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Autore: Lennyk192    06/05/2013    1 recensioni
Quinn lo studiò atterrita per qualche secondo, prima di urlare e riprendere a muoversi, tirando i ceppi con strappi violenti, con l'unico risultato di provare ancora più dolore.
Sentì la sua guancia bruciare quando uno dei demoni le assestò uno schiaffo da rivoltarle la faccia.
La testa vorticò e quasi svenne per la violenza dell'impatto, ma prima di scivolare nell'oblio qualcosa pizzicò i suoi polsi e gli avambracci e uno stupido pensiero le sfiorò la mente.
Il giorno dopo sarebbe stata la Vigilia di Natale.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From beneath you it devours'
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Capitolo 19: Truth



C'era un fuoco, poteva percepirne il calore.  
Bruciava e crepitava sulla terra scura e arida. Qualcuno parlava.
Una donna anziana dagli occhi bianchi.
Una litania continua. Parole in una lingua antica che si insinuavano nella sua mente.
Un volto apparve oltre le fiamme.
Liz.
Poi c'era  un bambino, tremante, ricoperto di sangue non suo. E una creatura con un paio di grandi corna e la pelle rossa, lucida.
Avvolgeva con le grandi braccia il corpo del bambino.
Era mostruoso, ma non ne aveva paura. Lo conosceva.
Era lui.
Il suo demone proteggeva il bambino che era stato...


Alec si sollevò a sedere, ansimante, il cuore che batteva all'impazzata contro la cassa toracica.
Era stato tutto un fottuto incubo. Come non ne aveva da anni.
Di quelli senza senso che ti lasciano irrequieto per il resto della giornata.
Sentì qualcosa muoversi al suo fianco e non si ricordò dell'umana fino a che non distinse la sua sagoma, al buio. 
La sentì mormorare qualcosa di indistinto e rannicchiarsi di più contro di lui.
Sospirò sollevato.
Almeno non l'aveva svegliata, non avrebbe voluto rispondere ad un interrogatorio circa i suoi disturbi del sonno.
Alec si sforzò di tornare a dormire, portandosi all'altezza di lei, fissò i tratti dolcemente rilassati del suo volto e sollevò una mano per scostarle i capelli dalla fronte, senza disturbarla.
Una mano stretta a pugno, posta davanti alla bocca, le donava un'aria teneramente infantile e il demone si ritrovò a sorridere appena, scuotendo la testa.
Trasmetteva tranquillità. La stessa di cui lui, inconsciamente, aveva un disperato bisogno.


                                                                                                                                         
                                                                                                                             ***



Un altro grido di dolore provenì dalla grande stanza oltre la porta.
Aud rabbrividì al pensiero di quello che stava accadendo al suo interno e ricordò a se stessa di non far arrabbiare mai Zane o non ne sarebbe uscita viva. Il solo pensiero le causava un fiotto di bile in gola e una paura agghiacciante.
Erano trascorse più di sedici ore dall'inizio dell'interrogatorio e a quanto riusciva a sentire, Aiden non si era fatto scucire una sola parola. Sembrava che andasse avanti da un'eternità.


Percepita la sua presenza,  Zane sbucò dalla porta di legno massiccio e la strinse tra le braccia, come se nel corso della giornata non avesse fatto altro che aspettarla.
Aud non resistette all'impulso di ricambiare, senza però scacciare il pensiero che il demone non aveva esitato un istante a torturare il suo stesso fratello. I demoni di alto livello, come lui, Alec e quel suo amico antipatico, erano ottimi soldati.
I migliori.
Erano creature sanguinarie e per quanto ne invidiasse la forza e la sicurezza, non avrebbe mai voluto essere come loro.
Tuttavia, non poteva fare a a meno di amare almeno uno di loro.
Lasciarsi andare con quel demone così temuto, odiato e disprezzato dagli altri, sapendo che con lei riusciva ad apparire diverso, era come assaporare la vera felicità per un succubo costretto a vagare nella mente perversa degli uomini per restare in vita.
Le labbra, il collo, le spalle: ovunque la toccasse, Zane era come fuoco liquido sulla pelle, incandescente e indelebile.
Lo adorava.


"Immagino che tu non abbia avuto fortuna" gli sussurrò sulle labbra, accogliendo il suo ringhio con una risatina.
"Non ci contavo. E' figlio di Thren e, cosa peggiore, gli è fedele"
"Mmh, magari potrei provare a farlo sciogliere un po'" fece pensierosa, mentre scorreva l'indice sul suo petto. Avrebbe aperto una breccia nella sua bella testolina dura, mentre...
"Assolutamente no!"
Il dolore al braccio la raggiunse prima del suo sibilo rabbioso. Il sentimento della gelosia era poco contemplato nel mondo demoniaco. Si trattava di possesso e basta. Come quando i cani marcavano il territorio.
Come se lei fosse l'albero più ambito.
Aud sapeva di non doversi illudere, eppure sentì uno strano calore salirle alle guance e il cuore aumentare i battiti a quelle parole.
"Va bene. Volevo solo esserti d'aiuto" mormorò, senza smettere di stringerlo a sé.
"Lo sei già"
Lo spero.
"Anche se..." iniziò con un sussurro incerto "Forse potresti aiutarmi a portare a termine il mio piano"
"Come?" la voce le uscì in un ansito di piacere, mentre la mano calda del demone le accarezzava ritmicamente un fianco.


