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Autore: DirtyWriter    31/07/2013    5 recensioni
Alternative Universe.
*Il potere dell’Athena incarnatasi in Saori Kido ha raggiunto il culmine permettendole di sigillare Hades e il suo esercito negli Inferi prima che la Guerra Santa iniziasse. Saga non ha mai ceduto al lato malvagio e con Mu, Rasgado, Deathmask, Aiolia, Shaka, Dohko, Milo, El Cid, Aiolos (Comandante dell'Esercito), Camus e Albafica vigila sul Santuario di cui Sage è il Gran Sacerdote.
Poseidon non ha mosso guerra alla Dea della Giustizia, concentrato a restaurare con i suoi Marines il regno di Atlantide. Kanon è rimasto il Marine di Seadragon ed è fedele al Signore delle Acque.
L’Anello del Nibelungo non è stato mai riesumato dall’oblio ed in una Asgard che vive in pace con il resto del mondo, Hilda ha abdicato in favore della sorella Flare rimanendo comunque Sacerdotessa di Odino*
In questa realtà June, Bronze Saint del Camaleonte, vive una vita da guerriera di Athena per cui ha lottato e sofferto.
Una vita che, comunque, non ritiene essere la sua perché sebbene serva devotamente la sua Dea la ragazza ode un Canto lontano che la invoca, al quale non può rimanere a lungo indifferente. Solo sulla scia di quel Canto, infatti, June potrà scoprire sè stessa...
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chameleon June, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 7
 

Sebbene l’inverno asgardiano constasse di quasi sei mesi di buio completo, June non ci aveva messo molto ad abituarsi alla mancanza di punti di riferimento per la scansione del tempo. O, almeno, non essendo in grado di trovarne in natura si era da subito affidata al suo spirito di osservazione che in breve tempo aveva soddisfatto le sue necessità. Non essendo mai stata un’amante dei sonni prolungati, sin dai primi giorni in cui aveva risieduto nella Grotta del Meriggio si era alzata nel cuore dell’oscurità per recarsi al Picco della Preghiera a osservare il mare in cerca delle tanto agognate risposte. Di quelle, purtroppo, non ne aveva trovate ma non tutto era stato vano: da quel punto, di fatti, aveva una visuale nitida di Palazzo Polaris dal basso, anche di punti che frontalmente non si vedevano come, ad esempio, le finestre delle cucine e dei locali di servizio. Frequentando il castello era venuta a sapere che i lavori iniziavano a fervere più o meno nel lasso temporale che in Grecia avrebbe potuto essere definito come l’alba. Fu in quel modo che imparò a scandire il tempo laggiù, ossia osservando come e quando le attività della popolazione si avvicendavano.
La mattina successiva alla festa fu esattamente uguale a tutte le altre dell’ultimo mese. Seduta mestamente sulla piattaforma rocciosa del Picco, June ripensava a quanto accaduto la notte precedente in attesa di vedere Palazzo Polaris rianimarsi di vita e raggiungere così le stanze della delegazione di Atene per poter finalmente parlare in pace con i suoi amici.
Quando aveva aperto gli occhi nel suo letto nella Grotta, subito era stata invasa dalla fugace speranza che quel giorno avrebbe portato enormi novità nella sua vita. Non avrebbe potuto essere diversamente: avrebbe rivisto le persone a lei più care dopo un lungo periodo in cui aveva sentito terribilmente la loro mancanza e inoltre la sera precedente aveva passato momenti piacevoli ed intensi con il suo maestro, il quale le sembrava stesse mostrandole un’attenzione e una premura così particolari da farle pensare che, forse, avesse iniziato a guardarla con occhi diversi. Con gli occhi con cui, probabilmente, lei aveva già da qualche tempo iniziato a guardarlo a sua volta. Quel pensiero le aveva scaldato le membra recando un sorriso sornione sulle sue labbra che però si eclissò subito quando un altro dettaglio le sovvenne alla memoria: Albafica e le parole che le aveva detto. Il ricordo le fece provare un’intensa fitta allo stomaco: come avrebbe dovuto porsi davanti ad una tale profondità di sensazioni? Ciò che il Gold le aveva rivelato non aveva nulla di frivolo ed assumeva i contorni di una situazione estremamente seria ed ineluttabile. Si chiese, altresì, se quell’uomo nella sua effimera ricerca di riempire la solitudine della sua vita le stesse affidando un ruolo eccessivo per il quale lei non fosse né all’altezza né tantomeno realmente idonea. Decise di scacciare l’ansia che quel senso di responsabilità le aveva recato addosso e, vestendosi in silenziosa fretta per non disturbare il riposo di Hagen che dormiva in una nicchia della Grotta non lontana da quella occupata da lei, si legò la sua frusta alla cintola e uscì di corsa convinta che quel giorno il mare oscuro le avrebbe recato delle risposte e che il Canto sarebbe tornato a guidarla verso il suo destino.
Eppure era lì ormai da un tempo indefinito e nulla era capitato. L’oscurità rimaneva fitta e densa sulle acque del Mare del Nord ed il Canto che per tanto tempo aveva albergato dentro di lei era rimasto una volta di più silente. Un senso di sconfitta le calò addosso come una scure ed improvvisamente l’entusiasmo per l’incontro con Teano ed i Gold Saints svanì, lasciando il posto ad un amaro senso di fallimento ed inadeguatezza che la fece vergognare di presentarsi al loro cospetto dopo tutto quel tempo e con tutti i presupposti con cui aveva lasciato il Santuario senza risultato alcuno.
