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Autore: Damson    12/04/2013    1 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
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“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Passabile.
 
 
 “‘Verissimo’ rispose Elizabeth ‘e gli perdonerei anche la sua vanità se non avesse mortificato la mia.’
(Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen)
 


Il signor Benetti era particolarmente di buonumore quella sera. Nel pomeriggio il grossista aveva portato le ultime consegne per la libreria; il che significava che per la mattina seguente era in previsione un lavoro piacevole: aprire gli scatoloni e sistemare i nuovi libri.
Si pregustava quelle ore felici e sperava di passarle in buona compagnia: era infatti tornata, dopo tre settimane di assenza da casa, la sua adorata Elisabetta e lui era certo che l’indomani gli avrebbe volentieri dato una mano alla libreria.
Gioioso come poche volte nelle ultime settimane prese il gelato dal freezer e chiamò a gran voce la figlia, ma ad entrare in cucina fu Giovanna, tirata elegantemente a lucido.
“Giò ma esci? Non è un po’ tardi?”
“Sì babbo, non ricordi? Stamattina ti ho chiesto l’auto. Potresti darmi le chiavi?”
“Vai in camera, credo di averle lasciate sul comodino.”
Giovanna uscì di corsa dalla cucina e dette il cambio ad una Elisabetta trafelata, con i capelli bagnati, la cerniera del vestito sempre abbassata e con le scarpe in mano. “Mi hai chiamato babbo?”
“Ma tesoro… esci anche tu?”
“Lo stavamo dicendo a cena, ma stai a tavola con noi o mandi un replicante? Ne abbiamo parlato al termine del monologo di mamma sui nuovi affittuari di Villa Campobasso… ma suppongo sia questo il motivo per cui l’informazione si è persa nei recessi della tua mente.”
“Quindi esci sul serio? Ma sei arrivata solo stamani. Guarda, ho comprato il nostro gelato preferito. E in televisione danno Funeral Party,  sai c’è anche quell’attore che ti piace tanto!”
Elisabetta si scusò col padre, in fondo non vedeva neanche Giovanna da tre settimane e stasera aveva promesso a lei il suo tempo: la loro serata l’avrebbero rimandata al giorno dopo.
Inutile dire che il povero Benetti era alquanto deluso: si era pregustato una sera in santa pace, in compagnia della sua bimba ed invece era sfumato tutto nel tempo di prendere il gelato dal freezer.
Peccato” pensò “mi avrebbe fatto piacere, soprattutto dopo la bellissima cena a cui ho appena avuto il piacere di partecipare.
La cena infatti era stata più becera ed animata della media mantenuta solitamente in quella casa, e, incredibile ma vero, era tutta colpa sua: si era lasciato sfuggire di aver visto il nuovo affittuario di Villa Campobasso. Era a fare due passi con un suo amico, il notaio Lucà, quando un’ auto, vecchia e brutta anche rispetto alla sua panda, si era fermata davanti al portone ed un ragazzo straniero e particolarmente cordiale era sceso a chiedere informazioni.
Fu così che il povero Benetti passò la maggior parte della cena tartassato dalle insistenti domande che la moglie e le figlie minori, Lidia e Caterina, sparavano a mitraglia. Più le tre insistevano, meno lui le ascoltava: descriverlo? Cosa ci sarà mai da descrivere? Ha due occhi e un naso. Di che colore ha i capelli? E gli occhi? Non ci aveva fatto caso. Ma sì che avevano parlato, si erano presentati. Un ragazzo gioviale ed educato. Ha la barba? Si suppone che superati i venticinque anni tutti gli uomini ce l’abbiano. Come è acconciata? E da quando si acconciano le barbe?
Ma le donne di casa Benetti erano abituate ad avere a che fare con le laconiche affermazioni del pover’uomo ed avevano affinato un fiuto da vere detective. Riuscirono a capire che il nuovo affittuario era un giovane inglese molto gradevole e che il signor Lucà era entusiasta di lui.
Giovanna ed Elisabetta si erano scambiate un’occhiata, sarebbe stata davvero una bella coincidenza se si fosse trattato del rossino del bar: gli stranieri in quella zona iniziavano ad arrivare a frotte ed era assurdo che si trattasse sempre e solo di lui ed i suoi amici, sarebbe sembrato lo scherzo di qualche forza nascosta.
