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Autore: Hoi    01/05/2013    3 recensioni
I fatti narrati si svolgono dopo gli eventi del primo film
“Pronto! Aiuto ho investito una persona. Sono in via...” Dove cazzo ero? Mi guardai attorno nel panico. Non c’era neanche un fottutto cartello. Merda! Ma quella era New York. Una New York mezza distrutta e ancora in piena ricostruzione, ma pur sempre New York. Di certo avrebbero rintracciato la chiamata e sarebbero venuti ad aiutarmi.
“il numero da lei selezionato è inesistente”
“Cosa?!?!?!” Piena di sgomento guardai lo schermo. 118. Idiota! Idiota! Idiota!
Genere: Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrabbiarmi, gridare, chiedere per favore, minacciare di chiamare un avvocato, non era servito a nulla. Ogni mio tentativo era miseramente fallito. Non mi ero arresa s’intende, ma devo ammettere che le mie speranze si stavano affievolendo. Ero imprigionata lì da almeno due giorni e iniziava seriamente a mancarmi la mia vita di prima, persino la parte che riguardava i capricci di Stark. Anche se ero decisamente preoccupata per il mio futuro, l’unica cosa su cui mi concentravo in quei giorni era all’architetto a cui avevano affidato i lavori alla torre dei vendicatori, un tale di nome Jo Bridges. Lo odiavo. Per carità, magari era pure una brava persona! Io questo non potevo saperlo visto che non l’avevo mai conosciuto, eppure, lo odiavo lo stesso. Rigirandomi sotto le coperte, in quella stanza d’ospedale, che a me sembrava una cella, non riuscivo a fare altro che rodermi il fegato dalla rabbia, chiedendomi cosa stesse facendo quello sconosciuto, al povero grattacielo che mi era stato affidato. Che era stato affidato a ME, non a LUI. In tutta sincerità non potevo davvero capire come avesse il signor Stark potuto mettere una sua creazione nelle mani di uno sconosciuto. Stupido Stark! Se almeno mi avessero dato delle indicazioni su come stavano procedendo i lavori mi sarei sentita più tranquilla. Invece zero. Dagli uffici delle Stark Industries mi arrivava il silenzio più assoluto. Per ingannare il tempo avevo provato ad accendere la tv, ma era stato ancora peggio. I telegiornali parlavano solo dell’essere ritrovato nella torre, dilungandosi in spiegazioni assurde sui motivi della sua comparsa. I giornali erano un po’ meglio. I titoli variavano da “La grande mela di nuovo sotto attacco” a “Bruce Banner: un nuovo mostro”. Sì, sempre della stessa cosa parlavano, ma almeno erano più fantasiosi. Non riuscii comunque ad arrivare alla fine di un solo articolo. Era come leggere un libro dopo aver visto il film. Ok, nel libro ci sono molti più dettagli e  spesso, rende meglio la trama, ma alla fine la storia è sempre la stessa. Io quella vicenda l’avevo vissuta in prima persona, quindi potevo dire addio alla suspance del finale, anche perché il finale era la cosa peggiore. Nel novanta percento dei giornali risultavo come una specie di superdonna che aveva ucciso uno dei mostri che, qualche mese prima, aveva minacciato New York. Io non mi sentivo affatto così. Avevo un polso rotto ed il volto sfigurato, era inutile girarci attorno. Pepper mi aveva gentilmente consigliato il nome di un ottimo chirurgo plastico che si reputava in grado di cancellarmi le cicatrici definitivamente. Peccato che io non le avevo ancora quelle benedette cicatrici. I medici restavano sul vago ovviamente, ma mi era chiaro che ci sarebbe voluta un’eternità perché le ferite si rimarginassero del tutto. Mi sarei dovuta sposare così o avrei dovuto rimandare le nozze, alternativa che mi pareva impossibile, vista la quantità di tempo che avevamo impiegato ad organizzarle. Sempre se Davide mi avesse voluta ancora... Cosa che io allora potevo solo supporre, visto che non gli avevo ancora raccontato dell’accaduto. Lo so... Sarebbe stata la terza persona da chiamare in un caso del genere, ma proprio non ne avevo la forza. Non ero nemmeno riuscita ad avvisare i miei genitori. Ero persa proprio in questi pensieri quando, quel pomeriggio, bussarono alla porta della mia camera. Sulla prima feci finta di nulla, temendo che fosse un altro stupido giornalista. Ne erano venuti a dozzine e li avevo cacciati tutti. Ero una povera donzella con un braccio ingessato e la faccia graffiata, come cazzo si permettevano di venirmi a rompere le palle? Quel giorno però mi stavo davvero annoiando troppo, così decisi di far appello a tutta la poca pazienza di cui ero fornita e invitai candidamente ad entrare il mio visitatore. Tutti i neuroni del mio cervello si attivarono contemporaneamente vedendolo, eppure riuscii solo a pensare “Wow” non che ci fosse altro da dire, s’intende. In piedi sulla soglia, Scott mi sorrideva gentilmente, tenendo stretto tra le mani un piccolo mazzo di fresie azzurre. Fin da quando ero bambina, sono stati i miei fiori preferiti, di quel colore poi, non potevo che amarle. Elegante nel suo completo grigio scuro, l’uomo fece un passo avanti.