"Hai una vaga idea di dove si trovi l'umana?"
Forse.
"No" ribatté sospettosa. Se mai fosse arrivato il momento di scegliere da che parte schierarsi tra Zane e Alec si sarebbe uccisa.
Uno era il potenziale amore della sua vita, l'altro era il suo unico amico da sempre.
"Davvero?" la voce del demone apparve improvvisamente sospettosa "Non le farei del male" concluse con una smorfia, come se quell'ammissione gli trasmettesse brividi di disprezzo per se stesso.
"Non è quello che mi preoccupa. Dimmi cos'hai in mente e deciderò se risponderti sinceramente oppure no"
"Sei intelligente. Puoi arrivarci da te"
La parola esca le risuonò nella testa più volte mentre deglutiva, nervosa. "Perché dovresti voler arrivare a lei, se non per eliminare la minaccia che rappresenta?" E fare incazzare di brutto tuo fratello, aggiunse tra sé.
Lo vide stringere la mandibola in un gesto di stizza nei suoi confronti e le sue mani si allontanarono da lei, come se l'avesse offeso. "Visto che Aidan si rifiuta di collaborare, agire dall'interno mi sembra il modo migliore per sbarazzarmi dei miei rivali, non ti pare?"
"Vorresti fingerti d'accordo con i demoni che eseguiranno il sacrificio? Non funzionerà mai"
"Forse no. Ma se offrissi loro il giusto...incentivo, potrebbero iniziare a fidarsi"


                                                                                                                     ***


Quando si era svegliato quella mattina, tutto sembrava essere dominato dalla solita noiosa banalità della vita umana.
Si era fatto una bella camminata per schiarirsi le idee e scacciare dalla mente le immagini dell'incubo di quella notte, e al suo ritorno una fumante tazza di caffè lo aveva accolto in cucina.
Era diventata una consuetudine ormai e quella parvenza di normalità nella sua vita da demone lo faceva sentire allo stesso tempo fuori posto e a suo agio, contro ogni logica.
Per essere uno che viveva solo da secoli, trovava fin troppo piacevole il fatto di riuscire a percepire la presenza della ragazza nella dependance anche quando lei non c'era.
Bastava sentire il suo profumo nell'aria, dare un'occhiata alla perfetta disposizione del cibo nel frigorifero, pensare a
lla fine del suo vizio di saltare i pasti, trovare la sua giacca di pelle sempre accuratamente sistemata allo schienale della sedia come lui non si sarebbe mai sognato di fare. Quinn non gli imponeva mai niente, ma il suo stile di vita si era comunque silenziosamente mescolato al suo.


In quel momento lei era al telefono con suo padre.
La sentiva discutere a bassa voce fuori dalla porta, imbacuccata nel suo giaccone se ne stava seduta sugli scalini di legno all'entrata. Dondolava stancamente una gamba e si arrotolava nervosamente un ricciolo attorno all'indice, per poi lasciarlo andare qualche secondo dopo. Sta mentendo, pensò, incapace di frenarsi.
La consapevolezza di aver riconosciuto quel gesto come una sua abitudine, lo colpì fastidiosamente allo stomaco. 

Da quando si annotava gli strani comportamenti delle donne?
Quando lei rientrò, chiuse la porta rumorosamente e sbuffò.
"Mentire è sfiancante" esordì con voce piatta, togliendogli la tazza dalle mani e scolandosi l'ultimo goccio. "Scusa, ma ne avevo bisogno" aggiunse arrossendo appena, dopo essersi realmente accorta di quanto aveva fatto.
"Ti ho mai detto che divento un vero stronzo se non finisco il mio caffè?" la minacciò con tono scherzoso.
La ragazza sorrise, sbattendo le lunghe ciglia. "E quando mai non lo sei?"
Lei e la sua lingua lunga.
Fosse stato un altro tipo di demone, non l'avrebbe lasciata fare. Ma lui la trovava stimolante.
Solitamente le donne tendevano ad essere remissive e seducenti, nessuna di loro si era mai azzardata a redarguirlo o prenderlo in giro. Erano semplicemente ottime attrici, false fino al midollo, non c'era nulla di genuino nei loro atteggiamenti. Mai.
"Che cosa gli hai raccontato?"


Lo guardò interrogativa, prima di connettere. "Oh...vediamo: ufficialmente sto passando le vacanze natalizie a casa di una mia amica a Pasadena. Ovviamente non conosco nessuno laggiù, ma ho sempre voluto andarci, così..."
La sua migliore amica Cassidy, si era trasferita con il marito Dominic a Martha's Vineyard dopo il secondo anno di college, che aveva ovviamente mollato per dedicarsi all'organizzazione di frivoli ricevimenti insieme a ricche befane maniache del consumismo.
Avevano preso a sentirsi solo una volta a settimana, di solito il giovedì sera, ma lei non l'aveva mai invitata a trascorrere il Natale insieme, come quando i suoi erano fuori città, durante l'adolescenza.
Così Quinn aveva preferito inventarsi un'amica più sensibile e intuitiva.


