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Autore: viktoria    25/06/2013    3 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Ok, probabilmente accettare la sua proposta di matrimonio non era stata una delle scelte migliori che avessi mai fatto nella mia vita da minorenne però...no, nessun però.

Prima di tornare a Londra avevamo deciso che, onde evitare di dare la notizia in pasto ai giornali e di permettere che le nostre famiglie lo venissero a sapere in questo modo terribile, sarebbe stato meglio darla noi la notizia.

- Mia sorella sarà al settimo cielo.- costatò Jonathan mentre giocherellava con la mia mano ed io continuavo a fissare quell'anello che catturava l'attenzione di chiunque.

- Mio padre manderà te al settimo cielo.- mugugnai io con molto meno entusiasmo rispetto al suo.

- Oh coraggio, non credo che avremo modo di sposarci nel giro di due mesi no? Sarai maggiorenne per...quando vuoi sposarti?- mi domandò lui guardandomi seriamente curioso.

- Maggio, giugno...- proposi io mordicchiandomi la punta della lingua immaginando già il momento in cui avrei toccato di nuovo il suolo italiano.

Sapevo già che mio padre sarebbe rimasto deluso da me. Una volta mi aveva detto che sposarsi prima dei trent'anni voleva dire rovinare per sempre la propria esistenza e che io, per renderlo orgoglioso, dovevo soltanto laurearmi e trovare un lavoro. Importava che un lavoro lo avessi? Importava che stessi studiando e che mi sarei laureata in medicina in un importante college inglese? Sarei stata una delusione per mio padre e la mia famiglia?

- Laura mi stai ascoltando?- mi domandò Jonathan passandomi una mano tra i capelli rimettendo al suo posto alcune ciocche ribelli che mi erano cadute quasi davanti agli occhi.

Mi sentivo lontanissima da quell'aereo e da quella situazione.

- No, scusami, mi sono distratta un attimo pensando a come lo diremo ai miei.- ammisi rispondendogli poi con un sorriso leggermente tirato. - puoi ripetere?-

- Mia sorella progetta il suo matrimonio da quando ha dodici anni. So che per voi ragazze è una cosa importante...- mi spiegò di nuovo con infinita pazienza e sorridendo leggermente avvicinandosi al mio viso e baciandomi piano la fronte. - quindi, sono ai tuoi ordini mia adorata Lorie.- scherzò lui baciandomi.

Risi piano rispondendo ad ogni suo bacio con un certo trasporto. Avrei voluto sedermi sulle sue gambe farmi coccolare da lui fino ad addormentarmi ed evitare tutti quei pensieri terribili che affollavano la mia mente in quel momento.

Però lui sembrava troppo contento e rilassato per tediarlo con i miei stupidi problemi. Non stavamo facendo niente di male, lui aveva perfettamente ragione e poi, in soli due mesi, avrei finalmente raggiunto la maggior età. Se ero abbastanza grande per vivere da sola con lui perchè non dovevo esserlo per sposarlo?

Arrivammo a Dublino la mattina dopo. Ero ancora parecchio frastornata a causa del jet lag in un modo quasi imbarazzante. Per me infatti in quel momento era notte, avrei dovuto essere a letto, invece Jonathan, parecchio più composto e padrone di se rispetto a quanto non lo fossi io, mi stringeva un braccio intorno ai fianchi e, quasi fossi stata una bambola, mi trascinava per i corridoi di quell'aeroporto che avevo visto soltanto una volta, a Luglio, in occasione del compleanno di quello che allora per me non era altro che un'ingombrante presenza nella mia quotidianità.

- Non avremmo dovuto chiamare?- domandai io una volta in macchina sbadigliando. Stavo morendo di sonno.

Se avessi smesso di parlare probabilmente mi sarei addormentata e non era una buona idea. Jonathan mi aveva suggerito di rimanere sveglia e di affrontare quella giornata come una normale giornata dopo una notte insonne.

- Normale giornata dopo una notte insonne?- gli avevo domandato io sinceramente stupita. Per me non esisteva nessuna giornata dopo una notte insonne ma solo il mio letto, il mio pc e una buona dose di gelato, cioccolato e patatine per consolarmi e riprendermi dalla stanchezza.