“Ciao Francesca”
Con l’intento di salutarlo aprii la bocca, peccato che non ne uscì alcun suono. La richiusi. Non poteva essere davvero lui. Non avrebbe avuto motivo di essere lì e poi, come avrebbe fatto a scoprire dov’ero? Ma cosa più importante: perché aveva deciso di rifarsi vivo proprio quando io avevo addosso quell’imbarazzante camice da ospedale? Maledetto il suo tempismo ed i miei capelli spiaccicati e scompigliati dal pisolino che avevo appena fatto.
“Ciao Scott. Che... che sorpresa vederti!”
Ci volle un bel po’, ma alla fine parlai e miracolosamente, la mia voce non suonò come quella di una totale rimbambita. Avanzò ancora, prendendo una sedia, che pose accanto al mio letto. Nonostante l’imbarazzo ero felice di vederlo. Era un viso amico, anche se quasi non lo conoscevo ed io avevo davvero bisogno di un po’ di conforto.
“Mi fa piacere vedere che stai bene. A detta del telegiornale eri ad un passo dalle porte dell’inferno”
Al telegiornale? Avevano fatto vedere una mia foto in quelle condizioni, al telegiornale? Cani maledetti! Me l’avrebbero pagata! E se la notizia fosse arrivata ai miei prima che gliela potessi dare io, me l’avrebbero pagata due volte. Inspirai profondamente, dovevo mantenere la calma.
“Sì bhé... in televisione esagerano sempre. Di un braccio rotto non è mai morto nessuno”
Avevo volutamente ignorato le ferite al volto. Non era cortese affrontare un argomento tanto delicato con un quasi-sconosciuto.
Scoppiò a ridere. Aveva uno strano senso dell’umorismo Scott. Me ne’ero già accorta da un pezzo, ma la cosa mi traumatizzava sempre. Anche se dovevo ammettere che aveva una magnifica risata. Gli sorrisi a mia volta. Un sorriso teso, imbarazzato. Lui dovette accorgersene perché cambiò argomento.
“Ti ho portato dei fiori ma...”
Si guardò in giro, con espressione supponente. Non aveva proprio torto in effetti. La mia stanza sembrava più un vivaio, che una camera d’ospedale. Avevo ricevuto ben dodici mazzi di fiori. Un gentile dono del signor Stark e dei Vendicatori, come augurio di pronta guarigione. Era chiaro che l’uomo d’acciaio si sentiva in colpa ed era anche chiaro che erano stati tutti scelti da Pepper. Srark non aveva né il gusto per scegliere dei fiori, né tantomeno la pazienza necessaria ad ordinarli per telefono. Scott invece me li aveva persino portati a mano. Che dolce.
“Sono molto belli... Grazie. C’è un vaso lì, ti dispiacerebbe metterli là dentro?”
Avevo decisamente voglia di sgranchirmi le gambe e li avrei messi personalmente nell’acqua, se avessi avuto i pantaloni. Sfortunatamente nella scarsa divisa che l’ospedale forniva, non erano compresi. Come non lo erano mutande e reggiseno. In effetti quello che l’ospedale forniva era un orrendo camice bianco a pallini azzurri, totalmente aperto dietro. Avevo già fatto abbastanza figure poco dignitose con Scott, non mi sarei pure alzata, anche se probabilmente avrei dovuto farlo, vista la sua espressione dubbiosa.
