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Autore: Fanny Lestrange    12/07/2013    2 recensioni
Seconda guerra magica.
Ninfadora - anzi, Tonks - è una novella sposa e una futura madre, giovane, idealista, coraggiosa, disposta a tutto pur di non tradire l'Ordine della Fenice. Catturata e rinchiusa nei sotterranei di Villa Malfoy.
Lucius è un marito e un padre assente, prostrato dalla paura e perseguitato dai propri fantasmi, disposto a tutto pur di riconquistare la fiducia del suo signore. Costretto a farle da carceriere.
Lucius/Ninfadora.
Prima classificata al "Crack pairing contest, per chi vuole leggere qualcosa di originale!" organizzato da Rowan936 su ffz.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Nimphadora Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Tre settimane era durato quel vostro idillio (se di idillio è corretto parlare). Tre settimane di baci proibiti nel buio del sotterraneo, che era stato promosso da prigione a rifugio, di lunghe discussioni che vi portavano innumerevoli domande e nessuna risposta, di litigate furiose che terminavano regolarmente  in abbracci riconciliatori e disperati, di promesse sussurrate, di lacrime amare e colpe confessate, di rimorsi sciolti in pianti purificatori. Di scettiche speranze e silenzi loquaci.
E sempre, in ogni momento, percepivate allungarsi su di voi l’ombra del pericolo. Vi tallonava, non vi mollava un attimo. Vi perseguitava con l’accanimento e la costanza di uno spirito maligno. Anche quando sedevate l’uno accanto all’altra, abbracciati, con la sensazione che nulla avrebbe potuto scalfire quella vostra quiete, ma che, al contrario, insieme avreste affrontato il mondo, essa rimaneva lì, quiescente, sepolta in qualche remoto angolo del vostro inconscio ma comunque viva e pulsante.
Il pensiero dei Mangiamorte, dell’Ordine, della guerra, della caccia a Potter - in poche parole, della realtà che c’era ad attendervi fuori da quella cella - vi assillava senza tregua; ma, più di tutto, era lo spettro di Lui, del Signore Oscuro, o, come lo chiamava lei, il “gran bastardo” (essendo il suo nome tabù), a tormentarvi. La sua presenza riusciva ad incombere su di voi anche se con ogni probabilità si trovava dall’altra parte del mondo. Poteva tornare in ogni momento. Poteva sorprendervi. Poteva - ciò che più temevi - uccidere lei e torturare te fino a farti perdere la ragione, fino a renderti inconsapevole, innocuo ma comunque servizievole. Utile. E allora che senso avrebbero avuto il vostro incontro, l’intera tua vita?
 
Lei si dimostrava assai più padrona di sé stessa, in questo contesto. Diversamente da te, l’idea della morte non la atterriva, come se, sfuggendole spesso, ci si fosse abituata, né mai la sfiorava il timore che la sua esistenza, tutto ciò che aveva fatto su questa terra sarebbero stati infruttuosi. Era convinta che l’uguaglianza tra gli uomini - maghi o Babbani che fossero - e il rispetto della vita fossero cause più che degne per cui battersi, e che l’impegno e il coraggio di chi le difendeva non sarebbero mai andati perduti. Era fiduciosa nel futuro, anche se questo si sarebbe compiuto dopo la sua morte. Anzi, sapeva che essa era necessaria affinché la giustizia trionfasse e il mondo diventasse migliore, e questo la faceva sentire tranquilla, le infondeva un senso di pace e serenità. Era un’idealista, un’ingenua e un’illusa. Lo pensavi affettuosamente, ma era così. Crescendo, forse, sarebbe cambiata e avrebbe imparato a scendere a compromessi con la vita; sempre che avesse avuto il tempo di crescere, certo... Eppure, una parte di te sperava che si sarebbe mantenuta sempre così, che la sua freschezza e la sua innocenza si sarebbero preservate intatte, perché non avresti tollerato di vedere le sue speranze scontrarsi con la crudezza della realtà e infrangersi miseramente... Forse, davvero l’unico modo per evitarlo era che i suoi sogni morissero con lei.
 
Pareva, dai suoi discorsi, trapelare la concezione di un ordine superiore delle cose, divino, quasi, e questo forse spiegava la cieca fede che nutriva nella vittoria del Bene sul Male. Ne parlava, almeno nei primi tempi, come di due concetti astratti e assoluti, che faticavi ad associare, rispettivamente, all’Ordine della Fenice e a voi Mangiamorte. Anche da parte loro venivano commessi omicidi ingiustificati ed atti estremi, fanatici; e anche dietro alle vostre maschere si poteva celare dell’umanità. Lei, all’inizio, era parsa scettica e sorpresa da quell’insolita prospettiva.
“Non sono tutti come te...” obiettava, riferendosi ai Mangiamorte, allusione che tu però fingevi di non cogliere.
“Per fortuna” ribattevi, e poi vi abbandonavate a una di quelle risate che, a prima vista, potevano sembrare inopportune, ma a cui voi non sapevate rinunciare, poiché rappresentavano la vostra capacità, rara e preziosa, di sdrammatizzare anche nelle situazioni che meno ne offrivano l’occasione.
 
