi far parte di quella “migliori amiche sostengono migliori
amici”» butta lì
lui, sempre con aria distratta, però senza mai smettere di
fissarmi, tanto che
provo uno strano misto di irritazione e smarrimento nel vedere come le
sue
iridi si spostino impercettibilmente su ogni centimetro della mia pelle
e
vengano talora interrotte quando incontrano un mio sguardo enigmatico.
«Ci
penserò,» accetto io «però
scordati degli striscioni incoraggianti della serie
“Dacci dentro con quella scopa” e altra roba della
prima categoria sopraccitata.».
Scusami ma mi sentivo in dovere di puntualizzare, Cercatore Malandrino.
«Annuisco
e sottoscrivo.» declama lui. I suoi zigomi si alzano ancora,
stavolta
leggermente più arrossati. Si alza dalla poltrona su cui
sedeva e si lascia
cadere accanto a me, nel divanetto ai piedi di Sirius. Le nostre
ginocchia
sfregano le une con le altre e siamo talmente vicini che sono quasi
totalmente
oscurata dalla sua ombra. Per ora non mi scompongo più di
tanto. Ripeto: per
ora.
«È
già la seconda promessa che ti strappo.» il suo
alito fruttato di vino mi fa
salire un brivido lungo la schiena. Non mi stacca gli occhi di dosso, e
anzi, è
ossessionato alla ricerca dei miei, che roteano e vagano sul soffitto,
si
socchiudono, spariscono sotto le ciglia o si spalancano, tutto
nell’arco di
pochi secondi. Tutto pur di evitare le sue iridi nocciola che
persistono
nell’incatenarmi a lui.
Mi
tocco un’orecchia bollente «Non ne vado molto
fiera.» ammetto in un sussurro.
«È
perché non dovresti?» mi chiede lui, intristito
nel tono ma sorridente «Non sei
felice?»
Quello
strano bagliore nei suoi occhi non mi aiuta affatto a rispondergli con
lucidità, e il mio tono è sonnolento quando mi
lamento con sincerità: «Non
saprei.»
«Sei
la mia migliore amica.» sentenzia lui con convinzione. Sento
qualcosa muoversi
nel mio stomaco, un qualcosa che non saprei come chiamare
«Però…»
«Si?»
Lui
non termina la frase. Si limita ad acchiappare una lunga ciocca dei
miei
capelli e la osserva silenzioso, ammirandone l’assurdo colore
in tutte le sue
sfaccettature, dalle più brillanti e bronzee a quelle
più scure che si
avvicinano alle sfumature dell’agata rossa e delle castagne.
«I
lamponi. I tuoi capelli hanno il colore dei lamponi.»
«Vedo
che sei d’accordo con Pix.» sbotto io, ripresami
dalle sue lusinghe silenziose.
«Al
massimo è Pix che è d’accordo con
me,» puntualizza divertito «e comunque,
oserei dire purtroppo per te, è la verità. I
Prewett hanno i capelli rossicci,
ma tendono al biondo. E anche la famiglia del signor Septimus Weasley
ha una
particolare sfumatura di rosso, dello stesso colore delle fiamme. Tu
però hai i
capelli di uno strano rosso». È pensieroso.
«Si
chiama mogano.»
Lui
alza lo sguardo dalla ciocca che sta rigirando fra pollice ed indice
«Non
esattamente. Il mogano tende ad essere un po’
meno…vistoso.» curva all’insù
le
labbra sottili, abbassando di nuovo lo sguardo «E tu in
nessun modo passeresti
inosservata.»
Rimango
rigida come una statua a quella osservazione. Sarebbe più
corretto dire che
sono senza parole e che non so come rispondergli, cosa che mi irrita,
visto che
sta capitando sempre più spesso.
«Ah.»
adesso inizio a parlare a monosillabi.
«Ferma
così.» intima dolcemente, mettendo ancora
più in luce il lungo ciuffo ramato
«Lily, sai che con questa luce sembri avere i capelli
porpora?» fa una pausa
poi commenta «Sono bellissimi.»
Abbozzo
un sorriso mentre lui lascia ricadere i miei capelli sulla spalla.
James ha i
capelli di un nero indescrivibile. Non c’è un
riflesso, una sfaccettatura di
un'altra tonalità. Nulla. Soltanto nero. E il suo nero
è diverso da quello di
Sirius, che tende ad avere degli strani riflessi elettrici, quasi
bluastri. I
capelli di James sono neri come una notte senza stelle, come un fondale
oceanico. Un interessantissimo groviglio di onde nere e lucenti che
faticano a
stare ferme e prendono sempre delle strane pieghe. Vorrei
comunicarglielo, ma
non faccio in tempo ad aprir bocca che mi accorgo con un misto di
sdegno e
sorpresa che sulle lenti dei suoi occhiali, in trasparenza, si
riflettono i
miei occhi.