“Quel vaso è pieno”
Effettivamente c’erano dei girasoli in quel vaso. Dettaglio non poi così significante a parer mio.
“Sì, sono un po’ appassiti, non trovi? Lì c’è un cestino comunque.”
Scott si alzò sogghignando e si fermò davanti ai fiori. Mi lanciò un’occhiata di sbieco prima di voltarsi nuovamente e sbirciare la scritta che compariva sul bigliettino del fiorista. La conoscevo a memoria quella frase. L’avevo letta su ogni bigliettino allegato ad ogni mazzo di fiori. “Auguri di pronta guarigione” e la firma. Che fantasia il grande inventore, è?
“Non credo che a questo... Tony farebbe piacere sapere quanto tieni ai suoi doni”
Sarebbe anche potuto sembrare vagamente dispiaciuto, peccato che mentre pronunciava quelle parole stesse gettando il mazzo di girasoli nel cestino. Tanto quanto furono secchi i suoi movimenti mentre buttava i fiori del mio capo, altrettanto fu gentile nel sostituirli coi suoi. Feci uno sforzo per non scoppiare a ridere. Era proprio un tipo strano lui.
“Non credo nemmeno che sappia che fiori mi ha mandato... è il mio capo”
Mi lanciò un ampio sorriso in tralice, mentre lasciava che il bigliettino facesse la stessa fine dei fiori. Effettivamente non aveva smesso un istante di sorridere da quando era entrato, eppure in un certo senso non lo stava facendo nemmeno in quel momento. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, per così dire, “felice”.
 “E tutte le altre dozzine?”
“Sempre del mio capo”
Gli risposi senza pensarci troppo. Non ci vedevo nulla di strano in fondo, visto che era colpa dei suoi casini se ero finita così. Quel gradasso si faceva nemici ovunque con le sue avventure strampalate e poi non si prendeva la briga di tenerli a bada. Si era messo un’armatura e aveva iniziato ad andarsene in giro a fare l’eroe e nessuno si era permesso di dirgli nulla. Per carità, era anche utile quando si trattava di dare una mano durante i lavori più importanti delle sue industrie, il problema era... bhé, tutto il resto. Gliene avrei dette quattro stavolta quando ci fossimo rincontrati.
“Capisco”
Con un’unica parola Scott mi aveva offesa orribilmente. Uno strano sguardo ammiccante era comparso sul viso. Capiva? Cosa cavolo credeva di capire quello lì? Non c’era proprio nulla da capire.
“Guarda che non stiamo assieme. Io ho un fidanzato, sto per sposarmi”
Glielo dissi chiaramente, perché capisse una volta per tutte e non ci fosse bisogno di rispiegarglielo.
“E i suoi fiori sono...”
Normalmente la cosa mi avrebbe fatta incavolare da matti, ma quella volta in particolare mi sentii solo molto in imbarazzo. Non gli avrei mentito comunque... Non sarebbe stato da me. Ho sempre cercato di essere sincera in vita mia, non per finti moralismi o perché la gente potesse nutrire fiducia nei miei confronti, ma per evitare le immense figure di merda che facevo ogni volta, quando la verità veniva a galla. Non c’è neanche mai voluto molto perché si scoprisse la verità, basta guardarmi in faccia. Il mio stupido viso è sempre stato un libro aperto con tanto di illustrazioni a colori, per essere certi che tutti capiscano cosa provando in ogni momento. Motivo per cui ho sempre perso a Poker.
“Non ci sono... non è che non gli importa e che non lo sa”
Sarebbe stata mia intenzione non far sembrare la cosa tanto pessima con quell’ultima frase, ma avevo peggiorato le cose. Per un instante cadde il silenzio tra noi. Dovevo essere io a spezzare quel silenzio, altrimenti mi sarei beccata un altro di quei suoi Capisco supponenti. Dovevo dire la verità, una verità intelligente però...
“Non ho potuto chiamarlo... Sai hanno messo il mio cellulare tra le prove... Assieme a tutto il resto nella mia borsa, i vestiti e la tua sciarpa... Mi spiace, vorrei potertela restituire, ma credo ci vorrà un po’”
GRANDIOSA. Ero stata semplicemente grandiosa. Non solo ero riuscita a dare una versione sensata dell’accaduto senza sembrare una pazza complessata, ero pure riuscita a cambiare discorso. Se avessi potuto mi sarei sdoppiata, per potermi stringere la mano e farmi i complimenti. Ora tutto dipendeva da come l’avrebbe presa lui.