"Allora qual è il problema?"
Il problema è che non dovrebbe fregartene un cazzo di conoscere il problema!
"Semplice! Mio padre è un Colonnello dell'esercito e io sono una frana ad inventare balle" spiegò brevemente con un'alzata di spalle. "Comunque ho sentito mia madre rimproverarlo e minacciarlo, quindi penso che la smetterà con gli interrogatori" aggiunse più serena, in un tono confidenziale che lo fece sorridere.
"Posso immaginare il tipo di minaccia"
"Ti prego, non dire certe cose: stiamo parlando dei miei genitori!" l'aggredì con aria disgustata, tappandosi le orecchie con le mani.
"Andiamo, non dirmi che non li hai mai beccati in atteggiamenti compromettenti?" la stuzzicò, portandosi di qualche passo più vicino, per tormentarla meglio. Sembrava così pudica, su certi argomenti.
"Certo che no! Oddio, quest'idea mi perseguiterà in eterno, lo sento"
"Mmh, non penso che tu debba preoccupartene a lungo"
Scoppiò a ridere quando la osservò sbarrare gli occhi, interpretando il significato di quelle parole.


"Che c'è?" chiese innocentemente con quella sua faccia da schiaffi, allungando un braccio attorno alla sua vita sottile.
Un fremito di piacere le sfuggì mentre cercava di sottrarsi alla sua stretta, ma il demone continuò a trattenerla, stranamente restio a interrompere il contatto fisico tra loro.
"Ti sembra normale scherzare su certe cose?" farfugliò lei, con tono d'ammonimento.
"Dobbiamo lavorare sul tuo senso dell'umorismo, ok?" le fece eco, sfiorando la pelle dei suoi fianchi in una voluttuosa carezza.
"Non credo"
"Sì, invece" una mano salì sul collo, stimolando l'area sensibile "Prendi quello che ti dico troppo sul serio"
"Me lo ricorderò la prossima volta che mi darai un ordine" ribatté piccata, ma con voce malferma. Segno che la sua vicinanza non le era proprio indifferente, come voleva dare a vedere.
Lui la fissò con aria di rimprovero. "E' diverso. Tecnicamente quello che ti impongo di fare è per la tua sicurezza" sussurrò, tentato di baciarla per renderla più docile.
"E nel tuo interesse" aggiunse lei. Alec vide i suoi occhi addolcirsi un po', prima che abbassasse lo sguardo per un attimo e si portasse una mano alla tempia, come colta da un capogiro.


Il demone si allontanò leggermente, per guardarla meglio.
Riconobbe gli occhi bianchi e vitrei dell'incubo, mentre si specchiavano nei suoi. Oh, cazzo.
"Quinn?" la chiamò con voce ruvida, velata di preoccupazione.
Lei schiuse le labbra e le mosse senza far uscire alcun suono. Diceva qualcosa, ma lui non riusciva a capirlo.
Continuava a fissarla, sembrava posseduta e Alec non sapeva cosa fare.
La scosse leggermente, senza farle male, continuando a ripetere il suo nome, nel tentativo di farla uscire da quella specie di trance.
S'insinuò nella sua mente e finalmente riconobbe le parole. Era la stessa litania che aveva sentito quella notte, nella lingua Sami.
E' il momento di ricongiungere le parti.
E' il momento
di ricongiungere le parti.
Lui la conosceva perché sua madre la parlava fluentemente, essendo originaria di quell'area nel Nord Europa chiamata Sápmi.
Percepì i pensieri confusi della ragazza.
Non riusciva a capire cosa stesse facendo. Non aveva il controllo sul suo corpo. Era spaventata.
All'improvviso tutto cessò.
Quinn svenne tra le sue braccia, e quando lui le controllò le pupille, avevano assunto il solito aspetto.


                                                                                                                                ***


Alec si precipitò verso la camera 25B come una furia.
Fu tentato di buttare giù la porta, ma sbattere la testa contro il muro all'idiota della reception era già stato sufficiente a sfogare la sua frustrazione.
Bussò forte alla porta. Una volta, due.
Al terzo tentativo si aprì. Il demone entrò sapendo per certo che non vi avrebbe trovato nessuno dietro.
C'era solo una persona nella stanza. Seduta immobile davanti alla finestra, lontana diversi metri da lui.
Intravedeva le mani rugose posate sul grembo. Da quanto poteva ricordare, sembrava che l'aspetto della vecchia sciamana non fosse cambiato da quando lui era bambino. Era stata sempre una figura angosciante della sua infanzia.
"Hai ricevuto il mio messaggio" la voce strascicata e tetra lo raggiunse alimentando la sua rabbia.
"Già, e sono venuto a recapitarti il mio: stai alla larga da me!"
"Non essere timido, so che c'è dell'altro"
"Proprio no"
La vecchia fece una risata amara, senza voltarsi. Alec vide che stringeva qualcosa di marrone tra le dita. Un sacchetto di tela.
Anche Liz aveva una collezione di quella roba, ma non l'aveva protetta granché.
"Domandamelo" insistette senza scomporsi davanti alla minaccia di morte che gli lampeggiava negli occhi. Probabilmente ne aveva ricevute troppe nella sua lunghissima esistenza. Forse più di lui.
Alec soppesò l'idea di uscire dalla porta per non rimettere più piede in quella stanza.
"Domandamelo"
Ti dirò ciò che vuoi sapere, gli promise una voce nella sua testa.
"Smettila!" le gridò, trattenendosi dal buttarla di sotto con tutta la sedia e la sua incrollabile saggezza.
"Domandamelo e lo farò"


"Perché adesso? Dopo tutti questi anni..."
"Sapevo che la tua parte umana sarebbe tornata completamente nel momento in cui tu glielo avresti permesso"
"Non l'ho fatto"
"Non ne hai più il controllo...forse non l'hai mai avuto"
"Sì invece o non sarei riuscito ad andare avanti"
"Forse sei giunto dove era destino che tu arrivassi. Ciò che ti ostini a rinnegare fa parte di te: è un pezzo della tua anima che devi recuperare. E' stato deciso tutto molto tempo fa"
"L'unico destino che riconosco è quello che mi sono creato. Non mi bevo più le tue stronzate da una vita, quindi dimmi come impedirlo e poi vattene all'inferno"


Aveva lottato troppo per far emergere la giusta parte di sé, l'unica veramente meritevole, e ora non poteva pensare di soffocarla come era accaduto in passato.
Liz pensava che mantenerlo umano lo avrebbe salvato, ma si era sbagliata.

