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Autore: Amber_ G_ Keldridge    22/06/2013    3 recensioni
Cosa succederebbe se al dio degli inganni venisse data la possibilità di redimersi? E se lui accettasse, seppur con reticenze? Se incontrasse , per uno scherzo del destino, una persona capace di cambiargli la vita? E se quella persona, in qualche modo, avesse a che fare con lui più di quanto egli immagini?
E se tutto diventasse ancora più complicato a causa della minaccia di un nemico?
Il primo ad esser scettico è lo stesso Loki, che dovrà far fronte alle conseguenze dei propri piani di dominio su Midgard, facendo così ammenda dei danni verso la Terra.
Ovviamente, quando viene bandito da Asgard in attesa della decisiva sentenza di Odino, non si aspetta di incrociare una giovane vedova e madre dall'oscuro e triste passato, né di accorgersi che forse non è stato tutto soltanto frutto del semplice caso.
Questa storia è ambientata subito dopo gli eventi in "The Avengers" e non segue la trama di "Thor: The Dark World" etc.
Eventuale OOC: Loki
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thanos, Thor, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Ok, so cosa state pensando...
Dopo tutto questo tempo mi sono decisa a rifarmi viva e ad aggiornare la ff... Avete ragione, sono in serio ritardo e mi ripresento con la cenere sul capo, e tutta l'umiltà di questo mondo.... Spero possiate perdonarmi anche questa volta.... Mi vergogno davvero ad aggiornare solo ora. Manco sul serio di serietà e me ne rammarico. Spero di esser riuscita a combinare qualcosa di decente, almeno.
A presto, un abbraccio a tutti quelli che hanno aspettato,
Snow.


CAREY POV

Finalmente era arrivata. Era dai suoi genitori, e lì avrebbe trovato conforto.
Durante il viaggio, Carey non aveva fatto altro che pensare a come poter cercare Loki, e al fatto di raccontare o meno ai suoi di lui. In un primo momento aveva pensato che fosse meglio tacere su Loki, e quello che c'era stato tra loro. Sapeva cosa i suoi pensassero riguardo alla morte di suo marito e allo “stramaledetto alieno che si era permesso di distruggere metà New York e portare via vite innocenti”, come suo padre aveva definito colui di cui Carey si era innamorata. Lei sapeva che se i suoi avessero appreso dell'identità di Loki non le avrebbero permesso di rivederlo per nessun motivo, temendo per la vita della propria figlia. E per questo Carey avrebbe preferito tacere. Ma far sì che i suoi genitori rimanessero all'oscuro di tutto sarebbe stata una cosa ignobile da parte di Carey. I suoi genitori le erano sempre stati vicini in ogni situazione, bella o brutta che fosse, e l'avevano aiutata come potevano purchè la loro unica figlia fosse serena e felice. Non erano riusciti a proteggerla dal male di rimanere vedova così presto,e a malincuore avevano permesso, quasi subito dopo la morte di suo marito, di tornare nella loro casa appena fuori città, sapendo che Carey era fragile e sull'orlo del baratro.
Per quella ragione, per la grande confidenza e onestà che sempre c'era stata tra lei e i suoi genitori, aveva deciso di raccontare loro di Loki e di tutto il resto, qualunque sarebbero poi state le conseguenze.
E fu con la convinzione di fare la cosa giusta che Carey scese dalla macchina, prendendo fra le braccia Jonathan che si era addormentato nel frattempo, e suonò al campanello della casa dei propri genitori.
Le venne ad aprire la madre.
Margaret Flitch era un'attraente donna di più di cinquant'anni, dall'aspetto cordiale e bonario. Aveva capelli biondi e lisci lunghi fino quasi alle spalle, anche se a volte li raccoglieva in uno chignon, e i suoi occhi erano blu, profondi e vivaci. I lineamenti della madre di Carey erano morbidi e dolci, come la sua personalità, e la donna avrebbe potuto vantarsi, se solo avesse voluto, di avere un fisico snello e in forma.
Carey e sua madre si abbracciarono strette, poi la signora Flitch esclamò: “Carey, finalmente! Eravamo in pensiero!” “Scusa, mamma, c'era tanto traffico!” “Oh, immagino!” rispose mrs. Flitch, e poi spostò la propria attenzione su Jonathan, che si era svegliato e stava guardando la nonna con interesse, gli occhioni fissi sulla donna: “Oh, ecco il mio Jony! Come sei cresciuto, tesoro!” e lo prese in braccio, mentre il bambino sorrideva per le attenzioni della nonna. Carey osservò la madre e il figlioletto mentre l'una solleticava l'altro, ricevendo come risposta gridolini di gioia infantili. E, in quel momento, da dietro la signora Flitch, comparve il signor Flitch, che vedendo Carey, la abbracciò, stringendo la figlia con affetto.
“Carey! Che bello vederti, bambina mia! Sei una gioia per questi vecchi occhi stanchi!” “Oh, papà! Smettila, non sei affatto vecchio! Per me sarai sempre giovane!” disse Carey guardando il padre con tenerezza. Aveva sempre avuto un rapporto speciale con lui, fin da quando ne aveva memoria, e nel tempo questo rapporto non aveva fatto altro se non cementarsi sempre più, e per suo padre il giorno in cui aveva dovuto lasciar andare la sua bambina per la propria strada era stato un po' difficile da accettare. E quando Andrew era morto, chi aveva saputo stare più vicino a Carey era stato proprio suo padre.
Il signor Flitch guardò Carey con amore, e le strinse la guancia con il palmo della mano, sorridendo appena.
Era un uomo sulla sessantina o poco più, Geoffrey Flitch, e nonostante avesse il volto segnato da rughe, lo spirito dentro di lui contribuiva a ringiovanirlo. Era un uomo dall'aria rispettabile e serena, abbastanza alto, e dalla corporatura per nulla robusta. I capelli grigi erano tagliati corti, e lo stesso colore era ripreso dai baffi che l'uomo orgogliosamente portava, di cui sempre era stato fiero. I suoi occhi erano azzurri, buoni e gentili. La voce profonda dell'uomo era l'unica cosa che poteva intimidire un poco, scura e stentorea. Ma, a parte questo, raramente il padre di Carey perdeva le staffe o risultava una persona poco malleabile.
Era un uomo che aveva sempre cercato di dare il meglio alla propria famiglia, per il quale il lavoro non aveva mia preso il posto degli affetti familiari, che metteva al primo posto.
“Avanti, entriamo, così porto una bella limonata a tutti!” disse la signora Flitch, invitando Carey ad entrare, mentre ancora portava in braccio Jonathan.