Sembra
sinceramente interessato «Caspita».
Incrocio
gli occhi osservando come la punta del suo naso sia molto –
troppo vicina alla
mia.
Inarca la schiena all’indietro,
Lily, spostati. Lily, allontana la faccia, adesso. Lily, dagli uno
schiaffo.
Lily, fai qualcosa. Nessuno dei
messaggi esce dal cervello e raggiunge i muscoli. Nemmeno uno.
«Sono
molto…» James sembra pensarci su prima di
rispondere con aria sempre più brilla
«…verdi.»
«Già.»
”Già”?! Ma
“già” un corno! Che risposta da idiota!
Come se fossi daltonica e
non sapessi che i miei occhi sono due enormi cerchi fin troppo verdi.
No, gli
do pure ragione nel suo delirio. Mi sta venendo il dubbio di riuscire a
reggere
l’alcool meglio di Sirius e James, e sottolineo il fatto che
sono una ragazza e
solitamente mi atteggio da astemia. E cosa sono questi battiti cardiaci
al
limite dell’esasperazione?
James
sorride, incurante della mia espressione totalmente basita
«Come i campi da
Quidditch appena rasati o il muschio sulle rocce in riva al Lago
Nero.»
Sbuffo.
«Ti sei sprecato, eh? Potevi inventarti qualcosa di
più poetico.» Ok. Sto
ufficialmente dando i numeri anche io, lingua e materia grigia non sono
più
collegate. Altro che reggere bene l’alcool.
Lui
lancia la testa all’indietro e ride come se gli avessero
fatto il solletico,
poi torna a guardarmi, stavolta tenendo il suo viso più
lontano dal mio. Un
senso di sicurezza mi pervade e tento di illudermi che lo stato di
ubriachezza
si sia lievemente attenuato.
«Saresti
più contenta se ti dicessi che brillano come due
smeraldi?»
«Può
darsi» rispondo con una nota di mistero nella voce che
probabilmente solo io
posso captare.
«E…dopo
ciò» inspira ed espira a poca distanza dal mio
volto «…sei ancora convinta che
non ti abbia corrotta?»
«Oggi
è la serata delle risposte vaghe, Potter.» lo
avverto, alzando la mano a mò di
giustifica. Il gesto si rivela utile anche per farlo allontanare di
nuovo dal
mio viso, anche se di poco. «Non prendertela a
male.»
Sghignazza
a bassa voce, quasi volesse serbare quel suono soltanto per le mie
orecchie
«Non potrei mai.»
Alza
una mano e, con un gesto troppo veloce perché io riesca ad
intuire le sue
intenzioni, la poggia sul mio collo, poco sotto la mascella,
sollevandomi i
capelli. Il suo palmo è tiepido, il contatto con la sua
pelle è piacevole. Con
il polpastrello del pollice gioca con il lobo del mio orecchio, le sue
dita
sono talmente lunghe che arrivano senza nessun problema alla mia nuca e
si
muovono lentamente – mi sta accarezzando. Qualcosa inizia ad
infiammarmi la
gola: immagino che sia un urlo incazzato che non riesco a far uscire.
Annaspo immobile
alla ricerca di aria con cui riempire i polmoni: credo di essermi
dimenticata
come si fa a respirare. Quando mi accorgo che evidentemente le mie
narici non
sono dilatate abbastanza da far arrivare il quantitativo giusto di
ossigeno,
schiudo la bocca ed inspiro violentemente.
«Shh.»
probabilmente lui pensa che io stessi per mettermi a parlare, visto che
accompagna il gesto del silenzio facendo sibilare goffamente quella s.
Ma io volevo
richiamare alla memoria l’atto di immettere aria nei polmoni
e conseguentemente
espirare anidride carbonica, non interromperlo. Lo so, avrei dovuto
optare
prima per la seconda.
All’improvviso,
con un movimento fluido e lascivo, toccandomi appena e percorrendo con
l’indice
il profilo tondeggiante del mio mento, reprimo con scarso successo una
risatina.
«Soffri
il solletico, lo so.» risponde alla mio risolino soffocato
«Ma la tentazione,
beh…è forte.» annuisce fra
sé e sé, poco convinto.
Ma
la tentazione di fare che cosa – solleticarmi? In tutti i
sensi.
Rimane
per un po’ in silenzio, poi i suoi toni soggiungono maliziosi
alle mie orecchie
«Non hai caldo con quella camicetta di seta?»