- Se, come prevedo, la tua carriera decollerà preparati a tantissime “normali giornate dopo una notte insonne”- mi aveva avvisato lui ridendo piano della mia faccia stupefatta e, ne ero certa, parecchio traumatizzata da quella notizia sconvolgente.

- A dire il vero io non chiamo mai, chiama tu a Marie e dille che tra un'oretta saremo a casa.- mi consigliò prendendo il suo telefono dalla tasca e porgendomelo.

Cercai con molta fatica il suo numero in rubrica e premetti il tasto verde di invio chiamata mentre il bluetooth della macchina si attivava e collegava la chiamata al sistema di amplificazione dell'abitacolo. Lo sentimmo squillare un paio di volte prima che una voce femminile rispondesse.

- Oh ma guarda un po' ed io che pensavo che fossi morto.- scherzò lei con una punta di acidità nella voce che mi fece scoppiare a ridere.

- Laura!- mi riconobbe subito lei divertita.

- Ciao Marie.- la salutai allegra felicissima di risentire la sua voce che non lasciava scampo a nessuno dal sapere ciò che effettivamente passava per la testa a quella ragazza così piena di vita.

- ciao tesoro, non credevo fossi tu. Pensavo fosse quel cretino di mio fratello.- si giustificò lei.

- Il cretino di tuo fratello è qui Marie.- intervenne lui mentre io continuavo a ridere.

- Oh, ciao cretino.- lo salutò lei ritornando alla carica. - ti sei accorto che non chiami dal tuo compleanno?- gli domandò ironicamente parecchio seccata.

- Sì, mi spiace.- si affrettò a rispondere Johnny senza però apparire davvero dispiaciuto. - chiamo proprio per farmi perdonare.-

- L'unico modo per farti perdonare sarebbe regalarmi un'isola deserta in cui scappare con Ettore per un po'.- lo avvisò lei lasciando ben poco spazio al fratello di annunciarle il nostro arrivo.

- No, niente del genere, anzi ci siamo impantanati anche noi in questa foresta verde.- si lamentò lui fingendosi disgustato.

Ci fu un attimo di silenzio. Forse non aveva ben capito la battuta del fratello e stava cercando di ragionare sulle sue parole. Quando però tornò a far sentire la sua presenza mi resi conto che aveva semplicemente cercando di non far esplodere la sua gioia al telefono o che forse semplicemente era rimasta sconvolta dalla notizia.

- Potevi chiamare prima screanzato, adesso dovremo preparare la stanza degli ospiti in un attimo secondo te?- domandò lei in agitazione ma con un evidente sorriso sulle labbra.

- Possiamo anche dormire sul divano.- propose lui.

- Così la schiacci e la uccidi, quel povero fuscellino.- cinguettò lei.

Guardai Jonathan che alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

- Marie...- la riprese Jonathan pronto, a quanto mi sembrava dal tono della sua voce, a riprenderla. Sembrava che la stesse sgridando con il bonario affetto di un padre per suo figlio.

- Zitto!- lo minacciò lei facendosi improvvisamente seria. - zitto, non voglio sentire altro.- riprese questa volta ridacchiando

- Non trarre conclusioni affrettate.- le suggerì lui cercando di non ridere a sua volta dell'incontenibilità della sorella che sembrava una bimba a cui avevano appena fatto il regalo più atteso della sua vita.

- Non credo ce ne sia bisogno.- cinguettò lei facendomi aggrottare la fronte. Ma di che cosa stavano parlando quei due? Ero convintissima di essermi persa qualche passaggio nell'immediato passato e di aver così perso completamente il filo del discorso.

- Marie...- cercò lui nuovamente di parlare senza riuscirci e meritandosi in tutta risposta una meravigliosa risatina che lo convinse a desistere dal suo intento.

- Johnny, non fare il guasta feste.- lo pregò la sorella. - vi manca molto per arrivare?-

- Siamo partiti un'ora fa, spero di farcela entro un'altra ora, due al massimo.-

- Non correre troppo.- lo ammonì - Laura, tienilo a bada! Tanto devi darmi il tempo di organizzarti una festa Jonathan Meyers!- lo avvisò lei senza lasciargli molta possibilità di replica.

- Ok.- rispose allora lui semplicemente.

- Ci vediamo dopo.- ci salutò. -Fate in fretta.- detto ciò mise giù senza tanti convenevoli verso nessuno di noi due.