“Allora, Carey, come va?” chiese infine la signora Flitch, sedendosi sul divano nel salotto, in cui era presente tutta la famiglia al completo.
“Ecco... Il lavoro va sempre come al solito, anche se mi sono presa una pausa... Ma non voglio parlare di questo.... A proposito! Jonathan ha iniziato a parlare un po'!” disse Carey, guardando il figlioletto tra le proprie braccia che giocava con un peluche regalatogli dalla nonna.
La signora Flitch, annuendo alle parole di suo marito, che commentava la notizia di Carey con un discorso su quanto fosse felice che suo nipote avesse iniziato a parlare, rivolse la propria attenzione sul bambino: “Jony! Di' qualcosa, amore della nonna!”.
Il bambino guardò Carey, e poi la nonna, interrogativamente. Poi parlò, con la voce cristallina e pura di un bambino qualsiasi. Ma ciò che disse, allarmò non poco Carey, che aveva deciso di spostare il discorso su quel nome a più tardi.
“Lo-ki...” disse il bambino, sorridendo poi contento.
I genitori di Carey, l'uno accanto all'altra, si guardarono confusi. Si aspettavano che il bambino dicesse una parola come “mamma, nonna” o chissà che altro. Ma non si sarebbero mai aspettati un nome, per di più strano a quel modo.
“Scusa, tesoro, puoi ripetere?” disse esitante mrs.Flitch, ottenendo come risposta il nome di prima.
Loki.
La donna e suo marito guardarono Carey con espressioni preoccupate e stupite, oltre che allarmate.
La signora Flitch disse al marito: “Puoi portare Jony nella camera che abbiamo preparato per lui, Geoffrey?” ed egli fece come gli era stato chiesto, lasciando una Carey preoccupata da sola con la madre, tornando poi dopo qualche minuto, con una espressione seria che Carey aveva potuto vedere raramente dipinta sul volto di suo padre.

Quando si fu sistemato accanto alla moglie, di fronte alla figlia, la moglie parlò: “Carey... Puoi dirci perchè Jonathan conosce il nome di quel Loki?”.
La domanda lasciò Carey interdetta: sapevano chi era Loki. Si rese conto di dover dare molte spiegazioni.
“Beh, potrebbe aver sentito il nome su qualche telegiornale, o...” “Carey, tu stessa hai detto di non aver mia guardato un telegiornale negli ultimi mesi, da quando Andrew è morto.” la bloccò sua madre.
Carey guardò i genitori, e sospirando disse: “Ok... Ecco, Loki... È stato, per un certo periodo, ad abitare da me...” “Cosa??” esclamò suo padre, incredulo, ma lei lo fermò: “Non sapevo chi fosse davvero! Non mi aveva detto di essere chi era in realtà! L'ho solo scoperto da poco! Beh, fatto sta che l'ho ospitato in casa mia.”.
I suoi genitori la guardarono come se le fossero cresciute improvvisamente due teste.
Non riuscivano a credere a ciò che sentivano.
“Carey.... Ti prego, non dirmi che hai vissuto insieme a quel.. quel mostro?” “Ecco, si mamma, ma lui non è un mostro... O meglio lo era, ma poi è cambiato!” “Ti ha fatto del male? Se ti ha torto un capello, giuro che..” “E' tutto ok, papà! Non ha mai alzato un solo dito contro me. È sempre stato molto gentile . E io.... beh... Me ne sono innamorata.”.
I suoi genitori la guardarono ancor più in maniera stralunata, e in seguito si scambiarono occhiate tra di loro eloquenti.
Poi suo padre la prese per le spalle delicatamente, fissando i propri occhi in quelli di sua figlia.
“Promettimi che ciò che dici è vero, Carey. Promettimi che non ci stai mentendo, riguardo a quello, se ti ha fatto del male, o chissà cos'altro...” “Papà, ti giuro che lui non è come sembra! È vero, è un criminale, ma poteri o no, se avesse avuto la possibilità di nuocere a me o Jonathan, e ne ha avute molte, non credo che sarei qui ora sana e salva a raccontarvi tutto. Puoi credermi sulla parola, papà.” rispose Carey abbracciando il padre.
“Beh, ne parleremo comunque a cena stasera, signorinella! E se questo Loki se ne è andato, meglio così! Non voglio che mia figli si trovi insieme a un pericoloso ricercato alieno e assassino!” “Papà!” esclamò Carey.
Non disse a suo padre però che aveva intenzione di andare a cercare Loki. Non disse a suo padre che desiderava ardentemente ritrovarlo e trascorrere con lui ogni giorno della sua vita, chiunque fosse.
La signora Flitch, che era stata ad osservare la scena senza dire nulla, parve essere un po' insicura. Sembra nascondesse qualcosa, che voleva rivelare con disperata urgenza.
“Carey” chiamò la figlia, che scioltasi dall'abbraccio con il padre le fu vicina.
“Io.. Noi.... C'è qualcosa che avresti dovuto sapere molto tempo fa, e che io e tuo padre abbiamo tenuto nascosto per tanti anni. Temevamo che sarebbe stato troppo per te, e abbiamo voluto aspettare quando tu saresti stata abbastanza grande da comprendere una storia del genere...” “Mamma che stai... Che stai dicendo? Che cosa dovrei sapere?” replicò Carey, confusa.
Sua madre non disse nulla, ma si diresse in soffitta, e quando tornò aveva uno scatolone, coperto di polvere. Sembrava chiuso e sigillato con molto nastro adesivo, quasi come se i suoi genitori avessero voluto nascondere ad ogni costo qualunque cosa vi fosse all'interno.
Posò lo scatolone sul tavolino vicino al divano, e, preso un tagliacarte, ruppe il sigillo. Aperti i lembi della scatola, sotto gli occhi attenti e confusi di Carey e quelli alquanto ansiosi e strani di suo marito, la donna ne tirò fuori diversi oggetti.
Un piccolo libro rilegato in ciò che sembrava vero e proprio oro invecchiato con intarsi accurati e raffinati e quella che sembrava una borsa di cuoio, di quelle che non si vedevano da tempi antichi, e dal contenuto sconosciuto.
“Vedi, Carey, noi non siamo i tuoi veri genitori...” “Cosa? Che stai dicendo, mamma?” esclamò Carey, senza ancora capire, mentre apriva il piccolo libricino. Vi erano strani segni. Sembravano rune, o cose simili.
Guardò la madre: “Mamma... Cosa-cosa significa?”, sussurrò, le labbra tremanti. “Carey, diciamo che sei stata ecco... Adottata...” rispose la madre, con gli occhi azzurri intrisi di malinconia.
“Perchè non me lo avete mai detto?” chiese con un filo di voce la ragazza. “La verità è che non ne abbiamo avuto il coraggio....” rispose la signora Flitch, e prima che la figlia potesse ribattere, iniziò a raccontare, mentre Carey ascoltava senza fiatare.
“Io e tuo padre ti trovammo in Norvegia, mentre facevamo una escursione per il nostro viaggio di nozze, nell'estate di venticinque anni fa...