“Eppure sono qui orientata all’obiettivo… Credevo che qualcosa si sarebbe smosso grazie alla predisposizione spirituale ottenuta grazie alla vicinanza con persone con un così alto codice etico e d’onore…”
Immediatamente, però, a quel pensiero non riuscì a contenere un moto di autocensura.
“Non tutti, comunque, hanno dimostrato di possedere queste qualità che io ho bisogno di apprendere per qualificarmi. La Regina, sua sorella, Siegfried, Hagen e gli altri God Warriors sono sicuramente gente degna di essere stimata e guardata come esempio. Ma quell’uomo… Quel Cyd di Mizar… É davvero ripugnante, tutto quello che ho sempre cercato di evitare. Albafica può dire o pensare ciò che vuole ma per quel poco che ho visto ho capito che quell’uomo porta con sé una lordura interiore contagiosa. Devo starne alla larga, l’ultima cosa di cui ho bisogno sono guai…”
Talmente era presa da quegli sdegnosi pensieri da non essersi accorta che le luci di Palazzo Polaris si erano accese da un bel pezzo. Quando realizzò il tenue vacillare dei guizzi luminosi, perciò, si riscosse e sorrise, alzandosi velocemente e avviandosi verso il maniero.
C’era un appuntamento al quale mai e poi mai avrebbe voluto mancare.

 
Aiolia si alzò bruscamente dalla sedia e, con espressione torva, si avvicinò alla finestra dell’anticamera degli appartamenti riservati a Teano.
Alle sue spalle, seduti a un tavolino sul quale era imbandita una sontuosa colazione, suo fratello Aiolos e la Celebrante di Athena osservavano la sua reazione alle constatazioni fatte poc’anzi. Ma non fu nessuno di loro due a prendere la parola per primo: dall’ombra di un separé, semi sdraiato su un sofà accanto al ruggente fuoco del camino, Albafica parlò con voce calma e quasi asettica.
-Non capisco che bisogno tu abbia di agitarti in questo modo, Aiolia, ogni volta che si tocca l’argomento “Cyd di Mizar”. E poi, perdonami, ma qui ognuno è libero di avere le proprie opinioni in merito e tu non hai certo diritto di profonderti in queste scene da osteria di quart’ordine-.
Il Leone Dorato si volse di scatto con la mascella serrata.
-Non farmi la morale, Albafica. Da te, che non so per quale motivo non fai mistero della tua simpatia per quel ripugnante ratto di fogna, proprio non l’accetto!-.
-Non sarà forse che vi brucia ancora l’umiliazione inflittavi da Cyd un paio di anni fa durante quel duello, Aiolia?-. Teano proferì quelle parole in tono leggero ma evidentemente provocatorio, mentre con un gesto casuale sorseggiava un infuso caldo senza guardarlo.
Il Saint avvampò in una commistione di vergogna, rabbia e amor proprio ferito. L’episodio si ripresentò alla sua memoria vivido e bruciante come non mai…
Un paio d’anni addietro in occasione di un’altra visita diplomatica della delegazione del Grande Tempio ad Asgard, la sua prima ufficiale da Guardia personale di Teano, Aiolia non era riuscito a trattenere l’impeto del suo fervido carattere iracondo. Di fatti, proprio in un contesto simile a quello della sera precedente, lo scellerato ed irriverente Cavaliere di Mizar aveva osato avvicinare la bella Teano sottoponendola a delle avances a sfondo fisico talmente esplicite da non poter essere fraintese con galanti tentativi di corte. Era stato così che Aiolia si era lasciato prendere la mano, perdendo il lume della ragione ed aggredendo fisicamente il giovane God Warrior nel bel mezzo del banchetto, appellandolo con epiteti indegni di un Gold Saint di Athena.
La situazione avrebbe preso una piega diplomaticamente disastrosa se, come sempre, Siegfried non fosse intervenuto nell’alterco proponendo che l’offesa recepita dal Leone Dorato fosse lavata nel modo più onorevole che un asgardiano conoscesse: un duello al primo sangue, trattandosi di fattispecie di entità non gravissima, ma pur sempre uno scontro che avrebbe portato alla stilla atta a purificare l’onore lordato della bella Sacerdotessa.
Teano aveva provato ad opporsi, liquidando il comportamento del Mizar come un goliardico tentativo di metterla a suo agio, ma Aiolia non aveva voluto sentire ragioni, conscio invece della reale natura delle rudi attenzioni che l’altro aveva dedicato alla giovane donna: era stato così che, a seguito della proposta del Comandante del Nord, si era avvicinato alla Tigre e lo aveva schiaffeggiato, sancendo la sua sfida.
Cyd, dal canto suo, non si era scomposto minimamente e si era limitato ad accettare il duello con un ghigno feroce dipinto in faccia.
Il Gold Saint non volle attendere l’indomani così, sotto gli occhi preoccupati di Teano, Flare e Hilda, quelli severi di Siegfried ed Aiolos, quelli divertiti di Hagen, Albafica e degli altri God Warriros e quelli eccitati dell’intera corte, si erano spostati tutti nella piazza d’armi sotto la statua di Odino per procedere al combattimento.