“Tienila pure... Prendila come un dono in onore della tua vittoria contro il chitauro”
Non mi sembrò molto convinto a dire il vero... In parte, mi parve lo seccasse che avessi perso la sua sciarpa, ma feci finta di nulla. Avevo altro a cui pensare in effetti, ossia capire che era il ki-coso di cui parlava. Il nome mi era famigliare in effetti, ma dove l’avevo già sentito? A sentir lui dovevo averlo sconfitto quindi la gamma delle possibili risposte esatte si riduceva...
“Oh, certo! Il mostro!”
Cadde di nuovo il silenzio tra noi. Un silenzio totalmente diverso questa volta. Scott aveva la bocca leggermente aperta e mi guardava sbalordito. Neanche gli avessi detto che degli alieni giganti stavano distruggendo NY... Ecco dove l’avevo già sentito! I telegiornali non avevano fatto altro che parlare di quei mostri per mesi. Non c’era da sorprendersi che fosse tanto attonito...
“Ti sembro una pazza è? Il fatto è che tra pazzoidi con fruste d’energia che distruggono il gran premi di monaco, Hulk che picchia mostri giganti e enormi robot metallici che cadono nel Nuovo Messico, il tg parla di stragi e distruzione ogni giorno... È atroce e... Alla fine, non so... Ho semplicemente smesso di ascoltarlo... So che non serve a migliorare la situazione, ma almeno evita che le mie notti siano piene di incubi. Ti sembrerò un’insensibile...”
Lui si avvicinò e tornò a sedersi. Questa volta però, sul letto accanto a me. Quel suo strano sorriso, capace di mille sfaccettature, ne aveva presa un’altra nuova, che per quanto pareva rassicurante, portava con sé uno strano retrogusto di compassione, quasi superiorità.
“Più umana direi”
Non sapendo che dire gli sorrisi. Era tanto vicino che potevo sentire l suo profumo. Questa volta non mi allontanai come avevo fatto il giorno del nostro “addio”. Quel profumo, anche se dolce, iniziava un po’ a piacermi. Colpa della sciarpa che mi ci aveva fatta abituare, ovviamente. Lo guardai negli occhi, cercando di capire a cosa lo aveva spinto ad avvicinarsi tanto, ma appena lo incrociai, il suo sguardo cambiò, riempiendosi di tristezza.
“Come ha potuto farti una cosa tanto orribile...”
Distolsi lo sguardo di scatto, cercando di trattenere le lacrime. Anche col viso mezzo bendato, era chiaro che ero stata sfigurata. Inspirai profondamente, chiudendo gli occhi. Non ebbi il tempo di finire il mio solito rituale. Sentii Scott muoversi e istintivamente spalancai gli occhi. Si era avvicinato ancora, chinandosi un po’ verso di me. Forse a causa della mia espressione sorpresa, decise di retrocedere, ritornando nella posizione precedente. Quale che fosse il suo intento però, non sembrava intenzionato a demordere. Con movimenti lenti per non spaventarmi, come se fossi un’animale selvatico che sarebbe potuto fuggire via da un momento all’altro, portò una mano sulle bende e gentilmente le sfiorò, facendo scorrere le dita sul mio viso. Per quanto pesante fosse la fasciatura, riuscii a sentire il suo tocco sulla pelle, accarezzare le mie ferite, senza farmi alcun male.
“Sono cero che svaniranno senza lasciar traccia”
Fu poco più di un sussurro quello che mi rivolse. Non c’era bisogno che alzasse di più la voce, l’avrei sentito anche se avesse parlato ancora più piano. Era tornato ad avvicinarsi lentamente ed ora i nostri volti non distavano che pochi centimetri. La sua mano era scesa sul mio collo e lì s’era fermata, come per impedire una mia possibile fuga, ma senza abbandonare la leggerezza che caratterizzava il suo tocco. Ero stata messa in trappola da quello strano cacciatore, che non sembrava affatto volermi fare del male. Si avvicinò ancora, impercettibilmente. I suoi occhi si erano fissati  nei miei ed il suo sguardo mi tolse qualunque dubbio potessi ancora avere sulle sue intenzioni. Sentii il suo respiro tiepido, scivolare sulle mie labbra. Mi stava provocando. Voleva fossi io a scoprirmi, a fare l’ultima mossa ed io la feci: mi tirai indietro. Letteralmente. Puntai la mano sana sul materasso e mi spostai, allontanandomi, fino a trovarmi con la schiena contro la testata del letto.