Ero rimasta in silenzio e avevo ascoltato attentamente perchè ad un tratto Marie aveva cominciato a parlare in modo particolarmente veloce impedendomi di cogliere tutto ciò che aveva detto. Tuttavia il succo doveva essere, più o meno, che fosse felice della nostra visita. Molto felice.

Sì, probabilmente stavo esagerando. Quasi sicuramente anzi era così perchè davvero, mio fratello a fare una cosa del genere proprio non lo vedevo. Comunque non potevo rischiare che gli altri si perdessero una cosa del genere. Non appena misi giù la chiamata con il mio caro fratellino redento chiamai Alan, non volevo dirlo io a Jamie e Paul, volevo parlare con qualcuno che condividesse il mio entusiasmo. Jamie, avendo da poco deciso finalmente di rompere da quella ragazzina asfissiante che aveva conosciuto a marzo, sicuramente non sarebbe stato entusiasta di trovarsi a tu per tu con una delle sue amiche che avrebbe potuto rinfacciarli tutte le orribili cose che aveva combinato con quella povera piccola ragazza. Paul poi era uno con cui sono il grande Alan O'Keeffe poteva avere a che fare senza ucciderlo.

Il telefono squillò parecchio prima che la voce flebile di mio fratello si decidesse a rispondere.

- Pronto?- mormorò mentre degli strilli acuti mi perforavano un timpano.

- Ciao papi. Disturbo?- lo salutai ridendo della situazione.

- Marie, no, tranquilla, tutto bene, il mio personale diavoletto della tasmania qui non sta zitto un attimo.- scherzò. Sentii un bacio che ero convinto fosse stato dato al bambino che in quel momento stava stringendo tra le braccia.

Sarebbe stato bello vedere quella scena di amore.

- chiamavo per dirti che Jonathan torna in città.- lo avvisai meritandomi in tutta risposta un atteggiamento ben diverso dall'entusiasmo che mi aspettavo.

- Quando?- domandò per niente contento.

- tra un'oretta sarà a casa.- risposi io mordendomi il labbro.

Alan era il più grande, avevamo avuto sempre, tutti quanti, per lui, una sorta di timore reverenziale paterno. Lui aveva sempre incarnato per noi, per Jonathan soprattutto la figura di padre che era scappato senza neanche una parola per noi.

- Perchè?- chiese con un'indifferenza che mi spiazzò.

- non lo so.- sembravo una bimba sgridata dal padre era una cosa ridicola.

L'interrogatorio di Alan però non era ancora finito. Lo sentì ridacchiare al telefono e gli strilli del mio piccolo dolce nipotino sparirono dal ricevitore.

- La ragazzina lo ha mollato?- chiese quasi soddisfatto che quella ragazza, che tutti noi avevamo convenuto fosse per Jonathan a dir poco provvidenziale, fosse uscita dalla sua vita.

- No, sono insieme.- la mia voce era diventata fredda e pungente questa volta. Qualsiasi fosse il motivo della sua arrabbiatura augurarsi questo per suo fratello non era affatto gentile da parte sua.

- Wow.- fu la sua unica, insoddisfacente risposta.

- Non sembri felice.- costatai seccata.

Ci fu un attimo di silenzio in cui pensai che avesse riattaccato, poi sbuffò sonoramente irritato.

- Non è venuto alla nascita di mio figlio. Non è venuto al suo battesimo. Perchè dovrei essere felice di vederlo?- domandò facendomi finalmente capire il motivo di tanto astio.

Quasi un anno prima infatti era nato il suo secondo figlio. Il maschietto tanto desiderato. Sua moglie era in attesa quando mi ero finalmente resa conto, a Luglio, dell'infatuazione (o innamoramento per gli sdolcinati come me) di Jonathan per la sua piccola infermiera e la mia salvatrice. Eppure lui non era venuto, non c'era neanche al battesimo. Il suo odio per i bambini allora non era ancora finito nonostante la sua nuova, matura e sana relazione. Che stesse venendo per chiedere scusa?

- perchè è tuo fratello?- cercai di dire trovando una soluzione alla cattiveria gratuita di Jonathan, troppo concentrato, come spesso accadeva, sulla sua vita.

- sì, certo. Ed io per lui non lo sono?- domandò di nuovo Alan senza neanche cercare di apparire calmo. Mi si strinse il cuore nel sentire quel rancore tra i miei fratelli.

