Libri > Orgoglio e Pregiudizio
Segui la storia  |       
Autore: Damson    10/05/2013    1 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
-------------
“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 5
Stronzate.
 
DON GIOVANNI-…Ogni bel frutto non è che un verme che si nasconde. Ecco il grande segreto che non bisogna conoscere! Provate un po’ a vivere sapendolo.
IL DIAVOLO-Provate!
DON GIOVANNI-Ci siamo riusciti subito. Il fogliame in cui da allora la donna si nasconde ci concesse il vizio donandoci le vesti; e presto scoprimmo il modo di dimenticare, anche se per un istante, che non c’è cosa che non nasconda un verme!”
(L’ultima notte di don Giovanni , Edmond Rostand)
 
 
Era soltanto la terza settimana di giugno e già il caldo si faceva insopportabile.
Malgrado questo, con lo sdegno di Caroline e lo sconcerto di tutti gli altri, Charles non riusciva mai ad esaurire le sue energie: era iscritto a due tornei di calcetto (a sette e a cinque), a uno di beach volley e ad un corso di windsurf.
Elisabetta si domandava cosa sarebbe successo se Giovanna non avesse dovuto passare a lavoro la maggior parte di quelle giornate: lui si sarebbe accontentato di passare un po’ di tempo in spiaggia o l’avrebbe coinvolta in tutte quelle attività?
Quel sabato Giovanna aveva avuto il giorno libero, così erano andate al mare con Carlotta.  L’idea era quella di riposarsi: non fare assolutamente niente, stare tutto il giorno sdraiate al sole a poltrire come le lucertole.
Purtroppo verso mezzogiorno Charles si era unito al gruppo con lo specifico scopo di rovinare tutti i loro piani: era un tipo fin troppo frizzante ed energico per riuscire a stare tranquillo a sonnecchiare al sole e, tempo pochi minuti, aveva già trascinato Giovanna in acqua, aveva costretto Elisabetta a giocare a racchettoni e si era calmato solo quando si erano messi tutti insieme sotto l’ombrellone a giocare a Uno.
Anche Darcy d’altra parte era pieno di energie, solo che le spendeva nel lavoro: in tutti quei giorni non si era mai schiodato dal tavolino sulla terrazza del bar. Ogni mattina era lì, puntualissimo (come se avesse dovuto rendere conto dell’orario a qualcuno), con il suo fedele iPad e l’immancabile telecomando dell’Enterprise. Spesso con  qualche costosa camicia a mezze maniche, più raramente (per sentirsi più casual) con qualche elegante polo di Ralph Lauren. Elisabetta sperava di cuore che, una volta che si fosse degnato di portare in spiaggia la sua augusta persona, il sole lo avrebbe ricompensato con un’ustione di quarto grado.
Anche Caroline si faceva vedere poco: Darcy lavorava e lei non poteva infastidirlo in continuazione, quindi preferiva di gran lunga passare i pomeriggi con quelli del Rotary Club piuttosto che con le nuove amichette del fratello.
Elisabetta non poteva che sentirsi tranquillizzata da questa assenza: dal poco che fino a quel momento aveva potuto vedere, l’altezzosa sorella di Charles non doveva essere una cima di simpatia. E le sue prime impressioni sulle persone erano solitamente corrette.
 
Quel pomeriggio Elisabetta si era attardata a lavorare al bar, quindi aveva preso un panino per cenare e lo stava mangiando correndo verso casa.
In realtà non era tardi, anche se il sole era già tramontato era pur sempre un’ora abbastanza decente per poter trovare in casa Benetti qualcosa di pronto per la cena (e questo perché sua madre cucinava ogni giorno per un’ intero reggimento), ma quella sera aveva fretta di uscire. Iniziava infatti il programma di film del cineforum organizzato tutte le estati dal comune che, per lei e suo padre, era un appuntamento immancabile.
Quell’estate era in programma Woody Allen:non vedeva l’ora, anche se in realtà aveva già visto quasi tutti i suoi film.
