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Autore: Tsu_Chan    05/05/2013    6 recensioni
Ho amato i tuoi occhi dal momento in cui li ho incrociati la prima volta e ora li potrei riconoscere ovunque: nel buio, nel dolore e nel tormento, nello sbaglio e nella gioia... Anche dietro ad una maschera rossa, anche quando tu non ti vuoi far riconoscere da me...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Castiel, Nuovo personaggio, Rosalya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il pomeriggio stava già finendo quando la mia compagna mi concesse una pausa dallo shopping sfrenato: in due ore era riuscita a comprarsi una quantità sproposita di dolciumi al cioccolato, due boccette di profumo, due smalti e una matita decorata da appariscenti piume rosa. Va bene che era stata una mia idea lo shopping per combattere la tristezza ma lei stava praticamente dando fondo a tutti i suoi risparmi. L’unico acquisto che trovai sensato fu quello di una lavagnetta cancellabile da poter appendere alla porta della nostra stanza per scriverci i nostri nomi. Finalmente non avrei più rischiato di dimenticare il suo nome! Era un oggettino parecchio carino, con una cornice di legno in cui era stati intagliati dei fiorellini e dei tralci di vite e un contenitore riempito di foglietti rosa che, nel caso qualcuno avesse avuto bisogno di noi e ci avesse trovato in camera, avrebbe potuto usare per lasciarci un messaggio.
“Che colore vuoi usare per scrivere il tuo nome?” mi domandò posandomi davanti i pennarelli che avevo comprato insieme alla lavagnetta e sorseggiando il the freddo che aveva ordinato.
Ci eravamo fermate in un baretto con dei graziosi tavolini di ferro battuto sistemati sul marciapiede e avevamo ordinato qualcosa da bere per poterci rilassare un poco e dare una tregua ai miei piedi che, chiusi negli stivali dalla mattina, iniziavano a chiedere pietà.
“Il nero va benissimo…” tolsi il tappo al pennarello e scrissi il mio nome in corsivo inglese nella parte più bassa della lavagnetta accostandogli anche il disegno di alcuni ingranaggi di orologio simili a quelli del mio tatuaggio.
“Io invece voglio l’arancione e il rosso! Anche il giallo e il verde!” tolse il tappo a tutti i pennarelli e si mise d’impegno a scrivere il suo nome facendo in modo che ogni lettera fosse di colore diverso. Quando ebbe finito allontanò leggermente il capo e, con sguardo critico, si mise a rimirare la nostra opera.
“Oserei dire che è parecchio carino…” sorrisi dandole una gomitata “Camille.”
“Sai che è la prima volta che mi chiami per nome! Iniziavo a pensare che lo avessi dimenticato!” scherzò lei senza poter immaginare quando in realtà avesse ragione.
“Mi fa semplicemente strano chiamare le persone per nome quando si è solo in due.”  Svuotai il fondo della mia lattina di cola e la gettai in un cestino li vicino. “Cosa vuoi fare ora? Tornare a scuola?”
“Ma è ancora presto per tornare a scuola!” mi disse lei saltando in piedi e caricandosi in spalla la sua borsa “C’è ancora un negozio dove voglio andare, anche se non ho più nemmeno un soldo…”
“Andiamo in questo negozio allora. Poi però torniamo a scuola” mi alzai a mia volta e tirai su da terra i restanti pacchetti e la mia tracolla nera  “Stasera ho da fare e sono già parecchio stanca.”
“Un appuntamento?” mi domandò lei saltellando e lanciando urletti di gioia.
“Non lo chiamerei proprio così e, visti gli ultimi eventi, ne farei anche a meno ma sono stata incastrata.”
Ci avviamo lungo la strada che procedeva leggermente in discesa verso la via principale piena di negozi .
“Posso chiederti chi è il ragazzo che è riuscito a obbligarti a uscire con lui? Conoscendoti non sembri una che si fa comandare a bacchetta…”
“Per piacere non ne discutiamo.” Inclinai la testa da una parte e storsi le labbra “Ti basti sapere che mi ha fatto un favore e che per ricambiare mi ha chiesto di accompagnarlo questa sera.”
“Ti ha preso per una escort per caso?” scherzò lei scoppiando a ridere e accelerando il passo fino ad arrivare a saltellare “Dai dimmi chi è! Uno della tua classe? Per forza non ti ho mai visto parlare con nessun’altro… “
“Sul serio non indagare, potresti pentirti di quello che scoprirai e rimanere shockata a vita.” Le afferrai un braccio per farla rallentare, non avevo abbastanza forze per mettermi a correrle dietro.
“CASTIEL! Ne sono sicura è lui!” esclamò lei frenando di colpo e facendo un salto più alto degli altri. Deglutii con forza e mi ritrassi come se mi stesse puntando contro una pistola.
“Che cosa TE-NE-RA!” continuò alzando sempre di più il volume della voce, così tanto che alcune persone che passavano sull’altro lato della strada  si girarono a guardarci e si misero a scuotere la testa  “Siete così teneri! State benissimo insieme! AAAAAAH-“
“E smettila! Ci stanno guardando tutti!” Strinsi con forza i pungi mentre mi sentivo arrossire come un peperone; sentirmi dire che stavo bene insieme a Cas era un colpo troppo duro da sopportare quando, solo quella mattina ero venuta  a sapere che le piaceva un’altra. “Cosa ti fa pensare che non si tratti di Lysandro invece?”
“Lui è troppo cortese per costringerti a uscire con lui. Probabilmente Lysandro te lo avrebbe chiesto presentandosi alla porta con un mazzo di fiori e poi, diciamocela tutta, tutti sanno che a lui piace Rosa!”
“Per l’amor del cielo smettila mi fai vergognare! E poi non è vero che a Lys piac…” qualcuno mi interruppe mettendomi una mano sulla spalla e stringendola leggermente.
“Non vi ha insegnato nessuno che non si parla delle persone quando non sono presenti ?” sospirò Lysandro corrugando la fronte come suo solito “Non è una cosa delicata.”
“Non lo fare più!” lo ripresi mentre tentavo di calmare il cuore che aveva iniziato a battere all’impazzata per lo spavento “Potevo rimanerci secca.”
“Perdonami, non era mia intenzione spaventarti.” Mi lasciò andare e saluto con un cenno del capo Camille “Che ci fate da queste parti ragazze? Shopping?”
“Sì, stavamo appunto per andare al negozio di tuo fratello!” disse trattenendo le risate lei.
“Che coincidenza, devo andare li anche io.” Ci mostrò la borsa piena di rotoli di tessuti che teneva in mano “Leigh mi ha mandato a comprare altre stoffe. Vi accompagno se volete.”
Ci incamminammo affiancati occupando tutto il marciapiede tanto nel senso opposto al nostro non si vedeva arrivare nessuno. Non dovemmo camminare molto però perché il negozio del fratello di Lys era appena un paio di traverse più in la del punto dove ci trovavamo. Il ragazzo ci tenne educatamente aperta la porta e attese che fossimo entrate entrambe prima di chiudersi la porta alle spalle e dirigersi verso il bancone del negozio per depositare la borsa con i rotoli di tessuti multicolore. Si mise a discutere con un ragazzo di poco più alto di lui con lucidi capelli neri e vestito di tutto punto; non serviva un genio per comprendere che si trattava del fratello, anche se di faccia non si assomigliavano più di tanto. Leigh aveva un volto molto più affilato rispetto a Lysandro.
“Come mi sta questo?” da uno dei camerini, con indosso un corto vestitino viola e bianco, salto fuori Rosa “Non pensate che lo scollo sia un po’ eccessivo?”
Appena mi puntò gli occhi addosso prese la rincorsa e mi gettò le braccia al collo con trasporto “Mira! Sei venuta ad aiutarci anche tu, che bello! Ho visto un vestito che farebbe proprio al caso tuo. Leigh hai avuto una grande idea a chiedere a lei.”
“Rosa frena il cavallo” la riprese scherzoso Leigh, staccandomela di dosso per abbracciarla a sua volta “La vostra amica non è qui per farmi da modella, è solo di passaggio.”
“Scusa sono solo di passaggio. Ho accompagnato Camille a fare un po’ di shopping tutto qui.” Mi sbrigai a spiegare anche se non compresi subito perché Rosalya pensava fossi li per fare da modella.
“Camille?” mi domandò lei stupefatta, agitandosi tra le braccia di Leigh per sistemarsi la spallina del vestito che le era caduta giù lungo il braccio “La tua compagna di stanza?”
“Sì, proprio lei. Non credo che ci fermeremmo molto, vero Camille?” mi voltai a cercare la mia compagna che stava frugando con insistenza tra una serie di abiti ben allineati. Forse pensava di trovare un tesoro.
“Cosa? Sì sì non ci fermiamo molto.” Estrasse uno degli abiti e lo mostro a Leigh “Posso provare questo?”
Lui le fece un cenno con la testa e lei si gettò dentro un camerino lanciandomi contemporaneamente la sua borsa.
“Forse ci fermiamo un po’ più del previsto…” sospirai appoggiando a terra in un angolo tutte le borse delle quali ero stata caricata.
