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Autore: rolly too    08/06/2013    2 recensioni
Dino sta per mettersi sotto alle coperte e il telefono squilla.
Allunga una mano sul comodino per recuperarlo, lo urta e il cellulare quasi cade, ma con un movimento a metà tra l'intenzionale e il casuale riesce a recuperarlo.
«Sì?»
«Dino-san? Ti disturbo?»
«Tsuna?»
Fa un breve calcolo mentale: in Giappone sono più o meno le sette della mattina. Questo vuol dire che c'è qualcosa di urgente di cui parlare, se il piccolo boss dei Vongola gli telefona a quell'ora.
«È successo qualcosa?»
«Mi chiedevo, ecco... Se sai qualcosa di Hibari-san.»
«Kyoya?»
Non capisce cosa c'entri adesso Kyoya. Soprattutto, non sa cosa esattamente dovrebbe sapere su di lui.
«Sì, insomma, se sai dov'è.»
Genere: Azione, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dino sta per mettersi sotto alle coperte e il telefono squilla.
Allunga una mano sul comodino per recuperarlo, lo urta e il cellulare quasi cade, ma con un movimento a metà tra l'intenzionale e il casuale riesce a recuperarlo.
«Sì?»
«Dino-san? Ti disturbo?»
«Tsuna?»
Fa un breve calcolo mentale: in Giappone sono più o meno le sette della mattina. Questo vuol dire che c'è qualcosa di urgente di cui parlare, se il piccolo boss dei Vongola gli telefona a quell'ora.
«È successo qualcosa?»
«Mi chiedevo, ecco... Se sai qualcosa di Hibari-san.»
«Kyoya?»
Non capisce cosa c'entri adesso Kyoya. Soprattutto, non sa cosa esattamente dovrebbe sapere su di lui.
«Sì, insomma, se sai dov'è.»
Scatta a sedere sul letto e stringe il telefono con più forza.
«Non sapete dov'è?»
La voce di Tsuna si fa incerta, «Non ti è arrivato il giornale che abbiamo mandato?» chiede.
Dino resta in silenzio. Non controlla la posta del suo appartamento da più di due settimane, quindi non lo può sapere. È da parecchio che non viene a dormire qui, di solito resta alla residenza e la posta la passa a prendere Romario. Ma in questi giorni si sentiva inquieto, ed è tornato.
«Vado a controllare.»
Si alza dal letto, muove solo un paio di passi a piedi nudi sul pavimento freddo ed esce dalla stanza. Impreca quando colpisce con il piede lo spigolo della porta, ma cerca di ignorare il dolore. Riesce ad arrivare alla cassetta della posta senza procurarsi danni gravi, e in effetti in mezzo a una discreta quantità di pubblicità inutili trova anche una busta di carta marrone che arriva dal Giappone.
«Cosa c'è di importante in questo giornale?» domanda.
«Vai a pagina 6, c'è un articolo che riguarda anche Hibari-san... Davvero non sai dov'è?»
«No, l'ultima volta che l'ho visto è stato quando sono venuto in Giappone e poi non l'ho più sentito.»
«Ah,» si lamenta Tsuna «è un disastro!»
Con non poche difficoltà e un doloroso taglio da carta Dino riusce ad aprire il giornale e ad arrivare a pagina 6. Un unico articolo occupa buona parte della pagina, arricchito da foto che catturano l'attenzione di Dino ben più dei difficili kanji che avranno bisogno di un buon vocabolario per essere tradotti.
Le foto sono semplici, in bianco e nero.
La prima ritrae un uomo di mezz'età, che forse ha cinquant'anni o poco meno, con pochi capelli ancora scuri e occhi allungati, fin troppo familiari.
