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Autore: Mayuko    30/10/2007    1 recensioni
{POSSIBILI SPOILERS SU HP7 NEI PROSSIMI CAPITOLI }
Lily Evans racconta il suo sesto anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, barcamenandosi fra gli studi, gli imprevisti, i pianti, i suoi doveri di Prefetto e gli immancabili, accattivanti e impossibili Malandrini.
Genere: Generale, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Serpeverde
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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۞

6.

La Chimica e l’Alchimia sono due aspetti della Scienza che si avvicinano molto e che si completano nella Magia. Spesso però si tende a dimenticare che alla base delle Pozioni c’è proprio il primo di questi aspetti, la Chimica.

Infondo che cos’è una Felix Felicis se non un composto di elementi? Una Pozione Polisucco non è forse fatta di molecole? Perfino l’Unguento Liscio Eterno Per Capelli Disfattisti ha una sua logica in questa materia.

Quello che sta capitando a me, invece, è contro ogni singola legge confermata nell’arco di secoli. Ho le sinapsi pigre, o meglio, dei neuroni affetti da un’acuta forma di poltronite. In un nanosecondo, la chimica che sta alla base del mio processo sinaptico dovrebbe far reagire i miei neuroni all’istante affinché emettano l’impulso logico di erigermi in tutta la mia bassezza.

Invece no. Continuo a stare ferma, immobile, seduta sulle gambe di James Potter.

Sono circa venti secondi che mi sto fissando le ginocchia come paralizzate. Osservo come le mie gambe siano corte e i miei piedi non riescano a raggiungere il tappeto persiano per pochi centimetri. I miei occhi guizzano dai pugni chiusi che tengo sulle cosce, alle punte rovinate delle mie scarpe. Mentre guardo le mie gambe, inizio a pensare che quelle su cui sono adagiata tranquillamente adesso, sono le stesse gambe su cui sono capitombolata di malavoglia prima. Le mie sinapsi sembrano funzionare soltanto per farmi ponderare quanto comodi e turgidi siano i suoi quadricipiti. Questo non va affatto bene, Lily.

«Sei ubriaca?»

«Che cosa?»

«Ti ho chiesto,» ripete tranquillamente la voce di James al mio orecchio «se per caso non ti sei ubriacata. Hai lo stesso colorito irritato degli ubriachi. Persino nelle orecchie.»

Mi volto repentinamente. Pessima idea: sento il suo alito pulito non più sulla mia nuca ma direttamente in faccia. Inarco le sopracciglia e sento la mia voce balbettare «Sto benissimo. Molto bene, si.» gli faccio un sorriso stiracchiato «Sono rossa perché mi sto trattenendo, sai, dal ridere.»

Lui ride. «Ovviamente.»

«Si, si. Certo.»

«Sono comodo?»

«Abbast- no, no. Per nulla.»

Lui ride di nuovo, guardandomi da sopra le lenti dei suoi occhiali. Questa è un’occhiata che interpreterei come “Ti si legge quello che pensi in faccia”. Fanculo a te e alla Signora Grassa. Mi giro nuovamente attirata dalla voce di May Midwinter, che suona divertita e sconcertata allo stesso tempo.

Ha poggiato il boccale che stringeva fra le mani sull’angolo del tavolo più vicino, da dove lo aveva appena riempito prima. «Come prego?»

«Tesoro, guarda, hai sentito benissimo. Ma se proprio non hai afferrato bene quello che ho detto prima, te lo traduco: elencami i miei difetti, e bada bene,» Sirius alza un dito e le sfiora delicatamente il naso lentigginoso «è un privilegio che concedo a poche…persone.» si affretta ad aggiungere.

May inclina la testa divertita «Posso davvero illuminarti sull’argomento?»

«Precisamente.» replica Black, portandosi le braccia sul petto ed incrociandole «Illuminami, stellina cara. Voglio sapere con esattezza quale suadente elemento del mio essere non ti attrae.»