«Per
il momento non troppo. Se continui a starmi così vicino
però, credo che i denti
inizieranno a sudarmi.» e non voleva essere un complimento.
Lui
ride ancora una volta, sempre più piano, ignaro
dell’indecisione e del panico
che sta divampando nel mio petto. I sensi totalmente inibiti da quella
vicinanza, da quei contatti nuovi che ho scoperto essere dannatamente
piacevoli, resto sempre immobile come il
marmo ma bollente come il mercurio, accaldata. Lui non
cede:
evidentemente il mio tono non dev’essergli parso abbastanza
perentorio per
intimargli di fare ciò che io non posso fare, intrappolata
tra la sua ombra,
gli stivali di Sirius e il bracciolo del divano. Ti
prego, spostati.
«Cosa
provi?» mi chiede, quasi fosse deluso di non potermi leggere
nel pensiero.
«Caldo,»
gli ripeto «e ho la gola secca.»
La
velocità con cui estrae la sua bacchetta da una tasca nei
pantaloni è degna di
lui. Sembrerebbe un ragazzo allampanato, troppo maldestro ed ancora
inconsapevole delle movenze del suo corpo che lentamente abbandona le
fattezze
adolescenti, eppure è sempre fluido e non cammina mai in
modo sgraziato,
andando in giro con il petto all’infuori, dinoccolato come
sempre. Con un tocco
impercettibile accompagnato da un sussurro quasi altrettanto
insignificante - «Aguamenti»,
subito un bicchiere d’acqua
cristallina lievita a mezz’aria e con un cenno mi invita a
prenderlo.
Mentre
le mie dita si serrano contro il cilindro di vetro che porto lentamente
alla
bocca, i suoi polpastrelli scivolano via dal mio volto. Bevo con poca
voglia e
deglutisco sonoramente un’unica piccola sorsata fresca.
Stringo il bicchiere
sulla pancia, mezzo pieno.
«Va
un po’ meglio?» mi chiede con tono premuroso e
quasi contemporaneamente
annuisco, mentre ancora sento l’acqua defluire e rinfrescarmi
la cavità orale
e, più in basso, lo stomaco. Forse anche qualche neurone.
«Scusa. Abbiamo
bevuto un po’ troppo.»
Quel
plurale non mi piace affatto. Vorrei dire qualcosa ma annuisco
silenziosamente
per l’ennesima volta.
«Hai
mangiato il mio regalo?» probabilmente si riferisce
all’Orsacchiotto.
Mi
schiarisco la gola: «Non ancora».
Rimaniamo
ancora una volta in silenzio. Lui ha lasciato cadere il discorso di
prima e a
preso nuovamente a studiarmi, mentre io, impotente sotto quegli occhi e
quell’ombra, stringo più forte il bicchiere fra i
palmi sudaticci. Sento di non
poter resistere un minuto di più. E brillante come una
fiammella che brucia lo
stoppino di una candela, mi si presenta l’occasione perfetta
per fuggire, per sfuggirgli.
È
pronto a riprendere il contatto. Non appena mi sfiora nuovamente con
timidezza,
lasciando scivolare i polpastrelli sul colletto della mia camicia e
avvicinandosi nuovamente a me, stringo forte il lungo bicchiere e lo
alzo verso
il suo viso con violenza, socchiudendo gli occhi. L’acqua
rimasta nel cilindro
di vetro lo colpisce in piena faccia e dal suo mento gocciola sul mio
collo,
insinuandosi oltre le pieghe blu opache della mia camicetta, bagnandomi
i
risvolti sulle maniche.
Le
lenti dei suoi occhiali sono cosparse di goccioline, il suo volto
è corrucciato
e strizza gli occhi, immobile.
Senza
dire una parola e stringendo ancora fra le mani il bicchiere vuoto mi
alzo e
scappo via, dribblando i convitati esultanti di Lumacorno che
gioiscono, ridono
e parlano fra di loro. Evitò la coda di Mrs Purr per un
soffio e mi getto
nell’oscurità del corridoio evitando accuratamente
di pensare a quale dei
migliaia di impulsi che rimbombavano nel mio cervello il mio corpo
abbia
effettivamente risposto. L’ho lasciato lì,
bagnato, solo. Probabilmente deluso.
Forse divertito. Rifiutato?
Ripongo
fiducia in me stessa, dicendomi che era la cosa più sensata
da fare prima che…
Prima
che succedesse qualcosa di cui mi potrei amaramente pentire. Non per un
giorno,
per un mese, un anno scolastico o due. No. Di cui mi biasimerei per
tutta la
vita.