Pian piano, però, lei aveva imparato a ridimensionare i suoi orizzonti e a mitigare le sue vedute, accettando l’idea che persino l’odio più violento nasconde un’origine, una motivazione, in qualche modo connessa con l’amore. Un amore che spesso è venuto a mancare.
E tu avevi ammirato e invidiato la sua speranza tenace, il suo ottimismo incrollabile, che ti avevano riportato alla memoria la tua giovinezza, ugualmente costellata da dogmi inconfutabili e ugualmente influenzata da due grandi centri gravitazionali, che solo avevano nomi diversi - Purosangue e feccia - ma che funzionavano esattamente allo stesso modo: nell’uno si personificava la ragione, nell’altro il torto. Avevi ricominciato, pur con molta fatica, a credere in qualcosa - non ti ricordavi più come si faceva - e ti eri sentito rinascere.
 
 
Poi, le tre settimane erano trascorse, e, così com’era iniziato, l’idillio era finito. Di colpo, e senza alcun preavviso. Proprio come avevi previsto e scongiurato.
Un giorno, infatti, erano giunti inaspettatamente dei Ghermidori che sostenevano di aver catturato Potter e i suoi amichetti. Era vero. L’avevate avuto fra le mani e ve l’eravate lasciato sfuggire, insieme agli altri prigionieri. La cosa peggiore, comunque, era che avevi lasciato fuggire anche lei.
Ma cos’altro avresti potuto fare? Diversamente, avresti destato sospetti. Già avevi tremato, poiché lei, all’inizio, sembrava non capacitarsi di quanto stesse accadendo: si guardava intorno, disorientata e accecata dalla luce del sole che non vedeva da tanto tempo, ostentando un’aria atterrita che ti aveva fatto sussultare. Ma aveva ripreso presto il controllo di sé, e, con una bacchetta passatele dai ragazzini, aveva persino iniziato a duellare contro di voi. Non avevi potuto fare a meno di ammirarne i nervi saldi e l’indomabile coraggio che riusciva, sempre e comunque, a dimostrare.
Avevi notato, però, che finché stavate combattendo, per evitare di tradirsi, non ti aveva mai guardato negli occhi. Solo quando, a battaglia ormai conclusa, si era ricongiunta ai suoi compagni e si accingeva a Smaterializzarsi insieme a loro, aveva ceduto: un istante, e i vostri sguardi si erano incontrati. Il suo, improvvisamente smarrito, e il tuo...
Com’era, il tuo? Come l’avevi guardata per l’ultima volta? Come le avevi dato il tuo addio? Non ricordi, ma con ogni probabilità eri rimasto impassibile, inchiodato sul posto, sopraffatto dalla paura e dal dolore. Di questo sì che ti eri pentito, più che di tutte le altre tue nefandezze. In ogni caso, non saresti riuscito a convogliare tutto ciò che avevi da dirle in un semplice sguardo; c’erano sfumature, sfaccettature del vostro rapporto che non eri capace di esprimere nemmeno a parole. Avresti voluto dirle che ti sarebbe mancata, che desideravi rimanesse, che ti dispiaceva avesse sofferto a causa tua, che le eri grato per averti fatto sentire nuovamente vivo, nuovamente un uomo... E molto altro ancora.
Avevi sempre saputo che un giorno avresti dovuto lasciarla andare, ma, in qualche modo, avevi fatto sì che quell’idea se ne restasse sopita per molto tempo, resa inoffensiva dalle tue caparbie illusioni; e ora che eri chiamato ad affrontare la realtà, non ti capacitavi di quanto facesse male. E di quanto tu fossi stato stupido a sottovalutarla.
Cosa credevi, che sarebbe rimasta nel sotterraneo per sempre? E del bambino che ne sarebbe stato, eh? Era già una fortuna che foste riusciti a nascondervi così a lungo, e, a ben pensarci, quasi una benedizione che Potter l’avesse portata via con sé. Avevi ormai esaurito le scuse (proprio tu!), e non sapevi più che pretesto addurre per non essere ancora venuto a conoscenza del rifugio segreto dell’Ordine, quando Bellatrix, puntualmente, te lo chiedeva... Tergiversavi, sostenevi che fosse una confessione difficile da estorcere, ma che il tuo piano stesse funzionando, ancora un po’ di pazienza e avrebbe parlato...
Ovviamente, manco a dirlo, dovevi tutto all’assenza del Signore Oscuro. Se lui avesse presieduto all’operazione, va da sé che il vostro amore (amore? Ti eri quasi dimenticato, circondato com’eri da odio, morte e indifferenza, che cosa questo vocabolo significasse) non avrebbe mai nemmeno avuto modo di nascere. Com’era naturale, Lui si era adirato, e non poco, per quell’opportunità che vi era stata offerta su un piatto d’argento, e che vi eravate lasciati scappare. La sua ira e l’entità dei castighi a cui vi sottoponeva crescevano di pari passo con il numero di occasioni in cui Potter riusciva a sfuggirgli. Questa volta vi aveva requisito le bacchette (dopo torture ancora più violente del solito) e segregati nel tuo (?) maniero, proibendovi perentoriamente di uscirne.
Ma, e ancora faticavi a crederci, non aveva ritenuto necessario leggervi la mente. Una buona stella, dunque, insieme a un certo sforzo da parte tua, avevano fatto sì che non fosse venuto a sapere di voi due. Una ragione più che sufficiente per considerarti fortunato.
 