“Se ti devi fermare allora prova qualcosa!” insistette Rosa prendendomi per un braccio e trascinandomi vero un camerino libero “Lys prendi il vestito blu elettrico, quello col taglio svasato, e gli stivali color panna, quelli alti.”
“Non credo che sia il caso…” tentai di lamentarmi ma venni spinta di forza nel camerino e mi vennero piantati in mano abito e scarpe prima che potessi dire altro. Mi chiusero la porta del camerino in faccia ed iniziarono a parlottare dall’altra parte.
“Va bene dato che sono qui…” appesi l’abito ad un appendino posizionato accanto ad uno stretto specchio ed iniziai a cambiarmi togliendomi prima gli stivali, poi i pantaloni e la maglia di Castiel che non mi ero ancora convinta a cambiarmi. Li sistemai il più ordinatamente possibile sullo sgabello che avevo di fronte e mi infilai il vestito scelto da Rosa. Era ridicolmente corto e la stoffa del corpetto a mono spalla lasciata drappeggiata morbida creava uno scollo insostenibilmente profondo così tanto che, il mio tatuaggio solitamente parzialmente coperto, era totalmente visibile. Sospirando iniziai l’intricato lavoro dell’infilarmi gli stivali; con tutti quei lacci e ganci mi ci vollero dieci minuti buoni per riuscire ad allacciarli come si deve. Guardandomi allo specchio stentai a riconoscermi: scollo e mini non erano proprio da me, per niente.
“Ti sei cambiata Mira?” mi domando Rosa dall’altra parte della porta del camerino “Puoi uscire?”
“Io esco ma non voglio sentire commenti…” sbuffai aprendo la porta tenendo gli occhia puntati a terra. “Mi sento praticamente nuda e questi tacchi sono dei trampoli. Cosa pensavi di fare Rosa, di attentare alla mia vita? Per mia fortuna sono abituata a portare i tacchi altrimenti sarei già ruzzolata a terra.”
“Ma stai benissimo!” mi urlò nelle orecchie Camille che era ricomparsa dal suo camerino con indosso un abito bianco a pois neri  ornato da una cintura di pizzo nero “Non ti avevo mai visto vestita così bene!”
“Non scherziamo per piacere…” mi voltai di nuovo a guardarmi nello specchio e storsi il naso “Continuo a pensare di essere troppo poco vestita.”
“Metti questo…” mi disse Lys comparendomi accanto con un giubbottino di pelle color crema, simile agli stivali e sorridendomi dolce. Quando sorrideva in quel modo non potevo far altro che ubbidirgli come una bimba ai genitori. Mi infilai il giubbetto e, anche se era così corto da non arrivarmi alla vita, mi copriva le spalle quel tanto che serviva a farmi stare più tranquilla.
“Ti sta veramente bene.” Mi disse ancora porgendomi la mano per invitarmi a fare un giro su me stessa per farmi vedere meglio “Non è una cosa che ti si vede solitamente addosso ma è un piacevole cambiamento. Ci fai un pezzo di passerella?”
“Non credo che sia il caso, chiedilo a Camille…”
“Non lo fai nemmeno se ti dico che mi farebbe incredibilmente piacere?” mi incalzò Lys assumendo la sua miglior espressione innocente e facendo brillare gli occhi. Non so che superpotere avesse ma era capace di quando si impegnava gli occhi gli brillavano come quelli di un cerbiatto facendolo apparire come la reincarnazione dell’innocenza.
“Odio quando usi questo trucco, lo sai Lys?” rizzai la schiena e, come mi era stato insegnato anni prima durante delle noiose lezioni di postura imposte da mia madre, feci avanti e indietro per il piccolo corridoio che divideva in due il negozio con passi lunghi e ancheggiando leggermente.
“Felice?” domandai a Lys quando tornai al punto di partenza.
“Sì può sapere dove hai imparato a sfilare in quel modo?” mi domandò Leigh avvicinandosi e chinandosi come se mi stesse per rivelare un segreto scottante “Dubito che sia talento naturale il tuo, prima camminavi con la grazia di un muratore.”
“Ho avuto dei genitori strani; mia madre si divertiva, e si diverte in realtà, a farmi indossare di tutto di più e a fotografarmi.” Sorvolai sul fatto che mi avesse appena dato del muratore solo perché lo avevo appena conosciuto e mi sembrava poco delicato rispondere a tono. “In realtà lo ha fatto anche con i miei fratelli. In casa abbiamo un intero corridoio tappezzato di quelle foto… umiliante.”
Il flash di una macchina fotografica mi fece perdere il filo del discorso e il la vista per un paio di secondi. Quando la ripresi tentai di saltare addosso a Rosalya che mi guardava sorridendo impugnando una pesante macchina fotografica professionale. “Adesso mettiti vicino a lei. Ve ne faccio una insieme!”
Iniziò a scattare a ripetizione una sequela enorme di foto.
“Queste foto sono perfette per il catalogo!” esclamò felice tra uno scatto e l’altro “Per fortuna che siete passate!”
Ci vollero parecchi minuti prima di convincerla a smetterla e defilarmi nel camerino per rimettermi i miei vestiti civili e i miei stivali che, dopo i tacchi, mi sembrarono comodi come ciabatte. Intanto che mi cambiavo però mi resi conto che effettivamente vestita in quel modo stavo bene, che i colori mi donavano e, come molto donne quando provano dei bei vestiti, una vocina nel mio cervello si mise ad urlare ‘Compra tutto! Compra tutto!’. Provai ad ignorarla ma, appena misi piede fuori del camerino e vidi che Camille mi stava già aspettando fuori dal negozio in compagnia di Lys quella vocina si era tramutata in un coro da stadio assordante. Tentai di combattere per un po’ ma prima che potessi rendermene conto ero davanti alla cassa con in mano la mia carta di credito per le emergenze, un gentile regalo di uno dei miei fratelli che, conoscendomi, sapeva perfettamente che prima o poi mi sarebbe venuta voglia di comprare qualcosa di fuori budget e che i soldi che ricevevo ogni settimana non si sarebbe bastati. Era una carta con un tetto di speso abbastanza elevato, non mi aveva detto quanto, ma aveva insinuato qualcosa come ‘Potresti comprarti una piccola utilitaria’ per ciò immagino che fosse abbastanza elevato.
Leigh che stava alla cassa guardò sorpreso la carta di credito, decisamente fuori posto in mano a una della mia età.
“Niente domande, il conto non è mio, mi è stato solo accordato il permesso di addebitarvi le mie spese extra.” Gli spiegai guardandomi intorno per assicurarmi che nessuno degli altri tre ci stesse guardando “Mi faresti un grande piacere se non ne facessi parola con Lys e Rosa.”
“Se è quello che desideri non glielo dirò… Vuoi altro oltre a questi vestiti?” mi disse indicando la scatola di scarpe e il vestito e il giubbotto accuratamente piegati e sistemati in una borsa di carta.
“No, non ho bisogno di altro… ah crepi l’avarizia! La mia compagna ha comprato qualcosa di quello che ha provato?”
“No, ha detto di aver esaurito i fondi per i prossimi tre mesi.”
“Lo immaginavo, dammi anche quello che avevo indosso lei. Mettili in una borsa diversa per piacere. ” Sospirai afflosciandomi sul bancone, avrei dovuto inventarmi una bella scusa per giustificare una spesa così elevata a mio fratello. Ma se potevo far felice un’amica non importava; mi sarei inventata una bella storia con alieni e invasioni di locuste. Tutti sanno che le invasioni di locuste si possono evitare vestendosi bene con abiti nuovi.
“Bene, sono…”
“Ti prego non dirmelo o mi mangio le mani…” afferrai le due borse di carta e ripresi la carta di credito dalle mani di Leigh “Senza offesa ma se ogni volta si spende così tanto nel tuo negozio, cosa giustificata vista la qualità degli abiti, non tornerò mai più. Rischierei di indebitarmi…”
Leigh non sembrò aver inteso la mia battuta perché corrugò la fronte nello stesso modo in cui lo faceva solitamente Lys. “Lascia stare. Ti ringrazio. A presto Leigh!”
Sollevai tutte le mie borse e, aprendo la porta del negozio con la schiena, raggiungi gli altri due ragazzi che intanto si erano messi a discorrere tra di loro tranquillamente.
“Scusate il ritardo!” li interruppi avvicinandomi a Camille e porgendogli la borsa con i vestiti che avevo comprato per loro.
“Che cos’è?” domandò lei infilandoci dentro tutta la testa per poterne studiare meglio il contenuto.
“Un regalino, mettiamola così…” le dissi sorridendo tra me e me. Poche cose mi rendevano felice come fare un regalo ad una persona.
Quando lei sollevò la testa dalla borsa aveva gli occhi lucidi e le guance così rosse da sembrare due ciliegie “Davvero è tutto per me?”
“Certo, per chi altrimenti! Per Lysandro?” le risposi girandomi a guardare Lys “Senza offesa ma non credo che minigonna e ballerine ti donino molto.”
“Per fortuna non mi donano per niente…” scherzò lui allungando una mano per aiutarmi a rimanere in piedi quando Camille mi saltò al collo ridendo e lanciando urletti di gioia.
 
