A beast about to strike
Capitolo due: New York, 1977.
“It
comes down to reality
And it's fine with me 'cause I've let it slide
Don't care if it's Chinatown or on Riverside
I don't have any reasons
I've left them all behind
I'm in a New York state of mind”
(New
York state of mind- Billy Joel).
Per
molti quel giorno fu categoricamente da dimenticare.
Il
13 luglio del 1977, New York si svegliò sotto una
cappa di afa soffocante. Il cielo era plumbeo e si confondeva con
l’asfalto
delle strade e con il metallo dei grattaceli. Il mare attorno a
Manhattan era
grigio e piatto, senza che un filo di vento andasse a muovere le sue
dolci
acque né a dare un attimo di sollievo agli abitanti della
Grande Mela.
Non
era un’estate felice per la città, vessata dai
tagli
da parte dell’amministrazione per via della dura crisi
economica e terrorizzata
da tal “Sam”, ancora non bene indentificato serial
killer con una predilezione per
le ragazze giovani.
La
polizia brancolava nel buio più totale, i cittadini
avevano paura ad uscire nelle ore più buie. La paranoia
cominciava a
diffondersi, un paio di lettere furono indirizzate a membri delle forze
dell’ordine
e ad alcuni giornali dallo stesso assassino. I testimoni sopravvissuti
avevano
dato solo identikit parziali e approssimativi; l’unica
informazione valida fu
la presenza fissa di una Volskwagen gialla sui luoghi degli omicidi.
La
caccia all’auto fu instancabile, ma non servì a
molto.
Dopo quasi un anno, il pazzo non aveva né volto
né nome. E tutti attendevano
con terrore la prossima vittima.
Non
fu un’estate di festa e la maggior parte della
popolazione non vedeva l’ora che finisse; possibilmente con
un uomo in più in
prigione e con più soldi nelle tasche dei contribuenti.
Già
dal mattino, quel 13 luglio si era prospettato un
giorno particolarmente infausto e quando verso le dieci di sera la
notte
divenne ancora più scura, il panico dilagò.
New
York senza luci era qualcosa di surreale: per le
strade trafficate del centro si udivano solo i clacson delle macchine
bloccate
nel traffico; nei quartieri più periferici bande di teppisti
si diedero al
furto e al saccheggio.
I
più fifoni si rintanarono in casa, gli altri uscirono
offrendo il loro aiuto ad anziani e sventurati bloccati in ascensori;
la
polizia fu particolarmente ligia a distribuire arresti.
Tra
la confusione, le urla, la rabbia e i problemi che ne
conseguirono, ci fu qualcuno che accolse con gioia quel piccolo
imprevisto.
Privato
del suo solito divertimento serale, Damon
Salvatore aveva abbandonato Will e i suoi impicci con
l’impianto elettrico, e
aveva deciso di farsi un giro per la città.
Aveva
approfittato un po’ del caos per nutrirsi indisturbato
in mezzo alla strada, ma il chiasso si era fatto insopportabile.
A
Manhattan la situazione era decisamente più sotto
controllo; nessuno si era sognato di spaccare vetrine e derubare
negozi, men
che meno di compiere atti vandalici. In ogni caso, le persone
faticavano a
mantenere la calma: il blackout aveva interrotto bruscamente il ritmo
frenetico
della città e i Newyorkesi non poteva accettarlo.
Damon
provava pena per loro, perché non riuscivano a
percepire l’unicità di quel momento; erano troppo
abituati a viaggiare a cento
all’ora per fermarsi un attimo a contemplare la bellezza di
quel buio. Le loro
orecchie erano sorde alla vera voce della città. Quella voce
non urlava solo
“dovere”, ma anche divertimento e magia.
L’essenza
di New York stava lì sotto i loro occhi e
quegli stolti preferivano girarsi dall’altra parte.
Possedere
l’immortalità aveva indubbiamente i suoi
vantaggi, permetteva di apprezzare aspetti che non tutti avrebbero
colto in
condizioni normali. Purtroppo a volte diventava particolarmente noioso,
se il
mondo intorno si rifiutava di fare silenzio.