Quindi di corsa a casa, non c’era neanche molto tempo per cambiarsi e sperava che suo padre fosse già pronto.
Trovò il signor Benetti in canottiera e pantaloncini, stravaccato sulla poltrona del suo studio, con un libro in mano e con il ventilatore al massimo della potenza.
“Ehm…babbo?”
“Oh, Lisa! Ben arrivata a casa.”
“Perché non sei pronto?”
“Ma sono pronto… pronto a passare una serata in compagnia del mio libro.”
“Ma dobbiamo uscire! Stasera inizia il cineforum…”
“Ecco, come vedi oggi ho avuto una giornata faticosa e ora ho bisogno di rilassarmi un po’. Sarebbe uno sforzo incredibilmente eccessivo per le mie attuali forze dovermi cambiare in tutta fretta per arrivare in orario, sai bene che odio entrare in sala con il film già iniziato.”
“Te ne sei dimenticato vero?”
“Touchè…”
Elisabetta lo guardò con una espressione tra l’interrogativo e il risentito di cui il signor Benetti conosceva da tempo il significato: bene, cos’hai intenzione di fare per rimediare?
“No Lisa, non mi sento in colpa. Ho visto Io e Annie minimo un trilione di volte. Per stasera cedo il mio abbonamento a Giovanna che, sapendo che dovrai andare sola, non potrà fare a meno di accompagnarti.”
Andò proprio così: dato che l’imperativo morale della vita di Giovanna era il bene del prossimo, non poté certo dispensarsi dall’accompagnare la sorella al cinema. Oltretutto, come le fece notare Elisabetta, l’abbonamento era già pagato e sarebbe stato uno spreco di soldi saltare anche un solo spettacolo. Per quanto buona Giovanna non poté trattenersi dal prenderla in giro per la spilorceria virale che l’aveva colpita da quando si guadagnava uno stipendio.
Il cinema era all’aperto, in un giardino vicino al castello. Non era troppo lontano da casa loro e si avviarono a piedi passando per il lungomare, in quel momento invaso dai turisti che ammazzavano il tempo facendo due passi.
Non avevano fatto molta strada che sentirono una voce nota chiamare Giovanna ad un tono eccessivamente alto e videro Bingley correre verso di loro tutto giulivo.
Mentre le accompagnava verso il centro storico raccontò che Caroline l’aveva trascinato con la forza ad una cena del Rotary ed era riuscito ad evadere solo in un momento in cui era particolarmente disinteressata alla sua presenza: per carità, lui non aveva nulla contro il Club, anzi i ragazzi che vi aveva conosciuto erano tutti ottime persone, solo che stare tutta la sera bello impomatato a fare attenzione all’etichetta non era proprio una cosa che faceva per lui.
Stava pensando di tornare a casa da Darcy, che non era uscito per lavorare: il solo pensiero che uno stacanovista del genere fosse suo amico lo faceva sentire affaticato.
Ad Elisabetta venne il serio dubbio che Mr. Simpatia avesse approfittato dell’occasione per stare un po’ da solo con l’iPad: va bene stare anche in mezzo agli altri ma ogni coppia dovrebbe ritagliarsi dei momenti di privacy. 
Questo le fece venire in mente che, magari, sarebbe stato lecito dileguarsi il prima possibile, in modo da lasciare soli i due piccioncini.
Approfittando di un momento di distrazione di Bingley, che si era fermato a salutare una delle ottocentomila persone con cui aveva già fatto amicizia, Elisabetta afferrò la sorella per un polso: “Giò senti, vado da sola al cinema.”
“E mi lasci sola con lui?”
“Beh, l’intenzione era proprio quella…”
“No, no, resta! Oppure potremmo andare al cinema tutti e tre.”
“Ma, scusami Giò, credevo ti piacesse…”
“Si, mi piace! È solo che… ecco…non voglio restare sola con lui, mi pare un po’ prematuro.”