Avendo ancora un paio di ore libere prima dell’appuntamento con Cas ne approfittai, una volta tornate in dormitorio ovviamente, per farmi una doccia e concedermi una lunga e curata sessione di trucco e parrucco. Mi aveva sfidato, dicendomi di vestirmi bene no? E allora io lo avrei accontentato.
Passai un tempo incalcolabile a piastrarmi i capelli, anche se madre natura mi aveva fatto l’incredibile dono di una chioma già liscia di per sé, e a pettinarmeli. Mi raccolsi la coda così stretta da far male,  intrecciai alcune delle ciocche più lunghe con dei nastri d’argento che mi prestò Camille creando due lunghe treccine, mi sistemai il ciuffo con un paio di forcine dello stesso colore e, per assicurarmi di mantenere l’acconciatura in posa, mi feci praticamente una seconda doccia con la lacca.
Quando l’aria tornò respirabile, perché tutti sanno che la lacca può soffocare se non ci si fa attenzione, mi truccai di tutto punto e mi vestì con ciò che avevo comprato nel pomeriggio, aggiungendo al tutto una vecchia tracolla di tela bianca che mi ero portata da casa su cui campeggiava la stampa di una rosa rossa.
Abbastanza soddisfatta di me stessa e, mandando maledizioni all’inventore dei tacchi alti, lasciai Camille in camera a spulciare uno dei vecchi libri che aveva nascosto nei suoi cassetti, chissà perché, e mi avviai all’appuntamento con Castiel.
Ero determinata a fargli cadere la mascella dallo stupore ma quando arrivai davanti al cancello della scuola l’unica presenza a tenermi compagnia era quella di un lampione stradale. Eppure era stato proprio Castiel a fissare l’appuntamento per le 21:00. Se si fosse permesso di arrivare in ritardo anche di soli cinque minuti, giuro, avrei alzato i tacchi e sarei tornata in camera mia, mi sarei buttata a letto e avrei guardo un film d’azione scadente in tv.
Per sua fortuna, e mio disappunto, indossavo i tacchi da meno di cinque minuti e già volevo togliermeli, un taxi mi si fermò di fronte e lui infilò la testa fuori dal finestrino per chiamarmi.
“Ma come ti sei vestita!” mi domandò aprendo in contemporanea la portiera per farmi entrare.
“Tu mi hai detto di vestirmi bene e io l’ho fatto.” Mi infilai nella macchina e mi chiusi lo sportello alle spalle, per non dover tenere la borsa in braccio la sbattei addosso a Cas “Adesso non ti lamentare se ho fatto come mi hai detto. E non osare dire che sto male vestita così.”
“Non è che stai male…” rispose lui ridacchiando e tentando di divincolarsi dalla mia borsa “Sei solo strana.”
“Che nel tuo gergo da vero gentiluomo significa che non mi si può guardare?” nel frattempo il taxi aveva già ripreso la sua corsa, probabilmente Cas gli aveva già comunicato tutto l’itinerario da seguire.
“Vuoi proprio sentirmi dire che stai bene vestita così?” sbottò lui poggiando un gomito sulla portiera e voltandosi per guardare fuori dal finestrino “Allora, sì. Stai molto bene vestita così. Sei felice?”
“Mi aspettavo qualcosa di più di bene ma posso accontentarmi… per ora.” Mi voltai anche io a guardare fuori dal finestrino per cercare di capire dove fossimo diretti ma, inutile dirlo, non avevo idea di dove ci trovassimo “Allooooraaa… dove stiamo andando?”
“C’è un locale sulla spiaggia dove fanno musica dal vivo. Stasera suona una band di amatori di cui ho sentito parlare molto bene e voglio andare ad ascoltarli.” Mi spiegò lui producendo un rumore raspante con il giubbotto quando cambiò posizione sul sedile rivestito di plastica.
“Avevi bisogno della scorta per andare ad assistere ad un concerto?” gli domandai scettica, iniziando già a domandarmi quanto mi sarebbe venuta a costare la serata e se sarei dovuta ricorrere per la seconda volta in un giorno alla carta d’emergenza. Se l’avessi usata di nuovo mio fratello mia avrebbe strozzata usando la sua stessa cintura, ne sono certa…
“Non ho bisogno della scorta.”  Rispose lui allungando una mano e accarezzandomi la coda di capelli “Solo che se si entra in coppia il biglietto tutto costa la metà.”
“Sei pregato di non toccarmi i capelli…” lo fulminai, sorvolando sul fatto che volesse usarmi per risparmiare qualche soldo “Non hai idea di quanto tempo mi è servito a sistemarmi.”
Senza aggiungere altro lui ritrasse la mano e se ne stette in silenzio per tutto il resto del viaggio in taxi.
Fuori dal finestrino scorrevano veloci i lampioni che già si accendevano lasciando cadere fasci di luce arancione sulla strada e sui passanti. Non era un gran spettacolo in verità così dopo pochi minuti mi annoiai e tornai a concentrarmi su Cas.
“Com’è andata oggi?” gli domandai studiando il suo profilo illuminato da flash arancioni. Di profilo era tutto angoli e spigoli, le labbra imbronciate e la fronte aggrottata, i capelli malamente tirati indietro con una mano e gli occhi che vagavano nell’immensità fuori dal finestrino. Aveva un gomito appoggiato al finestrino e il volto poggiato sulla mano in una posa meditabonda.
“Com’è andata cosa?” mi domandò voltando solo gli occhi verso di me e facendo scorrere lentamente lo sguardo lungo tutta la mia figura. Se l’abitacolo del taxi non fosse stato un continuo gioco di chiaro scuro e di colori a causa delle luci che provenivano dal di fuori mi sarebbe stato complicato nascondere il mio rossore.
“Sei o non sei uscito con i tuoi oggi?” gli domandai togliendomi il giacchetto di pelle e appoggiandomelo sulle ginocchia, faceva troppo caldo nel taxi per poterlo indossare “Com’è stato, era un po’ che non li vedevi no?”
“Come vuoi che sia andata. Come al solito.” Sbuffò lui riportando la sua attenzione sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Una volta passati gli ultimi edifici oltre la portiera dell’automobile aveva iniziato a delinearsi la costa e il mare già nero e leggermente mosso.
“Io gli ho raccontato come va a scuola, loro mi hanno raccontato dei loro viaggi d’affari.” Iniziò a raccontare alzando una mano verso il cielo “Abbiamo mangiato insieme, siamo andati a fare due passi al parco e poi a vedere un film.”
“Non ne sembri entusiasta…” constatai notando che più parlava più la fronte si aggrottava “Anzi sembri infastidito.”
“Mi sono semplicemente stufato.” Mi rispose Cas socchiudendo gli occhi e voltandosi verso di me “Andiamo avanti così da anni; ci vediamo una volta ogni tanto, giochiamo alla famiglia felice e poi ognuno per la propria strada.”
“Ti capisco.” Provai ad allungare una mano per accarezzargli una spalla ma era di così pessimo umore che mi scrollò via malamente.
“Cosa vuoi capire!” esclamò lui lanciandomi un’occhiata di fuoco “Tu hai una famiglia praticamente perfetta, no? Hai dei fratelli che ti amano e che ti proteggono, sei lontana da casa ma i tuoi ti chiamano ogni giorno per sapere come stai…si ricordano che ci sei”
“Pensi che i tuoi non si ricordino di te?” gli domandai accostandomi a lui e afferrandogli la mano che stringeva a pungo appoggiata alla gamba. Decisi di sorvolare ancora sulla mia famiglia che, come tutte le famiglie, non era affatto perfetto… anzi. “Cas sei un ragazzo troppo speciale perché ci si possa dimenticare di te.”
“Tu ti dimenticheresti di me.” Disse spostando lo sguardo da me alle nostre mani appoggiate una sull’altra “Ti basterebbero pochi giorni senza vedermi per scordarti di me. L’unico di cui potevo fidarmi era Lys ma, da quanto è successo negli ultimi giorni, inizio a dubitare anche di lui.”
“Devi avere più fiducia in me e, soprattutto, in Lysandro. Questo pomeriggio gli ho parlato e sembrava soffrire parecchio per quello che sta succedendo tra di voi di recente. Cas non permettere che una ragazza rovini il rapporto con il tuo migliore amico.” Gli dissi abbassando leggermente la voce, rendendomi conto solo in quel momento che il taxista stava ascoltando tutta la nostra conversazione.
“Cosa? Come fai a sapere che…”
“Me lo ha detto Lys.” Ammisi capendo immediatamente di che cosa stava parlando.
“Perché te lo ha detto! Non è un suo diritto spargere in giro le cose che gli confido.” Con un veloce movimento della mano mi afferrò il polso destro e lo strinse con forza, facendomi scappare un singulto.
“Me lo ha detto perché non sapeva più come gestire la situazione. Lys è più fragile di quello che sembra, non lo capisci? Aveva bisogno di parlare con qualcuno e…” non provai nemmeno a ribellarmi alla sua presa consapevole che lo avrebbe spinto solo a stringere più forte.
“Ma tra tutte le persone, tra tutte le ragazze, proprio a te doveva dirlo?”
“Lui sa di potersi fidare di me, e anche tu lo puoi fare, idiota… Pensi che andrò ad urlare ai quattro venti che a Castiel piace una ragazza? Mi credi così superficiale?” mi morsi un labbro per ricacciare indietro le lacrime di dolore “Lys ti è fedele, non mi ha nemmeno voluto dire chi è questa ragazza per non tradire la tua fiducia, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno.”
“Non ti ha detto chi è?”
“No! Per l’amor del cielo lasciami!” spalancando gli occhi allentò la presa sul mio polso un poco alla volta fino a lasciarmi di nuovo libera.
Nei punti dove le sue dita mi avevano stretto c’erano dei segni rossi e sentivo la pelle ustionare ma non era grave. In pochi minuti sarebbe tutto sparito.
“Scusami… io… non…” provò a farfugliare fissandomi mentre mi massaggiavo il polso con gli occhi grandi come quelli di un cucciolo “Non ho mai fatto male a una ragazza… non volevo… non intendevo…”
“Non ti preoccupare.” Gli sorrisi tornando a fissare fuori dal mio finestrino “Hai avuto una giornata pesante e hai i nervi a fior di pelle. Ti ho provocato, sapevo che dirti quel che ho detto ti avrebbe fatto reagire. Me la sono cercata.”
Sorprendendomi lui si fece più vicino e, chinandosi in avanti, allungò una mano a sfiorare la pelle del mio avambraccio. Vederlo e sentirlo così vicino mi fece venire i brividi: non eravamo mai stati così vicini l’uno all’altra. Avevamo camminato insieme ed eravamo compagni di banco ma avevamo sempre mantenuto una certa distanza minima limitando i contatti fisici agli spintoni e agli schiaffi amichevoli. Ma quello era differente…
Istintivamente quando mi prese tra le mani il braccio e se lo tirò vicino mi irrigidii. Potevo anche dire che non mi importava ma, la sua reazione violenta di poco prima, mi aveva scossa. Con tutta la gentilezza che le sue belle mani potessero avere si avvicinò il mio polso al volto e vi poggiò sopra le labbra. Non mi stava baciando la mano, semplicemente vi si appoggiò ed iniziò a sfiorarmi la pelle come avrebbe potuto fare con le dita. Solitamente ad una cosa del genere mi sarebbero esplosi dei fuochi d’artificio del cervello invece, dopo che i privi brividi si furono placati, non sentii più nulla. L’unica cosa che dava movimento all’immobilità di quell’attimo era la luce che andava e veniva dei lampioni in strada.
 