Sosteneva sempre che lui avrebbe potuto dominare il male dentro di sé, e in linea di massima era vero. La sua convinzione però l'aveva solo reso troppo debole per impedire che venisse uccisa e trascinato lui in un mondo asservito alla violenza.
Una volta entrato a farne parte, nessuno poteva uscirne.

Quei fattori imprevisti, le tragedie che gli avevano invaso l'esistenza, avevano anche reso labile la sua immunità al male, e così tutto a un tratto, quello aveva attecchito e preso il sopravvento.
Alec aveva visto troppo, fatto troppe cose orrende per essere capace di sopportare l'urlo della sua coscienza, quando quella avesse fatto ritorno. Semplicemente non poteva.


"Non c'è niente che tu possa fare, arrivato a questo punto"
"Sto perdendo forza e questo mi farà ammazzare. Immagino che questo ti faccia piacere"
La sciamana emise uno sbuffò, accompagnato da un'aria profondamente disgustata. "Ti sbagli. La tua parte demoniaca è più forte che mai e potrai affrontare un trasformazione completa nel momento in cui riceverai il giusto stimolo"
Roba da matti.
Come se salvarmi il culo non fosse abbastanza stimolante
.
Chi parlava con tono da grande saggio gli faceva salire il sangue alla testa, e quella vecchia l'aveva già tradito una volta.
Era facile dirgli che ormai non c'era più nulla da fare per impedire quel processo, lei non si rendeva conto che solo acquisire pieno controllo della parte demoniaca, sopprimendo ogni emozione umana, l'aveva fatto sopravvivere negli ultimi tre secoli.
Quanto la odiava.
Aveva cominciato a farlo dopo l'aggressione dei demoni e la morte di sua madre, e quel sentimento si era  rafforzato nel tempo.
"Dimmi la verità: sei venuto da me per chiedermi questo...o perché eri preoccupato che potessi fare del male alla tua umana?"
Senza degnarla di una risposta si smaterializzò nella camera da letto della dependance e collassò sul materasso.
Quinn era andata a fare un giro in auto da sola, su sua esplicita richiesta. Inizialmente le era sembrata preoccupata all'idea, ma anche elettrizzata da quella parvenza di libertà.
Sarebbe rimasto lì ancora qualche minuto prima di recuperarla.


                                                                                                                                 ***


"Dobbiamo parlare"
Quando Quinn si era vista apparire quella donna aveva quasi urlato dallo spavento. Colta alla sprovvista, in mezzo a tutta quella gente, si era appena resa conto che il demone si trovava riflesso in uno specchio.
Era esattamente come la ricordava. Una donna stupenda dai capelli rosso fuoco e un paio di innaturali occhi viola.
Deglutì e si schiarì la voce, prima di guardarsi intorno per rintracciare qualche occhiata curiosa.
Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
"Chi sei?" un sussurro ostile, che provocò una risatina.
"Alec non ti aveva detto il mio nome?"
"Che cosa vuoi?" sibilò contro la superficie fredda. Sentiva che l'avrebbero rinchiusa se l'avessero vista parlare con la sua immagine.
"Solo proporti un accordo veloce per poter tornare alla tua vecchia, patetica vita"


"Come diavolo hai fatto a trovarmi?" Non c'era quel maledetto scudo?
"Lascia perdere, tanto non dirò a nessuno come farlo"
Quinn alzò gli occhi al cielo. "E pensi davvero che mi fiderei di un demone?"
"Abiti e dormi con uno di noi" le ricordò quella in un moto d'acidità.
Vero. Ma lui era diverso, essendo per metà umano, e sembrava possedere sentimenti. "Non ho intenzione di starti a sentire"
"Non è me che devi ascoltare, ma un demone potente che vuole il ritorno del suo Signore almeno quanto te" la schernì la donna dagli occhi viola. "Si chiama Zane e vuole parlarti. Da sola, ovviamente"
"Digli pure di restare all'inferno"
Vide la donna nello specchio socchiudere gli occhi, quasi a volerla incenerire. "Chiudi la bocca,
piccola bipede senza cervello"
"Non preoccuparti, non ho più niente da dire" fece per andarsene.
"Aspetta!"
Quinn prese un respiro profondo e si voltò nuovamente nella sua direzione.
"Ascolta: ti sto offrendo una via di fuga da questa situazione, credevo ti interessasse. O hai qualche motivo particolare per voler lasciare le cose come stanno?" ringhiò irritata. 
"Ovviamente no"
"Bene" recuperò il buonumore "Devi venire al ponte di Providence, domani a mezzanotte"
Quinn la vide sparire sorridendo come se avesse accettato, senza neanche darle la possibilità di rifiutare e mandarla al diavolo.