«Oh, Black, tanto per cominciare: sei uno spilungone. Io detesto gli uomini troppo alti.» Sirius sgrana gli occhi, non ci può credere. È la seconda volta nel giro di dodici ore che sente dire che l’altezza non è sinonimo di bellezza. «Sei allampanato, hai l’aria trasandata. Trasudi una volgarità zuccherosa che mi da il voltastomaco. Hai la pancia di un anoressico e i muscoli troppo…sodi,ecco. Non ti fai mai il nodo alla cravatta e lasci sempre uno scorcio di petto scoperto cosicché tutti possano ammirare la curva sinuosa della tua clavicola. Hai delle mani, voglio dire…sono enormi, e fra l’altro non ti siedi né cammini compostamente. E per concludere,» rivolge un’occhiata truce alla testa di Braccobaldo «quei capelli.»

Già turbato dalle affermazioni precedenti della ragazza, Sirius schiude le labbra impaurito ed indignato, portandosi le mani sul capo.

«Cos’hanno i miei bellissimi capelli che non va?!»

«La lunghezza, il colore. Per esempio.» prosegue lei, fissandolo con malizia.

«Ma…ma se sono bellissimi! Scuri e lucenti, praticamente perfetti! Sono del colore…»

«…della cacca di drago.»

Silenzio. Ops, duro colpo.

«Eh?»

«Ma si, è vero che tu non stai mai attento ad Erbologia,» celia la Midwinter, portandosi il pugno sotto il mento con un movimento aggraziato «sai, è un fertilizzante.»

«Non è divertente,» sbotta Sirius, particolarmente indignato. Stringe i pugni e sembra trattenersi dal balbettare in una maniera che ricorda molto la cantilena di Peter Minus: più cerca di dire qualcosa, più questa risulta incomprensibile «e-e comunque, si, ecco, beh, sono bellissimi allo stesso modo!»

«Ma sicuro.» ride l’altra, inarcando le sopracciglia nere «fa molto rock star, dico sul serio.»

«Beh, se non ti piacciono i divi,» sottolinea Sirius pignolo «non vedo allora come possano interessarti i secchioni con due fondi di bottiglia al posto degli occhiali ed una sfumatura grigia nei capelli castani.»

Quando May scuote energicamente la testa come a dire che non riesce a capire cosa le stia venendo detto, Sirius prosegue sanguigno «Quella sottospecie di Corvonero di mezza età che ti ronza intorno, come diavolo si chiama? Vineyard?!»

L’altra, sbigottita, batte le ciglia corrucciandosi «Adesso oltre che pedinarmi ti informi anche sui miei incontri?»

Sirius pare ignorare la sua domanda «Beh, che vuole quello? Perché a lui non dici che ha i capelli color sterco? Perché non lo insulti e non gli dici di sparire dalla tua vita?»

Più che delle domande sembrano degli ordini. Delle imposizioni che a May sembrano non fare troppo piacere.

«Siete due persone totalmente diverse. Ecco perché esco con lui,» brandisce nuovamente il manico del boccale di Burrobirra che aveva lasciato sul tavolo e lo leva in aria, all’altezza del naso di Sirius «e detesto te.»

In un nanosecondo rovescia il liquido schiumoso sulle scarpe di Sirius, le quali hanno tutta l’aria di essere nuove. O meglio, avevano.

Troppo preso dal disastro appena accaduto ai suoi piedi, Sirius si inchina lasciando che May si svincoli fra la folla e si disperda. Nemmeno io riesco più a seguirla con lo sguardo. Stasera c’è davvero un sacco di gente qua dentro, il che rende il salotto ancora più claustrofobico di com’è solitamente.

Mi sembra di avere il singhiozzo. In realtà è James che come ride mi fa fare dei saltelli impercettibili. Mi porto una mano sulle labbra che si stirano in un sorriso. James mormora il contro incantesimo e non contiene più le risate. Ondeggio pericolosamente verso le sue ginocchia, così allungo i piedi verso il tappeto persiano e mi alzo.

Non appena mi volto, vedo James rotolare sull’ampia seduta della poltrona e sbellicarsi dalle risate, stringendosi le braccia sugli addominali.