Una volta che tutti ebbero preso posto nel colonnato sovrastante l’arena, nella quale i due contendenti già si fronteggiavano, Siegfried aveva dato il via libera allo scontro.
Aiolia si era voltato per porgere cavallerescamente i suoi omaggi ai presenti, come sarebbe stato confacente per ogni cavaliere degno di quel nome, ma proprio in quel momento aveva sentito un rapido spostamento d’aria nei suoi pressi. Non aveva fatto in tempo a girarsi che il suoi occhi si erano trovati davanti quelli sprezzanti e avvolgenti del suo avversario.
Fu un secondo: un lieve senso di bruciore gli pervenne dal proprio zigomo e subito la voce di Siegfried a decretare la fine dello scontro.
Il Leone di Grecia era rimasto annichilito, ad occhi sbarrati per qualche istante, poi si era portato la mano al volto: sulla guancia destra percepì nitidamente al tatto un piccolo taglio che stillava sangue.
Nel silenzio sorpreso che era calato sugli astanti che avevano assistito alla scena, il ruggito indignato di Aiolia aveva risuonato come una sentenza di morte. Ma il cavaliere di Dubhe non si era fatto impressionare ed aveva sottolineato nuovamente la vittoria del suo compagno.
A nulla erano valse le proteste di Aiolia, il quale aveva gridato al comportamento disonorevole ed all’inganno. Le parole dello stesso Cyd, il quale gli si era avvicinato e gli aveva messo una mano su una spalla in modo beffardo, erano valse come una doccia più fredda del clima di Asgard.
-Non è colpa di noi asgardiani se non siamo usi a tutte le moine di voi ateniesi, Leone. Il via alla lotta era stato dato ed io sono il guerriero più veloce di questo paese… Non c’è trucco né inganno, non ho colpa io del fatto che “voi abbiate presupposto bisognasse onorare i presenti”. Io sono responsabile per le mie azioni, non per i vostri pensieri. Osereste accusarci di essere dei guerrieri senza onore proprio entro i nostri confini e davanti a un’evidenza così schiacciante? Fatevi un favore, cavaliere: evitatevi lo scherno di parlare ulteriormente e fatevi da parte…-.
Era stato così che, travolto dall’ineluttabilità della situazione, Aiolia aveva dovuto ingoiare l’amaro boccone della sconfitta chinando la testa, con l’aggravante di aver pubblicamente fatto la figura dello sciocco.
Da quel giorno in avanti lui ed il cavaliere di Mizar si erano reciprocamente riservati un particolare sprezzo reciproco, il quale aveva dato adito quella mattina all’invettiva sdegnata del Leone relativa alla scena consumatasi la sera prima nel salone da ballo.
Eppure Aiolia si sarebbe aspettato tutto tranne che Teano lo rimbrottasse in modo così sottile, soprattutto perché quella volta lui si era esposto solo ed esclusivamente per salvaguardare il suo onore di fanciulla. Almeno questa era la versione che lui stesso si raccontava…
Fu per questo che il giovane, punto nel vivo, si chiuse in un offeso mutismo guardando fuori dalla finestra e dando le spalle agli altri, paonazzo in volto per lo scorno.
-Suvvia, dolce Teano, ed anche voi, Albafica… Non credete di essere troppo severi con il mio giovane ed avventato fratello? Dovete ammettere che, a prescindere da quel famoso precedente, va riconosciuto in favore di Aiolia che il cavaliere di Mizar è un personaggio quanto meno… “colorito”…- esordì Aiolos, cercando di smorzare l’atmosfera che si stava facendo tesa.
-Non sempre l’integerrima rettitudine è sinonimo di onore e valore, Comandante… I costumi pubblici di Cyd non fanno di lui un guerriero ed un difensore di Asgard meno valoroso di quello che in effetti è. Possiamo limitarci a giudicare un uomo soltanto per ciò che agli altri dà a vedere? Se così facessimo io stesso non risponderei ai canoni del paladino dell’amore e l’altruismo che la nostra Dea incarna… Eppure voi tutti sapete che c’è ben altro dietro tale apparenza-.
La dissertazione tranquilla e cristallina di Albafica fece cadere un silenzio denso. Evidentemente il Cavaliere dei Pesci aveva centrato un punto su cui i suoi parigrado non si erano mai soffermati e su cui ora, almeno Aiolos, stava ragionando. Teano, dal canto suo, annuiva con serietà continuando a sorseggiare la sua bevanda calda.
La stasi, però, venne rotta proprio in quell’istante da un lieve bussare proveniente dall’uscio: la Sacerdotessa diede assenso all’ingresso e così la porta si aprì lentamente.
 
 
Non fece in tempo a chiudersi il battente alle spalle che si ritrovò investita dal massiccio e caloroso abbraccio di Aiolia il quale, non appena l’aveva riconosciuta, si era staccato dalla finestra e le era corso entusiasticamente incontro.
-Sorella mia, è bello poterti finalmente abbracciare di nuovo senza tutti quei fronzoli!- aveva mormorato con trasporto il giovane mentre già si staccava da lei per riservarle uno dei suoi travolgenti sorrisi.
June sentì il cuore stringerlesi in petto e gli occhi formicolarle dalla commozione. E quel senso di calore aumentò quando anche la bella Teano le si avvicinò e la abbracciò entusiasticamente, invitandola a sedersi tra lei ed Aiolos. Il Sagittario, dal canto suo, le riservò un galante sorriso mentre si alzava e la aiutava a prendere posto.