                                                                                                                                   ***


"Sei arrabbiato?" la sentì domandare quando sbatté violentemente lo sportello della sua povera auto. Dopo averla trovata in quel negozio, l'aveva spinta fuori senza dirle una parola. Le era sembrava vagamente scossa, ma non si era preoccupato di domandarle nulla.
Distanza. Basilare, necessaria distanza.
"No"
Quinn afferrò al volo le chiavi che le lanciò e la vide arrancare per stargli dietro. "Senti, sono meno ottusa di quanto pensi. So benissimo che c'è qualcosa che..."
"Fai un favore a te stessa e stammi alla larga" la interruppe bruscamente, sfoderando il suo sguardo autoritario. La trascinò riluttante all'interno della dependance, e chiuse a chiave la porta.
Non avrebbe voluto trattarla male, specialmente dopo quello che la vecchia pazza le aveva fatto, ma non riusciva ad essere minimamente gentile con tutto quello che aveva saputo.
"Almeno stavolta non ce l'hai con me" la udì borbottare, mentre metteva su il broncio e cominciava meccanicamente a prepararsi la cena. Lo fece quasi sentire in colpa e questo non fece che accrescere il suo cattivo umore.
Le parole della vecchia gli frullavano nella testa. "Già, vedi di non farmi cambiare idea. Stare qui è una tortura e ne ho le palle piene di tutta questa maledetta storia
" si sentì dirle, con voce dura.
L'espressione di Quinn divenne riflessiva, poi depressa e quindi arrabbiata. "Di qualunque cosa si tratti, vedi di risolverla senza mettermi in mezzo, chiaro? Non sono il tuo cazzo di punching ball" sbraitò agitando le posate.
"Non preoccuparti, tesoro. Per quanto tu sia irritante, non ho intenzione di aggredirti
" replicò caustico.
Si rifugiò in camera senza aggiungere altro.


Quinn bolliva dalla rabbia. Certe volte sapeva essere veramente un coglione vanesio e presuntuoso.
Sapeva che era successo qualcosa da quando l'aveva praticamente buttata fuori qualche ora prima, senza darle una spiegazione sul perché lui rinunciasse ad accompagnarla. Poi rammentò di aver avuto modo di farsi spiegare quella specie di vuoto di memoria nel corso della mattinata, così lo raggiunse.
"Credo che dovremmo parlare"
"Quinn" le disse solo, come avvertimento. Non stressarmi o ti mordo.
"So benissimo come mi chiamo, grazie, e sai che cos'altro so?"
"No e non voglio sentirlo"
"Che non tollererò di essere tenuta all'oscuro" fece una breve pausa, raccogliendo le idee "Lo so che è successo qualcosa, dopo che abbiamo parlato stamattina: mi sono svegliata a letto senza ricordarmi come c'ero finita. Quindi mi sembra abbastanza ovvio aspettarmi una spiegazione dettagliata..."
"Non so come potrei dirtelo più chiaramente: non ho intenzione di condividere niente con te"
"Ma perché?"
"Perché riguarda me, il mio passato e basta. Cristo, non avevi detto che non avresti più creato problemi? In realtà non riesci a fare altro. Sei come una dannatissima spina conficcata nel fianco!"
La vide spalancare gli occhi e rabbuiarsi di colpo, come se avesse in qualche modo toccato un tasto dolente.
Dov'era finita la furia entrata in camera pochi secondi prima? Solitamente non gli rendeva facile il compito di ferirla.
"Io non..." bofonchiò con voce rotta, spostandosi verso l'uscita, prima che lui le afferrasse un polso e la trascinasse contro di sé.
Non voleva ammorbidirsi ancora di più nei confronti di quell'umana: la sua vita era stata già abbastanza complicata dalla sua presenza. Ma non aveva potuto fare a meno di toccarla.
Sospirò, rassegnato.

In quell'istante, la sua mente venne attraversata da un ridicolo pensiero: non riusciva a restare in collera con lei. Si diede dell'imbecille, sapendo che non poteva permettere che avesse un potere così forte su di lui.
"Faresti impazzire anche un santo, liten" l'ammonì suadente, mentre appoggiava le labbra sulla sua tempia destra, mozzandole il respiro per quel gesto insolitamente dolce. "Ascolta, non voglio parlare di questo. Si tratta della mia vita, e tu non saresti dovuta finire in mezzo"



                                                                                                                                  ***


Erano trascorse molte ore dalla loro discussione, e Quinn si chiedeva se avesse sbagliato a non raccontargli della strana apparizione di quel pomeriggio e dell'appuntamento a cui non si sarebbe presentata.
Ripensò alla sua stupida reazione alle parole del demone. Non riusciva a credere di essersi lasciata sopraffare dalla sua insicurezza tanto da spingerlo ad essere più...umano nei suoi confronti. Quanto patetica era potuta sembrare?

Si sarebbe voluta sotterrare dalla vergogna.
Fin da bambina, era stata abituata a vivere in punta di piedi, per non dare troppi pensieri alla madre o a suo padre, troppo impegnato ad addestrare soldati. Si era abituata ad affrontare tutti i suoi problemi da sola, con falsa fierezza, pur
di non recare disturbi a nessuno, terrorizzata dall'essere considerata un peso.
Inoltre, essendo figlia unica, incarnava così tante speranze e sogni che era sorprendente che non fosse ancora collassata.
Decisamente non era la degna figlia di un Colonnello, forse non lo era mai stata.
Continuava a rigirarsi nel letto, cosciente di irritare Alec, steso al suo fianco, ma non riusciva a farne a meno.
Alla fine optò per una tazza di caffè bollente, tanto ormai la caffeina non le faceva più alcun effetto, se non quello di scaldarla.