Damon,
normalmente, amava la confusione, ma il chiasso
del 13 luglio rimarcava soltanto ottusità e ignoranza,
disfattismo; stava
lentamente risvegliando il suo istinto più violento.
Credeva
che non avrebbe più trovato ciò che stava
cercando, finché non arrivò nei pressi di
Greenwich Village.
Finalmente
lo spirito di New York gli si aprì davanti
agli occhi: decine di ragazzi erano in strada a festeggiare. In una
mano
tenevano candele per illuminare l’oscurità, mentre
le radio riempivano l’aria
di musica.
Greenwich
era un quartiere residenziale, benestante. La
gente non aveva paura ad andarsene in giro, perché nessun
serial killer si
sarebbe mai inoltrato là e, nonostante il blackout, non
c’era il rischio di
saccheggi. Il livello di sicurezza era davvero alto.
La
serata del vampiro improvvisamente si animò di nuova
euforia. Era ora di godersi il buio, di andare a caccia.
Aveva
un’ampia scelta davanti a sé.
L’atmosfera era
perfetta. Le fiammelle delle candele irradiavano una tenue e tremolante
luce;
andavano a illuminare solo il viso delle persone. Il resto era avvolto
nella
penombra.
Damon
poteva muoversi indisturbato, studiare le sue prede
e designare la sua vittima. Nessuno faceva caso a lui. Festeggiavano
con troppo
entusiasmo per accorgersi di ciò che stava accadendo accanto
a loro.
Erano
anni di ribellione, di cambiamento e anche di
paura. I giovani volevano far sentire la propria voce. Abbattersi non
era una
possibilità.
Nei
momenti più bui, bisognava accendere la luce. New
York aveva tutto quello. Nonostante la crisi, il pericolo nelle strade,
lo
stallo nell’amministrazione, la città trovava la
voglia di appoggiarsi al lato
più positivo.
Damon
individuò una figura snella, sotto a un lampione.
Distingueva
perfettamente le gambe lunghe, coperte da una gonna di jeans molto
stretta.
La
giovane
stava parlando con due suoi coetanei, ma presto li salutò e
si mosse tra la
folla, forse in cerca di qualcun altro.
Non
si
accorse assolutamente di essere seguita. Il vampiro la
studiò, tenendosi a
distanza. Voleva valutare bene le condizioni prima di attaccare:
sembrava un
po’ alticcia, ma era abbastanza lucida da camminare senza
perdere l’equilibrio.
Quello era già un punto a suo favore; Damon odiava avere tra
le mani ragazze
ubriache, perché diventavano insopportabili e davvero poco
attraenti.
Un
leggero
stato di ubriachezza era perfetto: dava a lui la possibilità
di agire come più
preferiva e scioglieva i nervi alle sue vittime.
La
giovane
improvvisamente si fermò e si voltò. Aveva
l’impressione che qualcuno la stesse
guardando, ma non c’era nessuno dietro di lei.
Quando
riportò gli occhi davanti a sé, vi
trovò un bellissimo uomo dai capelli corvini
e gli occhi color ghiaccio.
Damon
capì
di averla già in un pugno dal sorrisino curioso che si
disegnò sulle labbra
della rossa. A volte credeva che fosse davvero tutto troppo semplice.
Nessuna
donna sapeva dirgli di no; rimanevano talmente affascinate dal suo
bell’aspetto
che staccavano ogni connessione con la ragione.
Certo,
quando scoprivano il suo lato meno umano, normalmente si pentivano
della loro
scelta, ma quella era un’altra storia.
«
Ciao »
sorrise lei.
Le
labbra
di Damon si piegarono all’insù. Era troppo facile
a volte.
«
È
un
po’ tardi per andare in giro da sola »
le fece notare.
«
È pieno di
gente qui »
rispose la ragazza, guardandosi
intorno.
«
Forse troppa »
buttò lì
Damon «
Stai
aspettando qualcuno? »
«
L’ho
trovato ora ».
Davvero
troppo semplice.