«Cacca di drago! Adesso tenterà di trasfigurarsi i capelli! E gli stivali nuovi…quelli si che hanno a che fare con i draghi!» Caspita. Al giorno d’oggi gli stivali di pelle di drago sono davvero costosi. Giuro però che se qualcuno me li regala prima lo scuoio poi mi faccio un paio di scarpe con la sua di pelle; detesto i maltrattamenti sugli animali.

Ridacchio sommessamente. Non so perché ma mi suscita più ilarità James che si rotola dalle risate, che Sirius umiliato dalla sua ultima vittima, che ovviamente non è cascata nella sua trappola. Cerco di individuarlo nella folla: si è precipitato ad una fontanella che lascia magicamente scrosciare della Burrobirra nella sua polla. Ne riempie un boccale e lo scola in una sorsata. Poi ripete l’operazione una seconda ed una terza volta. Il tutto agitando convulsamente i piedi, tentando di scrollarsi la bevanda alcolica che, evidentemente, ha raggiunto la punta delle calze.

«Certo che ci è rimasto male…» mormoro rivolgendomi a James.

Lui cerca disperatamente di reprimere il risolino acuto e mi risponde con un tono isterico «Già…non era mai successo prima…eh eh…che proprio lui si sentisse rivolgere certi insulti.» si passa una mano nei capelli e si siede compostamente. Alza gli occhi ancora umidi di felicità verso di me e soffia, con il suo sorriso sghembo:

«Sai, un tempo una ragazza mi rispondeva proprio così. Diceva di preferire l’amicizia della Piovra Gigante piuttosto che scambiare due chiacchiere con me…pensa che mi odiava a morte ed eravamo perennemente in competizione. Insultare i miei capelli era all’ordine del giorno per lei: mi ha apostrofato molto più pesantemente in cinque anni che la conosco. Un bel giorno però…» si aggiusta gli occhiali sul naso con un gesto terribilmente lento. Fa una pausa poi riprende di slancio a parlare, senza mai distogliere lo sguardo «…dalla sua boccuccia sono uscite soltanto risate e non più insulti. E ti dirò, ormai mi ci sono terribilmente abituato a sentire la sua risata.»

Deglutisco sonoramente. Come fa a fare di me una massa di gelatina inerme e silenziosa?

Ma certo. Mi parla. Prima invece riuscivo ad insultarlo prima che riuscisse ad articolare anche un semplice “Buongiorno!”. Lo sapevo già che era un gran parlatore. Una sorta di Rettilofono che incanta tutte le bisce in calore di Hogwarts. O almeno, tutte tranne una.

Rimango impalata a fissarlo, incapace di rispondere alla sua affermazione o di contraddirlo.

«Vuoi da bere?»

«Cosa? Oh, no. No, James.»

Lui rotea gli occhi distrattamente «Allora ti va di…»

I singhiozzi di Sirius raggiungono le nostre orecchie «Jaaaaaaamessssh…Cornutino…Ho bisogno di…bere qualcosaaaah…Jamesssh..» un boccale oscilla pericolosamente fra l’indice e il pollice della sua mano destra. Sorrido prendendoglielo dalle mani e lasciandolo sul tavolino che mi sfiora gli stinchi.

…James è un nome che mi è sempre piaciuto.

Ah?! Ma che vado a pensare? Ok, questa festa è ufficialmente fallita, e visto che Lumacorno si è appisolato sulla sua poltrona preferita in mezzo al chiasso, io sparisco. Non ho intenzione di restare abbastanza a lungo per vedere Sirius vomitare. Non stasera.

«Senti,» inizio a dire mentre James raccoglie Sirius e lo mette a sedere su un divano borbottando sproloqui a bassa voce «io me ne vado…davvero, sto morendo di sonno,» improvviso uno sbadiglio «vado a dormire.»

«Ma se sono…le dieci e mezza!» esclama James guardando l’orologio e rivolgendomi un’occhiata ferita,come se stessi bestemmiando «Ti prego, non lasciarmi qui! Sirius sta per cadere in catalessi, poi domattina avrà un attacco di vomito…» rabbrividiamo insieme, lui accenna una risatina.

Spero vivamente che sia domattina e non fra tre secondi «Beh ma…non c’è Remus?» mi alzo in punta di piedi scorrendo per l’ennesima volta la folla con lo sguardo.