 
Le due sorelle, prima di partire per la discoteca, passarono a prendere Carlotta.
Arrivate a destinazione, non appena scese dall’auto, le ragazze si sentirono chiamare a gran voce da Andrea che si trovava dall’altra parte del parcheggio e faceva ampi gesti con le mani per attirare la loro attenzione. Dopo che ebbe abbracciato e baciato tutte e tre disse:
“E' incredibile! Non posso fare nulla che mi ritrovo voi in mezzo ai piedi!”
“Ma cosa ci fai te da queste parti? Sbaglio o avevi giurato sul Papa che non avresti mai e poi mai rimesso piede in questo posto?” chiese Elisabetta.
“Io?! Figuriamoci se faccio una cosa del genere!”
“Giurare di non tornare più qui?”
“No.. giurare sul Papa.”
“Quanto la fai lunga, solo perché l'ultima volta hai bevuto un Bacardi e ti abbiamo dovuto riportare ubriac..”
“Senti stronzetta sono due minuti che ti vedo e già non ne posso più.” rispose Andrea tutto stizzito “Mettiamo bene in chiaro questa storia una volta per tutte: io non mi sono mai ubriacato con un Bacardi, smettete di mettere in giro questa voce perché è falsa!” e stava per arrabbiarsi sul serio perché Elisabetta e Carlotta si erano messe a ridere come matte.
“Siamo qui da mezzo minuto e la discussione è già degenerata” commentò Carlotta tra una risata e l’altra.
Ci pensò Giovanna a placare le acque chiedendo amabilmente ad Andrea chi stesse aspettando da solo nel parcheggio.
“Sono sempre in missione per il Rotary Club”
“Ancora?!” chiese Elisabetta.
“Sì  ancora, mia scettica fanciulla. Ho prenotato un tavolo nel privè per i soci stranieri”
“Benissimo, suppongo significhi che noi possiamo avviarci. Ci vediamo dentro chaperon”.
Così Andrea, rimasto solo nel parcheggio, si appoggiò al cofano della sua Audi; ma non passò molto tempo che un’auto sterzò dalla strada principale e due fari lo abbagliarono. Si raddrizzò e si lisciò i pantaloni, ma purtroppo l’auto si rivelò essere una stupida vecchia Passat.
Ecco!” pensò “adesso anche in questo posto ci vengono i pezzenti! E pensare che prima era un luogo di un certo livello e se non eri ben vestito non ti facevano entrare
Finito di formulare questo pensiero vide uscire dall’auto la bellissima inglese conosciuta quel pomeriggio, con indosso un incredibile abito di Versace che senza dubbio valeva tre volte il prezzo della Passat.
“Bonsoir! Bonsoir!” salutò Andrea, subito su di giri “Comment êtes-vous? C'est un plaisir de vous revoir.»
Darcy e Caroline gli risposero subito: il primo come se gli costasse fatica e la seconda con molta più gentilezza. Charles Bingley si limitò invece a fissarlo sorridendo a caso come un ebete, dato che non aveva capito una parola.
Andrea era talmente preso dall’inglesina che riuscì a mala pena a considerare gli altri due e solo l’educazione dovuta ad anni ed anni di abitudine nell’alta società gli permise di non risultare un completo cafone. In realtà né Darcy né Bingley diedero adito di accorgersi della particolare preferenza per Caroline che aveva la loro guida: il primo voleva solo essere lasciato in pace, il secondo era talmente entusiasta di tutto che non riusciva a stare concentrato su qualcosa abbastanza da notarla veramente. Ed ovviamente a Caroline non pareva il vero di avere tutte quelle attenzioni.
 
Quando il Club aveva affidato ad Andrea il compito di fare da solo da accompagnatore ai turisti inglesi ne era stato sì contento (erano pur sempre sudditi di sua maestà), ma parecchio scocciato: lui voleva compiti di rilievo! Mica poteva perdere tempo a fare il maggiordomo!
Eppure se qualcuno in questo momento gli avesse chiesto per quali motivi se l’era presa con quelli del Rotary non avrebbe saputo cosa rispondere. Quanto era loro grato!
Ma tutto il suo entusiasmo durò giusto il tempo di entrare, farsi largo a gomitate tra la folla ed entrare nel privè.