Nella seconda si vede una villa che Dino conosce, anche se non ci è mai entrato. In stile tradizionale, ha un giardino tanto perfetto che sembra finto. Quello che Dino guarda ogni volta è il sentiero di ciottoli che porta dalla strada fino all'ingresso. Si curva sinuoso come un serpente chiaro tra il verde dell'erba, e lui tutte le volte che lo guarda si chiede perché non l'hanno fatto dritto. Tutte le volte che vede la schiena di Kyoya allontanarsi e i suoi piedi posarsi su quei ciottoli, si chiede perché segua il sentiero tracciato dai sassi e non cammini dritto. Lui, se dovesse entrare in quella casa, camminerebbe dritto. Ma lui è il tipo che calpesta l'erba, Kyoya no.
La terza foto è la scuola media Namimori ritratta in orario di chiusura, con il suo orologio sempre puntuale e il cortile vuoto. La foto è stata scattata alle cinque, ma se fosse mattina o pomeriggio Dino non saprebbe dirlo.
«Ci metto tanto a leggere il giapponese. Cosa c'è scritto?»
«L'uomo nella foto è il padre di Hibari-san.» spiega Tsuna con voce concitata. «L'articolo dice che è un importante uomo d'affari, aveva un sacco di possedimenti, ma era pieno di debiti e da due settimane nessuno sa più dov'è.»
Il padre di Kyoya. Dino lo osserva con più attenzione. Dalla foto si fa fatica a capire quanto i due si somiglino in realtà, ma non vede molto del proprio allievo in quel volto spigoloso. Ma gli occhi, Dio, gli occhi. Quelli sì, quelli sono identici. Forse non hanno nemmeno lo stesso colore di quelli del figlio – sembrano scuri, dalla foto – ma lo sguardo è lo stesso. Il gelo è lo stesso.
«Qual è il punto?»
«Hibari-san non ha altri parenti e se li ha nessuno sa dove siano. Lo hanno portato in una casa famiglia perché è minorenne, ma...»
«È scappato.»
«Sì. Ormai è passata una settimana, non sappiamo più cosa fare! È scomparso, non viene nemmeno più a scuola!» Sospira. «Lo so che Hibari-san è forte, però sono preoccupato... E Reborn ha insistito perché ti avvisassi.»
«Kyoya sa badare a se stesso, quindi stai tranquillo.»
«Lo so, però...»
«In ogni caso» lo interrompe Dino «cercherò di mettermi in contatto con lui. Hai provato a telefonargli?»
«Sì, ma non ha mai risposto.»
Tipico di Kyoya.
«Vedrò cosa posso fare.»
Ma la verità è che non sa cosa fare. Riaggancia dopo aver salutato con allegria forzata Tsuna, lancia il telefono sul letto – e quello puntualmente cade giù dall'altra parte, ma non importa – e lui si limita a passarsi una mano sul volto. Va in cucina e riesce a inciampare solo due volte durante il tragitto, apre il frigo, tira fuori una birra e la beve in fretta, in piedi davanti al frigorifero aperto, senza nemmeno preoccuparsi di prendere fiato tra un sorso e l'altro.

Il cellulare di Kyoya suona a vuoto e Dino non è per niente sorpreso. Compone il numero per la terza volta e avvia la chiamata, ma lo fa solo per scrupolo, perché magari Kyoya, esasperato dalla sua insistenza, risponderà. Non risponde.
Ha promesso a Tsuna che farà qualcosa, non sa cosa, ma qualcosa deve fare.
Chiama Romario perché non è il caso che si metta alla guida di una macchina quando non fa altro che inciampare e si fa promettere che lo porterà all'aeroporto. L'uomo gli dice qualcosa riguardo alla possibilità che non ci siano aerei per il Giappone in partenza, Dino fa finta di non sentire.
Quando Romario arriva a prenderlo Dino gli sorride.
«La famiglia Vongola ha di nuovo bisogno di me.»
«Anche i Cavallone hanno bisogno di te. E domani dovevi incontrare i boss delle famiglie alleate.»
«Scusa, scusa, ma è una cosa urgente.»
