Le assomigli sempre
di più. Hai il suo stesso
nome, ma non puoi essere tu, vero?! Sono cinque anni che me lo ripeto. Il tuo
faccino si volta, e incrocio i tuoi occhi, grandi, profondi, sembrano due
nocciole. Mi sorridi, e mi chiami, agitando le tue manine per cercare il mio
abbraccio. Sei ancora nuda per il bagno, ma sembra non interessarti minimamente.
Vuoi solo un mio abbraccio.
Sorrido anch’io
finalmente, abbandonando del tutto quei pensieri.
“Aspetta, fatti
prima mettere il vestitino”
Ti agiti ancora, e
cominci a ridere con la tua voce angelica. Poi ti sporgi ancora di
più, e finalmente
ottieni ciò che
volevi.
“Papà” mi ripeti mentre
strofini il faccino sul mio petto. “Sei un papà
bellissimo”
Ti accarezzo la
testa, stringendoti forte.
“…piccola
mia…”
Correvo
disperato.
La notte si
allontanava alle mie spalle e i boati delle esplosioni diventavano sempre
più flebili. Le lacrime
mi offuscavano la vista e non riuscivo a vedere bene incontro a cosa stavo
correndo. Ma correvo sicuro, senza mai fermarmi. Quel fagottino di stracci lo
tenevo stretto al mio petto. Era un neonato, ma stranamente non piangeva, non
strillava, non un suono usciva da quelle fasce. Ma io correvo, sicuro del potere
che mi stava proteggendo.
Stupido, stupido,
stupido! Smetti di piangere. Andrai a sbattere, potresti inciampare! Hai un
bambino tra le tue braccia, devi proteggerlo.
La vista annebbiata
colse un cambiamento nell’aria. Sembrava schiarire, e la sentivo più leggera,
più fresca. Sentivo il
vento! Oddio, sentivo il vento! Che sensazione meravigliosa. Sentivo l’ossigeno
penetrare violentemente le mie narici, e inondare i miei polmoni,
rinfrescandoli. Dopo ore di aria pesante, di odori marci, di sangue e pus, di
fetori di ruggine e di medicinali, ora finalmente sentivo la brezza soffiare tra
i miei capelli, sul mio viso e rinfrescare le narici e la
bocca.
Istintivamente mi
fermai, sentivo pervadermi da una debolezza improvvisa. Così, caddi sulle
ginocchia, tenendo sempre stretto a me il neonato. Respiravo a fatica a causa
della lunga corsa, e prendevo delle grandi boccate, affamato com’ero di
quell’aria così agognata. Mi
voltai, cercando con gli occhi il luogo buio e cadente che avevo abbandonato. Ma
non ve n’era traccia.
Dietro di me
un’altra persona stava correndo. Sorrisi.
Ce l’aveva fatta
anche lei…
La presi in braccio,
e mi avvicinai allo specchio.
“Guarda
quant’è bella la mia
piccola!” dissi con tono gioioso. “Questa vestina ti fa sembrare una piccola
principessina!”
Lei si guardava
compiaciuta, e batteva leggermente le mani. La feci sedere a terra, e lei
continuava a guardarsi allo specchio. Le diedi un bacio sulla
testa.
Così piccola,
così
innocente…
Come ho fatto anche
solo a pensarlo?!
No, non ti
abbandonerò
mai.
Ti
proteggerò
sempre.
Tu sei la mia
piccola.
La mia piccola
Cheryl.
Intorno a me c’era
la nebbia.
Possibile?! Non sono
ancora riuscito a fuggire?!
No, era diverso
questa volta.
Era una nebbiolina
leggera, umida, che non impediva allo sguardo di arrivare
lontano.