Malgrado la pulciosità del resto della discoteca il privè era un luogo molto carino, Caroline ne parve estremamente soddisfatta e dispensò sorrisi finché suo fratello non la fece irritare: non si fermava un secondo, aveva provato due divanetti diversi, si alzava e sedeva in continuazione e l’unica cosa che poté tranquillizzarlo un attimo fu il lungo dialogo che ebbe con il cameriere per ordinare da bere.
Caroline si era seduta accanto a Darcy e per Andrea era finita la pacchia.
Gli aveva dato l’idea di apprezzare le sue attenzioni ed invece ora, nel giro di pochi secondi, pareva essersi completamente dimenticata di lui. Sorrideva a quel tipo algido chiamandolo in continuazione: Fitzwilliam di qua, Fitzwilliam di là, contornandolo con una profusione di risatine civettuole.
Chissà cosa gli starà dicendo poi” pensò Andrea, mai così rammaricato di non aver mai voluto imparare l’inglese: capiva solo quel dannatissimo nome altisonante, troppo snob persino per il suo orecchio sofisticato. “e la cosa peggiore” gli urlò una voce nel cervello “è che il tipo non solo si permette di non considerarla, anzi sembra addirittura infastidito! Roba da matti!
Quando portarono le bevute Darcy prese la bottiglia di Tanqueray, se ne versò una buona dose nel bicchiere, la bevve e si mise ad armeggiare col cellulare.
Andrea non voleva crederci. Ma che modi erano quelli? Comportarsi così con una ragazza…. E non una ragazza qualunque! Ma un gran pezzo di figliola come quella!
Prese stizzito la bottiglia.
“Puis-je??” le chiese.
“Mercì, très gentil.” e servì lui Caroline: almeno era riuscito a catturarnel’attenzione.
Quante gliene avrebbe volentieri date a quel tipo! Era fortunato, senza dubbio: se non fosse stato alto quei venti centimetri in più di lui, Andrea certamente non lo avrebbe picchiato, ma gliene avrebbe dette tre o quattro. Al momento, stimandolo con l’occhio dell’esteta, non aveva dubbi che le spalle dell’inglese fossero il doppio delle sue e giudicò saggio non iniziare in nessun modo un qualsiasi tipo di alterco.
In tutto questo Charles non faceva altro che parlare a mitraglietta: Andrea non poteva sapere di cosa, ma capiva benissimo che la sua loquacità invadente infastidiva Caroline, che, a quanto pareva, non voleva essere distratta dai vari tentativi di abbordaggio. Darcy rispondeva ogni tanto a Bingley (e per lui alzava gli occhi dallo schermo, incredibile…. Che fosse gay?), ma non usava mai più di tre parole e una delle tre era sempre un no. 
Il rossino parlava anche con Andrea, che non capiva un accidente.
Ad un certo punto Caroline tradusse per lui: Charles voleva uscire in pista, Darcy non aveva nessuna intenzione di mischiarsi a quella marmaglia di ragazzetti gretti e sudaticci e Caroline non poteva far altro che dargli ragione.
Era tutto chiaro: non stava traducendo per gentilezza, voleva che lui portasse fuori Charles in modo da avere libero il territorio per la caccia.
Andrea maledisse il Club, le donne, tutti quelli con le spalle più larghe delle sue, gli inglesi, l’Inghilterra e la Regina… poi si pentì, Sua Maestà non l’avrebbe mai rinnegata! Giudicò una punizione adeguata per quel suo pensiero irrispettoso l’uscire in pista con Charles.
 
Erano state veramente molto poche le occasioni nella vita di Fitzwilliam Darcy in cui si era ritrovato a detestarsi con tutta la sua anima: una di quelle occasioni era proprio questa.
Quali erano state le congiunzioni astrali per cui si era ritrovato solo con Caroline Bingley nel privè di una pidocchiosissima discoteca di provincia?
“Andiamo in Toscana!” aveva detto Charles il mese prima.
Toscana un corno! Dov’erano le fiorenti città d’arte, i pittoreschi paesini medievali, gli sterminati vigneti?
“Perché sono qui?” pensò sconfortato, osservando con preoccupazione la mano di Caroline che si era poggiata sul suo ginocchio.
“Puoi versare un goccio di gin anche a me per favore?” cinguettò lei “allungalo anche con un po’ di soda grazie, non riesco a reggere molto bene l’alcol con questo caldo.”
“Certamente” e ne approfittò per riempire di nuovo anche il proprio bicchiere.