Quando rientrò in camera, trovò il demone in piedi, davanti alla finestra.
Un braccio piegato contro il muro, l'altra mano a stringere convulsamente il davanzale in marmo.
Apparentemente sembrava stesse contemplando il cielo stellato, ma lei capì che ripensava a quello di cui si rifiutava di parlare.
"Stai bene?" gli domandò, fermandosi ad ammirare la forma sinuosa della sua schiena.
Lui le lanciò un'occhiata eloquente da sopra una spalla e lei sorrise. "Capito, domanda idiota"
Alec si voltò completamente a guardarla, lasciando scorrere lo sguardo sulle sue gambe e lei arrossì, consapevole del suo interesse.
"Sei svenuta" mormorò dopo aver preso un bel respiro "E' questo che è successo"
"Oh. Davvero?"
Lui annuì. "Non è dipeso da te. Qualcuno ha preso il controllo del tuo corpo per mandarmi un messaggio. Mi dispiace"
Un messaggio?
Chi avrebbe potuto farlo?
Il demone nello specchio non sembrava ansiosa di vederlo, quindi era da escludere.
"Non credevo che le scuse facessero parte del vocabolario demoniaco" smorzò la tensione.
"Forse provengono da quella vecchia umanità latente"
"Posso chiederti che cosa significa quel termine che hai usato prima?" Aveva un suono dolce, perciò dubitava che fosse una parolaccia.
Alec la guardò confuso, poi ricordò e scrollò le spalle con noncuranza. "Liten? E' la stessa parola con cui ti chiamo sempre, ma nella lingua che parlavo quando ero..."
"Più giovane?" Lo vide annuire. 
Quinn lottò con se stessa per impedirsi di affrontare il discorso sul suo passato. Era stato sincero. Inoltre la parte che la riguardava, in quella storia, ora la conosceva. Eccetto...
"Chi è stato?"
"Dolcezza, questi non sono affari tuoi"
Accidenti! "E' stata lei, vero? La sciamana inquietante" Ne era certa. Lo vide irrigidirsi visibilmente e non attese oltre.
"Lo sapevo che ce l'aveva con te, le cose che mi ha detto...Ha accennato al tuo passato. Le hai fatto qualcosa?"
"No" Il tono di Alec era secco e sibilante come una frustata.
"E allora perché vorrebbe tormentarti?"
Lui non rispose, limitandosi ad indurire i bei lineamenti del suo viso.
"Senti, tu sai praticamente
tutto di me. Non sarebbe giusto che anch'io sapessi i tuoi segreti? Perché non vuoi fidarti di me?"
E' un demone, ecco tutto, le rispose la sua coscienza. "Io l'ho fatto" aggiunse con un filo di voce
"Alec, per favore"


"Maledizione, perché devi essere così assillante?" le domandò con stizza.
La vide sollevare lo sguardo su di lui, fissandolo innocentemente. "Voglio solo conoscerti"
Non guardarmi così. "Vuoi psicanalizzarmi" la corresse.
"Beh, chiamala pure deformazione professionale, ma sono sicura che se riuscissi a parlarne con qualcuno, ti sentiresti meglio. Certi fantasmi del passato ti restano incollati addosso e per quanto sia dura affrontarli e liberarsene, è anche necessario!"

"Non per me"
"Specialmente per te. Probabilmente l'unico motivo per cui non sai approcciarti al tuo lato umano è perché ti limiti a reprimere e non esprimere. E non t'illudere: i tuoi attacchi d'ira quando ti trasformi non ti aiuteranno a sfogarti"
"Devo per forza sorbirmi questo sermone, Freud? Con la parlantina che ti ritrovi, avresti dovuto scegliere un altro mestiere. Gli strizzacervelli non restano col culo sulla poltrona a sentire chiacchiere per tutto il tempo, senza aprire bocca?"
Quinn sbuffò, prima di avvicinarsi a lui.
"Guarda che non riuscirai a distrarmi. Andiamo, sai che con me puoi parlarne. A chi vuoi che lo racconti?
Molto probabilmente finirò in una bara entro la fine dell'anno"
Lui s'irrigidì appena a quelle parole. Non voleva pensarci. "Ma piantala" protestò debolmente.
"Alec..." Lei sollevò una mano per sfiorargli la guancia in modo così delicato, che lui fu tentato di chiudere gli occhi per godere appieno di quel gesto. 


Sospirò profondamente e rispose prima ancora di riuscire a fermarsi. "Vivevo qui con mia madre"
La osservò sedersi sul letto, tra le lenzuola aggrovigliate, mentre ascoltava con attenzione e puntava i suoi occhi azzurri su di lui.
"Lei...era stata rapita quando era adolescente da un alchimista per via del suo sangue raro. Rimase sua prigioniera per anni, poi ci fu uno scontro con dei demoni e lui rimase ucciso. Quando la liberarono, la offrirono al loro Signore: Thren"
Quinn trasalì e lui si domandò se non fosse il caso di smettere. Poi la ragazza sollevò nuovamente il viso e vi lesse la muta richiesta di proseguire. Alec si sedette al suo fianco, lasciandosi avvolgere dal suo profumo.
"Sì, beh...è inutile dire che non fu una permanenza piacevole" 
"Mi dispiace tanto" avvertì il suo sussurro, prima che lei gli spostasse i capelli che gli ricadevano sulla fronte in un gesto che gli fece stringere lo stomaco in una morsa d'acciaio.
Stava precipitando in caduta libera, udiva la voce di Quinn, sentiva il suo tocco, il calore del suo corpo, ma in qualche modo gli sembrava distante, come se lui fosse racchiuso in una bolla.
"Fu Dahak a portarla via. Nessuno mi ha mai spiegato esattamente cosa successe, ma so che...lui riuscì a conquistare i prigionieri di Thren a seguito di una perdita a livello territoriale. Qualcosa in mia madre lo colpì e...provò pietà, immagino. Lei era già incinta di me e si rifugiò nella città che oggi è Coventry, dove viveva una potente sciamana. Avevano le stesse origini sami, e la vecchia le garantì protezione e un posto in cui abitare a tempo indeterminato. La nostra casa sorgeva in questo preciso punto del terreno"