Lui sbuffa. «Figurati, si è passato per portarsi avanti con i compiti, il secchione…»

Sirius agita mani e piedi nel vuoto quasi fossero delle zampe «Concime…Jamesssh – anche she ho i capelli color merda shono…un cane…con gli ssshtivali, Jamesh!»

«Non ora Sirius,» sussurra lui trattenendo il dito che Black gli voleva ficcare nel naso «Lily, giuro che ti riaccompagno, più tardi. Ti prego non andartene! Quando non sei nei paraggi mi viene l’ansia…» mentre parla evita accortamente di guardarmi negli occhi. Sui suoi zigomi riesco a scorgere l’ombra di un rossore naturale.

No, guarda, stai proprio sbagliando. Io non ne ho nessuna voglia.

Poi sorrido «…okay».

Come me, non se l’aspettava nemmeno lui. È proprio vero che sono diventata una pappamolle.

All’inizio non facciamo che commentare la scenetta comica fra May e Sirius, mentre ogni tanto ci interrompe il russare di quest’ultimo. James è divertito, ma è anche dispiaciuto per il suo migliore amico. Sa che Sirius è un tipo orgoglioso, facilmente offendibile, poiché molto permaloso.

«Lui cerca sempre di non darlo a vedere,» mi dice sorridente «è per questo che appare sempre come una persona fredda e misteriosa. In realtà si contraddice da solo. È un gran calcolatore, a volte.». Benvenuto nel Club, Sirius.

Alla fine mi ha convinto a bere, e con mia grande sfortuna mi rammento che sono pessima in quanto a reggere le bevande alcoliche. Mi sento un po’ strana mentre rivolgo una tenera occhiata a Sirius che si gratta il naso nel dormiveglia, lungo disteso su un divanetto rosso troppo piccolo per le sue proporzioni, mi viene in mente che anch’io vorrei dormire e che domani è domenica.

«Domani c’è la prima partita di Quidditch…» sospiro, poi dopo aver ripreso fiato aggiungo «dovrò tenere d’occhio i primini con Remus.»

James mugugna sorseggiando dal suo bicchiere. Non appena finisce fa un gesto che indica chiaramente quanto la bibita lo abbia dissetato poi mi fa un cenno «L’unica cosa che ti viene in mente è che dovrete badare a delle sottospecie di nani? – Hai mai notato che ogni annata sono sempre più bassi?» e rinfila in naso nel bicchiere.

Rimango per un po’ a guardare come il vetro rosso distorce la forma dritta e precisa del suo setto nasale, che così appare più scuro e sembra rotto in svariati punti. «Volevo dimenticarmi che domani sarò l’unica a riprendere altre persone che invece perderanno la voce a furia di incitarti. Mi sembra inutile continuare a ripetere di non fare chiasso – voglio dire, siamo in un campo da Quidditch, non in classe – però…è un riflesso incondizionato.» la mia voce sembra lamentosa e sconsolata. Sirius fa un grugnito che mi fa sobbalzare. Sento James posare un secondo bicchiere vuoto sul tavolo e mi volto verso di lui.

Ci guardiamo, mi sorride ancora una volta. Il suo canino appuntito fa un’apparizione all’angolo della sua bocca umida di alcool.

«Fai uno strappo alla regola: incitami anche tu, no?»

Sento una sorta di stizza trafugarmi la poca lucidità che tento disperatamente di conservare «Sai bene che non faccio parte della categoria delle tue ammiratrici sbavanti.»

«Ma puoi far parte di quella “migliori amiche sostengono migliori amici”» butta lì lui, sempre con aria distratta, però senza mai smettere di fissarmi, tanto che provo uno strano misto di irritazione e smarrimento nel vedere come le sue iridi si spostino impercettibilmente su ogni centimetro della mia pelle e vengano talora interrotte quando incontrano un mio sguardo enigmatico.

«Ci penserò,» accetto io «però scordati degli striscioni incoraggianti della serie “Dacci dentro con quella scopa” e altra roba della prima categoria sopraccitata.». Scusami ma mi sentivo in dovere di puntualizzare, Cercatore Malandrino.