Il
vampiro le passò un braccio intorno alla vita e la condusse
tra la massa di
giovani. Quella povera ragazza credeva di aver vinto alla lotteria. Si
lasciò
guidare in una stradina un po’ lontana dal chiasso, tra due
edifici molto
eleganti.
Damon
restò piacevolmente sorpreso: si aspettava almeno un minimo
di resistenza. Di
quei tempi la gente era molto sulla difensiva, non permetteva a un
estraneo di
avvicinarsi con tanta facilità.
Quella
ragazza probabilmente abitava nei dintorni; sembrava di buona famiglia,
non era
abituata a serial killer o pericoli. Quella zona era tranquilla e
sicura.
Almeno fino a quel momento.
Non
capitava spesso che Damon girasse per quartieri così
eleganti; li trovava
troppo snob e assolutamente poco divertenti. Aveva trascorso tutta la
sua vita
umana circondato da ricchi e nobili, a destreggiarsi tra balli e buone
maniere.
Da
quando
era diventato vampiro, aveva imparato ad apprezzare anche
l’altro lato del
mondo, quello più sfacciato. Era stato piuttosto difficile
lasciare i panni del
borghese bene educato. Ricordava ancora gli anni in cui si portava
sempre
dietro un fazzolettino per pulirsi; il sangue gli faceva ribrezzo e lui
si
affrettava a finire le sue vittime, abbandonando i corpi in mezzo alla
strada,
troppo cieco per capire il piacere che avrebbe potuto trarne. Questo
almeno
finché non era arrivata Sage; da allora la sua vita era
cambiata radicalmente.
«
Mi piace questa giacca »
osservò la ragazza sfiorandogli il giubbotto di pelle «
In questo quartiere nessuno le indossa, troppo
underground ».
« Mi trovi underground
? » ghignò Damon.
«
Adoro i ribelli »
rispose la rossa. Un secondo dopo aveva attaccato le labbra a
quelle del vampiro e lo aveva spinto contro al muro.
Damon
la
lasciò fare; era una di quelle sere in cui aveva solo voglia
di prendersela con
calma e gustarsi il momento. Aveva
sempre avuto una preferenza per le ragazze intraprendenti. Rendevano la
caccia
molto più eccitante. Gli ricordavano Katherine in qualche
modo, deliziosamente
bella in tutta la sua irriverenza.
Avvertì
una mano della giovane scivolare sul suo petto e più in
basso, fino all’orlo
dei pantaloni. Li slacciò e s’intrufolò
per accarezzarlo.
Damon
interruppe il bacio e le prese il viso tra le dita «
Non urlare »
le ordinò, soggiogandola per farla stare tranquilla. Lei
fermò i
movimenti della sua mano.
Il
vampiro s’imbronciò «
Continua
pure »
la
incitò.
Le
carezze ripresero e lui scese sempre più smanioso verso il
suo collo. La
schiacciò maggiormente contro al muro e annusò
l’odore della sua pelle. I suoi
canini si allungarono e scalfirono appena la carne della ragazza.
Uscirono
poche gocce di sangue; Damon le raccolse con le labbra. Stava
aspettando il
momento giusto per mordere. Voleva arrivare al limite prima di
assaporare il
suo sangue, voleva sentire il piacere esplodere.
La
rossa
muoveva il polso sempre più velocemente, con
l’altra mano gli aveva arpionato
il collo. Spostò il volto per cercare un altro bacio e
incontrò la sguardo
trasformato del vampiro. Era sotto ipnosi e non gridò, non
si dimenò. Era
semplicemente elettrizzata dal brivido che le trasmettevano quegli
occhi.
Fu
obbligata a piegare nuovamente il capo. Damon era pronto e
lasciò i suoi canini
penetrarle la pelle, cominciando a succhiare con sorsi lenti.
Quel
liquido denso e rosso era delizioso. Si premurò di non
prelevarne troppo.
Quella ragazza lo intrigava da impazzire e progettava già di
tenersela tutta la
notte.