Romario gli rivolge un'occhiata sconsolata «Devo disdire tutto?»
«Sì. I Vongola hanno la priorità.»
«Qual è il problema questa volta? Ancora gli anelli?»
No, magari fosse così semplice. Lì si trattava di battere qualche nemico, qui di recuperare un quindicenne al limite del sociopatico rimasto senza casa che vaga solo per il Giappone e convincerlo a farsi aiutare. Non è semplice, a Kyoya non piace essere aiutato.
«No. È Kyoya.»
«Quel ragazzino dà solo problemi.»
«Non dire così, dai. Ha solo un brutto carattere.»
«Fa sempre di testa sua.»
Dino sbuffa perché sì, Romario ha ragione. Kyoya non ascolta mai nessuno però almeno non pretende che gli altri ascoltino lui. È così che Dino è riuscito a diventare, più o meno, suo maestro. È una relazione priva di dialogo, si limitano a riempirsi di botte sul tetto della scuola o in qualunque altro luogo, però si capiscono.
«Deve crescere.»
«Ha quindici anni, non è un bambino.»
Dino resta in silenzio e non perde nemmeno tempo a chiedersi perché Romario faccia così. Lo sa, l'ha sempre saputo che Kyoya non gli piace. Quando ce l'ha davanti non dice nulla, lo tratta con gentilezza, come è abituato a fare con tutti. Quando può, però, si lamenta del suo comportamento infantile. Dino sa che ha ragione e che Kyoya dovrebbe comportarsi in modo adatto alla sua età, però se lui non lo fa c'è poco da fare e lui non riesce a fargliene una colpa.
«In ogni caso, in questo momento ha bisogno di aiuto.»
«Che cosa gli è successo?»
Dino spiega e mentre lo fa cerca di tirare le somme della situazione e pensare a qualche cosa di utile che lo aiuti a trovare Kyoya, però non gli viene in mente niente.

Il viaggio è il più lungo che Dino abbia mai affrontato, o almeno così gli sembra.
Romario ha trovato due biglietti quasi per caso, così sono stati costretti a partire loro due soli. Dino si mangia le unghie e ogni volta che Romario dice che andrà tutto bene ha l'impressione che qualcuno gli prema forte sullo stomaco. Fa male.
«In inverno in Giappone nevica, vero?»
«Sì, capo. Ma magari ha trovato un posto dove stare.»
Dino annuisce ma non è convinto. Da quello che sa Kyoya non ha parenti, e se suo padre è andato in bancarotta tutti i suoi beni sono sotto sequestro, e questo significa che non c'è una casa dove possa andare. Ed è inverno, fa freddo e chissà dove si è cacciato quel ragazzino.
«Il Giappone non è grande, ma per trovare una persona bisogna avere comunque un'idea di dove andare. Dove lo cerchiamo, boss?»
«Non ne ho idea.» confessa Dino. «Senti, Romario.»
«Sì?»
«Come ci si comporta con un ragazzo che è nella situazione di Kyoya? Quando lo troviamo, cosa devo fare?»
«È un ragazzo particolare. Prima devi capire come sta reagendo.»
Dino sospira e «Farà finta di star bene, come sempre.» dice.
«Prima dovresti preoccuparti di decidere da dove iniziare a cercarlo, comunque.»
È vero. Conoscendo Kyoya, Dino direbbe che non si è allontanato da Namimori. Però è rischioso per lui stare lì, e senza dubbio lo sa. Non vuole essere controllato e non vuole correre il rischio di essere catturato, quindi è probabile che sia andato via. Forse ha addirittura abbandonato la regione.
«Nel file che mi ha procurato Reborn quando mi ha chiesto di allenarlo c'era scritto che la sua famiglia ha una casa nell'Hokkaido.» risponde.
«Sarà senza dubbio sotto sequestro.»
«Sì, lo so, ma Kyoya non andrebbe mai in un posto che non conosce.»
«L'Hokkaido è grande.»