Riconobbi poco
distante da me il lago, e all’orizzonte…si, non mi
sbagliavo
Era il sole! Era una
magnifica alba, e i raggi tingevano d’oro ogni cosa, mi abbagliavano, e mi
tranquillizzavano. Ogni tanto sentivo delle folate di vento che rinfrescavano
l’aria e spazzavano via le foglie. Era un’atmosfera così tranquilla. Mi
sentivo svuotato all’improvviso, e tutta la tensione era sparita. Lentamente i
muscoli si rilassavano e l’adrenalina si disperdeva dentro di me, lasciando solo
vuoto e stanchezza. Volevo solo godermi appieno quella sensazione, inspirare
quell’aria così pulita,
così fresca, e sentire
il vento asciugare le lacrime sulle mie guance.
Il movimento tra le
mie braccia mi riportò alla
realtà. La sentii piangere
finalmente, cacciando dei gemiti soffocati. La sollevai dal mio petto, fino a
incrociare i suoi occhi imbronciati.
Quando i suoi occhi
chiari incontrarono i miei, smise di piangere, come se mi avesse riconosciuto.
No, ero troppo suggestionabile in quel momento. Smise semplicemente di
piangere…
Ma tu…
“Chi
sei?”
Eh?! Ma…era stata lei a
parlare?
Mi affacciai dalla
cucina, e vidi solo Cheryl che ancora si ammirava davanti allo specchio.
Sembrava tutto normale, e non c’era niente di strano. Mah…forse me l’ero
immaginato. Per cui tornai a preparare il pranzo.
“Mi dici chi
sei?”
No, non mi ero
sbagliato. Posai il coltello e corsi verso la bambina. La trovai con una mano
poggiata allo specchio, mentre guardava la sua immagine riflessa con fare
curioso.
Spaventato, la presi
in braccio rapidamente.
“Cheryl! Cheryl Con
chi stai parlando piccola mia?”
Lei mi guardava
confusa e un po’ spaventata. Ma io non ci feci caso
subito.
“Dimmelo, Cheryl.
Dimmi con chi stavi parlando”
Lei
indicò lo specchio. Mi
voltai di scatto, ma tutto quello che vidi fu la mia immagine terrorizzata che
teneva in braccio la bambina. Tornai a guardare Cheryl.
“Chi è quella bambina
uguale a me, papà?”
Chissà che faccia devo
aver fatto…
Scusami piccola. Ti
ho fatto paura, vero?! Ho fatto paura alla mia piccola Cheryl. Dannazione.
Quell’incubo non va più via. Eppure sono
già passati cinque
anni…
No, non credo che il
tempo possa cancellare ciò che è stato. Tu, piccola
mia, sarai sempre più simile a lei, lo
so. La maledizione mi tormenterà per tutta la vita,
e io dovrò lottare ogni
giorno, farmi forza sempre di più, per non cedere
alla pazzia, alla vista del tuo viso così uguale al
suo.
Tu sei la mia
piccola meravigliosa maledizione…
Ricominciare
costava.
Costava in tutti i
sensi: costava fatica, costava delle perdite, costava anche del denaro. Ma era
necessario. Una bambina sparita, una neonata comparsa dal nulla, e un’assurda
storia di incubi e terrore, sangue e ruggine, demoni e mostri come unica
spiegazione. Una storia a cui pochi avrebbero creduto.
Ti guardavo, nella
tua culla. Dormivi beata, immobile.
Chi
sei?
Ti guardavo mentre
la mia mente vagava verso la piccola Cheryl, la bambina che tanto avevo amato e
che ora avevo perso. Eri forse tu?
Per quanto mi fossi
sforzato a cercarla, anche se mi ero spinto fin nelle profondità più recondite
dell’inferno stesso per riportarla a casa sana e salva, di lei non c’era
più nessuna traccia.
“Tornata al suo io originario” era l’unica spiegazione che
avevo.
E allora perché la
cercavo in te?
Ma eri davvero
tu?
Mi ritrovai con una
mano sul suo piccolo petto.
Certo che non potevi
essere la mia dolce Cheryl. Ma io credevo che lo fossi. Io volevo che lo
fossi.
E se…
…ma che vado a
pensare…
Accidenti!
…eppure…
…potresti essere
davvero tu
Ma se invece tu
fossi quell’altra?
Se tu fossi
Alessa?!