- ti prego, non essere arrabbiato con lui, sono convinta che abbia delle novità che vuole fare sapere a tutti.- mormorai abbattuta non sperando più nella sorpresa che avrei tanto voluto preparare ai miei due ospiti.

- vuoi che chiami Paul e Jamie?- mi chiese lui senza tanti giri di parole.

- sì, sarei grata se veniste.- espressi il mio desiderio ben sapendo, tuttavia, che non sarebbe stato affatto esaudito. Era decisamente troppo arrabbiato con lui. Non ricordavo di averlo mai sentito così. Neanche quando era quasi morto.

- li chiamerò ma non aspettare me. Io non vengo.- mi comunicò con semplicità-

- Alan...- cercai di lamentarmi, pronta a scongiurarlo se fosse stato necessario, ma lui non mi diede modo di aprire bocca neanche per emettere un suono.

- Marie, ti voglio bene, voglio bene alla mia famiglia ma in questo momento non voglio vedere Jonathan ok? Ti mando un messaggio dopo.- concluse semplicemente costringendomi a dover gettare la spugna e l'unica cosa che risposi fu un semplicissimo e rassegnato:

- ok.-

 

mezz'ora dopo casa si riempì. Ettore era tornato da lavoro e aveva trovato Jamie e Paul spaparanzati sul divano.

- Ciao.-

- Ehi sexy doc.- salutò Paul con un gesto della mano senza smettere di guardare la partita.

- Che stanno facendo?- domandò lui arrivando in cucina e aprendo il frigo per prendere l'acqua.

- Stanno guardando la finale degli europei.- risposi alzando gli occhi al cielo ridendo della stupidità dei miei fratelli che, alla fine, nonostante approvassero la decisione di Alan, avevano deciso di venire.

- Io sono qui per la sexy italiana.- mi aveva avvertito Paul entrando e andando a spalmarsi sul divano.

- Io perché non avevo di meglio da fare.- mi avvisò Jamie seguendo il fratello a sua volta.

- E perchè lo costretto.- mi avvisò Paul tradendolo e meritandosi, per questo, un violento pugno sul braccio.

- Perché?- mi domandò di nuovo Ettore facendomi perdere il filo dei miei ricordi più recenti.

- Perchè vogliono mettersi al passo con la storia dell'Italia.- risposi ripetendo la risposta che io stessa, poco prima, avevo ricevuto alla medesima domanda.

Quando infatti erano saliti a prendere i video nella cineteca di casa mi era venuto spontaneo chiedermi il perchè di quell'improvvisa voglio di vedere una partita dell'anno precedente.

- Guardando la partita?- chiese Ettore ridacchiando divertito della stupidità dei miei fratelli.

- Già.- risi anche io con lui, gli avvolsi le braccia intorno al collo e lo baciai con trasporto senza riuscire a staccarmi da lui.

Rispose al mio bacio nel modo in cui desideravo e sorrisi. Quando finalmente lo lasciai libero di respirare tornò in salotto bevendo il suo bicchiere di acqua fredda.

- Sapete in che anno è salito al potere il partito fascista?- domandò sedendosi sul divano dove Paul e Jamie, magnanimamente, gli avevano fatto posto.

- No e onestamente non fotte un'emerita mazza a nessuno.- rispose poco gentilmente Paul meritandosi un pugno da Ettore e un cinque dal fratello idiota dall'altra parte.

Risi di quella scena così familiare e quando pochi minuti dopo suonarono alla porta corsi immediatamente ad aprire.

Mi ritrovai dinnanzi il viso paffuto di mio fratello, gli occhi vivaci, la pelle colorita e i capelli in disordine e quello della ragazza che gli avvivava a malapena alla spalla e che sorrideva appena, quasi preoccupata, mezza nascosta dietro la schiena di quello che facevo fatica a riconoscere come mio fratello. Eppure, nonostante l'immensa felicità di vederlo così bene, ero desiderosa di vedere altro, quello che speravo da tantissimo tempo e che, nella mia testa, si era già realizzato, avevo solo il forte desiderio di vederlo.

- Ciao!- li salutai abbracciando mio fratello e dimenticando per un attimo il mio intento.