«Cercheremo la casa. È l'unico indizio che abbiamo.»
È certo che Kyoya si trovi lì. Ha imparato a conoscerlo, sa che si sente sicuro solo nel proprio territorio, proprio come un animale feroce. Un grande carnivoro, un animale con grandi denti aguzzi e molta forza. Come un leone. Ma quando Dino pensa a Kyoya non gli viene in mente un leone, ma
un cucciolo di tigre.

Il Giappone gli sembra ostile, in quel momento.
Mentre aspetta l'aereo che lo porterà in Hokkaido si guarda intorno. Ogni uomo che vede gli sembra minaccioso, in ognuno vede quello che potrebbe essere l'assassino di Kyoya.
Si chiede se, ovunque sia, qualcuno gli abbia fatto del male. Si chiede se stia soffrendo e si risponde di sì. Chissà se sarà in grado di aiutarlo, come spera.
Si rende conto di essere patetico a fare quel genere di pensieri, ma non può farci niente. Non importa quanto sicuro di sé possa essere Kyoya, è solo un ragazzino. Ha quindici anni, e ha ancora bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.
«Boss, andiamo.» lo incita Romario quando sente chiamare il loro aereo. Dino lo segue e quasi non vede e non sente quello che accade. Ha in testa soltanto Kyoya e l'assoluta necessità di trovarlo prima che si faccia del male, prima che sparisca definitivamente dalla circolazione.
Una testa calda come lo è quel ragazzino non ha speranze, se è solo e non c'è nessuno che lo possa tenere tranquillo. Perché Kyoya è forte, ma di gente più forte di lui ce n'è tanta e Dino lo sa. Basta solo che la trovi, e non può volerci tanto.
Specie se è solo, spaventato – Dino è sicuro che lo sia – e fuori dal proprio territorio. Proprio come un animale, Kyoya diventa violento quando non si sente al sicuro.
Da Tokyo a Sapporo il viaggio non è lungo, ma a Dino sembra che il tempo non passi mai.
Arrivano all'aeroporto Okadama e Dino si rende conto che non è più vicino a Kyoya di quanto lo fosse mentre era in Italia. Romario si è attaccato al cellulare da ormai diverso tempo, parla con qualcuno della famiglia e non sembra intenzionato a dargli qualche buon consiglio, così Dino non può fare altro che mangiarsi le unghie e attendere.
«Ivan dice che tenterà di trovare l'indirizzo della casa degli Hibari. Richiamerà lui appena avrà novità.»
Dino annuisce distrattamente.
«Ivan è bravissimo in questo genere di cose.» commenta, più per se stesso che per Romario. «Non ci vorrà molto.»
«Infatti. Boss, andiamo a mangiare qualcosa. Ti farà bene.»
Dino annuisce e pensa che non ha per niente voglia di mangiare, ma non lo dice. Segue Romario fuori dall'aeroporto, aspetta che chiami un taxi e si fa portare in un locale che Dino non conosce. Suppone che Romario ci sia stato quando ancora lavorava per suo padre.
«Coraggio, boss, a stomaco pieno di pensa meglio.» lo incoraggia l'uomo e ordina alla cameriera una quantità spropositata di cibo e Dino sa già che non lo toccherà nemmeno.
Si limita a chiedere una birra e quando arriva la manda giù tutta d'un fiato.
«Sta nevicando.» commenta. Kyoya avrà freddo, è questo che vorrebbe dire.
È certo che non sia in un posto caldo e al solo pensarci sta male.
«È un ragazzo forte. Sa prendersi cura di se stesso.»
«A volte ho l'impressione che sia meno vero di quello che pensiamo. Kyoya... non lo so, Romario. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.»
«Ci sei tu, infatti. Siamo in Giappone proprio per questo motivo.»