Si sorprese, tuttavia, di come quel senso di euforia si fosse trasformato di colpo quando si accorse che dietro al separè sul fondo della stanza vi fosse anche Albafica, il quale non si alzò e non la salutò. Improvvisamente sentì un brivido di fastidio e, in qualche modo, percepì la sua spontaneità incrinarsi. E fu la sua stessa voce a tradirla quando, quasi inconsciamente, fu lei a prendere l’iniziativa di rivolgergli un rispettoso saluto.
-Buongiorno anche a voi, nobile Albafica- balbettò in un sussurro.
-June...- fu la secca e circostanziale risposta di lui.
Fortunatamente a dissipare immediatamente la probabile tensione che sarebbe potuta calare pensò la giovane Sacerdotessa di Athena, la quale la riempì di domande accorate sul suo stato di salute e sulle novità della sua vita ad Asgard.
June, allontanando subito dalla sua mente l’atteggiamento del Gold dei Pesci, si profuse in un dettagliato racconto degli ultimi mesi ed in pochi minuti il suo animo si sentì nuovamente rinfrancato. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì completamente serena e protetta.


-Tutto questo non ha senso-.
La sfumatura di preoccupata riflessività nella voce di Siegfried non lasciò dubbio alcuno sul fatto che il comandante supremo di Asgard trovasse ai limiti dell’assurdo il rapporto da poco presentatogli.
Cyd, in piedi di fronte a lui, passò il peso da un piede ad un altro in un inequivocabile atteggiamento di insofferenza.
–Sembra quasi che mettiate in discussione le mie parole, Comandante…- sibilò, lasciando che la sua stizza trapelasse dalla risposta comunque rispettosa.
Gli occhi argentei del God Warrior di Dhube affondarono seri in quelli d’ambra del suo subordinato.
-Avete frainteso, Cyd. Conosco bene il vostro lato goliardico, ma so altrettanto con certezza che esso non inficia mai la vostra serietà relativamente ad una missione. Credo a tutto ciò che mi avete riportato circa l’ultimo mese, eppure perdonate se non riesco a trovare una spiegazione logica a tutto ciò…-.
La Tigre sospirò frustrata. Poteva dargli torto visto che lui stesso aveva fatto fatica a realizzare la portata degli avvenimenti che l’avevano coinvolto?
Quella mattina, riluttante, si era svegliato presto ed aveva abbandonato il letto della prosperosa giovane dama che gli aveva allietato la notte dopo il ritorno, mentre lei e la sua migliore amica che si era impudicamente unita al festino dormivano ancora nude.
Aveva evitato di fare colazione, ancora troppo frastornato dall’eccesso d’idromele ingollato la sera precedente, ma si era limitato a sorseggiare una birra densa e scura per rimettersi in piedi e riacquistare le forze. Poi, dopo un bagno per rendersi presentabile, aveva raggiunto la sala d’armi dove a colloquio privato senza che fosse presente neppure suo fratello Bud avrebbe fatto rapporto a Siegfried. Così era stato.
  
L’ordine di partire gli era giunto circa un mese prima, quando una sentinella dei confini aveva mandato un messaggio al Comandante informandolo che aveva riscontrato del movimento anomalo nella zona ghiacciata a est-nord-est del limitare del regno: si trattava di un gruppo di stranieri, in apparenza degli esploratori. Tuttavia la sentinella, che li aveva tenuti sotto osservazione per qualche tempo, si era insospettita nell’intravedere per puro caso sotto il pesante mantello di uno di loro delle armi pesanti che mal si sposavano con la prima impressione che il gruppo aveva dato di sé.
Siegfried aveva rotto gli indugi non appena ebbe finito di leggere la missiva ed immediatamente aveva inviato a monitorare la situazione il più letale ed esperto cacciatore tra i God Warriors, cioè Cyd.
Così la Tigre, tallonata dall’ombra dal suo schivo gemello, era partita per eseguire gli ordini. Per settimane, dopo aver varcato i confini del Regno del Nord, era stato alle costole degli stranieri, osservandoli. Da principio gli erano sembrati dei semplici viandanti e, anzi, aveva avuto come l’impressione che si fossero smarriti, poiché continuavano a spostarsi in modo disordinato e cercando quasi ossessivamente tutte le caverne e le fenditure rocciose della zona. Ma la prima impressione venne subito sfatata dall’occhio esperto sia suo che di suo fratello: era un piccolo drappello di soli uomini, abbigliati in modo troppo sciatto per non essere voluto, come fosse un tentativo per non attirare l’attenzione di eventuali altri viandanti. Eppure, sorvolando su questo dettaglio, anche una disamina un po’ meno acuta avrebbe avuto come risultato che quelli erano tutti, senza esclusione, degli energumeni. Gli stracci che li coprivano non riuscivano a dissimulare del tutto le corporature massicce e tornite che solo dei guerrieri avrebbero potuto avere. Questi due dettagli, unitamente all’essere riuscito anch’egli a cogliere il possesso di armi tutt’altro che di fortuna da parte di quegli uomini, ed il fatto che il gruppo si avvicinasse sempre più ad Asgard, fece decidere Cyd di braccarli cercando di cogliere il minimo accenno di intenzioni bellicose verso la sua terra.