                                                                                                       Norvegia. 1987


“ Geoffrey! Geoffrey, aspetta! Rallenta un po' il passo!” “Oh, Marge! Via, un po'di sportività, forza!” “Credevo di trascorrere un bel viaggio di nozze rilassante, non un allenamento per una maratona!” “Ah, come sei brontolona!” replicò in maniera scherzosa Geoffrey Flitch e tornando indietro di qualche passo dalla moglie, le scoccò un bacio in fronte: “ È per questo che ti ho sposata!”.
“E adesso tenti di rabbonirmi! Sei davvero incor...” ma la donna si arrestò un attimo, sentendo qualcosa in lontananza. Sembrava il pianto di un bambino. “Hai sentito?” fece al marito, preoccupata. L'uomo, ascoltando a sua volta, rispose: “Si, Marge!Ma... Come può essere?”.
Si sentì di nuovo il pianto, ed entrambi, presi da qualche istinto, si diressero di corsa verso il punto da cui venivano i vagiti, struggenti e impossibili da sopportare senza fare nulla. Alla fine, seguendo la scia acustica, arrivarono in una radura illuminata qua e la dai raggi del sole caldo che filtravano dalle fronde degli alberi.
Nella radura, presso la radice di un grande albero secolare, avvolto in un fagotto di preziose stoffe d'oro ricamate di rosso, stava un neonato bellissimo, di pochi giorni.
Abbandonato.
Lasciato lì, a morire di stenti, freddo e fame.
Quando li vide, smise di piangere, e i due coniugi si avvicinarono ancora e Margaret, dopo aver esitato un po', prese in braccio la creaturina che si rasserenò, mentre il suo volto brillava rassicurato e felice.
Fu come amore a prima vista per Margaret, che si affezionò subito al neonato, e mentre accarezzava la testolina, la donna notò attorno al collo dell'orfano una collana d'oro, con un ciondolo simile a una piccola placca ricavata da una specie di pietra che somigliava al quarzo rosa. Sulla superficie del ciondolo, piccola ma lavorata finemente, stava una scritta, in quella che sembrava una lingua antica, runico sospettò Margaret.
Sembrava un nome, o così almeno intese la donna. Un nome dalla lingua incomprensibile. Il nome del neonato, si supponeva. Ma quando voltò la placca, Margaret notò che vi era un altro nome, o magari il cognome, scritto sempre in quella lingua, su di una pietra diversa, nera. La parola risultava leggermente più corta.
Che cosa significassero quelle lettere, nessuno dei due coniugi lo sapeva, ma sapevano però cosa fare di quel neonato.
Non potevano lasciarlo lì, era ovvio, e anche affidarlo a un orfanotrofio sarebbe stato fuori discussione, perciò decisero di portarlo con loro.
Sarebbe stato loro figlio, lo avrebbero allevato e amato senza mai fargli mancare nulla, accudendolo e amandolo.

Mentre stavano andando via dalla radura, guardando ancora quel simbolo nell'erba, scorsero un oggetto: sembrava una borsa da viaggio,sporca di terra ma ornata riccamente, in cuoio.
Sembrava piena.
Le macchie di terra sulla superficie sembravano voler quasi suggerire che chi la portasse avesse avuto fretta di sbarazzarsene.
Geoffrey esitò un po',ma infine raccolse la borsa.

Arrivati nel loro chalet, Margaret sistemò il neonato in un panno morbido e caldo, lavando e mettendo ad asciugare quello in cui il bambino era prima avvolto, e mentre faceva ciò, scoprì con gioia e delizia che in realtà quella fra le sue braccia era una femmina, la più bella che avesse mai visto in vita sua. Ed ora era sua figlia.
Un pensiero le venne in mente: avrebbe dovuto mai raccontarle delle sue origini, alquanto strane, oppure mettere tutto da una parte e fare finta di nulla?
Prima che potesse darsi una risposta, la sua attenzione venne catturata dalla bambina, che si era addormentata, e così la cullò, guardandola riposare serenamente.
La osservò con ammirazione: la pelle, molto chiara, quasi come se la luna le avesse ceduto alcuni dei suoi raggi e della sua luce pallidi ed evanescenti, e la testolina era incoronata da un ciuffetto di morbidi capelli biondo miele.
Poi, quando la creaturina aprì gli occhi, guardando Margaret con curiosità, la donna notò per la prima volta che le iridi erano dorate, come gioielli preziosi.
Era davvero la bambina più bella che avesse mai visto.
In quel momento, Margaret le diede un nome, il primo che le venne in mente guardandola: Carey. Dolce e meraviglioso come lei.
Carey sbadigliò, gesto a Margaret le fece stringere il cuore dalla tenerezza che provò, e così la donna lasciò riposare la bambina sul suo letto matrimoniale, e decise di scoprire cosa ci fosse in quella specie di borsa da viaggio, che era rimasta fino ad allora nell'ingresso dello chalet, da una parte.
Trovò un pettine d'oro, un sigillo d'oro con uno stemma, coperte simili a quella che avvolgeva prima la bambina, e un libricino rilegato in oro, dalla superficie finemente cesellata e intagliata in ghirigori.
Margaret focalizzò la propria attenzione su di esso, e lo sfogliò, e qualcosa le disse che fra le mani aveva un diario. Di chi, non lo sapeva.
Le parole in esso contenute erano tutte scritte secondo lo stesso alfabeto dei nomi incisi sul ciondolo. Incomprensibile e sconosciuta, la scrittura era precisa e ordinata, ma non bastava lo stesso per azzerare la confusione di Margaret.
Le pagine rilegate sembravano fatte di pergamena, e quelle riempite fino alla fine di inchiostro si interrompevano quasi bruscamente a metà libricino, quasi come chiunque vi avesse scritto non avesse più avuto occasione di scrivere, o ancora, come se il padrone del diario fosse stato interrotto mentre confidava i propri pensieri da una causa sconosciuta.
Quel diario e il ciondolo, insieme anche allo strano simbolo trovato nella radura, le suggerivano strane ipotesi, tutte l'una più fantasiosa dell'altra, e improbabili.
Quella bambina era speciale, ma cosa intendeva davvero Margaret con questo termine? E perchè, nel tenere fra le proprie braccia Carey aveva avuto una strana sensazione, che non sapeva spiegare?
Poi, una idea ancora più bizzarra si fece avanti nella sua mente: e se quella bambina non fosse di quel luogo? Se fosse stata di un altro mondo, magari?
Ma rise di sé stessa mentre pensava a tali assurdità, e accantonò tutto.
Era solo una semplice bambina dall'innocenza e la dolcezza disarmanti.
Ma poi?
Forse avrebbe davvero dovuto non dirle mai nulla riguardo la verità. Forse era meglio per Carey rimanere in tale ignoranza. Ma cosa ne avrebbe fatto di tali oggetti?
<< Credo sia meglio che li metta da una parte, dove lei non potrà mai trovarli.>>.
Decise di mettere tutto in un baule, dentro una scatola in soffitta, sigillata a dovere e nascosta in un armadio vecchio.
Quando Geoffrey tornò, non osò contestare la decisione della moglie, perchè non ci sarebbe tanto stato verso di farlo.
Dopotutto, il cuore di una madre è un profondo pozzo di segreti e misteri, e chi può veramente dire ciò che non è giusto o meno fare quando si tratta di figli e affini? Chi può veramente dare la colpa e giudicare? Forse nessuno.