Proprio
sul più bello, appena prima del culmine, Damon
percepì un fastidioso formicolio
alla nuca. Alzò il viso dal collo della ragazza e fece
scorrere lo sguardo
lungo la stradina fino allo sbocco nella grande via, occupato da una
figura
minuta che lo fissava con occhi sbarrati e parecchio imbarazzati.
Charlie
Hastings si maledisse. Non era sua intenzione diventare la testimone di
un
momento così intimo. Paradossalmente sembrava lei quella
colta in flagrante.
Non
era
il tipo da girovagare spesso a Greenwich Village; la sua zona si
trovava da
tutt’altra parte, oltre il ponte, a Brooklyn.
Si
era
diretta in centro solo perché i suoi amici avevano
insistito. Nonostante la
città fosse nel caos più totale, il passaparola
non si era fermato e presto si
era diffusa la notizia di una fantastica festa tra le strade di quel
quartiere
residenziale.
Si
era
trascinata con fatica fino a Manhattan, ma la stanchezza aveva quasi
subito
preso il sopravvento. Aveva lavorato tutto il giorno e il suo unico
desiderio
era tornare a casa a dormire. Sul punto di salutare i suoi amici,
però, aveva
notato un’ombra familiare.
Si
era
allontanata dal suo gruppo per seguirlo. Non si era rivelato facile; il
vampiro
serpeggiava tra la folla senza farsi notare, ma lei gli aveva puntato
gli occhi
addosso e non lo lasciava un secondo. Lo aveva scorto parlare con una
ragazza e
allontanarsi.
Forse
era
stata azzardata; non era da tutti i giorni incontrare un mostro del
genere e
scamparla senza un graffio; avrebbe fatto decisamente meglio a
dimenticarlo,
come le aveva suggerito lui.
La
sua
mente testarda si era impuntata: voleva ringraziarlo, perché
l’aveva salvata.
Solo
arrivata all’inizio di quella viuzza, si era resa conto di
quanto fosse stupida
la sua idea. Li aveva beccati avvinghiati uno all’altro,
talmente stretti da
non distinguere le due forme.
Non
aveva
neanche fatto tempo a distogliere lo sguardo che l’uomo aveva
alzato la testa
dal collo della ragazza.
Charlie
ora era pietrificata. Non si mosse perché sapeva che non
sarebbe servito a
molto. L’avrebbe riacciuffata in un istante.
Lo
osservò staccarsi dalla giovane e sussurrarle qualcosa e lei
annuì apatica.
Il
vampiro tirò su la zip dei pantaloni e rivolse infine tutta
la sua attenzione
verso Charlie. In un secondo le fu davanti, con un sorrisino beffardo «
Non ti facevo una guardona ».
Charlie
arrossì vistosamente
« Non
era
mia intenz- … non volevo, insomma »
iniziò
a balbettare «
Non credevo di rivederti così presto »
confessò.
Damon
alzò le sopracciglia divertito e non replicò.
«
Ti ho visto poco fa e ti ho seguito ».
«
Questo è evidente »
commentò lui.
«
Grazie »
pronunciò di getto Charlie « Grazie.
È
questo che ti volevo dire. Grazie per esserti sbarazzato di
quell’uomo e …
avermi lasciata andare».
Era
strano da dire. Grazie di non avermi
ucciso, quello era il senso.
Damon
addolcì lo sguardo «
Questo è
davvero tenero, tu sei molto
tenera »
precisò «
È così triste che tu debba morire
così. Se solo mi avessi ascoltato
… »
cambiò
tono talmente in fretta che il sorriso di Charlie non fece nemmeno in
tempo a
sparire.
Il
vampiro l’afferrò prepotentemente per le spalle e
la trascinò nel buio della
stradina alle sue spalle, sottraendola alla vista delle altre persone.
L’aveva
soggiogata a dimenticarlo e non aveva funzionato. Chiaramente la
ragazza
assumeva della verbena o la stava indossando; era a conoscenza
dell’esistenza
dei vampiri e doveva essere eliminata per proteggere il segreto.
Damon
le
esaminò il collo, le braccia e le mani. Fu molto deluso di
non trovare nessuno
gioiello; avrebbe tanto voluto assaggiare il suo sangue, ma a quel
punto doveva
supporre che fosse pieno di veleno.