Il pedinamento era stato estenuante e difficile, soprattutto perché quegli uomini sembravano quasi delle macchine infaticabili e, oltre a ciò, non interagivano quasi mai tra loro, impedendo a Cyd e Bud di capire quale potesse essere la mèta di quell’ormai evidente loro cercare. Era stato solo dopo l’intero mese che, finalmente, si era giunti ad un atto risolutivo: da circa quattro giorni il drappello aveva varcato i confini del Regno e si erano spinti fino alle scogliere dell’estremo nord, entrando ad esplorare un’insenatura che probabilmente neppure l’esperto Fenrir conosceva. I due God Warrior, sebbene estremamente provati e nervosi, li avevano tallonati e la loro abnegazione alla caccia aveva finalmente dato i sui frutti. Di fatti, dopo un’interminabile attesa, i due fratelli avevano visto il drappello uscire dalla grotta e recare con loro un grosso oggetto dalla forma ellittica. Una giara, non potevano esserci dubbi. Ma non fu quello il dettaglio che fece scattare in Cyd la molla che lo spinse non meno di qualche istante dopo a rivelarsi, bensì il fatto che uno degli uomini non indossasse più la cappa, avvolta intorno alla giara, lasciando che sulla sua schiena si intravedesse un grosso scudo recante un’effige. E tale effige, per un guerriero di qualsiasi paese dell’Europa, era inconfondibile: Sparta.
Cyd non aveva perso tempo a porsi troppe domande, spinto com’era stato dall’urgenza data dal fatto che se i guerrieri della città devota per antonomasia al dio ellenico della Guerra, Ares, si fossero spinti così lontano per trovare quell’artefatto la possibilità che un grande pericolo stesse per concretizzarsi si era fatta pressoché tangibile. Di primo impatto aveva tentato un approccio calmo, chiedendo in tono autoritario chi fossero e cosa fosse quell’oggetto che stavano palesemente trafugando in pieno territorio asgardiano. La risposta era stata perentoria: lo avevano attaccato senza proferire verbo.
Era stato un massacro. I guerrieri spartani erano senza dubbio molto forti ed abili in battaglia, ma rimanevano pur sempre dei meri esseri umani e contro di lui e Bud, combattenti divini in nome degli Aesi e dotati di cosmo, non avevano avuto scampo.
Cyd si era fermato soltanto quando l’ultimo spartano era caduto ai suoi piedi con la carotide squarciata e zampillante linfa vitale. Tuttavia, dopo aver tributato quel sangue ad Odino, immediatamente si era accorto del particolare dissonante in tutto quel delirio: la giara trafugata era in terra, in mille pezzi, probabilmente distrutta durante il combattimento.
  
-No, è assurdo… É inconcepibile che un drappello di ellenici si sia spinto fin quassù affrontando non solo il clima rigido di Asgard ma presumibilmente sfidando l’egida del nostro Regno che rinomatamente punisce in modo durissimo gli stranieri che dissacrano i nostri territori, per una giara… vuota- dissertò Siegfried.
-Ve lo ripeto, Comandante: all’interno dell’orcio non c’era nulla. L’unica cosa che forse potrebbe avere una qualche rilevanza è questa pergamena che ho trovato attaccata in prossimità della chiusura- rispose Cyd, traendo da una tasca un pezzo di pergamena liso, scolorito e strappato in più punti. Su di esso, sbiadito dal tempo e dalle intemperie ma comunque appena riconoscibile, v’era un simbolo che sembrava richiamare la lettera Ψ dell’alfabeto greco.
Siegfried analizzò l’oggetto. –Potrebbe essere una sorta di sigillo, ma la simbologia non è tra i miei campi di competenza. Domanderò a mia moglie. Dobbiamo capire perché gli spartani volessero quella giara e cosa essa rappresenti per loro, così da sapere cosa aspettarci ora che un intero drappello dei loro soldati è stato giustiziato. Potrebbero esserci delle ritorsioni e non si può escludere che le conseguenze potrebbero essere dure… Dobbiamo essere vigili-.
Tacquero entrambi per qualche istante, poi il cavaliere di Dhube tornò a fissare il suo subordinato. –C’è qualcos’altro di rilevante che puoi dirmi sullo scontro?-.
Cyd ripensò immediatamente ad un singolo istante che aveva seguito la fine della battaglia: quando si era avvicinato alla giara in frantumi aveva provato la spiacevole sensazione che qualcuno lo stesse osservando molto da vicino. Si era voltato di scatto, ma aveva visto soltanto Bud aggirarsi tra i cadaveri per sincerarsi che fossero effettivamente tali. Poi, di colpo, un dolore lancinante al petto e subito a seguire un senso di dissennata euforia che l’aveva spinto nel vortice di un grido animalesco e di una risata feroce. Però quel vortice di sensazioni come era sopraggiunto lo aveva abbandonato, tanto che non aveva dato alla cosa alcun peso. Come se non bastasse, la furia della battaglia lo aveva più volte spinto ad avere tali reazioni al che anche in quel momento non si sentì di riferire la cosa, non attribuendole importanza alcuna per i fatti circostanziali che erano di loro interesse.
-No, Siegfried. Vi ho detto tutto- chiosò deciso.
-Bene, allora potete andare. Prendetevi qualche giorno di meritato congedo, Cyd, ma tenetevi sempre pronto per ogni evenienza. Siamo di fronte ad avvenimenti arcani e la prudenza, mai come oggi, è essenziale-.