Saresti la donna che
me l’ha portata via…
Mi svegliai dai miei
pensieri sussultando. Mi accorsi che la mia mano era salita fino a stringerle il
collo. Il suo minuscolo collo stava tutto dentro la mia mano. Il terrore a cui
ero abituato mi aveva reso talmente tanto pazzo?
“Harry…”
Stavo scrivendo. Una cosa buona che
quell’incubo tremendo aveva lasciato in me era proprio la capacità di creare storie
dell’orrore che piacevano molto al pubblico. Chissà, forse era il mio
modo di esorcizzare quei ricordi, cercare di rinchiuderli dentro alle storie che
inventavo, di sigillarli all’interno di quelle pagine. Ammetto che serviva a
poco.
La piccola era per
terra vicino al tavolo dove ero seduto, e giocava con una bambola. Mi concessi
una pausa, dedicandogliela completamente: la osservai a fondo mentre ne
afferrava un’altra e inscenava un piccolo dialogo fra le
due.
“No” disse sforzando
un po’ la voce, per cercare di assomigliare a un adulto. “Questa cosa non si
fa!” e così dicendo
lanciò una delle due
bambole alle sue spalle. Solo allora mi accorsi che ce n’era una terza
più piccola delle altre
stesa al suolo. In quel momento la afferrò tenendola davanti
alla prima, quella che doveva essere l’adulto della situazione. Le costrinse in
un abbraccio. “Stai tranquilla…nessuno
più ti dirà quelle cose
cattive”
Rimasi un po’
perplesso da quella scenetta, ma lei all’improvviso scoppiò a ridere di gusto,
con la sua risata innocente e angelica. Sorrisi a mia
volta.
Sarei tornato a
scrivere, ma sentii quei colpi alla porta. Era presto, non poteva certo essere
lei…
Mi alzai per andare
a controllare. Un grosso difetto di quell’appartamento era proprio l’assenza di
uno spioncino. Ma chissà, forse avrei aperto
lo stesso…
Il colpo mi
sbilanciò, e caddi a terra
rovinosamente, sbattendo con la schiena. Mi rialzai a guardarlo: cercavo di
riconoscerlo, ma sembrava ch’io non l’avessi mai visto prima. Aveva lo sguardo
fermo e risoluto, e mi guardava facendo trapelare una rabbia e un odio
profondo.
Mi rialzai con un
po’ di fatica. “Chi sei?” gridai forte, forse sperando che qualcuno del vicinato
si affacciasse per aiutarmi.
Lui si
avvicinò velocemente. Non
fui in grado di capire, a causa della rapidità dell’azione. Sentii
solo quel dolore lancinante alla pancia.
Per un attimo
avvicinò la sua bocca al mio
orecchio. Sentii un sussurro: “Sono venuto a riprendere ciò che è
nostro”
Poi i sensi si
offuscarono. Caddi di nuovo a terra, toccandomi il punto
dolorante.
Ne sentivo il caldo.
Lo riconoscevo. Si, mi ricordavo bene il calore, l’odore.
Era
sangue.
Colava copiosamente
tra le mie dita. Guardai verso quell’uomo. Aveva un coltello fra le mani. Ed era
tutto insanguinato. Poi lo vidi allontanarsi, all’interno del mio appartamento.
Sentii le urla di Cheryl…
Cheryl!
“Harry…che stai
facendo?”
Non staccava gli
occhi dalla bambina, e dalla mano che stava stretta intorno al suo
collo.
“Non
capisci…questa
bambina…è lei…
…me l’hanno portata
via…
…me l’ha portata via
lei…
È colpa sua se Cheryl
non c’è più!”
“…è una bambina Harry!
Lei non ha colpe”
“È il
demonio!
E io non dovrei
lasciarla vivere!”
Il suo polso fu
afferrato da una mano con una presa forte
“Vuoi ammazzare una
bambina, Harry?”
“Ho già ucciso per colpa
sua!”
“Erano mostri
Harry”
“Anche lei lo
è!”