“Prematuro?! Cos’hai nella testa? Deve chiedere il permesso a babbo per portarti fuori?! Fatevi due passi insieme o andate a sedervi in qualche locale, giusto il tempo di un film, poi mi venite a riprendere all’uscita. Non vorrai portarlo al cinema, poveretto! Le uniche due parole che conosce in italiano sono ciao e cappuccino!”
“Ma mi dispiace che tu debba andare da sola.”
“Giò, giuro che ti riempo di botte!”
Elisabetta gettò un’occhiata a Bingley e vide che si stava girando verso di loro, pronto a percorrere i pochissimi passi che li separavano.
“Forza Giò, non dirmi che hai paura di lui, mica ti stupra. Piuttosto avrei paura di restare sola con quel sociopatico del suo amichetto!”
Giovanna non poté ribattere perché Bingley le raggiunse; anzi, dovette sottostare ai dettami di Elisabetta: salirono verso il castello e, arrivati all’entrata del cinema, si salutarono.
 
Darcy doveva veramente lavorare, non era stata una scusa per restarsene a casa da solo: per sua fortuna (o per sfortuna?) aveva ereditato un mestiere che poteva svolgere in qualsiasi punto del globo, purché avesse un collegamento internet.
Era uno dei motivi per cui aveva accettato di passare tre mesi in Italia in vacanza con Bingley.
Il motivo principale era perché ci teneva a visitare la Toscana, anche se per ora aveva visto solo un bar con una terrazza sul mare (molto bello, per carità!, ma era un bar con una terrazza).
Erano atterrati a Pisa e non avevano neanche visitato Piazza dei Miracoli! Indecente.
Aveva incolpato i Bingley per quella superficialità e disorganizzazione ed aveva assolto se stesso. Nella realtà, ignorata nel mondo della sua mente, sarebbe bastato aprire la bocca ed esprimere il suo parere a riguardo: Charles trovava un’ottima idea qualsiasi sua opinione e Caroline non vedeva l’ora che lui esprimesse un qualsiasi tipo di desiderio o preferenza per poterli soddisfare.
Ma per Darcy alle volte l’atto di parlare era talmente impervio da lasciarlo completamente spossato.
Quella notte il tempo aveva deciso di molestarlo con un’afa talmente appiccicosa che i vestiti gli si attaccavano alla pelle anche se stava immobile, così decise di uscire: magari sul mare avrebbe trovato un’aria più fresca. Anzi, per ogni evenienza tanto valeva mettersi un paio di pantaloni lunghi, magari quelli gessati.
Andrea aveva dato un passaggio a Charles e Caroline, così lui poteva disporre in modo autonomo della Passat: era l’occasione giusta per gettarla in un fosso, ma, purtroppo, se la fece scappare preferendo fare due passi nel centro storico.
Non molto tempo dopo, venendo giù dal Castello, notò l’entrata di un giardino. Era molto bella: c’erano un cancello in ferro battuto e dell’edera che si intonavano bene con le mura di pietra.
Affissa all’entrata c’era la locandina di un film “Io e Annie” ad indicare che lo spettacolo unico sarebbe iniziato di lì a pochi minuti.
La curiosità di vedere come fosse all’interno un cinema con un’entrata del genere e la sensazione piacevole che gli dava l’aria che rinfrescava con l’avanzare delle ore notturne, stavano condizionando positivamente il suo umore, così decise di entrare.
Notò tre caratteristiche che gli fecero apprezzare molto quel luogo: il cinema era all’aperto, era piccolo e c’erano pochissime persone.
Giusto il tempo di fare il biglietto e vide, davanti al chiosco delle bibite, Elisabetta che chiacchierava con il venditore, un ragazzetto che doveva avere ad occhio la stessa età di lei.
Sì, ma lei quanti anni aveva? Si rese conto non solo di non averglielo mai chiesto, ma di non averci tenuto mai una vera e propria conversazione. Dovette ammettere che quella volta che era venuta al suo tavolo al bar non le aveva detto gran che.
