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Autore: pgio98    18/06/2013    0 recensioni
Se state leggendo quest'introduzione nel 90% dei casi siete adolescenti, proprio come me.
Una volta la mia prof. di lettere chiese alla mia classe 'Scrivete dei diari?Diari veri, che raccontano dettagliatamente la vostra giornata?' Bhe, mi sono inizialmente messa a ridere perchè oramai quest'idea del diario si è praticamente spenta, lasciando posto a degli stati su Facebook o Twitter, poi però mi sono seriamente chiesta 'e se ci provassi? se provassi a descrivere come mi sento ora, per avere dei ricordi dopo?'.
La mia storia inizia da qui, spero vorrete seguirla con me.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Cuore infranto*
 
 
 

 
 

 
 
I rantolii e gli ansimi sussurrati non riuscirono a placare ciò che una tempesta distruttrice stava infuriando dentro di me.
L'angosciosa sensazione di morte e distruzione.
La forza che ormai da minuti interminabili mi aveva abbandonata ora lentamente si stava facendo spazio tra le mie braccia.
Come ero riuscita a ridurmi così?!
Tentai lo sforzo di stringere stretto il pugno e serrare le gracili dita, tossii e col movimento del corpo riuscii a sentire una fitta dolorosa, fredda, quasi ghiacciata, scorrermi per tutto il corpo. Il rimbombo del mio gesto riuscì a farmi sentire un eco interno al mio busto, un rantolo roco proveniente dalle pareti della gola, e le stanche gambe istintivamente cercarono di muoversi.
Paralizzato.
Il mio corpo sembrava non appartenermi, quasi fosse un realistico fantoccio.
Quasi io fossi finta.
Sdraiata per terra, dolorante e scossa irregolarmente da gemiti strozzati, mi affannavo nel vano tentativo di scappare dai miei stessi pensieri.
Dalle mie stesse paure.
 L'addome ormai freddo, a contatto con la gelida superficie del pavimento che mi riscuoteva e mi rendeva qualsiasi movimento impossibile, continuava a contrarsi e ad espandersi con suoni totalmente alterati.
Ormai stanca di asciugarmi costantemente le lacrime, mi ero ridotta come una serpe a strisciare e a torturarmi silenziosamente.
Sola.
Ecco come mi sentivo.
Eppure, a pochi metri da me c'erano tante persone...
C'erano le mie amiche, c'era lui.
Questo pensiero sciolse lievemente i nervi rigidi e mi ritrovai a contemplare mentalmente ciò che mi circondava.
Dei panni stesi troneggiavano nel piccolo ambiente posto per lavare; allungai un braccio e raccolsi il cestello delle pinze.
Pinza dopo pinza a terra riuscii a comporre una frase alquanto depressa: 'I hate me'.
Un lieve fremito di mani e urla echeggiarono nella vicina stanza e io, che distavo poco da lì sentii e capii il motivo di tale frenesia.
Se solo non fossi così sensibile...
La voce femminile, riconosciuta in quella di Irene e quella di Fred, annunciarono con grande impazienza che lei era stata la prima scelta.
I papabili ora erano tutti e io racchiudevo un briciolo di speranza in quella bottiglia che quasi immaginavo roteare.
Il cuore si freddò in un istante, le articolazioni smisero di contorcersi dal dolore, i polmoni smisero di pompare ossigeno e cercai in tutti i modi di inghiottire mezzo litro di saliva, ma un groppo in gola me lo impediva.
Lui e lei.
Proprio come nel mio incubo.
Già, proprio ciò che io più temevo potesse accadere.
Altri fremiti ed urletti raggiunsero le mie orecchie.
Straziante la fitta di dolore che accusai, mi contorsi su me stessa, rannicchiandomi e accucciandomi in un angolino.
Tremavo, l'adrenalina che attraversava le mie vene non giovò la mia instabilità.
Mi ritrovai a vagare freneticamente per quel piccolo stanzino alla ricerca di aria, di ossigeno.
Stavano scorrendo a fiotti ormai scie bagnate e salate che lasciavo dilagare senza limiti e senza restrizioni.
Piangevo e mi contorcevo dallo straziante dolore, ma nessuno mi vedeva, nessuno mi sentiva.
Presto iniziai a singhiozzare e appena dopo mi sentii mancare il respiro per svariate volte. Stavo per svenire e lo sapevo, sapevo anche di essermi scioccamente chiusa a chiave in quell'angusto posto.
Tetri pensieri si accavallarono nella mia mente.
Sarebbe stato meglio morire...
Il bianco assoluto tempestò la mia oscura vista, sentii le gambe pesanti cedere sotto il mio greve peso...
   Quando mi ripresi erano passati alcuni secondi, forse minuti, la testa mi roteava e forse questo potrei considerarlo un bene.
La rovinosa caduta di peso che avevo subito lasciò come segni due lividi giallastri e per il dolore che accusavo, per minuti interi non tesi l'orecchio ad ascoltare.
E per me fu un bene.
Nelle mie pessime condizioni raggiunsi strisciando la porta e la maniglia, la aprii e inspirai in modo affannato il fresco ossigeno, di cui io avevo più che mai bisogno.
Cercai lentamente di riacquisire le forze necessarie ad alzarmi e velocemente mi ristabilii.
Raggiunsi tentoni il piano d'appoggio delle varie cibarie e, con la massima cautela mi versai un bicchiere d'acqua gelata.
Quando cominciai a bere mi resi conto che ancora tremavo e neppure poco.
Credetti però di stare abbastanza bene da poter assistere al loro tanto bramato gioco. Detesto il gioco della bottiglia; non ho mai avuto modo di baciare un ragazzo e sinceramente detesterei me stessa se mai mi lasciassi cadere così in basso.
Cercai di trovare l'espressione più serena che potessi avere e varcai, ancora tremolante, la soglia del mio incubo fatale.
Sguardi stupiti mi accolsero, le voci neppure le raggiungevano le mie orecchie.
L'atmosfera era colma di ardore e eccitazione, percepivo uno strato di palpabile agitazione in occhietti a me molto familiari.
Vanessa mi rivolgeva uno sguardo gelido, assente... vuoto... non era in sé.
Irene invece mi accolse con un certo sguardo eccitato e lussurioso, evidentemente era entusiasta.
Ma i suoi occhi mi spaventavano, quei familiari occhi castani erano diventati dei pozzi scuri e impenetrabili.
Impenetrabile la sua anima, il suo cuore.
Avevo paura.
Nella stanza chiunque era ammassato su qualcosa o su qualcuno e mi sentivo totalmente fuori luogo.
Desideravo andarmene...
E forse sarebbe stato molto meglio, perché quella maledettissima bottiglia magari non avrebbe indicato nuovamente lui, perché non avrebbe indicato la mia migliore amica Vanessa.
L'atmosfera calda però era priva di energia e gli sguardi, ora che facevo molta più attenzione, erano stanchi e neutri.
Lei mi guardò per alcuni attimi poi iniziò ad arretrare, lui si avvicinò sempre più, le loro labbra morbide si sfiorarono, nemmeno mi resi conto che il bacio era durato pochissimi attimi, forse un solo secondo, eppure nella mia mente c'era la proiezione costante dello stesso filmino.
 
    Di essere andata alla festa me ne pentii tantissimo.
Le sue labbra, i suoi occhi così vispi e bramosi quella sera.
Non sarei mai dovuta andare.
Era iniziata male ed era finita malissimo...
Altre feste?!? No.
Mai più.
   
 
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