Quinn non sapeva cosa dire. Aveva sempre immaginato che Alec fosse nato e cresciuto negli Inferi.
Quando aveva scoperto che era per metà umano si era domandata come fosse possibile, ma quei demoni erano così spietati che immaginare una violenza non era stato così difficile.
Specialmente dopo aver conosciuto Dahak: l'odio nei confronti degli umani era stato palpabile non appena le si era avvicinato.
E invece non era stato lui, ma l'essere orribile che con il suo sangue si sarebbe risvegliato.
Immaginò i pensieri di Alec a quel proposito e cominciò a capire perché la stesse a tutti costi tenendo lontana da chiunque volesse il ritorno di Thren. Sarebbe stato un vero incubo.
Improvvisamente si guardò intorno cercando di immaginare come fosse quel posto quando Alec ci viveva con sua madre.
Si figurò un bambino biondo con gli occhi grigio-verdi scorrazzare nei campi che li circondavano.
Poi capì.
"La scatola che mi ha affidato la sciamana...Alexander eri tu"


S'irrigidì nel sentire quel nome.
Con tutte le donne che aveva avuto, non aveva mai, mai lasciato affiorare l'argomento. Era chiuso ermeticamente in una parte remota della sua mente, e avrebbe preferito che vi rimanesse per sempre.
"Siamo rimasti qui fino ai miei dieci anni,
era il 1713 quando venimmo attaccati dai demoni della vendetta"
La sentì distrattamente trattenere il respiro a quella notizia.
"Uno di loro mi tenne fermo, mentre gli altri cercavano Liz, mia madre. Ascoltai le sue urla all'interno della casa e lottai per liberarmi, spinsi come un pazzo, senza risultati. Non la vidi più uscire. Pensai che avrebbero ucciso anche me"
Sorrise appena. Un sorriso finto, arido.
"In effetti lo speravo" disse poi, ricordando benissimo quella sensazione, quel desiderio di farla finita.
Aveva persino pregato un Dio in cui non credeva. Ma evidentemente sua madre aveva ragione: non c'era abbastanza bontà in lui perché potesse anche solo sperare di essere ascoltato da quell'entità misericordiosa.
Strinse i denti, costringendosi a continuare.
"Mi portarono via con loro e per sette anni ho dovuto combattere nei campi d'addestramento di Thren, fino a che non riuscii a scappare compiendo il mio primo omicidio"


Il cuore di Quinn fece un piccolo balzo all'idea che Alec avesse sofferto e, dannazione, non avrebbe voluto che sobbalzasse affatto.
Aveva  molti più anni di quanto pensasse, era incredibile che ne dimostrasse meno di venticinque.
"E' stato allora che sei andato da Dahak?"
"No. Lui mi ha trovato. Ero finito in uno di quei club dove per sopravvivere dovevi combattere sul ring"
"Una sorta di Fight Club
demoniaco?" mormorò Quinn, scettica sulla possibilità di uscire da un ambiente del genere senza ferite profonde. Lui si lasciò sfuggire una sorta di sbuffo, prima di annuire.
"Non era molto divertente, ma avevo da mangiare e un posto dove dormire. Quegli incontri erano l'unica cosa positiva della mia giornata" fece una pausa "Almeno da quando cominciai a vincerli tutti" specificò, riassaporando quella sensazione di potenza assoluta.
"Dahak mi ha avvicinato dopo che avevo steso un demone di livello medio. Disse che avevo del potenziale, che raramente provava ammirazione per qualcuno così giovane, e mi ha offerto di entrare  nel suo clan. Mi ha spacciato per un suo figlio illegittimo, così da giustificare la presenza di un mezzosangue alla fortezza, e mi ha insegnato a controllare meglio la mia forza e le altre facoltà, promettendomi che in quel modo non sarei più stato un bersaglio di Thren. Qualche anno dopo, trovò il modo di...ucciderlo, congelarlo o qualunque cosa gli abbia fatto"
"E' stato premuroso, per essere..."
"Un demone?" la interruppe lui con tono duro, infastidito.
"Stavo per dire un perfetto estraneo"
Lui stesso aveva sempre pensato che fosse un comportamento sospetto. Non si era fidato di Dahak per i successivi cinquant'anni, nonostante avesse messo a repentaglio la sua reputazione inventandosi la relazione con una donna umana.