Rimase fermo ad ascoltarla, catturato dalla divertita disinvoltura che aveva nel gesticolare mentre parlava. Gli servirono un paio di secondi per accorgersi di essere rimasto imbambolato ed un altro paio per far finta con se stesso che ciò non fosse successo.
Secondi che furono abbastanza perché il ragazzo del chiosco lo notasse.
Anche lui a sua volta rimase interdetto. C’era un uomo che li stava osservando: era troppo lontano per volere acquistare qualcosa, ma abbastanza vicino da far risultare inquietante il fatto che se ne stesse immobile ad ascoltarli parlare.
Vedendosi colto in fallo Darcy non poté far altro che avvicinarsi.
Quando Elisabetta si girò e lo vide, lui sollevò una mano in segno di saluto.
Lei parve sorpresa, ma quasi subito i suoi occhi assunsero una luce furba, poco rassicurante.
“Ciao Darcy” disse “sembri una comparsa del padrino, sei venuto a farci qualche offerta?”
“Oddio ma lo conosci!” esclamò il ragazzo dietro al bancone “maremma amico, m’ hai fatto prende un colpo!”
“Ah si? In effetti stavi guardando dietro di me in modo strano” disse con un sorrisetto Elisabetta, senza però togliere gli occhi di dosso a Darcy.  Missione: metterlo a tutti i costi in imbarazzo “Cos’ ha combinato?”
“Stava lì e ci guardava.”
“Santo cielo, un crimine imperdonabile. Forza Darcy, dimmi come hai intenzione di comportarti per fare ammenda.”
“Via amico, un te la prende” disse il ragazzo sporgendosi dal banco per dargli una sonora botta su una spalla: aveva notato che Darcy iniziava ad essere un po’ a disagio e gli dispiaceva “Lo sai com’è Lisa no?”
“No, in realtà non lo so.”
“Di certo nessuno oserà mai criticarti per non essere sincero” gli rispose lei.
“Pe Lisa un vale di certo” si intromise il ragazzo “spesso e volentieri dice cose che un pensa. Ma per me vole solo fa venì le mosche al naso!”
“Visto Darcy? Adesso sai qualcosa in più su di me, puoi annotarla sull’iPad.”
“Ragazzi, mi fa piacere davvero che invece di vedè il film state qui a fammi compagnia, ma sta iniziando!”
Darcy fu veramente sollevato da quell’informazione, iniziava sul serio a non saper gestire quella situazione e non era neanche sicuro di capire bene tutto quello che diceva quel ragazzo (non avrebbe mai fatto l’abitudine al maremmano: perché doveva venirgli una mosca sul naso?). 
Pensò che come prima conversazione non era andata un gran che bene, ma poi, mentre si avviavano a prendere posto, guardò di nuovo gli occhi di Elisabetta ed ebbe come l’impressione di essere stato graziato: aveva certamente per la testa qualche pensiero spiritoso su di lui, ma per fortuna aveva avuto il buon cuore di non dirlo davanti a un tizio che, per lui, era uno sconosciuto.
Oltretutto durante il film si rese conto con sgomento che guardare verso lo schermo era un problema: c’era come una forza oscura (che lui chiamò curiosità) che voleva costringerlo a tutti i costi a girare il collo verso la ragazza che gli sedeva accanto.
Si impegnò con tutta la sua volontà a tenere sempre gli occhi fissi davanti a sé.
Elisabetta invece aveva deciso che non si sarebbe in alcun modo fatta intimidire da quella situazione, si concentrò sul film ed in breve la storia di Alvy le fece dimenticare le circostanze che quella sera le avevano fornito un compagno per il cinema.
Poco prima della fine mandò un sms a Giovanna: “Dimmi dove siete, vi raggiungo io.”
Il messaggio della sorella non tardò ad arrivare: per fortuna si trovavano in un pub del centro storico, molto vicino al cinema. Scrisse subito la risposta: “Tra dieci minuti sono da te. Dì a Bingley che mi porto dietro il suo amichetto che stasera ha bighellato invece di lavorare”.