Abbracciandolo non sentii più nulla di spigoloso, era un uomo muscoloso, sodo e bello ma allo stesso tempo in carne in modo sano. Tutto questo lo rendeva assolutamente un sogno. Mi salirono le lacrime agli occhi e gli baciai sonoramente entrambe le guance.

- Bentornato a casa Jonathan.- mormorai in preda all'emozione.

- Grazie.- rispose lui sembrando, per un attimo, commosso.

Sorrisi divertita e lo spostai malamente rivelando la figura che era rimasta alle sue spalle in religioso silenzio mentre mi presentava l'uomo nuovo che era diventato mio fratello. Il mio sguardo corse immediatamente lì e la delusione del primo istante fu sostituita dalla consapevolezza che in una bimba così piccola e minuta probabilmente non doveva notarsi poi così tanto.

- Ti avevo avvisata di non farti strane idee.- Jonathan scoppiò a ridere e mi diede una pacca sulla spalla. - Lei non è incinta, tu non stai per diventare zia ed io non sarò mai padre.- lo fulminai con lo sguardo e, con la coda dell'occhio, notai che anche la ragazza al suo fianco era rimasta parecchio colpita dalle sue parole.

- Mai dire mai.- cercai di sdrammatizzare spingendolo dentro.

- In questo caso invece puoi dirlo, forte e chiaro!-

 

Mi ritrovai in un istante sommersa da Jamie e Paul che sembravano decisamente impazziti all'idea di rivederci. Ettore, con tutta la sua distinta calma, ci raggiunge con calma e aspettò che fossi libera dagli abbracci strangolatori di Paul e Jamie prima di abbracciarmi in un modo che, per un attimo, mi fece dimenticare ogni tipo di pensiero, anche il motivo per cui ci trovavamo lì in quel momento.

- Bentornata.- sussurrò contro il mio orecchio allontanandosi con calma e sorridendomi con un affetto paterno che mi sciolse il cuore.

- Grazie.- mormorai rispondendo al suo sorriso gentile.

- Allora Johnny, a cosa dobbiamo l'onore?- la voce leggermente tagliente di Jamie mi costrinse a voltarmi verso il gruppetto di fratelli O'Keeffe che si erano riuniti in un angolo della cucina. Sembrava proprio che io ed Ettore non fossimo invitati e ci mantenemmo a debita distanza per non disturbare nessuno.

- Avevo una notizia da darvi e non volevo che la leggeste sui giornali.- sembrava sulla difensiva come se stesse giustificando la sua presenza in quella casa in un momento in cui nessuno lo aspettava. Mi sentii tremendamente in imbarazzo e mi resi conto che non volevo rimanere lì ad ascoltare quell'intima conversazione.

- Avete intenzione di rimanere per molto tempo?- domandò Jamie senza troppi giri di parole. Ettore al mio fianco aveva incrociato le braccia al petto e mi guardava mentre io avevo trattenuto il respiro. Sembrava che volessero buttarci fuori di casa.

Ci fu un attimo di profondo silenzio che mi permise di distinguere una voce provenire dal salotto. Sembrava la telecronaca di una partita di calcio.

- Non sembrate felici di vedermi.- fu Jonathan con una pensate ironia nella voce a rompere il silenzio prima che potessi capire di cosa si trattasse. La mia attenzione fu catturata di nuovo da quello scorcio di vita familiare.

- Lo siamo Johnny, ma siamo tutti solo un po' delusi.- rispose più pacata Marie bloccando l'invettiva di Paul trattenendolo per il braccio prima che potesse emettere un fiato.

Jonathan lo stava fulminando con lo sguardo in una gara di occhiatacce che mi fece risultare difficile scegliere un vincitore.

- E' per questo che Alan non c'è.- costatò allora Jonathan lasciando finalmente lo sguardo del fratello e concentrandosi su Marie che tra i quattro sembrava la più calma e disposta al dialogo.

- Sì.- rispose semplicemente spostando lo sguardo su qualcos'altro pur di non guardare gli occhi delusi di suo fratello.

- Non capisce proprio vero?- domandò senza che io capissi di cosa stesse parlando. La delusione gli impastava la voce insieme al risentimento e alla profonda tristezza che sembrava averlo invaso in quel momento.