-Agli ordini-.
Con un inchino marziale il cavaliere di Mizar prese congedo dal suo superiore, imboccando la strada per tornare ai piani delle camere private della corte.
“Ah, meritato riposo… Privilegio spettante agli eroi che come tali meritano di essere acclamati e riveriti. E sono sicuro che le due pulzelle che ho lasciato stamane a letto saranno perfettamente d’accordo con me se mi sbrigo a tornare da loro…”
Ma le sue laide elucubrazioni mentali vennero interrotte. Un concitato rumore di passi si avvicinava lungo il corridoio in penombra.
 
 
Si maledisse. Da un po’, di fatti, si era resa conto di aver perso l’orientamento all’interno di Palazzo Polaris e ora non aveva la più pallida idea di dove fosse.
Era rimasta per parecchio tempo negli appartamenti di Teano, ascoltando dai suoi ex compagni le novità del Santuario e narrando loro delle sue vicissitudini. Le aveva fatto bene quel poco di tempo in loro compagnia, il sentirli così vicini le aveva dato un nuovo slancio per continuare a resistere in quella ricerca di sé stessa che le stava iniziando ad apparire sempre più infruttuosa. Inoltre i loro sproni e il loro calore le avevano scaldato l’animo a sufficienza per resistere in quel luogo che tutto appariva fuorché ospitale.
Si era schermita alle battute di Aiolia circa la sua fortuna nel disporre dell’aiuto di un così valido maestro che, oltre ad essere un inappuntabile guerriero, era anche piuttosto affascinante e protettivo nei suoi confronti. A toglierla d’impiccio era accorso Aiolos il quale, bonariamente, aveva sentenziato che anche Teano avrebbe dovuto benedire la sua fortuna ad avere proprio lui nelle vesti di protettore e che quindi le donne del Santuario potevano ritenersi benedette dal Fato. Nonostante le proteste imbarazzate del giovane Leone, corollate dall’argentina risata della bella Sacerdotessa, a June non era tuttavia sfuggito uno sbuffo spazientito proveniente dal separé durante discorsi di quella natura frivola. La cosa l’aveva colpita: perché Albafica stava tenendo quell’atteggiamento così distaccato e risentito nonostante le belle parole che le aveva riservato la sera precedente? Non era forse chiaro quanto lei avesse bisogno di distrarsi dal peso che la sua situazione le faceva gravare addosso?
Aveva cercato di non pensarci per tutto il tempo che era rimasta con loro ma, quando si congedò per tornare alla Grotta del Meriggio e lasciare tutti loro agli impegni diplomatici con la promessa di rivedersi quella sera per salutarsi prima della partenza, dovette fare i conti con lo sguardo abbacinante del Saint dei Pesci il quale, senza che lei se ne avvedesse, si era alzato ed avvicinato per aprirle la porta. Si erano fissati in silenzio per un istante e nei suoi occhi la ragazza aveva letto tutto tranne che distacco e risentimento, anzi…
Cos’è che voleva veramente da lei quell’uomo così misterioso?
Mentre si avviava verso i locali di servizio per prendere l’uscita della servitù ed accorciare il percorso che dal palazzo portava alla Grotta, non aveva fatto altro che domandarsi come mai finisse sempre per trovarsi invischiata in situazioni strane di cui non riusciva a capire l’origine né la finalità, per altro in modo del tutto inconsapevole. Forse era per questo che aveva sbagliato a svoltare in un punto imprecisato dei piani superiori ed aveva finito per perdersi.
Si sentiva una perfetta inetta e, come se non bastasse quella pesante autocritica, si ritrovò a constatare che per l’ennesima volta il Fato le si stava dimostrando avverso non facendole incontrare una sola persona lungo il percorso a cui chiedere indicazioni.
Poi, da lontano, lungo il corridoio semi buio che stava percorrendo, aveva sentito una porta aprirsi e delle voci, così aveva affrettato il passo gioendo di quell’inaspettato colpo di fortuna.
Il pensiero non fece in tempo a materializzarsi nella sua testa che subito dovette sopprimerlo, mentre soffocava un’imprecazione alla vista della persona che con passo deciso le stava venendo incontro.
Un’agitazione incontrollabile la prese quando si rese conto che lo sguardo irriverente, corollato da un sogghigno compiaciuto, del God Warrior di Mizar si era ancorato alla sua figura.
Respirò a fondo, nuovamente grata alla maschera che la stava riparando dal mostrare quanto lui effettivamente la turbasse, ed aumentò l’andatura, decisa a passargli accanto porgendogli soltanto un educato cenno di saluto.
Così fece.
Stava per tirare un sospiro di sollievo, mentre lo affiancava nell’atto di superarlo, quando percepì un rapido movimento e sentì subitaneamente una grande mano posarlesi all’altezza del ventre nell’atto chiarissimo di fermarla. Sentì quasi le gambe cederle quando la voce di lui le sfiorò falsamente melliflua l’orecchio.
-No, no, no: quanta fretta, fiorellino! So perfettamente che tu sai chi sono, ed io so chi tu sei, ma non credi sia il caso di formalizzare questa conoscenza in modo… Come dire… Adeguato?-.
Si impose di non tremare né di timore né di sdegno mentre sollevava lo sguardo inespressivo della maschera sul viso di colui che aveva osato quel che altri non avevano neppure lontanamente auspicato dopo anni di conoscenza, ovvero toccarla.