Passarono parecchi minuti di immobilità totale prima che il taxista accostasse davanti all’ingresso di un locale e, dimostrandosi parecchio cortese, scese per aprirmi la portiera. Il pensiero che quell’uomo sconosciuto fosse in macchina e avesse assistito alla sfuriata di Cas non so perché ma mi metteva in imbarazzo per ciò, lo salutai chinando il capo e mi allontanai insieme a Castiel.
“Non lo paghi?” gli domandai standogli appena un passo indietro.
“I miei lo hanno pagato per scarrozzarci in giro tutto il giorno.” Disse aprendo la porta del locale e facendomi entrare prima di lui “Dopo tornerà a riprenderci…”
Castiel se ne stava in piedi mogio e adombrato in attesa che un cameriere ci indicasse un tavolo libero dove poterci sedere: per assurdo mi ricordava uno stallone che mi era capitato di montare molti anni prima. Prima faceva il diavolo a quattro e poi si ritirava in un angolino a fissare il pavimento con lo sguardo cupo.
Pensandoci bene erano parecchi mesi che non andavo più a cavalcare e la cosa mi mancava, ma non era quello il momento di pensare a cose del genere!
Per distrarmi mi voltai a studiare la locandina affissa all’ingresso del locale dove veniva sponsorizzato lo spettacolo live di quella serata e per poco non svenni. Bianca come un cencio mi appoggiai a Castiel per evitare di cadere facendolo spaventare.
“Che hai?” mi domandò voltandosi e afferrandomi un gomito per sorreggermi “Non ti senti bene?”
“Cas non c’è un altro locale dove possiamo andare?” provai a domandare senza staccare gli occhi dalla locandina.
“A quest’ora è impossibile trovare un altro posto e poi qui ho una prenotazione e…” si chinò per guardarmi in volto e poi studiò a sua volta la locandina “Beh, non è la locandina più bella che io abbia mai visto ma non c’è bisogno di starci male.”
Ciò che mi aveva turbato nella locandina non era tanto il suo design, decisamente discutibile e di poco gusto, ma per di più i nomi dei ragazzi che avrebbero suonato quella sera. Alcuni di loro li riconobbi subito, erano persone che conoscevo da molto tempo e con cui avevo studiato fino all’anno precedente.
“Cas non voglio che questa gente mi veda…” mugugnai seguendolo e nascondendomi dietro le sue spalle fino al divanetto che ci era stato riservato.
“Conosci la band?” mi domandò lui ordinando subito qualcosa da bere.
“No…sì… cioè… non sono persone che ci tengo ad incontrare ora.” Mi nascosi nell’angolo più buio del divanetto lontano da Cas e dalla gente che passeggiava per il locale “Se Ren mi vede qui… oh rovinerà tutto!”
“Dimmi che sta succedendo.”  Mi disse risoluto Cas con un tono che mi fece capire che non era una domanda ma una pretesa.
“Ren è un mio amico d’infanzia, frequentavamo lo stesso conservatorio prima che io beh… venissi sbattuta fuori l’anno scorso e…” con circospezioni mi lanciai un’occhiata in giro. “Non è importante ora, se mi vede qui rovinerà tutto. Perderò la mia scommessa, perderò la mia unica possibilità…”
“Frequentavi un conservatorio? Ti hanno buttata fuori?” chiese ancora Cas poggiando i gomiti sul tavolo e illuminandosi di curiosità.
“Ti focalizzi sempre sulle cose sbagliate!” gli urlai contro “Non mi deve vedere…Oddio eccolo che arriva!”
Afferrando la prima cosa che avevo a portata di mano mi buttai il mio stesso giubbottino di pelle in testa e mi raggomitolai per farmi il più piccola possibile. Castiel poteva anche trovarlo divertente ma per me era una cosa seria. Conoscevo Ren da quanto eravamo piccoli, i nostri genitori erano amici di lunga data ed eravamo cresciuti giocando insieme. Avevamo frequentato sempre le stesse scuole, avevamo studiato con gli stessi insegnanti, fatto le stesse cose sempre insieme eppure in quel momento, conoscendo la sua boccaccia, avrebbe potuto rovinare la mia unica possibilità di essere libera.
Ma non era il momento di pensare a questo e poi, non mi sento ancora pronta per raccontarvi quello che mi stava succedendo in quel periodo, cosa nascondevo.
Sbirciando fuori da sotto il mio giubbotto adocchiai Ren tra la folla: non era cambiato da quando lo avevo visto l’ultima volta, prima dell’estate. Era alto, muscoloso e flessuoso, era sempre stato un buon giocatore di basket in fondo, e aveva gli stessi lunghi capelli biondi ondulati. Stava discutendo con una ragazza che avevo già visto in passato quando frequentavo il conservatorio ma in quel momento il suo nome mi sfuggiva.
Credo che fu per un puro caso che Ren si voltò a guardare nella mia direzione: un suono forte alle mie spalle ne aveva attirato l’attenzione come un gomitolo con un gatto.
Inizialmente non sembrò riconoscermi, infondo avevo il volto nascosto, ma dopo avermi studiato un po’ vidi la sua espressione tramutarsi in un sorriso sgargiante e leggermente stupido.
“Mira!” esclamò facendo un paio di passi avanti e accostandosi al nostro tavolo “Che fai li sotto, esci!”
“Ti ha beccato…” ridacchiò Cas al di fuori della mio campo visivo.
“Io non sono Mira, mi spiace…” provai a buttare lì raggomitolandomi ancora di più.
“Mira, quando ti vuoi nascondere ti chiudi sempre a pallina pensando così di essere meno visibile, lo fai da quando eri piccola.” Mugugnò Ren allungando una mano per strapparmi il giubbotto di mano “E ti si vede il tatuaggio…”
“Me lo farò strappare…” mugugnai imbarazzata non osando guardare ne Ren ne Castiel in volto.
“Ehy, che luna!” ridacchiò lui congedando la ragazza con cui stava parlando e sedendosi all’altro capo del divanetto semicircolare dove ci trovavamo io e Cas “Non ci vediamo da quasi quattro mesi ed è questo il modo di salutarmi, vecchia strega viziata?”
“Ci va leggero il ragazzo, eh?” scherzò Castiel tirandomi una gomitata e poi porgendo la sua mano a Ren “Io sono Castiel, nel caso ti interessasse saperlo.”
“Il piacere è mio.” Gli sorrise Ren stringendogli la mano con vigore al di sopra del tavolo “Mi chiamo Gabriel ma tutti mi chiamano Ren.”
“Non riesco a trovare un collegamento logico tra Gabriel e Ren…” gli rispose Cas lasciandosi sfuggire una risatina.
“È  una lunga storia, chiedi a Rari di raccontartela.”  Ren si poggiò con i gomiti sul tavolo e mi sorrise “Ma dimmi: non sarai il suo ragazzo? Se lo sei dovrò fare una scenata di gelosia perché Rari è solo mia…”
“No, in realtà sono sol…” provò a spiegare Castiel ma prima che potesse finire la frase lo interruppi bruscamente.
“Fatti gli affari tuoi!” esclamai contro Ren “Che cosa sei venuto a fare? Ti ha mandato mio padre per rovinare tutto?”
Per un attimo Ren tacque e si rabbuio perdendo quell’aria solare che aveva tenuto fino a quel momento: sapevo cosa stava succedendo. Negli anni, per potersi far accettare dagli altri si era costruito una maschera fatta di sorrisi e di simpatia ma, al di sotto di essa, si nascondeva uno stagno torbido di risentimenti e di pessimismo. Si potrebbe quasi dire che soffrisse di doppia personalità.
Voltandomi a guardare Castiel mi resi conto che non stava comprendo nulla di ciò che stava succedendo tra me e Ren. Come poteva capire se non sapeva che io e Ren eravamo legati da un filo molto più resistente della sola amicizia e che io ero praticamente scappata di casa per riuscire a tagliarlo ed essere libera? Come poteva comprendere?
“Tendi a ridurre la situazione ad una disputa fra te e tuo padre.” Disse d’un tratto Ren coprendosi la bocca con una mano “Ma questa tua scommessa, questo tuo giochino, riguarda anche me. Eppure non hai nemmeno chiesto il mio parere.”
“Perché avrei dovuto? Sarai anche coinvolto ma è una mia decisione quella di non volerti…” mi interruppi a metà della frase e mi voltai a guardare Cas. Non volevo parlare di quello, non davanti a lui…
“Non volerlo cosa?” domandò invece lui con gli occhi che brillavano di curiosità.
“Sei mesi lontana da casa, senza poter dire a nessuno il tuo vero nome, senza poter rivelare a nessuno chi sei.” Iniziò a spiegare Ren sogghignando tra se e se al mutamento di espressione di Castiel “Hai scommesso che, anche senza vendere il nome di tuo padre, saresti riuscita a farti degli amici veri e a fare in modo che loro si fidassero di te. Se vinci otterrai il diritto di vivere la tua vita come ti pare, se perdi, e qualcuno scopre chi sei prima dello scadere del termine, dovrai sottoporti al volere di tuo padre.”
“Ren, se osi dire una sola parola di più giuro che te lo farò rimpiangere, amico oppure no.” Mi stavo iniziando ad irritare seriamente. È vero, ero felice che in quel modo Castiel era venuto a sapere parte della verità su di me ma ero anche consapevole che Ren e la sua linguaccia avrebbero tirato in ballo argomenti troppo scottanti.
“Tu stai scommettendo anche sul mio futuro!” mi disse lui lanciandomi un’occhiata di fuoco “E questo non mi va a genio. Sei la mia fidanzata per l’amor del cielo!”
“Tu sei cosa?” Castiel pareva sempre più sconvolto tanto che, per evitare altri scandali, scivolai fuori dal divanetto, mi alzai in piedi e, mezzo sollevandolo, mezzo trascinandolo, obbligai Ren a seguirmi fuori dal locale.
Mentre passavamo in molti ci guardarono male ma la rabbia mi ribolliva nelle orecchie così forte che non vi feci caso. Scostai malamente un cameriere che provò a bloccarmi l’accesso e, tenendo la porta aperta con un piede, usai tutte e due le mani per lanciare Ren fuori dall’uscita di servizio. Lanciarlo è un parolone: visto che era molto più grande di me sembrò per di più che lo stessi gentilmente invitando ad uscire.
Una volta fuori mi misi le mani tra i capelli e mi raggomitolai a terra imprecando tra me e me.
“Dio Ren, quanto odio quella tua linguaccia.” Borbottai chiudendo gli occhi con forza sperando che si trattasse solo di un sogno.
“Ho detto solo la verità.” Biascicò lui infilandosi le mani in tasca ed estraendone un pacchetto di sigarette e un accendino argentato “È  vero che sei la mia fidanzata.”
“Non lo sono. Smettila con questa storia” Con rabbia saltai in piedi e iniziai a camminare avanti e indietro, stare ferma mi era impensabile “I nostri genitori potranno dire il contrario e io potrò volerti un bene dell’anima ma sei tutto tranne il mio fidanzato.”
“Sembra che l’idea di sposarmi ti schifi…” rise lui tirando la prima boccata alla sigaretta, sorreggendola con la mano sinistra. Mi balenò in mente il pensiero che invece Cas teneva la sigaretta con la destra, una cosa inutile in quel momento ma che non potei fare a meno di notare.
“Lo vuoi sapere? Sì mi schifa. Ho messo in piedi tutta questa storia perché l’idea di sposarti mi schifa, perché sapere che sarò obbligata ad ereditare l’attività di famiglia mi schifa, perché sapere che non posso scegliere da sola mi schifa!” iniziai a sputare fuori le parole che da troppi mesi tenevo chiuse dentro “Sono lontana da casa mia, non vedo i miei fratelli da mesi, non abbraccio mia madre da troppo tempo… mi mancano il mio letto, la mia stanza e le mie cose. Mi mancano il mio cane e il mio cavallo e se non fosse per quel ragazzo la dentro…”
Mi voltai e puntai un dito accusatore verso la porta dalla quale eravamo usciti “Se non fosse per Castiel e pochi altri ragazzi sarei abbandonata a me stessa sola come un cane ma lo faccio perché voglio la mia libertà. Perché non posso immaginare di passare la mia vita sposata ad un uomo che non posso amare perché per me è come un fratello. Lo capisci questo? Perché voglio poter scegliere! Non lascerò che ne tu ne mio padre prendiate le decisioni al posto mio.”
“Scusami…” mi disse voltando la sigaretta verso di sé fissandone il rossore incandescente “Tuo padre mi ha chiesto di venirti a trovare per destabilizzarti. Se non ci fossimo incontrati oggi sarebbe successo domani, in pratica. Mi ha chiesto di farti cedere, di farti tornare a casa. Ma…”
“Ma cosa?” gli domandai con rabbia piazzandomi proprio di fronte a lui e scostando la mano con la sigaretta.
“Ma la verità è che non lo voglio fare. Ti ho stuzzicato e per questo ti chiedo scusa, volevo testare fino che punto la tua volontà di arrivare in fondo a questa scommessa fosse forte.” Sorridendo dolce come faceva solo quando eravamo da soli, sollevò la mano libera e mi accarezzò una guancia “Vedo che bruci della tua solita determinazione, il che mi rende felice. Avrei dovuto dirtelo prima. Continua così, lotta anche per me e liberaci da questo vincolo odioso. Sarai anche una bella ragazza ma sposarti fa ribrezzo pure a me.”
Prendendo un lungo sospiro di sollievo mi lasciai cadere in avanti e abbracciai con forza il torace ampio di Ren poggiando il mio orecchio all’altezza del suo cuore. Era proprio alto se anche con i tacchi non riuscivo ad arrivare più in alto. “Siano ringraziati gli angeli è solo una delle tue stronzate… Ora dovrò solo spiegare la questione a Cas.”
“Vuoi che glielo spieghi io? Sai tra maschi ci si intende meglio…”
“Non sia mai. Tu hai una linguaccia orribile e lui è facilmente suscettibile, ne verrebbe fuori un putiferio.” Assaporai con gratitudine il suo profumo, ero così tanto tempo che non lo sentivo. “Dovrò raccontargli molte cose e lui si farà delle grosse risate ma va bene…”
 