“Cosa te ne pare di questo posto? Non lo giudichi il più squallido che hai mai visto?” insistette lei, degnandosi fortunatamente di togliergli la mano di dosso.
“Non saprei dire, non frequento mai questo genere di locali.”
“Non vedo l’ora di andarmene! Fa un caldo insopportabile…. Su questo siamo d’accordo vedo” e indicò le braccia di Darcy, che si era arrotolato la camicia fin sopra il gomito.
Lui non rispose, si limitò a bere.
Ok, senza dubbio il pressing di Caroline era davvero alto quella sera ed a lui iniziava a girare la testa.
Si chiese perché lei non capisse che era inutile provarci con quella insistenza, dato che lui non aveva mai tenuto un comportamento che potesse dare adito a qualche speranza di una possibile relazione tra loro. E non poteva neanche trattarla peggio di come stava già facendo, era pur sempre la sorella di Charles!
Speriamo prima o poi capisca da sola” si disse sconfortato.
Trangugiò un altro bicchiere, fece mente locale e si accorse che era il terzo. Ecco perché gli girava la testa! Era decisamente il caso di smettere: diventare all’improvviso un avvinazzato, dopo un’intera vita passata da sobrio, solo perché una donna gli si stava strusciando addosso era fuori da ogni grazia di Dio.
Ma la sorella di Charles proprio non la reggeva.
Ebbe un improvviso flash di Caroline che si approfittava di lui ubriaco: una scena atroce.
Si ritrovò a osservare il privé, purtroppo (escludendo lui e Caroline) vuoto, circondato da pareti scure ravvivate con murales colorati di dubbio gusto e collegato alla discoteca vera e propria da quella che aveva tanto l’aspetto di una porta antipatico, attraverso la quale penetrava leggermente attutito il suono di un qualche stupidissimo tormentone.
Da quanto tempo era solo con lei?  Guardò l’orologio: l’una e venti. L’una e venti!! Erano passati solo dieci minuti! Invece lui si sentiva addosso un’intera vita di privazioni e stenti.
Doveva trovare una scappatoia immediatamente. Forse era il caso di uscire a cercare Charles e quell’altro che era con lui, quello di cui non aveva ascoltato il nome: avrebbe preferito presentarsi all’ora di punta sulla spiaggia più affollata di tutta Castiglione in costume adamitico piuttosto che ritrovarsi circondato di ragazzetti ubriachi ed eccitati, ma per sfuggire a Caroline avrebbe superato anche un’ordalia.
Stava per prendere il coraggio di alzarsi in piedi quando il cellulare gli vibrò nella tasca.
Grazie” pensò “Dio, grazie, grazie! Chiunque tu sia, aprirò per te un fondo fiduciario.
Si alzò e si mise in un angolo, dando le spalle a Caroline.
Era la dipendente di una società americana della quale, tra l’altro, aveva aspettato una telefonata per tutto il giorno: la cretina che chiamava, una lobotomizzata molto probabilmente, si era scordata che tra l’America e l’Europa, oltre che l’oceano, ci sono dei fusi orari.
Fitzwilliam Darcy non si era mai sentito così grato per la stupidità di qualcuno.
 
Nel mentre, come molti di voi avranno già argutamente supposto, Andrea e Bingley avevano trovato le ragazze. Dopo un idilliaco momento di sorpresa tra Giovanna e Charles (in cui si guardarono vicendevolmente con la stessa espressione che senza alcun dubbio ebbero i pastorelli di Fatima al momento dell’apparizione della Madonna) tutti poterono salutarsi, ci furono baci e abbracci vari e si poté presentare Charles anche a Carlotta.
Siccome nella calca non riuscivano a parlare, Bingley invitò tutti quanti a spostarsi nel privé, al cui interno trovarono una addoloratissima Caroline davanti a mezza bottiglia di Tanqueray (la quale stavolta si dedicò con molta partecipazione alle attenzioni di Andrea).
Incredibile ma vero, al momento di essere presentata alle tre ragazze fu molto cordiale e cortese.
“Darcy!” gridò Charles “Darcy, let me introduce these new friends…” ma lui continuò a premersi il cellulare su un’ orecchio ed una mano sull’altro, degnandoli solo di una breve occhiata e di un cenno della testa.
Carlotta ed Elisabetta si sedettero accanto, sullo stesso divanetto (a quanto pareva due coppie si erano già formate e sarebbe stato un peccato osare dividerle).