E fu per questo che i coniugi Flitch mantennero il segreto per anni e anni, fingendo che il baule, il ciondolo e il diario non esistessero, senza mai più farsi alcuna domanda riguardo ad essi. Eppure, si aspettavano che un giorno o l'altro avrebbero dovuto raccontare ogni cosa.



La madre di Carey terminò di raccontare tutto, e fu con profonda amarezza che si accorse dell'espressione confusa e profondamente turbata della figlia.
“Ma-ma allora.... Chi sono io veramente?” “Sei nostra figlia,Carey!” “Ma non solo quello, e lo sapete! Sapevate che un giorno avrei potuto scoprirlo, perchè non dirmelo dal principio?” “Non potevamo caricarti di un peso simile quando eri una bambina, poi sei cresciuta, e con la morte di Andrew abbiamo deciso di non dirti nulla per non aggiungere altro sulle tue spalle da sorreggere.”. Carey sospirò, poi disse, rigirando tra le dita il ciondolo: “Devo scoprire cosa si nasconde in quelle pagine, e cosa c'è scritto su questa collana! Devo sapere, ne ho il diritto! E qualunque cosa io scopra, vi amerò sempre... Però ho bisogno di risposte...
 All'improvviso, tutto sembrò avere un senso, o almeno così parve alla ragazza.
I sogni strani che faceva da bambina su una città splendente come l'oro nel sole del crepuscolo.
I sogni in cui vi era un ragazzo dai capelli scuri a porgerle un ciondolo e che le sorrideva.
Gli incubi in cui era come se qualcuno la prendesse e portasse via da quella città splendente.
Non erano sogni comuni, ma ricordi.
Era stata strappata dalla sua vera famiglia, di cui non sapeva nulla.
E si sentiva amareggiata e confusa a riguardo.
Ma non poteva rinnegare i genitori che l'avevano cresciuta ed amata. La sua famiglia era quella che in quel momento la stava guardando affranta e con occhi pieni di malinconia, e paura.
Paura che lei potesse reagire male nello scoprire le proprie confuse origini, o che li potesse rinnegare tutto.
Ma non avrebbe mai potuto.
Era figlia di Margaret e Geoffrey Flitch, e niente avrebbe potuto cambiarlo.
Ma allora perchè si sentiva confusa e tradita, come se le fosse stata negata una cosa che era suo diritto aver saputo fin dal principio?
Perchè sentiva il bisogno impellente di andare via, di stare da sola?

Si alzò di scatto, e preso il cappotto e le chiavi della macchina e di casa sua, si apprestò ad uscire. Ma prima che potesse proseguire, le vennero dietro i suoi genitori, allarmati.
“Carey? Dove stai andando?” “Ho bisogno di stare da sola.... Mi-mi dispiace, ma è così... Ho-ho bisogno di tempo per riflettere e pensare.... Pensate voi a Jonathan, va nutrito quattro volte al giorno...” “Ma tu dove andrai? Carey!” la supplicò la madre, quasi con le lacrime agli occhi. La fermò, guardandola affranta.
“Scusa mamma... Scusa papà, ma devo stare sola, andare via per un po'...” “Ma...” “Vi prego, è necessario! Sento di poter soffocare, e ho bisogno di pensare!” tagliò corto Carey, uscendo dalla porta, avviandosi verso la macchina, incurante di sua madre che la chiamava.
Due lacrime le scesero per le guance.
Ma entrò nella macchina, senza voltarsi.
Lasciò sul sedile il diario rilegato in oro, e rigirò tra le mani il ciondolo che aveva stretto nel pugno forte fino a quel momento, guardando i strani simboli.
Quei due oggetti erano la testimonianza che nella sua storia vi fosse qualcosa che andava scoperto, e lei era ormai decisa ad andare a fondo di quella faccenda.
Mise in moto la macchina, e partì.
Per dove, non lo sapeva nemmeno lei, guidò soltanto, gli occhi fissi di fronte a sé, la mente altrove, salvo alcune volte in cui faceva balenare gli occhi al diario o al ciondolo, mentre nella testa sentiva la confusione.
Non si curò mai di stare attenta a dove si stesse dirigendo, ma fatto sta che si ritrovò nel viale di casa propria.
Quando spense il motore, restò un attimo ferma, come sospesa, tirando un sospira profondo, poi scese dalla macchina.
Ripercorse il solito giardino in ordine, e subito la invasero maree di ricordi, e tra questi, vide sé stessa inginocchiata nell'erba, sotto la pioggia incessante, mentre prestava soccorso a un uomo svenuto, alto dai lunghi capelli corvini e i vestiti di colore nero e verde, sgualciti e consumati.
Loki.
La prima volta che lo aveva visto, quando se lo era ritrovato nel giardino, come se fosse caduto dal cielo.
Già da allora le era sembrato strano e come se provenisse da un altra epoca, o meglio ancora, da un altro mondo.
Eppure, nel momento in cui lo aveva sollevato da terra e preso sopra le spalle, sorreggendo a malapena il peso di entrambi, aveva avuto una sensazione strana, una che non aveva mai avuto il coraggio di dire a Loki, nemmeno quando si erano accorti di provare l'uno qualcosa per l'altra. Nello stesso istante in cui aveva preso il suo corpo tra le proprie braccia aveva provato la sensazione di aver ritrovato qualcosa che la faceva sentire completa.
Come un magnete, aveva sentito verso Loki quella volta la sensazione di essere legata a lui, anche se non lo aveva mai visto prima d'allora.
Eppure, in quell'uomo svenuto vi era stato qualcosa che l'aveva colpita, come se assomigliasse a qualcuno... Qualcuno che lei aveva dimenticato....
Un pensiero le balenò in quel momento in testa, ma lo scacciò via subito...

Proseguì, e arrivò alla porta di ingresso. Cercò le chiavi nelle tasche del cappotto.
Poi, mentre le rigirava nella toppa della porta, e poi quando la aprì, rivide come un fantasma sé stessa che inveiva contro Loki, insultandolo, dicendogli di andarsene.
Rivide lui passarle accanto, proprio come uno spettro sbiadito, con gli occhi di giada pieni di lacrime e una espressione quasi insopportabile da guardare.
L'aveva ingannata.
Eppure, nonostante le bugie, nonostante le omissioni, e tutto il resto, lei e lo amava ancora. Era come se non potesse farne a meno, come se sentisse il bisogno di stargli accanto. Forse era masochista, o forse troppo stupida e ingenua, ma era così. E per questo aveva quasi litigato con i propri genitori, dai quali sentiva l'esigenza di avere risposte, risposte che sembrava però non avessero.
Sapeva che li avrebbe sempre amati in ogni caso, ma voleva comunque scoprire chi fosse sul serio, e da dove veniva.