 
 
Rientrammo una volta che Ren ebbe finito di fumare la sua sigaretta ma non mi fu permesso di tornare subito da Cas. Praticamente sollevandomi di peso Ren mi portò sul palco dove la sua band era pronta per iniziare a suonare e mi piantò davanti al microfono con l’esplicito intento di farmi cantare. Cantare non era proprio la mia specialità, come sapete lo so fare, ma non sono portata per fare la solista.
Avevo lasciato il mio giubbottino sul divanetto accanto a Castiel ed ora, in piedi sul palco appoggiata al microfono con entrambe le mani,  mi aspettavo di sentirmi nuda e scoperta come nel camerino qualche ora prima. Invece un interruttore scattò nel profondo del mio animo e una voce iniziò ad urlarmi dentro di gioia: “Questo è il tuo posto, questo è il tuo posto nel mondo! Su un palco e il mondo ai tuoi piedi” urlava quella voce nella mia mente e mi faceva sentire perfetta. Come potevo negarlo… il palco era veramente il mio posto, la musica la mia unica possibilità di vita, il pubblico il mio unico vero amico. Suonare nel contesto della scuola era così differente da quello, da quel stare in piedi davanti a uomini e donne di tutte le età che mi guardavano avidi e curiosi.
Mi piaceva suonare con Cas e Lys nel seminterrato, mi aveva fatto piacere suonare il mio violino di fronte alla commissione del club di musica e suonare il piano nell’aula di musica per quei pochi ragazzi in corridoio ma quello era differente.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che lo avevo fatto: pensavo che dopo quello che mi era successo in conservatorio, quell’esame fallito a causa di una sola persona scorretta, non avrei mai più avuto il coraggio di salire su un palco. Mi resi conto che probabilmente anche quella storia l’avrei dovuta spiegare a Cas. Eppure quello era il mio posto e in quel momento solo quello importava.
Mi voltai a guardare Ren che si era appeso a tracolla la sua chitarra classica di legno lucido e gli sorrisi grata, se non fosse stato per lui forse non avrei trovato il coraggio di salire. Mi dispiaceva ammetterlo perché mi ritenevo una persona indipendente e in grado di fare tutto per conto proprio ma lui, quel ragazzone dai capelli lunghi e biondi, era sempre stato alla mia sinistra ed era la mia forza.
“Cosa vuoi cantare?” mi domandò sorridendomi e scostandosi i capelli dal volto.
“Posso davvero scegliere io?” mi sorpresi ma subito mi girai a guardare Castiel che, un po’ imbronciato, se ne stava con le gambe incrociate infossato nel divanetto e a mala pena mi guardava “Facciamo ‘Je Lui Dirai’ allora.”
“Spero che il tuo francese non sia arrugginito…” scherzò lui dando istruzione agli altri ragazzi della band.
“Ho solo cambiato scuola, idiota.” Lo ripresi sorridendo e togliendo il microfono dal suo sostegno “Non sono mica andata a zappare la terra.”
“Sentiremo…Ragazzi.” Battendo il tempo sul pianale di legno del palco Ren diede il ritmo agli altri ragazzi che, come meccanismi ben oliato di un orologio si misero in modo contemporaneamente  e diedero vita alla melodia allegra della canzone.
Sì quello era il mio mondo, io ero una parte di quegli ingranaggi… Quando iniziai a cantare puntai i miei occhi su Cas e non li distolsi per tutto il tempo. Desideravo con tutto il mio cuore che mi guardasse e comprendesse che quella canzone non l’avevo scelta a caso, che l’avevo scelta per fargli capire quello che pensavo di lui, per fargli capire che tutto era a posto.
“Je lui dirai qu'il est né de l'amour
Que nous l'attendions passionnément
Que chaque nuit s'efface au nouveau jour
Qu'il sera grand mais qu'il a bien le temps
Oh dieu qu'il a bien le temps 