Contro ogni previsione di Elisabetta, Darcy fu gentile ed accettò di raggiungere gli altri, ma, esattamente come previsto, non aprì mai bocca: si limitò ad annuire ed a camminare accanto a lei.
Sempre come previsto, Elisabetta si stufò dopo pochi passi.
“Eh sì” commentò a voce alta, come parlando con se stessa “Tu sei un uomo che sa mettere a proprio agio le ragazze.”
“Scusa?”
“Forza Darcy, un po’ di impegno. Non puoi startene muto per tutta la strada no?”
“Ecco io.. non ho il dono di conversare con facilità con persone che non conosco bene.”
“Stronzate.”
Lui le lanciò un’occhiata ostile, ma lei gli sorrise.
“Oh non fraintendermi: penso che l’introversione sia una bella qualità, ma se ti comporti così verrai solo scambiato per un maleducato. Siamo appena usciti da un cinema, potresti parlare del film: ti è piaciuto? Non ti è piaciuto? L’avevi già visto? Potresti dirmi come ci sei capitato, visto che il mio informatore mi ha riferito che eri chiuso in casa a lavorare...”
“Il film l’avevo già visto.”
“Wow! Un notevole passo avanti nella nostra conoscenza reciproca: qualche altra informazione e riuscirai a conversare con facilità.  Ti hanno mai mandato da un logopedista da piccolo?"
“Per fortuna non sei una psicologa, non metteresti i pazienti molto a loro agio.” “Che ne sai che io non sia una psicologa?”
“Passi il tuo tempo a scrivere al computer o a servire al bar, non sembrano le attività tipiche di uno psicologo…”
“Senti Sherlock, credo invece che dovremmo provare. Una seduta a un modico prezzo, come Lucy e Charlie Brown.”
“Quindi conosci sul serio la psicologia?”
“Oh, in realtà no. Però mi piace: mi piace osservare le persone, capirne i caratteri e le motivazioni che le spingono ad agire in certi modi invece che in altri…”
“Ma che lavoro fai allora?”
“Faccio un dottorato in filologia,”
“E sfoghi questa tua passione per gli psicolabili con Woody Allen?”
“Certo, perché no?”
“Una logica stringente. E questo film perché ti piace?”
“Oh, è meraviglioso! Fa capire quanto sono illogici i rapporti tra uomo e donna: non esiste possibilità di fornire una spiegazione razionale per le nostre scelte sentimentali e soprattutto non esiste un appagamento duraturo in un rapporto di coppia.”
Darcy la guardò (ed a Lisa sembrò che avesse un’aria un po’ contrariata) e disse:
“E’ vero che la storia tra Alvy ed Annie naufraga, ma il finale fa capire che tra loro oramai si è creato un legame che non potrà mai più essere sciolto.”
“D’accordo, ma annienta completamente la favola dell’amore eterno.”
“Che cosa triste” commentò Darcy, più a se stesso che ad Elisabetta.
“Ma scusa, non ti piace il film?”
“Si, certo che mi piace. Ma perché è bello e basta, non devo per forza condividerne il messaggio.”
“Darcy sono commossa. Sei riuscito a condividere i tuoi pensieri con un’estranea.. peccato che anche questa fosse una stronzata. Ne stai dicendo parecchie stasera.”
“Non era una stronzata” rispose lui stizzito.
Elisabetta rise  “No, non lo era.. Volevo solo contraddirti, ma se dici cose con cui concordo questo è l’unico modo.”
“Non ha senso…”
“Sì che ha senso!”
“No invece!”
Erano arrivati al pub e Darcy fu chiamato a gran voce da Bingley. Lui e Giovanna erano seduti ad uno dei tavolini esterni e loro li raggiunsero.
Non c’è altro di rilevante da aggiungere su quella serata se non che Darcy notò che Giovanna si comportava sempre in maniera un po’ distaccata nei confronti di Bingley; ma, constatando che si conoscevano da pochissimo tempo, lo giudicò un comportamento molto coscienzioso e lo approvò. Inoltre constatò che il carattere frizzante di Elisabetta non gli dispiaceva, anzi decise che gli sarebbe piaciuto conoscerla meglio.