 
Davanti a te c’è una rosa. Una rosa bianca. L’hai colta per regalarla a Narcissa. Un gesto da opportunista, direbbero in molti. La supplica di un cane che, non essendo riuscito a realizzare il suo sogno di libertà, se ne torna, mesto e con la coda fra le zampe, dall’odiato padrone, nell’unico posto in cui ancora potrà essere accolto. Ma tu sai che non è così.
Lei - Ninfadora, anzi, Tonks - ti ha lasciato molte verità e ancora più domande, alle quali, pian piano, stai cercando di trovare risposte. Non è semplice, ma anche tu, ora, hai recuperato un pizzico di fiducia nel domani. Sai che ce la potrai fare. Una cosa, di sicuro, l’hai capita: ciò per cui più le sei grato è quella stessa speranza che tanto le rimproveravi. L’avevi smarrita, e lei te l’ha fatta intravedere di nuovo. Ti ha riportato alla memoria il significato di numerose parole: credere, ascoltare, combattere, aspettare, capire, amare. Soprattutto amare. Ne avevi nostalgia. Pur senza che te ne accorgessi, ti mancava disperatamente qualcuno da amare. E ora che lei se n’è andata, non vuoi dimenticare di nuovo cosa significhi voler bene a qualcuno. Al contrario, vuoi continuare a farlo. E puoi, perché c’è la tua famiglia, e ha bisogno di te. Lei è al sicuro adesso, tra i suoi. Draco e Narcissa invece no; ma ci sarai tu con loro. Ci sarai tu a credere insieme a loro che le cose potranno cambiare, ad ascoltarli, a combattere per loro, ad aspettarli, a provare a capirli. Ad amarli. Perché non vuoi che nulla di quanto lei ti ha insegnato vada perduto. Non sai se il suo passaggio su questa terra sarà ricordato; di certo, non vuoi che il suo passaggio nella tua vita sia stato vano. Già sta pian piano, e contro la tua volontà, assumendo i contorni di un evento onirico, fantasioso, allegorico; quasi come se avessi immaginato, o sognato tutto, e di lei non ti rimanesse che un’immagine astratta, sbiadita, emblematica dell’innocenza e dell’autenticità della giovinezza. Una personificazione, ecco.
Poco importa, dunque, se ciò che provavi per tua moglie al momento di sposarla sia tutt’altra cosa rispetto all’affetto maturo, temprato dagli eventi e commosso di adesso; lei e Draco hanno bisogno di te, e tu ci sarai per loro.
 
Eppure, la purezza e il candore di quella rosa - bianca, come il vuoto che ha lasciato dentro di te - ti ricorderanno per sempre lei, e lei sola. Lei che era troppo generosa per questo mondo, e che il mondo, invidioso, si è portato via. Lei che era troppo ingenua, un’illusa, e a cui gli eventi alla fine hanno dato ragione. Lei che era una guerriera dall’animo nobile, pronta a sacrificare la vita per rendere il mondo “un posto migliore”, e che è stata esaudita. Lei che forse non ha reso migliore il mondo, ma che senz’altro ha reso migliore te. Lei, che ti ha insegnato la differenza tra la pietà e il rispetto. Lei, che ti ha portato la pace mentre fuori infuriava la tempesta. Lei, che credeva nel qui e nell’ora. E che nient’altro importasse.
 
  
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