L’avrebbe
uccisa alla vecchia maniera. Le si avvicinò minaccioso.
Lei
alzò
le mani come se volesse fermarlo «
Sono una prostituta »
annunciò.
«
Non sono uno schizzinoso »
le assicurò continuando ad avvicinarsi.
«
Lo faccio per mia sorella, non per me »
proseguì «
Ha solo dieci anni. Frequenta una scuola privata, è molto
costosa e
noi siamo state adottate ».
Un
attimo
prima faceva fatica a sillabare la parola ‘grazie’
e ora gli raccontava tutta
la sua vita, con una parlantina a macchinetta.
«
Non sono interessato »
le comunicò, decisamente infastidito.
«
Senza di me non potrebbe pagare la retta »
spiegò Charlie, bloccandolo di nuovo «
La sto aiutando, ha bisogno di me. Io non
posso morire ».
Il
vampiro frenò il suo attacco. Non era la prima volta che una
della sue prede lo
implorava di lasciarla in vita adducendo i nomi dei propri familiari.
Nella
maggior parte dei casi, erano solo spaventati dalla morte e cercavano
di far
leva sul suo senso di pietà per salvarsi la pelle.
Questa
ragazza, invece, brillava di sincerità. Non parlava per lei,
parlava davvero
per il bene della sorella. Era terrorizzata al solo pensiero di
abbandonarla.
Damon
sapeva
che cosa si provava ad avere il peso di un fratello sulle spalle;
l’immagine di
Stefan che scappava dopo aver perso nuovamente il controllo nel 1912
ancora lo
tormentava. Era una sensazione fastidiosa che spesso ignorava, ma non
se ne
andava mai; riposava in fondo al suo cuore, pronta a saltare fuori in
momenti
come quello.
Squadrò
un’altra volta la biondina che attendeva impaziente una
risposta: aveva l’aria
di chi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rimanere con sua sorella e
aiutarla.
Lentamente
un’idea cominciò a stuzzicare la mentre del
vampiro. In tutti quegli anni si
era nutrito secondo due precise modalità: o ipnotizzava le
sue vittime o le
colpiva senza pietà. Non aveva mai bevuto da un essere umano
consenziente.
Aveva avuto molte schiavette del
sangue, ma erano
come bambole svuotate, che lui poteva zittire e manipolare a suo
piacimento.
Cosa che, se all’inizio lo aveva eccitato, adesso lo annoiava
e basta.
Si
chiese
come potesse essere servirsi per una volta di una ragazza nel pieno
delle sue
facoltà, che pensava con la sua testa, con la sua
personalità. Magari qualcuno
un po’ difficile da piegare, che rappresentasse una piccola
sfida.
«
Da quanto prendi la verbena? »
le domandò senza darle altre spiegazioni.
«
Cosa? »
si stupì
lei, esibendo un’espressione confusa.
«
Possiamo eliminare la parte in cui fingi di non sapere niente e
arrivare
direttamente al motivo per cui sei a conoscenza
dell’esistenza dei vampiri? Sei
imparentata con le streghe? Qualche fanatico del soprannaturale? ».
«
Quindi non mi uccidi? »
ne dedusse Charlie, sorpresa.
«
Cerchiamo di non saltare alle conclusioni prima di aver chiarito la
situazione »
la
smorzò Damon «
Focalizziamoci di nuovo sul punto importante: perché hai
preso della verbena? »
«
Io, giuro, non so di che parli. Non ho mai visto un vampiro prima
d’ora, a parte al cinema; non ero neanche sicura che tu lo
fossi. Potevi anche
essere un cannibale o che so! E che diamine è la verbena? »
Cannibale?
Lo
aveva appena paragonato a un cannibale?
«
La verbena è un’erba. Ora rispondi alla domanda:
com’è possibile
che sia nel tuo sangue? »
«
Non lo so! La mia amica Audrey va matta per le tisane; forse mi ha
fatto bere un tè o qualcosa di simile. Ero da lei quella
sera, prima
d’incontrarti».