Et que la vie l'appelle que le monde l'attend
Que la terre est si belle et le ciel est si grand
Qu'il est beau, que je l'aime, qu'il est ma vie, ma joie
Qu'il est un parmi des millions d'humains
Mais bien l'unique pour moi”

 
Le parole mi vibravano sul fondo della gola facendomela pizzicare piacevolmente. Quando finalmente Cas alzò gli occhi per guardami gli sorrisi ma la strana luce che, anche dalla distanza riuscii a intravedere nei suoi occhi mi fece arrossire e fui costretta a voltarmi dall’altro lato del palco.
Probabilmente notando il rossore delle mie guance e il mio momentaneo imbarazzo Ren mi si avvicinò e, poggiando la sua testa contro la mia, iniziò a cantare insieme a me per ridarmi coraggio, senza però smettere di suonare la sua chitarra di legno chiaro.
Alle prime battute dell’ultimo ritornello Ren si allontanò da me con una mezza giravolta e mi diede la spinta per fare un passo avanti e fronteggiare nuovamente il pubblico. Il volume degli strumenti si abbassò per poter dare più enfasi alle ultime battute.
 
“Je lui dirai qu'un jour une autre femme
Viendra l'aimer et qu'il l'aimera
Que j'en mourrai de bonheur et de larmes
Mais que nous serons là pas après pas
Que c'est la vie et sa loi
 
Et que la vie l'appelle que le monde l'attend
Que la terre est si belle et le ciel est si grand
Qu'il est beau, que je l'aime, qu'il est ma vie, ma joie
Qu'il est un parmi des millions d'humains
Mais bien l'unique pour moi…”
 