«Sì, ma non è abbastanza. Voglio dire, ha bisogno di qualcuno che ci sia sempre, capisci? Io faccio del mio meglio quando sono in Giappone, ma per uno come lui non è abbastanza. Ci vuole qualcuno su cui possa contare in ogni momento.»
«Non chiederebbe comunque nessun aiuto, perché è un ragazzino testardo.»
«Lo so. Ma solo il sapere di avere qualcuno, anche se non gli chiederai mai aiuto, è diverso dal sapere di non avere nessuno e di non poter chiedere aiuto nemmeno volendo.»
«Stai calmo, boss. Questi discorsi non sono da te. Troveremo quel ragazzino e tu lo aiuterai.»
Il telefono squilla, Romario risponde e Dino non può fare altro che attendere, con il cuore in gola, e sperare che sia Ivan e che stia dando un indirizzo, o qualcosa del genere.
Perché Kyoya è in Hokkaido. Ne è certo. È nella casa della sua famiglia, anche se è posta sotto sequestro, perché non c'è nessun altro posto al mondo dove potrebbe andare.
Gli viene in mente che invece c'è, e che potrebbe aver chiesto aiuto a Kusakabe, ma scaccia subito quell'idea perché Kyoya non lo farebbe mai. È troppo orgoglioso per farlo, anche se Kusakabe lo aiuterebbe senza pensarci nemmeno per un istante.
«Ivan dice che ha trovato dei riferimenti nel file che ha dato Reborn, ma non un indirizzo vero e proprio.»
«Possiamo arrivare fin lì, con quelle indicazioni?»
«Penso di sì. Dovremo cercare un po', comunque.»
«Va bene. Partiamo subito.»
Romario annuisce. Pagano per quel cibo che non hanno mangiato e chiamano un taxi. Romario propone di noleggiare un'auto, Dino non fa altro che annuire, passargli la carta di credito e pregare di fare in fretta.

Le strade di Sapporo gli sembrano un po' tutte uguali.
Romario dice che la casa è su un monte, a quattro ore di macchina da Asahikawa, che è a due ore da Sapporo. Il che fa un totale di sei ore di auto se non di più, dato che comunque dovranno cercare.
Sono tante, tantissime, e la neve cade sempre più fitta, ha iniziato a tirare un vento gelido e entro poco sarà buio.
Si stringe nel cappotto e sprofonda nel sedile dell'auto, mentre Romario guida tranquillo. Vorrebbe che fosse Kyoya a stringersi in quel cappotto. Vorrebbe che fosse estate e che facesse caldo, così ci sarebbe una preoccupazione in meno.
Invece è inverno e fa freddo, e se continua a nevicare in questo modo non potranno più usare l'auto.
«Stai tranquillo, lo troveremo.»
«Ho l'impressione che andrà tutto male.»
«Dino!» esclama allora Romario, chiamandolo come lo chiamava quand'era bambino e non era ancora il decimo dei Cavallone. «Coraggio, non fare così. Sei il nostro boss e sei l'unica persona da cui quel ragazzo accetterebbe aiuto. Lo troveremo, lo aiuterai e andrà tutto bene. Supererà questo momento.»
Dino rimane ancora in silenzio e chiude gli occhi. Spera solo di addormentarsi, e di svegliarsi accanto a Kyoya.

Ha l'impressione di aver abbandonato la civiltà ormai da un po'.
Procedono a rilento su una strada sterrata, con la neve che cade e anche le luci della città che ormai vanno scomparendo. Romario scruta con attenzione fuori dal finestrino.
«Ivan dice che dalla strada si vede un torii.» spiega. «Guarda anche tu, boss, se lo vedi vuol dire che siamo sulla strada giusta.»
Dino obbedisce e guarda, ma la neve che vortica fuori dal finestrino gli impedisce di guardare tanto lontano.
«Ah, eccolo lì.» dice Romario dopo un po'.
Dino ha perso il conto del tempo che è passato da quando sono partiti da Sapporo. L'Italia, poi, è solo un nebuloso ricordo. Ha in testa solo Kyoya e l'urgenza di trovarlo.