"Sei mai tornato qui? Prima d'ora, voglio dire" volle sapere lei, trattenendo l'impulso di allungare la mano e passargli le dita lungo la perfezione maschile del bicipite fino alla forza compatta dell'avambraccio, dove spiccava l'intricato disegno del tatuaggio che, aveva scoperto tempo prima, copriva delle strane cicatrici orizzontali.
Probabilmente risalivano a prima che la sua parte demoniaca prendesse il sopravvento.
"Non ci ho più rimesso piede"
"Beh, è normale. Lo capisco" Anche se non ha aiutato granché, aggiunse tra sé.
Quando tornò a guardarlo con attenzione, le sembrò rigido e irraggiungibile, per quanto le stesse alla distanza di un braccio, e cercò di comprendere cosa si agitasse dietro quello sguardo privo di emozione. 
 
"Non capisco perché tu abbia rinnegato la tua parte umana, però" disse a mezza bocca. Aveva catalizzato tutta la rabbia e il dolore in un intento vendicativo e se ne faceva forza.
Tuttavia era evidente che amava sua madre, perché allontanare l'unica cosa che lo collegasse a lei?


"Se l'avessi fatto davvero, adesso avrei meno problemi" rispose lui con una risata amara.
Molti meno problemi.
A cominciare dall'aver tradito la fiducia dell'unico che mi abbia mai dato una possibilità. 

Quei pensieri gli rimbombarono nella testa per un tempo indefinito, finché le mani di Quinn non si posarono sulle sue. 
Gli strinsero le dita per un attimo, ma fu sufficiente a fargli alzare la testa.
I suoi occhi brillavano di una luce strana, anche se piacevole, e il debole sorriso sulle sue labbra non era di biasimo.
Aveva uno di quegli sguardi compassionevoli che solo gli umani sono capaci di assumere.
L'evidente apprensione che le si leggeva in volto, lo toccava  profondamente, più di quanto avrebbe voluto.
Da quanto tempo qualcuno non si preoccupava per lui?
Era diffidente, eppure provava uno strano calore al petto, perché gli piaceva quella premura.


Quinn lo sentì tremare impercettibilmente, con i muscoli tesi come se volesse allontanarla, ma non lo fece.
Invece le prese lentamente il viso nei palmi delle mani e le fece reclinare il capo all'indietro per guardarla negli occhi.
Lui aveva le pupille dilatate e il nero luccicante inghiottiva quasi completamente le iridi.
Sembrava sperduto, solo. E lei capiva entrambi i sentimenti. Li aveva provati per la maggior parte della sua vita.
Poteva solo immaginare cosa volesse dire provarli per trecento anni.
Non c'erano luce né calore sul suo volto. Solo un dolore seppellito così nel profondo da non risultare visibile a nessuno.
Un dolore lacerante, che non dava requie. Ma lei riuscì a vederlo, a sentirlo come un'entità tangibile, e per uno strano scherzo del destino provò quasi tenerezza nei suoi confronti.
Lavorando come volontaria al fianco di una bravissima psicologa infantile, aveva già incontrato individui che presentavano le stesse caratteristiche che ora riconosceva in lui.
Solo che, essendo ancora bambini, era stato più facile far imboccare loro
una via d'uscita da situazioni spiacevoli. 
Qualcosa che Alec non aveva ancora fatto.


Un ruggito gli rimbombò nel petto e le labbra si dischiusero impercettibilmente.
Le sfiorò le labbra con un tocco lieve e fugace, come se temesse di prendere troppo o di allarmarla.
Poi, con un profondo gemito di gola, reclamò un bacio selvaggio, e si sentì quasi morire per la perfezione del suo gusto caldo, dolce. In tutta la vita non aveva mai conosciuto un desiderio così urgente, come se la fame per lei fosse qualcosa di vivo che si impadroniva del suo corpo.

Il respiro divenne affannoso, man mano che i baci si facevano più appassionati, lui l'attirò più vicino tenendola per la vita sottile e le mordicchiò delicatamente il labbro inferiore.
Quinn gli posò una mano sulla guancia. Quell'accenno di barba le solleticò il palmo, provocandole un brivido lungo il braccio.
Lui chiuse gli occhi e inspirò profondamente, come se stesse godendo del contatto con lei.

Sarebbe stato più saggio farla finita una volta per tutte, si disse, prima che la brama che gli ardeva dentro consumasse anche l'ultima briciola del suo autocontrollo. Si sforzò di creare il distacco cui faceva sempre appello quando era con una donna.
Doveva controllarsi, era necessario.
Allontanarsi da lei, ora che la sentiva abbandonarsi tra le sue braccia, fu un'impresa più difficile di quanto avesse immaginato.
Lei lo guardava confusa e imbarazzata, gli occhi brillanti che sembravano leggergli dentro, come se riuscisse ad immergersi in quel piccolo pezzo ancora integro della sua anima umana e percepisse la malinconia, l'insofferenza, il dolore che vi si albergava da secoli. Prese un profondo respiro, cercando di chiuderla fuori dalla sua mente.
"Qualsiasi cosa possa esserci fra di noi non è una buona idea"
Le sue parole furono una doccia fredda di realtà: quel suo rifiuto la colpì nel profondo.
Lo osservò in tralice: la mascella era tesa, gli occhi fissi su muro di fronte.
In quel momento sembrava così freddo, di nuovo distante, lontano milioni di chilometri da lei.
"Sì, lo so" mormorò, sentendosi improvvisamente patetica.
Alec assorbì quelle parole, chiedendosi
come avrebbe fatto a tenere le mani lontano da quella ragazza.
Chiedendosi
come diavolo fosse finito in quella situazione.
  
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