Una volta raccolti gli applausi del pubblico, essermi inchinata un paio di volte, sorridendo entusiasta di me stessa, ed aver ringraziato Ren e la sua band per avermi dato la possibilità di suonare con loro tornai al tavolo dove avevo lasciato Cas.
Se ne stava con la testa incassata nelle spalle, le braccia incrociate e un bicchiere di birra scura sul tavolo di fronte a lui fissandolo come un uomo di mezz’età nei film americani fisserebbe un bicchiere di bourbon.
“Allora?” gli domandai sedendomi sul divanetto e facendomi scivolare fino ad accostarmi a lui, nel punto in cui avevo lasciato appoggiato il mio giubbotto.
“La tua erre era troppo forte e in alcuni punti ti sei mangiata delle parole…” sbuffò lui bloccandomi le mani quando tentai di rinfilarmi il giubbotto e prendendolo tra le sue .
“Non intendevo la canzone, idiota. Mi aspettavo domande a raffica su quello che io e Ren ci siamo detti prima.” Grata che il cameriere avesse finalmente portato le nostre ordinazioni afferrai il mio bicchiere e sorseggiai il the freddo che Cas mi aveva ordinato.
“Ho molte domande da farti e sono… come dire… stupefatto.” Iniziò a dire lui rigirandosi il mio giubbotto tra le mani “Ma suppongo che siano questioni private per cui, se vorrai rispondere alle mie domande, lo faremo in un altro posto. Da soli.”
La sua gentilezza mi colpì dritta al cuore come una freccia. Mi aspettavo un assalto in cui cannoni fatti di sarcasmo avrebbero sparato a raffica battutine e provocazioni contro la mia autostime e invece nulla.
“Cas è gentile da parte tua…”
“Non godo particolarmente a mettere a nudo le debolezze altrui in pubblico…” sogghignò poggiando il mio giubbotto dall’altro lato rispetto a dove gli ero seduta io per impedirmi di riprenderlo e sollevando la bottiglia di cola che aveva ordinato per se stesso.
“Giusto tu preferisci portare la tua preda su, in cima ad un albero dove nessuno può raggiungerti e farla a pezzi in santa pace…” scherzai dandogli una gomitata.
“Non mi piacciono gli alberi, una volta da piccolo sono rimasto appeso ad un ramo con i pantaloni, non è stato piacevole.” Commentò lasciandosi scappare una risata autoironica “No, niente alberi. Meglio un antro buio.”
“Ma non è facile trovare un antro buio qui, a pochi metri dal mare.” Decisi di sostenere il suo scherzo, adoravo ascoltare le idiozie che riusciva a dire. Le diceva con così tanta convinzione e serietà da farmi pensare che lui avesse ragione e che decenni di studi e di ricerche condotti da grandi scienziati in realtà fossero tutte bugie. Cas era il miglior bugiardo che avessi mai incontrato; io mi ritenevo una scarsa bugiarda e in confronto a lui ero praticamente una nullità nell’arte della menzogna.
“Giusto, non avevo pensato a questo. Sono fuori dal mio ambiente naturale in effetti. Potrei provare a scavare una buca nella sabbia oppure potrei gettare il tuo corpo svenuto sotto una barca rovesciata e darti il colpo di grazia lì.”
“Credo di aver già sentito questa storia, da dove l’hai presa da un film dell’orrore di second’ordine?”
“Se ti schifa l’idea della barca per via dell’odore del pesce, posso proporti di meglio. Potrei sempre chiuderti in un bagno.” Con un gesto teatrale mi passò un braccio intorno alle spalle e mi indicò la porta dei bagni “Naturalmente dovremmo fare una cosa rapida. Non vorrei creare ingorghi nei bagni.”
Quando mi posò il bracciò intorno alle spalle il suo profumo mi invase: sapeva di sale, di spezie, di fumo e di sudore. Sapeva di Castiel. Il suo profumo era così differente sia da quello di Lys che da quello di Ren: solo il suo profumo mi faceva salire il sangue alla testa come fino frizzante.
“Sicuro di aver ordinato una cola e non un qualche strano tipo di super alcolico?” gli domandai togliendogli di mano la bottiglia e bevendone un sorso, era una normale cola dovetti constatare “Bah, se non è per l’alcool non riesco a spiegarmi come mai ai questi strani sbalzi d’umore stasera e, soprattutto, perché mi sembra di avere a che fare con un maniaco. Non è che forse il tuo segno zodiacale è il Cancro?”
“Ti intendi di astrologia ora?” mi domandò lui sporgendosi per riprendersi la sua bottiglia e strusciando la sua fronte contro i miei capelli “In realtà sono un Leone.”
“Ah…” sospirai e scuotendo la testa sconsolata “Mia madre dice sempre che in realtà i Leone sono solo grossi catti a cui qualcuno ha dato da mangiare degli steroidi e che basta una grattatina dietro le orecchie per metterli in riga.”
“A me piacciono le grattatine dietro le orecchie!” esclamò scherzoso continuando a strofinarsi contro di me proprio come un gatto.
“E smettila.” Gli dissi poggiandogli una mano sulla fronte e spingendolo via.
“Tu che segno sei?” mi domandò senza preavviso fissandomi con quegli occhi che brillavano di furbizia.
“Che ti importa saperlo…” provai a biascicare voltandomi dall’altra parte per non fissarlo. “Sono nata il 9 agosto…”
“Davvero? Tre giorni prima di me, per fortuna. Non mi andrebbe di dividere il mio compleanno con te…”
“Non siamo mica cugini, non rischierei mica di rubarti la scena alla tua festicciola in piscina con gli amichetti!” scherzai prendendo il mio bicchiere dal tavolo e bevendone tutto il contenuto rimanente. “Se fossimo davvero cugini allora dovresti preoccuparti, sono uno schianto con il mio costumino a poix azzurri con tutti quei fronzoli e con il mio miglior fiocco per capelli.”
“Sapevo che portare te e non Lys stasera era una buon’idea.” Finendo a sua volta la sua bibita Castiel saltò in piedi, prese in mano il mio giubbotto e mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi. “Immaginare Lys in un costume del genere mi avrebbe fatto vomitare tutta la cena.”
“Sei ancora fortunato, io prima l’ho immaginato con la minigonna.” Fissai la sua mano interdetta e, solo in quel momento dopo parecchi minuti in cui mi ero scordata della sua presenza, mi girai a guardare Ren che stava ancora suonando sul palco. Rimasi a fissarlo per parecchi minuti, sembra brillare di luce propria, più forte dei riflettori e di chiunque altro nel locale.
“Che fai non vieni?” mi domandò ancora Castiel protendendo di più la mano verso di me.
“Stavo solo pensando…” a Ren non sarebbe di certo dispiaciuto se me ne fossi andata con Cas, sapevo che ci saremmo comunque rivisti presto.
Afferrai la mano di Castiel e mi lasciai docilmente guidare fuori dal locale.
 