«Non credo che manchi molto, boss.»
«Davvero?»
«Sì. Ivan dice che dal punto in cui si vede il torii alla casa ci vuole circa un'ora. Con questa neve forse ci metteremo un po' di più, ma ormai ci siamo.»
Dino sospira. Kyoya dev'essere lì per forza. Deve, perché se non è lì lui non sa dove potrebbe cercarlo, e non può sopportare un'idea simile.
Prova a comporre il suo numero di cellulare e tenta di avviare la chiamata, ma in mezzo a quella boscaglia sperduta nel nulla  non c'è campo, perciò rinuncia e si limita a sospirare.
«Va tutto bene, boss. Tra poco lo troviamo.»
Per tutta risposta, Dino sospira ancora.
Percorrono il resto del viaggio in silenzio e si fermano solo quando giungono davanti a quella che, effettivamente, è una casa.
Costruita in stile moderno, con un giardino immenso a circondarla, la strada si ferma esattamente davanti al cancello di metallo, dalle forme dure e fredde. C'è una targhetta quasi illeggibile accanto, e con un po' di sforzo Dino riesce a leggere Hibari.
«È questa.»
Scendono entrambi dall'auto e provano ad aprire il cancello, ma è bloccato e loro non possono certo buttarlo giù o cose del genere. L'auto è a noleggio e rovinarla per abbattere una recinzione di una casa posta sotto sequestro non sembra una buona idea.
«Scavalco.» decide Dino e Romario non fa in tempo a dire nulla che ha già iniziato la sua scalata.
«Fa' attenzione, boss.»
«Sì.»
Dino atterra sulla neve dall'altra parte e gli sembra d'aver messo un mondo tra sé e Romario, anche se in realtà sono distanti solo pochi centimetri.
Si avvicina all'edificio studiandolo con attenzione, pregando di trovarvi Kyoya.
All'improvviso lo assale il terrore che il ragazzino non sia lì e la gola gli si chiude, lo stomaco si rovescia e fa male. Sente il bisogno di bere una birra.
«Kyoya?» prova a chiamare, inutilmente, mentre si avvicina alla porta.
Ma è chiusa, e non si aspettava nulla di diverso. Decide comunque di non arrendersi e fa il giro, osservando le finestre e tutte le aperture che trova, finché, alla fine, la vede.
Una finestra ha il vetro frantumato e da lì è possibile entrare senza fare troppa fatica.
Si mette d'impegno e ci passa attraverso, scivolando e ferendosi su un pezzo di vetro che sporge dall'intelaiatura. Guarda il taglio che ha sul braccio e si dice che non è niente di che, anche se brucia un po'.
L'interno della casa è buio e freddo. Muove qualche passo a tentoni, cercando di sfruttare la poca luce che entra dalle finestre per scorgere qualcosa, ma non vede nulla. La luce della luna non riesce a passare attraverso la boscaglia e non riflette sulla neve.
Cammina con le mani davanti a sé, seguendo il muro, cercando un interruttore della luce. Quando lo trova lo preme, ma non accade nulla.
Hanno già tolto l'elettricità. Fa un passo in avanti e inciampa posando il piede su qualcosa di duro. Si china e trova a terra una torcia. La prende in mano e si rende conto che l'impugnatura è bagnata di qualcosa di viscido, come se chi l'avesse usata avesse avuto le mani sporche. L'accende, si guarda le mani illuminate dalla luce artificiale e vede che il liquido che l'ha sporcato è rosso, ed è sangue.
Solleva in fretta la torcia per illuminare il più possibile la stanza e cercare Kyoya, con il cuore che martella in bocca e il terrore che il sangue sia suo, che sia ferito e che magari sia grave.
Si guarda intorno nella stanza spoglia, già rassegnato all'idea che non sia lì, nel panico più totale, e poi all'improvviso lo vede.
   
 
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