-Non credo che possa definirsi adeguata ad un guerriero del vostro rango una tale confidenza con una fanciulla innocente ospite della corte… Signore- azzardò in tono duro, sottolineando la rigidità dell’ultima parola come a volerlo sfidare.
Una risatina gutturale uscì dalla gola di Cyd e i suoi occhi presero inequivocabilmente la foggia di quelli di una fiera pronta a balzare sulla sua preda.
-Non credi di essere un po’ troppo superba nell’affermare di sapere cosa possa essere adeguato a me o meno, ragazzina? E poi, perdonami, ma che tu sia innocente è tutto da vedere, fiorellino…-.
Abituato com’era alle frivole e starnazzanti reazioni delle cortigiane e delle popolane alle sue rudi attenzioni, la Tigre del Nord si apprestò a godersi la scena di lei che tentava di schermirsi dando il via al gioco della seduzione in cui lui tanto si vantava di eccellere. Fu per questo che si trovò impreparato quando lei, con un movimento fluido, si voltò nella sua direzione e senza remora alcuna lo colpì in pieno volto con malcelata stizza.
Sgranò gli occhi, Cyd di Mizar, portandosi la mano alla gota resa incandescente dal colpo. “Come osa questa piccola femmina ribellarsi a me?! A ME!”
Digrignò i denti mentre il suo bel viso virile si distorceva in una smorfia d’ira e con la mano destra cercava di afferrarle il polso. Di nuovo si ritrovò spiazzato da lei: la ragazza evitò la sua presa con grazia per poi prodigarsi in due capriole all’indietro che la portarono a ragionevole distanza.
-Piccolo demonio isterico! Come hai osato colpirmi?- sibilò Cyd, muovendo un passo nella sua direzione.
Fu un battito di ciglia: lo schiocco di una frusta echeggiò nella penombra del corridoio e il cavaliere si trovò l’estremità dell’arma arrotolata intorno al polso. Dall’altro capo dell’arma, June lo strattonò interpellandolo con tono irato.
-Non osate fare un passo di più! Non so a quale tipo di donne siate avvezzi qui in Asgard, ma da dove provengo io noi siamo abili nel combattimento quanto gli uomini… Quindi non prendetevi gioco di me chiamandomi “fiorellino”, perché onde non lo sappiate anche la più bella delle rose possiede le spine!-
A quelle parole di colpo l’espressione di Cyd cambiò, tornando sprezzante e ironica.
-Si vede che sei allieva di quella nullità di Hagen, il suo influsso rigido come un iceberg ti fuoriesce da tutti i pori…- la sfidò, opponendo resistenza allo strattonare di lei.
-Non osate nominare il mio maestro, vile damerino da quattro soldi…- ruggì lei, cercando di liberare la frusta per colpirlo di nuovo. Ma non vi riuscì.
Cyd, infatti, aveva stretto la frusta con la mano imprigionata e con quella libera aveva iniziato a trascinarla verso di lui.
-Ora sei tu ad aver fatto male i tuoi conti, ragazzina: non so a quale tipo di uomini siate abituati ad Atene, ma qui da che mondo è mondo una donna non ha mai sottomesso un uomo… In nessun ambito-.
Sebbene lei cercasse di opporre resistenza, puntando i piedi e tirando la frusta con tutta l’energia che aveva in corpo, alla fine dovette cedere alla manifesta superiorità di lui ed in breve tempo si ritrovò stretta nella morsa delle possenti braccia del cavaliere, che la superava in altezza di tutta la testa e le torreggiava sopra come un’ombra dell’Ade. Eppure, nonostante dentro di lei fosse terrorizzata per quello che sarebbe potuto accadere di lì a qualche istante, non si volle arrendere e cercò di liberarsi con tutta sé stessa. I suoi sforzi, tuttavia, valsero solo a ritrovarsi inchiodata contro una parete semibuia con i polsi bloccati dalle mani di lui contro la pietra e l’intero peso dell’uomo schiacciato contro il suo corpo ad impedirle qualsiasi movimento.
-E ora come la mettiamo, fiorellino?!- mormorò lui sardonico, ad un soffio dal volto coperto che lei orgogliosamente si rifiutava di abbassare.
-Non. Chiamatemi. Fiorellino, stupido barbaro infoiato! Il mio nome è June e fui amazzone vergine nel nome di Athena. Ora sono ad Asgard ospite della casata dei Polaris e non credo proprio che alla Regina farà piacere sapere che la sua protetta sia stata molestata nel suo castello proprio da uno dei suoi paladini!-
-Dunque è così che ti chiami: June, eh?! Bhè, queste “piccole e frivole cortesie” sarebbero molestie, secondo te? Fiorellino, lascia che ti illustri l’idea che mi sono appena fatto di te: tu sei una piccola fanatica, frustrata dal fatto che ad Atene vi illudono che voi fanciulle potrete raggiungere l’eccellenza bellica che di norma spetta sempre e comunque agli uomini. Frustrazione che sfoghi contro chiunque ti si avvicini in una maniera che la tua alterigia, amplificata dall’influsso che quel bacchettone di Hagen ha su di te, non reputi consona… Sii indulgente con te stessa, June: riconosci questa verità e accetta le cose come stanno. Vivrai di certo meglio e ti godrai di più i piaceri della vita! Sai, così rischi che la tua condizione verginale resti permanente…- fu la risposta tagliente di lui.