Copiose, le lacrime
scendevano lungo le guance dell’uomo, che aveva preso a tremare. La rabbia si
era impossessato di lui, eppure qualcosa lo tratteneva ancora dall’eseguire il
macabro gesto che avrebbe posto fine a una vita
inspiegabile.
La bambina
spalancò gli occhi. Con il
passare del tempo il colore delle iridi era cambiato, diventando più scuro e assumendo
un colore castano intenso. È incredibile quanto
velocemente mutino i bambini, e crescano, e siano ogni giorno diversi dal giorno
passato.
I due sguardi si
incrociarono: quello innocente, privo di emozioni, e quello caldo in cui lacrime
e sangue si incrociavano.
Sbadigliò rumorosamente,
contorcendosi e costringendo Harry a mollare la presa e ritirare la sua
mano.
“Guardala
Harry…non è nessuna delle
due!
È solo una bambina
che ha bisogno di una famiglia…”
L’uomo si
inginocchiò davanti alla culla
appoggiando il viso tra le sbarre metalliche, e continuando a guardare la
creaturina che accennava un pianto leggero continuando a muoversi tra le
lenzuola.
“Mi
dispiace…”
“Sono venuto a
riprendere ciò che è
nostro”
Quello
era…
…no! Non è
possibile!
Cheryl gridava, e la
sentivo avvicinarsi.
Era venuta a
prenderla!
No! Non di
nuovo!
“…non la
toccare…”
Non ne hai il
diritto, bastardo…
“…lasciala
andare…”
Non te lo
permetto…
Mi avventai su di
lui, usando la mia disperazione come inaspettata forza. Penso che lui non si
aspettasse una tale furia, tant’è che, sbilanciato,
cadde a terra insieme a me e Cheryl. Gli fui addosso, ma potevo fare ben poco in
quelle condizioni, infatti in breve la situazione venne capovolta, e me lo
ritrovai sopra, con le sue mani serrate intorno al mio
collo.
I suoi occhi
trasmettevano una furia indescrivibile. Folle. Solo così potevo chiamarlo.
Era semplicemente un folle. Come lo era Dahlia.
Pensai di essere
morto. Ma non potevo abbandonare la mia piccola Cheryl, no, non dopo aver visto
l’inferno per lei. Tastai con le mani ovunque, cercando qualsiasi cosa che
avrebbe potuto far allentare la presa di quella morsa micidiale. Non respiravo
già da qualche secondo,
e riuscivo ad emanare solo dei rantoli sommessi. Toccai con la mano qualcosa di
metallico. Era una…pistola?! Doveva
essere caduta a quell’uomo durante la colluttazione.
La mancanza d’aria
cominciava ad offuscarmi la vista, non avevo più tempo di pensare,
non avevo più tempo di cercare
altre soluzioni. La puntai a casaccio e poi…
Ci sentivo molto
poco. Non ricordavo che un proiettile esplodesse con quella forza. Mi
fischiavano le orecchie, ma sentivo che a poco a poco tornavo a respirare
liberamente.
Cheryl era dietro di
me e piangeva.
Povera
piccola.
Non
piangere.
Lasciai la presa
sulla pistola, facendola cadere a terra con un tonfo. Poi, con un enorme sforzo,
scostai l’uomo liberandomi il petto, in modo da riuscire a respirare
meglio.
“…Cheryl…”
La bambina si
avvicinò piangente. Me la
ritrovai davanti con il suo faccino delicato imbrattato leggermente dal sangue
di quell’uomo, che era schizzato via per il colpo.
No, piccolina mia.
Il tuo viso angelico non può essere deturpato in
questo modo…
Avvicinai la mia
mano alla sua guancia, cercando di pulire quella macchia così inappropriata, ma
anche se riuscii a portare via il sangue di quell’uomo, ben presto la sporcai
con il mio.
Cominciai a piangere
anch’io, ma dovevo farmi forza.
“Piccola
mia…”
Riuscivo a parlare
solo con un grande sforzo, e ciò che usciva era una
voce strascicata e debole. Ma volli continuare.
“…non devi…piangere…il tuo…il tuo
papà…ti
proteggerà…sempre…”
Sortii l’effetto
contrario, e il mio tesoro scoppiò in un pianto
incontrollabile appoggiandosi al mio petto.