Si buttò sul divano sospirando pesantemente, passandosi le mani sul viso. Lo stesso divano testimone dell'amore che lei e Loki avevano consumato per la prima volta.
Ci deve essere un modo per scoprire qualcosa in più su quella collana e quel diario...Rifletti, Carey... Se Loki è davvero chi ha proclamato di fronte a tutto il mondo di essere, se è davvero un dio norreno, dovrebbe sapere anche la scrittura, dato che, a quanto ne so, le rune erano l'alfabeto per eccellenza dei popoli nordici. E se lo andassi a cercare per riunirmi a lui e gli chiedessi di tradurre ciò che è scritto sul diario e la collana per me?

Però, pensò Carey, Loki poteva essere dovunque.
Decise allora di fare qualche ricerca, tanto per ammazzare il tempo mentre pensava sul da farsi.
Si diresse nel suo studio, e accese il pc. Digitò il nome “Loki”.
Oltre alle informazioni sul dio norreno, si concentrò, con sua stessa sorpresa, sul nome della mitica città o quello che era in cui abitavano gli dèi nordici.
Asgard.
Quel nome le fece scorrere un brivido lungo la schiena, facendole uno strano effetto.
Continuò a leggere, e scoprì che Loki, il dio delle malefatte e degli inganni, secondo la tradizione, aveva una moglie.
Sigyn.
Lesse il nome con un'ondata di invidia.
Perchè Loki non gliene aveva mai parlato?
Perchè non le aveva detto che era sposato?
Perchè nasconderle una cosa simile?

Spense il computer quasi con rabbia. E si fiondò fuori di casa.
Doveva trovare Loki. E chiedergli molte spiegazioni.
Ma, oltrepassata la soglia di casa, trovò di fronte a sé un uomo vestito di nero, con una benda nera su un occhio. Aveva l'aria di un leader, e sembrava molto serio.
Carey indietreggiò, e disse con un filo di voce: “D-desidera?” “Carey Flitch?” “Sono io...Ma..” “Mi chiamo Nick Fury, e sono qui per lei.”.


POV VENDICATORI

Toccarono finalmente il terreno di Asgard, e senza perdere un secondo in più, tutti seguirono a passo svelto Thor lungo i corridoi,venendo poi condotti nei sotterranei.
Trovarono ad attenderli un popolo impaurito, spaesato e ansioso e due sovrani con il fiato sospeso. Thor si avvicinò al padre, dicendo: “Padre, ho portato qui i miei amici e compagni! Possiamo partire!” “Molto bene!” “Sif e gli altri?” “Sono già partiti, Thor.” rispose Odino, rivolgendosi poi ad alcuni soldati: “Voi! Venite con me! Gli altri, aspettino qui, e che veglino sui cittadini. Noi andiamo a riprendere Loki!” e detto ciò, senza altri indugi, si diressero all'osservatorio, dove Heimdall era restato in attesa di esser di nuovo utile.
“Heimdall! Dicci! Cosa vedi? Riesci a vedere dove si trova Loki?” chiese Thor, impaziente. Il guardiano disse: “Si. Vedo esattamente dove si trova Loki. È nel regno di Niflheim, una delle terre più gelide e nebbiose di tutti i regni. Lì, sospesa nell'aria, si erge una specie di nave, solo molto più moderna e complessa. È bianca e grigia, e dalla forma di un gigantesco disco. Loki si trova in una delle prigioni della nave, e sembra soffrire....” “Heimdall! Come possiamo entrare lì dentro?” “Basterà aprire una cavità al di sotto della nave. Lì potete entrare senza farvi scoprire. Ma fate attenzione! Sembrano esserci molti soldati a bordo di questa nave!”

POV LOKI

Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando la sua prigionia era iniziata, né tanto meno il motivo per cui, dopo tutto quello che gli era stato fatto, era ancora vivo. A quanto pareva, Thanos aveva dato nuovi ordini, ed essi dovevano prevedere torture peggiori di quelle che Loki aveva fino a quel momento aveva fronteggiato.
Però, nonostante il dolore e la sofferenza, la sola tortura che veramente lo stava annientando era il fatto di non poter più fare niente per coloro a cui teneva, per proteggere soprattutto Carey. E questo dolore gli permetteva di resistere a livelli inimmaginabili a tutto ciò che gli veniva inflitto dai soldati di Thanos, che stavano ben attenti a distanziare temporalmente una tortura dall'altra, in modo che Loki si potesse illudere che le pene fossero finite, per poi infliggergliene altre ancora più barbare.
Ormai, però, il dio degli inganni, per quanto potesse essere caparbio e restio alla resa, temeva di non potercela più fare fisicamente a sopportare tutto, e aveva cominciato quindi a essere sempre più meno reattivo alle torture, accettandole a testa bassa, senza tentare più nemmeno di combattere per la propria dignità. Aveva perso la volontà di reagire, sapendo che essa gli avrebbe fatto sentire più dolore, e ciò lo stava inevitabilmente portando alla rovina, a un grande indebolimento, e, forse, alla morte. Ma sapeva, sapeva che Thanos mai avrebbe permesso che lui perisse per le torture, e che invece il mostro avrebbe preferito dargli il colpo di grazia di proprio pugno.
Persino l'invulnerabilità, o meglio la forte resistenza e la lunga vita di un dio come Loki avevano dei limiti. Infatti, sembravano secoli da quando Loki si era nutrito di cibo asgardiano o dei frutti di Idunn, le mele dell'eterna giovinezza, che erano proprio esse a conferire a tutti gli asgardiani una vita molto lunga. E se avesse continuato a non nutrirsi più di tali cibi, nonostante Odino gli avesse riconferito i poteri, Loki sarebbe rimasto quasi al livello di un comune mortale, o poco più. E data la sua situazione, tale processo di indebolimento era già in atto.
Si, quella era la fine di chi un tempo era stato il potente e temuto Loki, il dio delle malefatte, Loki il creatore e il distruttore. Una fine tutt'altro che gloriosa, oltretutto, e ben al di sotto della minima decenza.
Mai avrebbe immaginato di decadere a questo modo, di finire così in basso e così disonorato.
Mai.
Eppure, lo aveva fatto.
Era piombato in uno stato di dormiveglia, o meglio semi-incoscienza, e lottava in una battaglia silenziosa contro i lancinanti dolori e tremori che gli pervadevano il corpo. Si sentiva vuoto e al contempo pieno di fuoco liquido, di lava bollente, e probabilmente aveva la febbre. Con la febbre, presto arrivarono le allucinazioni, non terribili come quelle che aveva avuto nella sala dove lo avevano torturato con il calore, ma anzi sembravano appartenere a una parte del suo passato che sembrava apparentemente aver dimenticato.
Vide sé stesso come un ragazzo, che non dimostrava più di quindici anni, affacciarsi ad una culla. Questa era ornata di splendide stoffe candide come la neve, e leggere come nuvole. Tra le stoffe, riposava pacificamente un neonato, il più splendido che Loki avesse mai visto, dai capelli color miele, e che risplendevano come oro. La bambina, che Loki non sapeva come avesse fatto a identificare come tale, aveva la pelle diafana e perfetta, e quando la creaturina aprì gli occhi, Loki potè osservare le iridi più dolci che mai avesse visto: erano color nocciola chiaro, quasi ambra, o oro liquido, e ricordavano tanto gli occhi di qualcuno che lui conosceva, ma non riusciva più a ricordare chi fosse, troppo stanco e affaticato anche solo per pensare lucidamente.
Il Loki ragazzo tirò fuori da una tasca qualcosa, e lo porse alla piccola, chiamandola gentilmente, un nome che il Loki adulto non riuscì a sentire bene. Il regalo della bambina si rivelò essere un ciondolo, dalla catenella d'oro, una pietra piatta e lavorata color rosa chiaro da una parte, e nera dall'altra: sulla parte rosa vi era inciso un nome, in alfabeto runico, e lo stesso dalla parte nera. Ma si trattò di un attimo, e Loki non riuscì a leggere nessuno dei due nomi.
La bambina, sorridendo felice, prese la catenella con una piccola mano, guardando il giovane Loki con una espressione indescrivibile.
Il Loki giovane sorrise di rimando alla bambina, e poi tutto scomparve.