“Se pensi che sia messa male, dovresti vedere l’altro”
Per un attimo lui mi fissò contraddetto. Non era quello il finale che si era aspettato, ma prese la cosa sportivamente e scoppiò a ridere. Con disinvoltura si alzò e tornò a sedersi sulla sedia, posta accanto al letto. Era un tipo sfrontato Scott. Senza farsi problemi spostava il mobilio, quasi baciava una ragazza fidanzata e poi tornava a comportarsi come se nulla fosse. Come se fosse riuscito a riavvolgere il tempo e a tornare alla parte del nostro incontro che più gli andava a genio.
“È un uomo fortunato il tuo fidanzato”
Gli sorrisi, un po’ tesa. Se quello era un modo per chiedere scusa... Bhé, faceva abbastanza schifo. Le avrei accettate comunque. In fondo non si poteva dire che avesse fatto nulla di male.
“Sono io la fortunata”
Lo pensavo davvero. Scott sembrava davvero un ragazzo fantastico e magari lo era davvero, ma non poteva, ai miei occhi, essere meglio di Davide. Lui per me era l’uomo che più si avvicinava alla perfezione. Come se fosse su un diverso gradino della scala evolutiva. Ne avevo incontrata di gente super negli ultimi tempi, ma anche se erano straordinariamente intelligenti, se avevano una fonte d’energia impiantata nel torace o riuscivano a colpire una mela da trenta kilometri di distanza, erano comunque persone normali... o meglio, pazzi, egocentrici e psicopatici... Come ogni altra persona sulla faccia della terra insomma. Non come Davide però. Lui era differente, era paziente, premuroso, divertente, paziente (sì l’ho già detto, ma per aver a che fare con me, quella era una qualità davvero importante) e non mi considerava una pazza isterica... O quantomeno non me lo faceva pesare... Insomma se Sark era un homo sapiens sapiens, Davide doveva essere... Che so... Un homo superior. Come avrebbe mai potuto Scott competere con un tipo così?
“Mi sovviene alla mente una cosa a riguardo”
Gli sorrisi. Non avevo capito. Mi capitava a volte di non comprendere ciò che mi stessero dicendo. Per quanto bene potessi parlare l’americano, non era comunque la mia lingua madre e parole come sovviene restavano al di fuori dalla mia portata. Tra l’altro Scott aveva un modo bizzarro di esprimersi che complicava notevolmente il dialogo tra noi. Almeno per quanto mi riguardava. Non feci tempo a chiedergli di ripetere, che lui infilò una mano nel taschino interno della giacca. La domanda che volevo fargli mutò improvvisamente diventando: Che ci fai in giro con un pennarello? Nuovamente non ebbi tempo per porgli la domanda. Sotto il mio sguardo attonito prese il mio braccio ingessato, portandoselo vicino. Piccola parentesi: sì, perché mentre a tutti gli altri pazienti del globo era concessa una cura decente, ossia l’arto rotto veniva avvolto in una rete plastica colorata (non chiedetemelo non so neanche io che è), io mi ero dovuta beccate uno stupido gesso vecchio stile, senza neanche mezza spiegazione a riguardo. Massì, in fondo mi era andata bene, visto che altrimenti Scott non avrebbe potuto pasticciarlo, come invece stava facendo. Solo quando ebbe finito potei esaminare il suo lavoro. Era una scritta o qualcosa del genere. Straniera sicuramente, visto che non riconoscevo minimamente i caratteri.
“Significa fortuna, in una lingua antica”
Non potei fare a meno di ringraziarlo. Era stato un gesto molto carino da parte sua. Avrei voluto saperne di più. Che lingua fosse, come facesse a conoscerla e altre cose così, sfortunatamente lui si alzò. Con un paio di frasi di circostanza si congedò rapidamente, quasi stesse scappando via. Non potevo dargli torto in fondo, non era stato molto fortunato con me... Forse però da quel momento lo sarei stata io.
  
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