Damon
scosse
la testa allibito. Tutto quel casino era stato sollevato da una
fanatica degli
infusi. La cosa cominciava a rasentare la banalità
più deprimente.
«
Che cosa fa questa verbena? Perché pensi che io
l’abbia presa? »
chiese Charlie.
Damon
non
si curò di risponderle. Se davvero quella ragazza era
all’oscuro come
sosteneva, non desiderava certo rivelarle tutte le sue
vulnerabilità.
«
Supponiamo che io non ti uccida, saresti disposta a fare tutto
quello che ti chiedo, quando te lo chiedo e come te lo chiedo, senza
remore e
senza opposizioni? »
le
domandò piegandosi verso di lei «
Tieni presente che se la tua risposta è negativa,
sarò costretto a sbarazzarmi
di te ».
Arte
della persuasione. Non tutti ne erano in possesso; lui sì.
«
Mi dai la tua parola che non mi ucciderai? »
«
Dubiti
dell’onestà di un vampiro? »
sogghignò Damon «
Presentati tra due giorni al Billy’s,
è un locale, si trova a Brooklyn. Concluderemo il nostro
patto. E non bere più
tè alla verbena »
le
ordinò puntandole un dito contro.
Esattamente
come la prima volta in cui si erano incontrati, Charlie rimase sola nel
vicolo.
Rilasciò quasi inconsapevolmente un lungo sospiro, mentre i
suoi nervi si
sciolsero lentamente scaricando la tensione accumulata.
Si
mise a
correre, via da quella strada, via da Greenwich Village. Aveva appena
scoperto
l’esistenza del regno sovrannaturale, ma poteva
già immaginarsi in che casino
si fosse cacciata.
Da
lontano, due occhi azzurri non si persero neppure un movimento. Damon
non poté
trattenere un moto di soddisfazione per la sua nuova conquista.
Quel
13
luglio del 1977 non fu un giorno funesto proprio
per tutti.
Il
mio
spazio:
È
arrivato infine il secondo capitolo. Purtroppo ci metto sempre qualche
settimana ad aggiornare. Ho altre storie in corso e tra un mesetto
cominceranno
gli esami e sarà un delirio. Scusatemi in anticipo per i
disastrosi ritardi.
Avete
il
secondo incontro tra Damon e Charlie! Spero davvero di non essere
andata fuori
personaggio con Damon.
Può
sembrare che si sia subito addolcito, ma vi prometto che non
è così. Charlie lo
incuriosisce, niente di più. È stato smosso dal
pensiero di Stefan, questo sì.
Lo trovo verosimile dato che nella serie tv hanno ribadito
più e più volte
quanto Damon tenga al fratello.
Di
Charlie non sappiamo ancora niente. Inizieremo a scoprire di
più dal prossimo
capitolo; vi avviso, però, che la troverete molto
più normale di quanto sia
apparsa fino ad ora. Spero che non rimarrete deluse.
Il
blackout del 13
luglio 1977 è un fatto realmente accaduto. Ci sono
stati davvero
saccheggi nei quartieri più periferici e a Greenwich Village
si è festeggiato
tutta notte.
Anche
le
informazioni che ho dato sul figlio di
Sam sono vere, ma non entrerò più
così nei dettagli. Non vorrei diventasse
troppo macabro.
La
canzone è New York State of Mind di
Billy Joel, apparsa per la prima volta nell’album Turnstiles nel 1976.
Se
non
sbaglio, nella puntata 4x17 non viene detto dove si trova precisamente
il bar
di Will. Ho ipotizzato che si trovasse a Brooklyn, un po’ per
questione di
comodità dato che anche Charlie vive lì, un
po’ perché mi sembrava il distretto
più adatto al tipo di locale.
Ringrazio
infinitamente le ragazze che hanno commentato il primo capitolo e tutti
coloro
che hanno letto e inserito la storia tra i preferiti e seguiti!
Mi
auguro
che vi sia piaciuto questo capitolo. Lasciatemi un commentino e mi
farete molto
felice!
Alla
prossima,
Fran;)