 
________________________________________________________________________________
 
 
Nei paesi anglofoni sono ormai decenni che si è insinuato nel sentire comune un profondo amore per un particolare motoveicolo italiano: la Vespa.
Da buon inglese anche Bingley era succube di questa attrazione e ci fu ben poco da fare per Darcy quando, mentre la mattina dopo facevano due passi insieme in centro, videro una vecchia 50 special verde militareparcheggiata al bordo di un marciapiede con affisso sopra un cartello di vendita.
Darcy non aveva fatto ancora in tempo a spiegare a Bingley che, prima di prendere una qualsiasi decisione, era doveroso valutare bene tutti i pro e i contro che l’altro aveva già composto il numero di telefono scritto a caratteri cubitali sul cartello.
Quando però Bingley sentì, dall’altro capo, una voce sconosciuta che diceva “Pronto” realizzò di non essere in grado di sostenere una conversazione in italiano e, tutto sorridente, passò il suo cellulare a Darcy.
Il proprietario della Vespa si rivelò essere un vecchio contadino maremmano con la capacità (congenita in questa parte d’Italia) di inserire almeno una bestemmia ogni quattro parole, ogni tre se gli girava bene.
Tale talento lasciò Darcy talmente stupefatto, che non ebbe neanche la capacità di indignarsi.
Dopo una estenuante conversazione, durante la quale ognuno degli interlocutori dovette ripetere minimo due volte le frasi che pronunciava, Darcy riuscì ad accordarsi con il contadino per la vendita.
La Vespa era una 50 special del ‘79 della seconda serie, aveva 4 marce e cerchi da dieci pollici: rispetto alla prima serie era quindi più stabile ed aveva una miglior tenuta di strada, ma la cosa migliore in assoluto, come fece notare il contadino, era il telaio rinforzato.
I telai rinforzati, come dovette spiegare a Darcy che non stava capendo, erano i migliori per nascondere i motori truccati ed era esattamente il loro caso: quel vespino infatti superava senza alcun problema i 120 kilometri orari.
Ebbe un bel da fare Darcy per cercare di convincere l’amico a lasciar perdere, non ce ne fu assolutamente modo, oramai Bingley aveva preso la sua decisione: la Vaspa voleva, la Vespa avrebbe comprato.
Diversamente da quanto si può intendere da queste circostanze, Bingley teneva il giudizio di Darcy in grande considerazione: lo reputava dotato di molta più saggezza di quanta madre natura ne avesse a lui concessa e la stima che Darcy aveva di lui incideva profondamente sul suo comportamento. Ma Bingley, d’altra parte, conosceva talmente bene Darcy da sapere che la sua indole estremamente proba lo portava a mettere sul banco degli imputati anche cose da cui spesso  era personalmente attratto. E Bingley era certo che la Vespa fosse uno di quei casi. Sapeva che nella mente dell’amico le due alternative si erano unite in una dicotomia inscindibile: comprare da un tizio poco affidabile una fuorilegge Vespa truccata/ comprare una Vespa; e l’unico modo per salvare la sua mente era trarlo fuori con la forza: quindi avrebbe comprato la Vespa.
Doveva segnarsi quella data: aveva preso, forse per la prima volta, una decisione al posto di Darcy.
L’unico appunto negativo da fare sulla Vespa era la vernice del telaio un po’ rovinata, così Bingley passò i tre giorni successivi l’acquisto a dipingere ed un pomeriggio, tornando a casa dal bar, Darcy la ritrovò rosso fuoco, con due bandiere inglesi che svettavano sui fianchi.
La cosa che più sconvolse Fitzwilliam Darcy fu lo scoprire, soltanto dopo il restauro, che il suo caro amico Charles non era capace di guidare una Vespa con le marce.
 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Orgoglio e Pregiudizio / Vai alla pagina dell'autore: Damson