L’abbracciai, e
così ci trovarono le
persone che accorsero, allertate dallo sparo…
L’ospedale
carcerario non era affatto un bel posto per una bambina. Ma acconsentirono a
farla rimanere con me. Il merito chiaramente fu proprio della piccola e della
sua insistenza. “Il mio papà non lo lascio!”
esclamava quando cercavano di spiegarle la situazione e di portarla in un
istituto come momentaneo alloggio. Anche io mi opponevo, ma la ferita rendeva
tutto più difficile. Persino
quando lei si aggrappava a me per far capire che non mi avrebbe abbandonato
facilmente, sentivo un dolore lancinante. Resistevo a mala pena dal chiederle di
lasciarmi.
Quell’uomo era
morto, per cui ero stato accusato di omicidio e ora mi stavano ricucendo in
attesa del processo. Ma era meglio del previsto, quasi tutti avevano compreso la
mia situazione, e qualcuno mi disse anche di stare tranquillo, perché era palese
il pericolo che avevo corso, e che si trattava quindi di legittima
difesa.
Non avevo un
avvocato, non conoscevo nessuno. Era il prezzo da pagare per la vita della
piccola Cheryl, il prezzo per poter ricominciare. Ma era servito a poco. Mi
avevano trovato, e ora Cheryl era in grave pericolo, e di certo non potevo
raccontarne il perché.
Passai parecchie
notti insonne, e vegliavo sul sonno della mia bambina senza chiudere un occhio o
accusare alcuna stanchezza. Il giorno riuscivo a riposare solo poche ore, quando
sapevo che Cheryl era al sicuro sotto lo sguardo dei poliziotti e dei
medici.
Sentivo la
stanchezza accumularsi sotto i miei occhi, e per questo motivo le mie ferite
guarirono ancor più
lentamente.
“Heather?!”
Non so come scelsi
quel nome. Dovevo averlo sentito di recente, ma non ricordavo affatto
dove.
La bambina dal
giorno dell’aggressione non era più la stessa.
Sorrideva sempre di meno, e spesso la trovavo fissa a guardare tristemente la
sua immagine allo specchio, accarezzandosi i capelli, che diventavano sempre
più lunghi. Erano
bellissimi, neri lucenti, e a lei erano sempre piaciuti. Ma adesso li guardava
con una strana espressione…
“Perché mi vuoi
chiamare così?”
Perché tu non sei
lei, piccola mia. Non sei la mia Cheryl…
Cheryl non
tornerà!
Ma, si sa, agli
adulti piace tanto mentire, raccontare storie che faranno stare meglio sé
stessi, ingannandosi e dicendo che lo fanno per gli altri. E specialmente ai
bambini raccontano tante storie diverse, piccole meravigliose bugie a cui
vorrebbero poter credere loro, disincantati dal tempo e da un’innocenza
irrimediabilmente macchiata…
“…è un gioco, piccola
mia…è solo un
gioco…e noi due dobbiamo
giocare, e dobbiamo rispettare le regole di questo gioco…”
Nel frattempo avevo
raccolto tutto, e quella casa ora era piena di scatoloni e valigie all’ingresso
e vuota nel resto delle stanze. Lei stringeva la bambola al petto, osservandomi
attentamente, mentre spostavo le ultime cose.
“Dove andiamo
papà?”
La
realtà è che questa potrebbe essere quasi un’altra storia, ma facendo bene i
conti ci sta abbastanza bene, a parere mio. Chiaramente si tratta di una pausa,
in cui do più spazio al nostro amato Harry considerando che fino ad ora, in
questa storia è stato visto solo dall’esterno, e si ricollegherà al racconto di
Cybil nel prossimo capitolo.
Quindi a presto!
Ps: ho voluto usare uno stile di scrittura che rispecchiasse i pensieri "macchiati" di Harry, e il fatto che sia una storia a parte, che sporca il filone che stava seguendo.
Grazie
a chi legge, segue e commenta