- No, non capisce.- rispose Paul liberandosi finalmente dalla stretta presa di Marie che a quel punto non sembrava più nemmeno davvero intenzionata a trattenerlo dalla sua invettiva. -onestamente nessuno di noi capisce Jonathan.- spiegò meglio.

- Certo...ovviamente.- scattò lui sbattendo una mano sul piano della cucina.

In quel momento i toni si fecero più accesi per tutti. Paul già aveva cominciato ad alzare la voce e Jonathan lo aveva seguito subito senza farsi ulteriori problemi di mantenere una certa compostezza.

- E' tuo fratello e tu non c'eri, adesso vieni e pretendi chissà che tipo di accoglienza?- gridò a sua volta l'uomo che gli stava di fronte trattenendosi, lo vedevo benissimo, dallo spingerlo via e magari prenderlo anche a schiaffi.

Cosa aveva fatto di tanto brutto per meritarsi questo.

- Io non volevo nessun tipo di accoglienza anzi, visto che è così non perdo altro tempo.- rispose lui con una smorfia sul viso allontanandosi. Il suo sguardo si posò su di me per un attimo. Mi sembrò di leggere nei suoi occhi una profonda tristezza. Si avvicinò velocemente, mi prese la mano e me la baciò con dolcezza permettendo così al medico al mio fianco di vedere l'anello che brillava al mio anulare. Lo sentì trattenere il fiato e spostarsi appena.

Jonathan si voltò verso la sua famiglia senza lasciarmi la mano e li guardò con rammarico. -Io e Laura ci sposiamo, risparmiatemi i vostri auguri.-

- Jonathan...- mormorai io mentre tutto il resto degli astanti sembrava aver perso del tutto l'uso della parola.

- Scusami.- si congedò lui uscendo dalla porta d'ingresso.

Dopo un attimo sentii la macchina partire diretta chissà dove. Mi aveva lasciato in balia della sua famiglia arrabbiata e sconvolta.

Marie aveva gli occhi e la bocca spalancati continuava a fissarmi come se in me ci fosse qualcosa di serio che non andava affatto. Feci involontariamente un passo indietro come per scappare ma fui intercettata da Ettore che, sorridente, mi abbracciò.

- Auguri piccoletta.- mi congratulò sembrando davvero felice, davvero entusiasta di me.

I tre fratelli O'Keeffe erano ancora immobili, Paul e Jamie cercarono di reagire facendomi le loro congratulazioni ben poco convinti. Mi sentii in imbarazzo forse più di prima.

- Via!- sussurrò Marie con una decisione che fece voltare i tre uomini nella stanza verso di lei. -ho bisogno di parlare con lei, da sola.- precisò.

Per un attimo nessuno reagì, poi il primo a sbloccarsi fu Ettore che, prese le sue cose, si allontanò con calma in salotto, prese le giacche e le porse a Paul e Jamie che le presero in silenzio prima di lasciare definitivamente la casa chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasi da sola con Marie. La sua espressione era per me indecifrabile. Si avvicinò di nuovo alla cucina, aprì il frigo e ne prese una bottiglia d'acqua. Poi recuperò due bicchieri, li riempì e mi invitò a seguirla in salotto.

Non prendemmo posto sul divano come mi aspettavo. Mi fece sedere al lungo tavolo da pranzo proprio di fronte a lei e rimasi silenziosamente ferma a guardarla finchè non fu lei stessa a sollevare lo sguardo dal bicchiere che stringeva tra le mani e a guardarmi finalmente in viso.

- Perchè?- domandò.

Onestamente non mi aspettavo quella domanda. Mi sarei aspettata tutto da parte sue tranne quella domanda come se mi stesse chiedendo: perché ti sei ubriacata? Perchè hai fatto questa cosa terribile?

- Perché lo amo.- risposi ingenuamente senza riuscire a frenare un sorriso sincero che sapevo si stava allargando sul mio viso. Abbassai lo sguardo e mi morsi appena il labbro.

- Lui ti spezzerà il cuore.- rispose lei con voce atona e fredda facendomi gelare il sangue nelle vene. Sembrava una dichiarazione di morte. Sollevai lo testa di scatto e trovai i suoi occhi addolorati che mi accarezzavano quasi fossi io sua sorella e non il mio fidanzato.

- Cosa?- biascicai in preda alla confusione.