Elisabetta guardò la sorella e sorrise, erano proprio carini insieme lei e quell’ inglesino.
Sentì che Carlotta reclamava la sua attenzione premendole il gomito tra le costole.
“Ehi Lisa” le sussurrò “piccolo il mondo eh?” 
“Sì, incredibilmente piccolo. Ci sono proprio tutti, dalla ragazza chic al sovrano di Guglielmo Vermilinguo.”
“Ssh, parla piano! È nell’angolo dietro di noi!”
“E dai Carlotta, ora non fare l’ansiosa. È troppo preso dalla telefonata per prestare attenzione a qualunque cosa diciamo. Ed oltretutto la vedo abbastanza assurda che sappia l'italiano.”
Elisabetta girò leggermente la testa indietro, per poterlo vedere: lui camminava in circolo e, quando non le dava le spalle, vedeva bene la sua espressione estremamente irritata e concentrata mentre cercava di capire quello che gli stavano dicendo al telefono.
“Che tipo assurdo!” commentò “Ma che senso ha cercare di telefonare a qualcuno da qui a quest’ora?”
“Vabbè Lisa, non puoi saperlo. Magari è importante, il notaio avrà trovato dei vizi nel testamento del gatto.”
Elisabetta ridacchiò e si girò a guardarlo di nuovo: aveva smesso di parlare ma non aveva posato il cellulare (se si poteva chiamare cellulare quel coso, sembrava il radiocomando di una navetta spaziale).
“Che fa?” chiese Carlotta.
“Mah, starà riscrivendo tutta la Recherche: mai visto qualcuno scrivere un messaggio così lungo”
“La Recherche? Santo cielo Lisa come sei diventata radical, quando uno parla di Proust in francese vuol dire che ha toccato proprio il fondo.”
“E’ colpa di Maria, anzi no, è colpa di questo tizio: è talmente snob che tira fuori il mio lato più affettato.”
“Snob?”
“Ma sì! Dai, guardalo: se ne sta lì con la puzza sotto il naso, nelle sue costosissime scarpe di pelle ed è riuscito a non rivolgere mai la parola a nessuno.”
Fu in quel momento che Charles si alzò dal divanetto, non dopo essersi scusato con Giovanna almeno una quindicina di volte, per dirigersi verso l’amico.
“Come on, Darcy!” gli disse “I hate to see you standing there all by yourself!”
“Cosa gli sta dicendo?” chiese immediatamente Carlotta a Lisa.
"Lo sta criticando sembra! Perché se ne sta lì da solo. Ahahah, bene bene, la cosa si fa interessante!”
“E lui cosa ha risposto?”
“Che non ha niente da dire a degli sconosciuti.”
“Sì, è proprio uno snob. Nemmeno Andrea, il nostro Piccolo Lord, sarebbe mai arrivato a tanto.”
“Sssh, fammi sentire…”
“Don’t be so fastidious!” esclamò Bingley “Come on! I have never met so many pleasant girls in my life!”
“You are talking with the only pretty girl in the room” gli rispose Darcy dando un’occhiata a Giovanna e rendendosi conto mentre la guardava che, prima di quel momento, non aveva mai soffermato realmente lo sguardo su di lei, così come non lo aveva soffermato su nessun altra delle persone che erano entrate.
“Oh! She is the most beautiful creature I have ever seen! But there is one of her sisters, sitting down just behind you, who is very pretty. Let me introduce you to her!”
Darcy si girò nella direzione che l’amico gli aveva indicato ed i suoi occhi incrociarono quelli di Elisabetta, che lo stava a sua volta guardando. Sentendosi colta in fallo da quello sguardo gelido si girò velocemente, ma non smise di prestare attenzione al dialogo.
Darcy, supponendo che lei non sapesse l’inglese, continuò tranquillamente a parlare “She is tolerable; but not pretty enough to tempt me. You had better return to your partner and enjoy her smiles. You are wasting your time with me”.
Mentre Bingley se ne ritornava a sedere accanto a Giovanna, Elisabetta ebbe un momento di smarrimento, mentre nel suo cuore si agitavano sentimenti molto poco civili nei confronti dello snob inglese. Ma per sua fortuna la natura l’aveva dotata di un carattere molto positivo e si riprese immediatamente per raccontare a Carlotta cosa aveva sentito, alterando il tutto in una buffa versione comica.


  
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