Troppo presto! Loki voleva sapere di più! Voleva sapere chi fosse la bambina che aveva visto in quel ricordo!
Ma tutto era svanito, e lui stava ritornando alla realtà, quando sentì delle voci provenire da fuori la porta della sua cella, le voci dei suoi carcerieri, e anche di qualcun altro. Voci molto familiari. E poi, riacquistando un po' di lucidità, senza potersi però sollevare da terra dove giaceva pietosamente, prese coscienza di cosa stava succedendo là fuori.
Si sentirono dei raggi scoppiare, insieme a tuoni, e suoni metallici. Urla di soldati di Thanos, e anche molti doveva dire Loki. E ciò sentì per diversi minuti. Poi, il silenzio.
Infine, qualcosa fece scoppiare letteralmente la porta della sua cella, e ciò che Loki vide lo rincuorò ed allarmò allo stesso tempo.
I Vendicatori al completo stavano di fronte al buco lasciato dall'esplosione, e insieme a loro vi stavano quelli che Loki riconobbe essere come soldati asgardiani. E tra questi, con stupore maggiore, vi stava la figura austera di Odino.
Erano venuti a salvarlo. Tutti. Anche suo... Padre?
“Loki!” lo chiamò il sovrano, mentre quest'ultimo stava a terra, disteso su di un fianco, incapace quasi di muoversi, ricoperto di sangue rappreso,sudore, polvere, e diverse ferite che sembravano essere in pessimo stato.
Doveva avere un aspetto orribile, perchè quando Thor, e il resto della squadra, e anche Odino, si avvicinarono, quasi sobbalzarono alla vista del dio degli inganni.
“Loki... Figlio mio..” sussurrò angosciato e incredulo Odino, che, da quel poco che Loki riusciva a vedere attraverso la vista sfocata, si stava avvicinando a lui esitante, e con mani tremanti, una volta inginocchiatosi vicino a lui, lo aveva raccolto da terra, sollevato un poco, malgrado i muti gemiti di dolore di Loki, e preso sulle ginocchia, come avrebbe fatto con un bambino. Odino lo guardò con occhi che Loki potè riconoscere come velati di lacrime, e gli scostò una ciocca dal volto imperlato di freddo sudore.
“Cosa ti hanno fatto, figlio mio....” disse il padre degli dèi, mentre Thor si inginocchiava accanto lui, guardando Loki con dolore e rabbia.
E detto questo, Odino tirò fuori un pugnale. Per un attimo Loki sperò che volesse conferirgli la grazia di una morte veloce e priva di ulteriori sofferenze. Chiuse gli occhi, aspettando che l'arma compisse il proprio dovere. Invece, avvicinata la lama alle labbra del dio, Odino si limitò a tagliare il filo che gli teneva la bocca cucita e sigillata.

Loki sentì come se le sue labbra stessero andando a fuoco, pulsando dolorosamente, e potè avvertire il sangue sgorgare dalle ferite che non si erano mai cicatrizzate, e colare lungo il proprio mento. “Perdonami, fratello... Non ho saputo difenderti come avevo promesso, e ora... Ti hanno fatto questo!” disse il dio del tuono con voce a malapena contenuta.
Loki sospirò, finalmente potendo respirare,anche se a fatica dato il dolore lancinante ai polmoni, ancora doloranti per le diverse percosse subite, e disse con un filo di voce roca, mentre le labbra non si placavano: “T-Thor... Non è s-stata colpa tua... È mia, i-io ho provocato tutto questo... M-me lo merito....” “No! Non è vero, Loki! Non meritavi tutto quello che ti è stato fatto! Non meritavi di essere trattato come una bestia!” lo interruppe Thor, che sembrava sul punto di disperarsi.
Ma quando Loki provò a ridacchiare per la testardaggine del dio del tuono, l'ennesimo dolore lancinante alle vie respiratorie e ai muscoli del torace lo colse, e non potè trattenere i gemiti di sofferenza, terribili da sentire.
“Dobbiamo portarlo via da qui, prima che Thanos venga avvertito! Bisogna fare presto, o Loki morirà, padre!”.

ODINO POV

Odino guardò Loki con occhi intrisi di angoscia e dolore.
Mai il padre degli dei era sembrato più vulnerabile.
Guardò il proprio figlio prima perso poi ritrovato, con il quale aveva tentato di riappacificarsi, e che in quel momento più che mai stava rischiando di perdere per sempre.
Loki gemette di nuovo, un suono più angosciante di quello di prima, e che servì da sprono al sovrano.
Annuì verso Thor, che suggerì che sarebbe stato meglio se a portare Loki fosse stato Hulk, in quanto, secondo il dio del tuono, sarebbe stato più resistente in caso di un attacco nemico improvviso.
Quando Hulk prese di malagrazia tra le braccia il dio degli inganni, pur non avendolo fatto apposta, strappò al sofferente Loki gemiti di dolore.
Odino ebbe più che un tuffo al cuore sentendo le grida disperate di Loki.
“Andiamo, ora!” ordinò.