Lei prese un respiro profondo riempiendosi i polmoni. Trattenne il respiro per un attimo prima di inspirare tutta l'aria e bere un lungo sorso d'acqua che lasciò il bicchiere mezzo vuoto.

- Cos'è per te il matrimonio?- mi domandò ad un tratto tornando poi finalmente a guardarmi.

- Maria...- cercai di trovare un modo per sviare quella domanda che avrebbe messo in luce tutti i miei diciassette anni, la mia immaturità, le mie fantasia di ragazzina innamorata.

- Rispondimi Laura!- mi gridò lei come avrebbe potuto fare mia madre di fronte ad un mio ostinato mutismo. Arrossì e scostai lo sguardo.

- Creare una famiglia, condividere la propria vita giorno per giorno...appartenenza.-

- Lui non vuole una famiglia, vuole solo te.- mi interruppe lei prima che riuscissi a finire. Trovare le parole giuste era dannatamente difficile.

Le sue parole però non mi risultarono mostruose come avrebbero dovuto. Mi provocarono un crampo allo stomaco e mi fecero venire voglia di correre tra le sue braccia, farmi baciare, fare l'amore con lui. Perchè io non mi sentivo assolutamente sua.

- Ok.-

lei sgranò gli occhi arrabbiata, la vidi trattenersi a stento dal cominciare a gridare contro di me tutta la sua frustrazione e la mia risposta fu di abbassare lo sguardo.

- No, non è ok.- soffiò tra i denti per evitare di eccedere e spaventarmi. -tu vuoi dei figli?- domandò concitata. Stava cercando di essere calma e lo apprezzavo ma adesso, onestamente, volevo solo andare via da lì. Tornare a casa, a Londra.

- Non nell'immediato futuro.- cercai di tagliare corto.

- Lui non ne vorrà mai.- incalzò lei riportandomi alla realtà e all'importanza di quella conversazione che avrebbe potuto chiarirmi molti dubbi che mi erano sorti nel corso di quella giornata.

- Io non sarò mai padre.- erano state le parole di Jonathan quando aveva capito che Marie cercava in me i segni di una gravidanza.

- Mai dire mai.- aveva risposto Marie sorridendo un po' meno soddisfatta.

- In questo caso puoi dirlo invece, forte e chiaro!- dichiarò Jonathan entrando finalmente in casa.

- Perché?-

Lei sospirò e si portò una mano alla fronte cercando di non scoppiare in lacrime. Era provata e non capivo perchè. -Sai perché oggi eravamo tutti arrabbiati con lui?- mi chiese e per me era come se stesse cambiando argomento.

- No.- risposi vagamente spazientita.

- Lui non è venuto al battesimo e alla nascita di suo nipote.- mi comunicò con un po' di rancore nella voce malcelato. -quando è nato il figlio di Alan e lui non c'era.-

- mi spiace.- mi giustificai come fosse stata colpa mia. - non lo sapevo.-

- Non è colpa tua, Jonathan è arrabbiato con Alan da quando è nata la sua prima figlia.- mi rassicurò accarezzandomi la mano. - lui ha un rapporto particolare con le persone che ama, tende a diventare possessivo ed esclusivista. Prendiamo Alan ad esempio. Aveva visto in lui la figura paterna che non ha mai avuto, quando lui ha avuto un suo figlio Jonathan si è sentito tradito e adesso odia sia quella bimba che sua moglie.- mi raccontò. - io credo che il rapporto che ha adesso con te sia una specie di sindrome Edipica al contrario. Lui vede in te una figura materna ma anche filiale. Lui vuole comportarsi con te da padre, vuole proteggerti ed essere tutto il tuo mondo. Se dovesse mettersi in mezzo un figlio ho paura che scapperebbe.- mi avvisò preoccupata.

Tutti quei mesi adesso assumevano un significato. Il motivo per cui non voleva avere un rapporto con me, il motivo per cui mi aveva chiesto di sposarlo, tutto. Eppure a me non importava. Io lo amavo, sapevo che, in un modo o nell'altro, anche lui amava me, dopo tutto.

Mi alzai lentamente guardandola.

- Ho bisogno di pensare ok?- era un modo gentile per dirle che non mi importava.

- Cerca di non dimenticare mai quello che ti ho detto oggi va bene?- si alzò anche lei e mi si parò di fronte sovrastandomi.

Io risposi annuendo.

  
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