«Annuisco e sottoscrivo.» declama lui. I suoi zigomi si alzano ancora, stavolta leggermente più arrossati. Si alza dalla poltrona su cui sedeva e si lascia cadere accanto a me, nel divanetto ai piedi di Sirius. Le nostre ginocchia sfregano le une con le altre e siamo talmente vicini che sono quasi totalmente oscurata dalla sua ombra. Per ora non mi scompongo più di tanto. Ripeto: per ora.

«È già la seconda promessa che ti strappo.» il suo alito fruttato di vino mi fa salire un brivido lungo la schiena. Non mi stacca gli occhi di dosso, e anzi, è ossessionato alla ricerca dei miei, che roteano e vagano sul soffitto, si socchiudono, spariscono sotto le ciglia o si spalancano, tutto nell’arco di pochi secondi. Tutto pur di evitare le sue iridi nocciola che persistono nell’incatenarmi a lui.

Mi tocco un’orecchia bollente «Non ne vado molto fiera.» ammetto in un sussurro.

«È perché non dovresti?» mi chiede lui, intristito nel tono ma sorridente «Non sei felice?»

Quello strano bagliore nei suoi occhi non mi aiuta affatto a rispondergli con lucidità, e il mio tono è sonnolento quando mi lamento con sincerità: «Non saprei.»

«Sei la mia migliore amica.» sentenzia lui con convinzione. Sento qualcosa muoversi nel mio stomaco, un qualcosa che non saprei come chiamare «Però…»

«Si?»

Lui non termina la frase. Si limita ad acchiappare una lunga ciocca dei miei capelli e la osserva silenzioso, ammirandone l’assurdo colore in tutte le sue sfaccettature, dalle più brillanti e bronzee a quelle più scure che si avvicinano alle sfumature dell’agata rossa e delle castagne.

«I lamponi. I tuoi capelli hanno il colore dei lamponi.»

«Vedo che sei d’accordo con Pix.» sbotto io, ripresami dalle sue lusinghe silenziose.

«Al massimo è Pix che è d’accordo con me,» puntualizza divertito «e comunque, oserei dire purtroppo per te, è la verità. I Prewett hanno i capelli rossicci, ma tendono al biondo. E anche la famiglia del signor Septimus Weasley ha una particolare sfumatura di rosso, dello stesso colore delle fiamme. Tu però hai i capelli di uno strano rosso». È pensieroso.

«Si chiama mogano.»

Lui alza lo sguardo dalla ciocca che sta rigirando fra pollice ed indice «Non esattamente. Il mogano tende ad essere un po’ meno…vistoso.» curva all’insù le labbra sottili, abbassando di nuovo lo sguardo «E tu in nessun modo passeresti inosservata.»

Rimango rigida come una statua a quella osservazione. Sarebbe più corretto dire che sono senza parole e che non so come rispondergli, cosa che mi irrita, visto che sta capitando sempre più spesso.

«Ah.» adesso inizio a parlare a monosillabi.

«Ferma così.» intima dolcemente, mettendo ancora più in luce il lungo ciuffo ramato «Lily, sai che con questa luce sembri avere i capelli porpora?» fa una pausa poi commenta «Sono bellissimi.»

Abbozzo un sorriso mentre lui lascia ricadere i miei capelli sulla spalla. James ha i capelli di un nero indescrivibile. Non c’è un riflesso, una sfaccettatura di un'altra tonalità. Nulla. Soltanto nero. E il suo nero è diverso da quello di Sirius, che tende ad avere degli strani riflessi elettrici, quasi bluastri. I capelli di James sono neri come una notte senza stelle, come un fondale oceanico. Un interessantissimo groviglio di onde nere e lucenti che faticano a stare ferme e prendono sempre delle strane pieghe. Vorrei comunicarglielo, ma non faccio in tempo ad aprir bocca che mi accorgo con un misto di sdegno e sorpresa che sulle lenti dei suoi occhiali, in trasparenza, si riflettono i miei occhi.

Sembra sinceramente interessato «Caspita».

Incrocio gli occhi osservando come la punta del suo naso sia molto – troppo vicina alla mia.