LOKI POV

Le sue condizioni non erano delle migliori, e chiaramente nel suo corpo doveva esserci più di una lesione grave agli organi interni, oltre alle tante ferite, escoriazioni ed ematomi su ogni centimetro del suo corpo, e nemmeno il suo bel viso sarebbe stato riconoscibile sotto tutto il sangue e il sudore rappresi.
Sentì Odino gridare vicino a lui: “Andiamo, ora!”.
Non sapeva se essere felice o meno di venir salvato da Odino, per il quale ancora sentiva qualcosa simile all'affetto, contrastato però da un forte risentimento.
Si sentì trasportare da Hulk, il quale aveva una presa forte e a tratti dolorosa.
Forse c'era speranza per lui. Ma era come se più Loki inseguisse tale speranza più essa si allontanasse dalle sue mani.
Stava morendo? Non ne era sicuro.
Solo, sentiva un gran dolore in ogni parte del corpo, e non sapeva quanto avrebbe potuto resistere.

AVENGERS POV

Quella che era cominciata come una spedizione di salvataggio si stava trasformando in una disperata corsa contro il tempo e la morte.
Percorsero più in fretta che poterono tutti i corridoi di quella specie di nave intricati come labirinti, tentando di non rivelare la loro presenza a nessuno dei soldati di Thanos,nè a lui in persona. Un solo errore avrebbe compromesso il destino di tutti, nessuno escluso.
E mentre correvano, Loki continuava a dimenarsi ogni tanto, aumentando la tensione di Odino e Thor.
Ad ogni modo, arrivarono finalmente nella sala del controllo dei motori di quella nave,dove era stata aperta una grande voragine nelle pareti di materiale simile all'acciaio, grazie ai raggi a propulsione di Stark.
Per qualche fortunato caso del destino, l'esplosione non era stata sentita, ma se la situazione fosse sicura o meno, non si poteva dirlo con certezza.
Per andare fuori dalla nave, Tony dovette trasportare uno ad uno i Vendicatori, e Odino stesso e i suoi soldati.
Era una operazione a lenta, ma non vi era altro modo e il tempo stringeva pericolosamente.
Una volta tutti a terra, mentre si apprestavano ad andarsene, sentirono sopra di loro delle voci provenire dalla nave.
Li avevano scoperti, e videro, voltandosi con orrore, che si stavano dirigendo verso di loro colpi di una specie di pistole laser.
Dovevano scappare al più presto.
Si avviarono velocemente verso il punto dove erano atterrati, trasportati dal Bifrost.
“Heimdall! Presto, apri il ponte! Svelto!” gridò Thor, incalzato da Odino.
Li avevano inseguiti, e mancava poco che li raggiungessero.
“Heimdall!” gridò Odino.
In quel momento, quando si stavano ormai preparando a combattere, il ponte d'arcobaleno venne aperto, e vennero risucchiati, verso Asgard.
Non c'era infatti tempo per tornare allo S.H.I.E.L.D , e Asgard era l'unico posto in cui c'era qualche speranza per Loki di guarire, dato che le cure di Midgard, per quanto avanzate, non erano lontanamente sufficienti, e non potevano fare nemmeno nulla di miracoloso con le ferite di Loki. Vi era bisogno di medicine di più alto livello e sviluppo.
Quando furono atterrati su Asgard, non persero altro tempo, correndo alle porte colossali spalancate della città, e i Vendicatori non poterono non provare un senso di desolazione nel vedere la mitica e gloriosa città di cui narravano i poemi ridotta in così desolate e pietose condizioni.
Mentre si affrettavano, Loki peggiorava sempre più, piombando da stati di lucidità a quelli di incoscienza alternativamente. Il dio si lamentava ad ogni minimo movimento o tocco delle mani di Hulk, o di Thor o Odino, e questi ultimi due cominciavano a sospettare che non sarebbero riusciti a salvare Loki.
Erano quasi arrivati nella Stanza della Guarigione, l'unica area del palazzo reale a non essere stata violata. Thor si diresse ai sotterranei, per recuperare tutti i guaritori reali che erano rimasti che, arrivati nella stanza, vedendo Loki, il principe perduto e poi ritrovato, e forse redento,ebbero un tuffo al cuore.
Nessun aesir passato sotto le loro mani era stato ridotto in così pessime condizioni, per non parlare poi di chi faceva parte della casa reale, o almeno così si pensava.
All'inizio tra i medici ci furono tentennamenti di fronte ai lamenti di Loki al minimo tocco su ogni parte del corpo da parte loro, ma nonostante ciò, tra i gemiti disperati del principe e il respiro affannoso, poterono ugualmente constatare che gli organi interni erano quasi tutti lesi e in gravissime condizioni, per non parlare poi delle ferite esterne, alcune delle quali fortunatamente non ancora a livello di infezione.
Il più vecchio tra di loro, dopo essersi accordato con i colleghi, si avvicinò al re e a Thor,mentre i Vendicatori stavano da una parte, guardando la scena in silenzio.
“Francamente, vostra maestà, lo stato di vostro... figlio.... è, ecco, disastroso. Non sappiamo quanto siano forti le possibilità di salvarlo, ma sono poche in ogni caso...” “Fate tutto quel che potete!”esclamò Odino, facendo trasalire quasi i guaritori per la reazione improvvisa.
Uno di loro, il più giovane, facendosi avanti, spostando nervosamente lo sguardo da Odino al pavimento, mentre il re era animato da una disperazione mai vista prima.
“Ci sarebbe qualcosa, maestà...” disse timidamente, e il re lo incalzò: “Parla, allora!” “Ecco... Esiste una medicina che potrebbe guarire vostro.... figlio.... Ma è piuttosto aggressiva e ci sono state volte in cui....Ecco, non ha funzionato...! “Spiegati, allora!” “Invece di guarire le ferite, interne o esterne che fossero, ha provocato la morte per violente emorragie, oltre ad arresto cardiaco... Dipende solo dal fatto se il corpo resista all'azione del farmaco.” “Che cosa?!” “E-ecco di solito la medicina funziona sugli Aesir... Quando abbiamo provato a somministrarla su qualcuno che non lo fosse, sui dei prigionieri, i risultati sono stati catastrofici...” confessò il medico.
Tutti sapevano ormai chi fosse in realtà Loki, e non era un asgardiano. Era un gigante di ghiaccio, una razza diversa, e il rimedio poteva agire in maniere inaspettate e sconosciute ai guaritori.
Tutti, sentendo tali parole, e Odino e Thor in particolare, si sentirono mancare. Il rischio era altissimo, ma cos'altro si sarebbe potuto fare, se non affidarsi alla sorte?
Una cosa era certa: Loki non poteva rimanere in quello stato, e sarebbe morto nel giro di poco.
Tutti si scambiarono esitanti sguardi di intesa, poi il padre degli dei parlò, la voce che stentava a rimanere impassibile: “ E sia, allora!” “Maestà?” “Date a mio figlio quella medicina, adesso!”.
Il giovane medico guardò i colleghi, esitante, poi si diresse infine nella “sala” dove tenevano le medicine, scaffali su scaffali di rimedi.
Giunse al punto dove erano relegate le medicine più potenti e pericolose, che erano usate solo in casi estremi.
In un cofanetto di bronzo invecchiato vi erano diverse piccole fiale di un liquido rosso scuro e dall'aspetto inquietante.
Il giovane medico ne afferrò una con mano tremante, le dita improvvisamente scaldate dal contenuto della fiala, che sembrava caldo e ribollente.
Su di essa vi era il nome del potente antidoto: in runico, a caratteri piccoli e sbiaditi dal tempo, vi era il nome “SANGUE DI DRAGO”.
Contrariamente a quello che ci si sarebbe aspettato dal nome, esso era un farmaco estratto da una pianta rarissima, la cosiddetta “Sanguinaria Fiammante” o anche “Dragaria” o “Drago di Hel”. Questa pianta, o meglio albero, era chiamata così a causa della sua forma simile a un drago di nodoso legno nero, perennemente avvolto da fiamme eterne e inestinguibili. Se si riusciva a lambire la sua corteccia, nonostante il fuoco, essa secerneva un liquido denso e rosso, che ricordava assai il sangue, e molto caldo.
Più che rara, era unica quella pianta, ed esisteva da millenni e millenni, e nessuno sapeva come fosse spuntata fuori.
Si trovava al confine tra la terra dei vivi e quella dei morti, da qui il nome “Drago di Hel”, e in pochi avevano osato avventurarsi fin laggiù.
Il suo liquido era molto ricercato e temuto, e non sempre funzionava. Alcuni sostenevano che tutto dipendesse dal livello di sopportazione di chi ne faceva uso, e di quanto fosse alta la sua soglia del dolore. Dopotutto, far ricrescere ossa, organi o altro in pochissimo tempo non era una impresa da poco, e di certo non piacevole.
Chi era sopravvissuto alla somministrazione aveva raccontato che, mentre si trovava tra la vita e la morte, aveva come sentito del fuoco scorrere in tutto il suo corpo, nelle ossa, nelle vene, negli organi.
Vere e proprie fiamme.
E nel caso di un Gigante di Ghiaccio, il quale preferiva il gelido inverno al fuoco, non si poteva dire se esso potesse essere portato a una morte atroce e lenta.
Il medico sperava che il principe Loki fosse abbastanza forte da superare la rischiosa cura, ne valeva anche della vita dello stesso guaritore.