La sabbia della spiaggia era così fredda da intirizzirmi le dita dei piedi ma non avevo abbastanza tempo per curarmene. Appena usciti dal locale Castiel aveva iniziato a tartassarmi di domande: aveva avuto la delicatezza di lasciarmi in pace all’interno del locale ma nell’esatto momento in cui ci siamo ritrovati da soli ha attaccato con una sequela infinita di domande. Nell’inutile tentativo di prendere tempo mi ero seduta su un muretto che delineava il confine tra la spiaggia e la strada e mi ero tolta gli stivali per poter camminare più agevolmente sulla sabbia, ma Cas non aveva desistito.
“Coraggio, spara. Cosa vuoi sapere?” gli domandai facendo dondolare i lunghi stivali che stringevo in mano.
“Parti dalle cose divertenti, che ne dici?” mi rimbeccò Cas accendendosi una sigaretta “Allora Ren è il tuo ragazzo…”
“No, non lo è.” Iniziai a spiegare senza però farmi scappare la nota di malinconia che gli incrinò la voce “È  una storia complicata. I nostri genitori desidererebbero vederci sposati per poter unire le due aziende di famiglia ma io e lui siamo amici da troppo tempo, praticamente per me è un fratello, non potrei mai nemmeno immaginarlo come un fidanzato.”
“È  una cosa tipo matrimonio combinato?”
“Esattamente. So che suona molto retrogrado ma in certi ambienti in cui le alleanze commerciali sono basilari per poter prosperare non è così raro, molti dei ragazzi della nostra compagnia sono nella nostra stessa situazione…”
“Posso ritenermi soddisfatto. Passiamo alla prossima domanda…” picchiettando con un’unghia fece volare in aria la cenere della sigaretta, fumava decisamente troppo “Frequentavi un conservatorio, eh? Come hai fatto a farti buttare fuori?”
“Sapevo che non saresti riuscito a resistere alla tentazione di chiedermelo.” ridacchiai scavando un buco nella sabbia con i piedi “Ho iniziato a studiare musica quando avevo quattro anni e, diciamocelo, sono così dannatamente brava che è parso naturale seguire le orme dei miei fratelli e frequentare una scuola di musica. Ren ovviamente è venuto insieme a me; abbiamo sempre fatto tutto insieme. Comunque senza divagarci in discorsi troppo contorti, l’anno scorso stavo dando l’esame di fine corso, è obbligatorio darlo ogni anno in quella scuola, mi era stato chiesto di comporre un brano da presentare alla commissione e da eseguire per poter essere giudicata. Mi ci vollero settimane per comporre il mio pezzo ma quando lo finì lo consegnai alla preside, come era obbligatorio fare, perché lo sottoponesse alla commissione.”
“Fammi indovinare…” mi disse lui incurvando le labbra in un sorriso furbo “Il tuo pezzo faceva così schifo che ti hanno buttata fuori?”
“Il mio era il miglior pezzo composto l’anno scorso…” ribattei scrollando le spalle irritata “Così tanto buono che la preside ha ben pensato di venderlo ad un altro studente. Il giorno dell’esame quando ho eseguito lo stesso pezzo di un altro ragazzo tutti hanno pensato che lo avessi rubato. Insostenibile! Mi hanno buttato fuori a calci in pratica… Mio padre poi ha fatto intervenire i suoi avvocati e la verità è venuta a galla ma oramai il danno era fatto. Ho preferito andarmene.”
“Hai sprecato una grande occasione.”
“Non è detto, a volte anche inconvenienti come questo tornano utili…” decisi di fermarmi e di sedermi nuovamente sul basso muretto di mattoni “È  ridicolo, sai? Un giorno sognavo di diventare una grande violinista e il giorno dopo me ne stavo seduta alla scrivania in camera mia pensando che ero solo un pezzo di carne inutile, buono solo da dare in sposa al primo di passaggio.”
“Non deve essere stato bello.” Mi rispose lui tenendo lo sguardo basso ma sedendosi accanto a me, così vicino da permettermi di scaldarmi contro il suo braccio.
“Non lo è stato, per niente. Niente aveva più senso, ho passato settimane senza toccare nessuno dei miei strumenti e senza uscire dalla mia stanza. Guardandomi intorno non riuscivo più a riconoscermi: foto, regali, diari, disegni… Non riuscivo più a vedere la mia essenza in nessuna di quelle cose, non vedevo più la mia stessa anima. Capisci?”
Lui non mi rispose ma mi strinse una mano nella sua stringendola con far rassicurante “È  stato allora che ho capito che dovevo fare qualcosa. Per tutto quel tempo avevo fatto solo ciò che mi era stato detto di fare, avevo seguito uno schema studiato ancora prima della mia nascita. Dal lunedì al martedì lezioni di violino, piano e composizione, il mercoledì lezioni con l’insegnate privato di arte e disegno, il giovedì c’era l’equitazione e il venerdì la scherma. Il sabato lo passavo ad aiutare mio padre in negozio e la domenica, l’unico momento libero della settimana, lo passavo a suonare con i miei fratelli. Anche se era il mio momento preferito ammetto che avrei potuto sfruttare in modo più costruttivo la mia giornata di riposo. Tipo facendo i compiti. Ero sempre in ritardo con i compiti ma nessuno se ne fregava…Comunque ho capito che dovevo fare qualcosa per prendere in mano la mia vita.”
“È  stato allora che hai deciso di sfidare tuo padre?”
“Mio padre ha sempre amato le sfide. Mi è bastato dirgli che non gli avrei più parlato se non avesse accettato e il giorno dopo ero fuori di casa. Mi ha sempre ritenuto il suo piccolo tesoro, minacciarlo di tagliare i ponti non è stato proprio gentile ma…” ridacchiai rendendomi conto che dovevo sembrare proprio meschina a fare una cosa del genere “Ma almeno ho ottenuto quello che volevo…Essere la cocca di papà è l’unica cosa buona dell’essere l’unica figlia femmina dopo una lunghissima sequela di maschi.”
“Potresti scriverci un libro con questa storia: il tradimento, gli inganni e gli stratagemmi. Ti basta uccidere qualcuno e diventerà un meraviglioso best seller.” Scherzò gettando in un cestino poco lontano il mozzicone della sigaretta. “Quando avrai vinto la tua scommessa che farai? Ci lascerai?”
“Inizialmente il piano era quello; una volta vinta la scommessa avrei preso e un aereo e sarei volata dritta fino a Londra.” Facendomi coraggio chinai il capo e lo poggiai sulla sua spalla sorprendendomi costatando che era alla giusta altezza per sorreggermi senza farmi dolere il collo, sembrava fatto apposta “Ora non credo proprio che andrò via. Non pensavo di trovare ciò che ho trovato.”
“Cosa hai trovato?” mi domandò voltandosi verso di me e poggiando le sue labbra contro i miei capelli.
“Ho trovato una nuova famiglia, ho trovato degli amici a cui non importa chi sia mio padre o quanti soldi io abbia in tasca in questo momento. Ho trovato persone a cui importa solo chi io sia davvero, che mi permettano di comportarmi seguendo la mia vera inclinazione.”
“Carino ma se mi volevi elogiare potevi fare di meglio! Potevi dire che senza di me non puoi vivere, che sono la tua aria cose così!” scherzò lui allontanando il capo da me come se il contatto con i miei capelli lo avesse ustionato.
“Io non parlavo di te!” gli dissi in tono sarcastico allontanandomi a mia volta da lui ma continuando a stringere la sua mano nella mia. “Parlavo di Lys, di Rosa e di Camille. Tu sei un caso a parte.”
“Vedo con piacere che ti sei ricordata il nome della tua compagna. Comunque io cosa sarei allora?”
“Tu sei l’esserino molesto a cui però non si può fare a meno di voler bene!”
“Ti sembro un esserino molesto?!” mi rispose lui esplodendo a ridere “Per ora posso anche accontentarmi. Parlando di cose serie… la tua famiglia è ricca a quanto ho capito, vero?”
“Non mi fido di te quando cambi argomento. Diciamo che i miei non se la passano male…”
“Bene.” Tirando fuori il cellulare si mise a smanettare ad un messaggio con faccia assorta.
“Che fai?”
“Faccio un elenco di quanti soldi mi devi: una colazione completa in un locale molto costoso, uno spazzolino, una maglietta, un pranzo di straforo in cucina, l’ingresso e i drink di stasera…”
“Non puoi farti veramente un elenco!” gli urlai allungando una mano e strappandogli il telefono di mano “E poi la maglietta la lavo e te la restituisco, mica voglio tenermela!”
Con risolutezza mi sbrigai a cancellare il messaggio con l’elenco dei miei debiti e feci per tornare alla schermata principale del cellulare.
“Ferma non lo fare!” mi ingiunse Cas allungandosi per riprendersi il telefono ritrovandosi però ad afferrare uno dei miei stivali al suo posto.
“Cosa c’è hai le donnine nude come screen saver? Che sporcaccione!” ignorando i suoi farfugliamenti chiusi la schermata. Non lo avessi mai fatto. Il sangue mi si gelò nelle vene anche se, contemporaneamente, mi sentii le guance andare in fiamme: il mio corpo doveva essere parecchio confuso, non sapeva se essere imbarazzato o incazzato come una belva.
“Quando l’hai fatta questa?” mugugnai a mezza bocca fissando la foto che occupava tutto lo sfondo del cellulare di Cas.
“L’ha fatta Rosa, quella volta che è venuta a sentirci suonare nello scantinato.”
Ricordavo quella volta ma non mi ero resa conto che Rosa ci stesse fotografando, come ben sapete quando mi impegno a suonare qualcosa mi estraneo completamente dal mondo. Non potevo dire che si trattasse di una brutta foto, ma era molto imbarazzante. Il modo in cui me ne stavo china sul mio strumento, sorridendo come un’ebete con la schiena appoggiata contro quella di Cas intento a strimpellare a sua volta mi faceva apparire più piccola di quello che ero veramente, perfino più vulnerabile. La cosa più sconcertante però era la luce che illuminava gli occhi di Cas, quegli occhi che erano la mia morte e che in quella foto erano girati verso di me e mi studiavano con un affetto completamente inaspettato.
Mi sentivo strana, non avrei mai immaginato che Castiel mi guardasse in quel modo quando gli voltavo le spalle; mi faceva stringere il cuore e mi faceva venire voglia di abbracciarlo come se si trattasse di un bambino piccolo.
“Mira io…” iniziò a dire lui ma il suono ripetuto di un clacson attirò la nostra attenzione e ci costrinse a voltarci di scatto verso la strada.
Accostato al marciapiede con la portiera aperta se ne stava il taxi che ci aveva accompagnato “Vi ho cercato ovunque, il periodo di prenotazione sta per finire, se volete tornare a casa senza pagare vi conviene venire subito.”
Non seppi se essergli grata oppure no. Poggiai con delicatezza il cellulare in mano a Cas e, ancora a piedi nudi mi avviai sul marciapiedi e montai in macchina, scivolando sul sedile fino al posto più vicino al centro della strada. Non osai guardare Castiel, non sapevo che dire e non avevo la forza per fronteggiare la sua espressione da cucciolo bastonato che, ci posso scommettere, aveva in quel momento.
Non ci parlammo per tutto il viaggio di ritorno; la stanchezza si fece improvvisamente sentire. Era stata una giornata lunga ma in qualche modo avevo tirato avanti ma oramai avevo esaurito le energie. I muscoli mi facevano male e le palpebre mi cadevano dallo sfinimento. A ogni respiro mi veniva più complicato non sprofondare nel sonno, il sedile del taxi era così morbido e li dentro si stava al calduccio; non ricordavo più nemmeno dove avessi lasciato il mio giubbetto, forze lo aveva Castiel, ma ero così esausta che presto mi dimenticai perfino di lui e, fissando il lampioni che sfilavano fuori dal finestrino, tutti uguali, dritti come fusi, crollai finalmente tra le braccia di morfeo troppo esausta per combatterlo.

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MESSAGGIO DELL'AUTRICE.

Dopo secoli sono finalmente tornata! Per l'Angelo scrivere questo capitolo è stato praticamente un parto... l'ho cancellato tutto e ricominciato da capo almeno tre volte. Alla fine non è proprio venuto come volevo (ho tentato di essere sintetica ma proprio non ci sono riuscita...)
In pratica il sottotitolo di questo capitolo dovrebbe essere "Per l'Angelo finalmente è finito, è stato più veloce affrescare la Cappella Sistina".
Vi chiedo immensamente perdono per l'enormità di tempo che ho impiegato (quasi due mesi vero?) per partorire questa oscenità, non credo capiterà mai più...
A presto! Grazie per essere stati pazienti!

Ah notato una cosa? Quella povera anima pia della compagna di stanza di Mira ha finalmente un nome! Solo perchè scrivere "compagna di stanza" tutte le volte era troppo faticoso sia chiaro...

Darky o Tsu-Chan (sì, ho cambiato nick x3)


DISCOGRAFIA

In questo capitolo sono stati citati:

-Ju lui dirai, Célin Dion

Nei capitoli precedenti invece sono state citate le canzoni:
- Elements, suonata da Lindsey Stirling, brano del 2012 (cercatela su youtube è incantevole)
- Lulluby (Good Night my Angel), canzone del 1993 interpretata da Billie Joel.
-Black Diamond, settimo singolo rilasciato dagli Stratovarius nel 1997.

- Lucy, singolo tratto dall'album Awake del 2009 degli Skillet.
- Luna, dalla versione italiana del musical Notre Dame de Paris cantata da Matteo Setti.
   
 
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