Inarca la schiena all’indietro, Lily, spostati. Lily, allontana la faccia, adesso. Lily, dagli uno schiaffo. Lily, fai qualcosa. Nessuno dei messaggi esce dal cervello e raggiunge i muscoli. Nemmeno uno.

«Sono molto…» James sembra pensarci su prima di rispondere con aria sempre più brilla «…verdi.»

«Già.» ”Già”?! Ma “già” un corno! Che risposta da idiota! Come se fossi daltonica e non sapessi che i miei occhi sono due enormi cerchi fin troppo verdi. No, gli do pure ragione nel suo delirio. Mi sta venendo il dubbio di riuscire a reggere l’alcool meglio di Sirius e James, e sottolineo il fatto che sono una ragazza e solitamente mi atteggio da astemia. E cosa sono questi battiti cardiaci al limite dell’esasperazione?

James sorride, incurante della mia espressione totalmente basita «Come i campi da Quidditch appena rasati o il muschio sulle rocce in riva al Lago Nero.»

Sbuffo. «Ti sei sprecato, eh? Potevi inventarti qualcosa di più poetico.» Ok. Sto ufficialmente dando i numeri anche io, lingua e materia grigia non sono più collegate. Altro che reggere bene l’alcool.

Lui lancia la testa all’indietro e ride come se gli avessero fatto il solletico, poi torna a guardarmi, stavolta tenendo il suo viso più lontano dal mio. Un senso di sicurezza mi pervade e tento di illudermi che lo stato di ubriachezza si sia lievemente attenuato.

«Saresti più contenta se ti dicessi che brillano come due smeraldi?»

«Può darsi» rispondo con una nota di mistero nella voce che probabilmente solo io posso captare.

«E…dopo ciò» inspira ed espira a poca distanza dal mio volto «…sei ancora convinta che non ti abbia corrotta?»

«Oggi è la serata delle risposte vaghe, Potter.» lo avverto, alzando la mano a mò di giustifica. Il gesto si rivela utile anche per farlo allontanare di nuovo dal mio viso, anche se di poco. «Non prendertela a male.»

Sghignazza a bassa voce, quasi volesse serbare quel suono soltanto per le mie orecchie «Non potrei mai.»

Alza una mano e, con un gesto troppo veloce perché io riesca ad intuire le sue intenzioni, la poggia sul mio collo, poco sotto la mascella, sollevandomi i capelli. Il suo palmo è tiepido, il contatto con la sua pelle è piacevole. Con il polpastrello del pollice gioca con il lobo del mio orecchio, le sue dita sono talmente lunghe che arrivano senza nessun problema alla mia nuca e si muovono lentamente – mi sta accarezzando. Qualcosa inizia ad infiammarmi la gola: immagino che sia un urlo incazzato che non riesco a far uscire. Annaspo immobile alla ricerca di aria con cui riempire i polmoni: credo di essermi dimenticata come si fa a respirare. Quando mi accorgo che evidentemente le mie narici non sono dilatate abbastanza da far arrivare il quantitativo giusto di ossigeno, schiudo la bocca ed inspiro violentemente.

«Shh.» probabilmente lui pensa che io stessi per mettermi a parlare, visto che accompagna il gesto del silenzio facendo sibilare goffamente quella s. Ma io volevo richiamare alla memoria l’atto di immettere aria nei polmoni e conseguentemente espirare anidride carbonica, non interromperlo. Lo so, avrei dovuto optare prima per la seconda.

All’improvviso, con un movimento fluido e lascivo, toccandomi appena e percorrendo con l’indice il profilo tondeggiante del mio mento, reprimo con scarso successo una risatina.

«Soffri il solletico, lo so.» risponde alla mio risolino soffocato «Ma la tentazione, beh…è forte.» annuisce fra sé e sé, poco convinto.

Ma la tentazione di fare che cosa – solleticarmi? In tutti i sensi.

Rimane per un po’ in silenzio, poi i suoi toni soggiungono maliziosi alle mie orecchie «Non hai caldo con quella camicetta di seta?»

«Per il momento non troppo. Se continui a starmi così vicino però, credo che i denti inizieranno a sudarmi.» e non voleva essere un complimento.