Il medico tornò di corsa con in mano la fiala, mentre Thor e gli altri, impotenti, assistevano alle sofferenze di Loki.
“Allora?” chiese Odino impaziente al guaritore.
“Ho trovato l'antidoto, maestà... Siete ancora sicuro di-” “Tutto, purchè non soffra oltre!” rispose il re.
Il dottore annuì, e con mano tremante aprì la fiala e si avvicinò al corpo di Loki, che si trovava steso, sul giaciglio riservato agli ammalati. Delicatamente mise una mano dietro la testa di Loki e gliela sollevò, mentre quello respirava sempre più affannosamente. Sussurrò al principe, cercando di sembrare il più accomodante possibile, anche se la prospettiva di rischiare di uccidere il figlio del sovrano non giovava alla faccenda: “Bevete, principe... Vi sentirete meglio...”.
Loki sembrò ascoltarlo, perchè dischiuse le labbra così che il medico potesse versare nella bocca coperta di sangue il contenuto della fiala, lentamente e con la mano che stentava a rimanere ferma. Finito di somministrare il Sangue di Drago, tutti, il guaritore in primis, rimasero ad aspettare, col fiato sospeso.
Loki in principio sembrò impallidire ancor di più, se possibile, poi divenne visibilmente teso, i pugni e i muscoli di tutto il corpo che si contraevano sotto la pelle massacrata, il respiro irregolare, interrotto solo da urla di dolore.
Un nuovo rivolo di sangue colò giù dalle sue labbra, sotto gli occhi inorriditi di Odino, il quale esclamò, quasi in coro con Thor: “Cosa succede?!” “ È-è la medicina, maestà! Credo che stia guarendo il corpo di suo figlio, ma lui deve essere forte e resistere ai suoi effetti per superare la cura! E non dimentichiamo che lui non è proprio un asg-” “Silenzio! Non osare dirlo una volta di più, se ci tieni alla tua testa!” zittì il medico Odino, che fissava il figlio impotente.

Loki continuò così per quasi dieci minuti, o anche più, mentre tutti, assistevano, e più di una volta qualcuno, mal sopportando la scena, fu costretto a girarsi.
Gli unici ad osservare Loki senza distogliere lo sguardo vigile e preoccupato erano Thor e suo padre, i quali si sentirono un po' sollevati dal fatto che Frigga non fosse presente in quel momento. Poi, quasi di colpo, il dio degli inganni si acquietò, e faticosamente, aprì gli occhi, verdi e più intensi di come tutti li ricordassero.
Stava visibilmente meglio, o almeno così sembrò.
Loki fissò tutti i presenti, che lo guardavano meravigliati, lo sguardo spaventato e confuso che guizzava su tutti i volti che lo circondavano.
“Th-Thor... Dove mi trovo? Dov'è Thanos, e la prigione?” “Sei al sicuro ora, Loki!” rispose il dio del tuono, avvinandosi al capezzale del fratello, prendendogli una mano fra le sue, stringendola, combattendo all'impulso di piangere dalla gioia di vedere il dio degli inganni guarito.
“Perchè mi avete salvato? Avevo... Avevo detto a Stark di impedirvelo!” “Non potevamo lasciarti a morire, Loki!” lo interruppe Tony, avvicinandosi al giaciglio, “E gli alleati e gli amici non si abbandonano! Non è così che di solito ci si comporta!” “Ma-ma Thanos! Quando scoprirà che sono fuggito...” “Gli daremo una bella lezione, stanne certo! E lo faremo insieme, fratello! Combatteremo fianco a fianco, e poi tutto tornerà come prima! Prima di tutto quello che c'è stato negli ultimi tempi...” “ No, Thor...Tu non capisci... Niente torna. Il passato non torna, non si ripete. Non possiamo più essere come una volta...” “Perchè no, Loki?” “Non ha importanza....” rispose laconicamente Loki, prima di mettersi in piedi, in maniera affaticata, e avviarsi con passo malfermo verso la porta.
“Dove vai?” esclamò Thor, preoccupato. Loki si voltò verso di lui, e un mezzo sorriso senza malizia comparve sulle sue labbra: “A prepararmi. C'è una guerra alle porte, e io la combatterò. E se devo morire, così sia! Che muoia con un po' di onore e dignità!” e detto ciò, uscì dalla sala, lasciando tutti interdetti.
“Hey, ma cosa c'era in quella fialetta, oltre alla medicina?” disse Stark ironicamente.
Qualcuno si sforzò di sorridere.

“Non mi ha nemmeno guardato, né parlato...” sussurrò Odino.
“Padre... Sono sicuro che con Loki si sistemerà tutto...” “No, Thor... Non finchè non gli racconterò tutta la verità.... Non finchè non gli avrò spiegato ogni cosa. Solo allora, mi perdonerà.”.

  
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