Lui ride ancora una volta, sempre più piano, ignaro dell’indecisione e del panico che sta divampando nel mio petto. I sensi totalmente inibiti da quella vicinanza, da quei contatti nuovi che ho scoperto essere dannatamente piacevoli, resto sempre immobile come il marmo ma bollente come il mercurio, accaldata. Lui non cede: evidentemente il mio tono non dev’essergli parso abbastanza perentorio per intimargli di fare ciò che io non posso fare, intrappolata tra la sua ombra, gli stivali di Sirius e il bracciolo del divano. Ti prego, spostati.

«Cosa provi?» mi chiede, quasi fosse deluso di non potermi leggere nel pensiero.

«Caldo,» gli ripeto «e ho la gola secca.»

La velocità con cui estrae la sua bacchetta da una tasca nei pantaloni è degna di lui. Sembrerebbe un ragazzo allampanato, troppo maldestro ed ancora inconsapevole delle movenze del suo corpo che lentamente abbandona le fattezze adolescenti, eppure è sempre fluido e non cammina mai in modo sgraziato, andando in giro con il petto all’infuori, dinoccolato come sempre. Con un tocco impercettibile accompagnato da un sussurro quasi altrettanto insignificante - «Aguamenti», subito un bicchiere d’acqua cristallina lievita a mezz’aria e con un cenno mi invita a prenderlo.

Mentre le mie dita si serrano contro il cilindro di vetro che porto lentamente alla bocca, i suoi polpastrelli scivolano via dal mio volto. Bevo con poca voglia e deglutisco sonoramente un’unica piccola sorsata fresca. Stringo il bicchiere sulla pancia, mezzo pieno.

«Va un po’ meglio?» mi chiede con tono premuroso e quasi contemporaneamente annuisco, mentre ancora sento l’acqua defluire e rinfrescarmi la cavità orale e, più in basso, lo stomaco. Forse anche qualche neurone. «Scusa. Abbiamo bevuto un po’ troppo.»

Quel plurale non mi piace affatto. Vorrei dire qualcosa ma annuisco silenziosamente per l’ennesima volta.

«Hai mangiato il mio regalo?» probabilmente si riferisce all’Orsacchiotto.

Mi schiarisco la gola: «Non ancora».

Rimaniamo ancora una volta in silenzio. Lui ha lasciato cadere il discorso di prima e a preso nuovamente a studiarmi, mentre io, impotente sotto quegli occhi e quell’ombra, stringo più forte il bicchiere fra i palmi sudaticci. Sento di non poter resistere un minuto di più. E brillante come una fiammella che brucia lo stoppino di una candela, mi si presenta l’occasione perfetta per fuggire, per sfuggirgli.

È pronto a riprendere il contatto. Non appena mi sfiora nuovamente con timidezza, lasciando scivolare i polpastrelli sul colletto della mia camicia e avvicinandosi nuovamente a me, stringo forte il lungo bicchiere e lo alzo verso il suo viso con violenza, socchiudendo gli occhi. L’acqua rimasta nel cilindro di vetro lo colpisce in piena faccia e dal suo mento gocciola sul mio collo, insinuandosi oltre le pieghe blu opache della mia camicetta, bagnandomi i risvolti sulle maniche.

Le lenti dei suoi occhiali sono cosparse di goccioline, il suo volto è corrucciato e strizza gli occhi, immobile.

Senza dire una parola e stringendo ancora fra le mani il bicchiere vuoto mi alzo e scappo via, dribblando i convitati esultanti di Lumacorno che gioiscono, ridono e parlano fra di loro. Evitò la coda di Mrs Purr per un soffio e mi getto nell’oscurità del corridoio evitando accuratamente di pensare a quale dei migliaia di impulsi che rimbombavano nel mio cervello il mio corpo abbia effettivamente risposto. L’ho lasciato lì, bagnato, solo. Probabilmente deluso. Forse divertito. Rifiutato?

Ripongo fiducia in me stessa, dicendomi che era la cosa più sensata da fare prima che…

Prima che succedesse qualcosa di cui mi potrei amaramente pentire. Non per un giorno, per un mese, un anno scolastico o due. No. Di cui mi biasimerei per tutta la vita.

  
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