-Come vi permettete! E non osate neppure parlare di ciò che non conoscete, sciocco idiota! La maschera che porto è per tradizione ciò che mi pone allo stesso livello di un qualsiasi guerriero maschio…- sentenziò lei, tentando ancora invano la ribellione.
Cyd rise. –Si, tradizione che per altro è obsoleta ed irrispettosa verso coloro che ti ospitano, visto che non appartiene al bagaglio culturale di Asgard! E sono sicuro che questa cosa la sai bene anche tu, ragazzina. Per questo credo di aver compreso il reale motivo per cui la porti anche se non dovresti, fiorellino: ti vergogni del tuo aspetto, non c’è altra spiegazione. Ordunque, appurato tutto ciò, voglio vedere quanto sono bravo e quanto ho ragione!-.
-NON FATELO, VI PREGO!-.
L’urlo disperato e rotto dalle prime lacrime di umiliazione che uscì dalla gola di June non servì a fermare il God Warrior: con luce ferina che gli scaturiva dalle iridi ambrate, Cyd bloccò entrambi i polsi di lei con la mano sinistra, mentre con la destra arrivava a toccare il freddo metallo della maschera.
-Perché lo fate? Perché?- mormorò con voce tremante la ragazza, ormai sconfitta.
-Perché, piccola furia, da che mondo è mondo ad Asgard non c’è mai stata femmina che si sia arrogata il diritto di tenere testa ad un Guerriero Divino… Ma tu non sei una di noi, quindi il tuo atteggiamento per me non costituisce un motivo di ira, ma una sfida. E Cyd di Mizar non perde mai, ragazzina… Mai. E ora vediamo quest’orrido musetto che cerchi da troppo tempo di celare…-.
Così Cyd si leccò le labbra, ormai esaltato dall’effetto quasi estatico che quella situazione così assurda stava avendo su di lui e che lo spinse a premere ancora di più il suo corpo su quello florido e morbido di lei come a sancirvi su un ormai ineluttabile possesso, ed apprestandosi a godere dello spettacolo che si era convinto gli sarebbe apparso.
Infine, con un unico gesto secco, strappò via la maschera. Ed immediatamente il sorriso trionfante gli morì sulle labbra, come il respiro affannato gli si spense nei polmoni.
-Soddisfatto, adesso che avete avuto la vostra conferma?- furono le uniche parole che lei proferì in un mormorio rotto.
Lui non rispose. Non si mosse. Non fece assolutamente nulla.
Tutto ciò perché per la prima volta nella sua vita si era perso. E l’aveva fatto in due profondissimi zaffiri scintillanti incastonati in un volto di porcellana cesellata resa rosea dall’emozione, la cui luce lo aveva investito in pieno senza che se lo aspettasse.
June distolse lo sguardo reclinando di lato il volto, non sopportando l’espressione smarrita del suo aguzzino che aveva interpretato come repulsione. Nel fare ciò i biondi capelli le scivolarono davanti alla faccia come una tenda d’oro colato.
Solo allora Cyd riuscì a muoversi di nuovo e, dopo averle scostato la ciocca ribelle, le prese il mento tra le dita e le riportò gli occhi nei suoi.
“Ma chi diavolo è costei? Il temperamento è sicuramente quello di un’Amazzone, ma le sue fattezze sono tutt’altro che mascoline come credevo… È bella da mozzare il fiato e la cosa straordinaria è che lei sembra ignorarlo del tutto! Dei del Valhalla, vi state prendendo gioco di me...”
Non era lucido né in sé, tanto che invece di prorompere in qualche dileggiante asserzione di trionfo, i suoi occhi vennero calamitati dalle labbra della fanciulla come un’ape da un bocciolo. Una tentazione troppo forte perché proprio lui non vi indulgesse, così, lentamente, abbassò la bocca su quella di lei che lo fissava sconvolta con le sue due pozze cobalto spalancate.
-Cos’erano quelle urla? CHE DIAVOLO SUCCEDE QUI?!-.
L’esclamazione proveniente dalle sue spalle lo interruppe un istante prima che potesse saggiare la morbidezza di quei petali che lo invitavano tentatori. Alzò gli occhi al cielo e colse la testa di scatto: alle sue spalle, ritto come un faro nella tempesta e con occhi di brace, Hagen lo soppesava con sospetto.
Probabilmente diretto a colloqui con Siegfried, doveva aver sentito le urla della ragazza e in uno dei suoi slanci di cavalleria era corso a controllare. In quell’istante Cyd riprese completamente possesso delle sue facoltà mentali e fisiche, ritornando a ghignare come suo solito.
“Non posso credere che il Wyrd mi favorisca così tanto! Oh,  fu mai occasione più propizia di questa?!”
-Succede, ronzino, che una volta di più ti sei impicciato di qualcosa che non ti compete, interrompendo il mio diletto!- rispose derisorio.
Poi riservò al suo parigrado uno sguardo di puro scherno e con una mossa veloce si voltò verso di lui, facendo si che June lo seguisse, stringendola per la vita e tenendola con la schiena contro il suo petto.
Hagen rimase dapprima perplesso poi, quando ebbe inquadrato la situazione e si fu reso conto di chi fosse la bellissima fanciulla in lacrime che lo fissava implorante e sconvolta tra le braccia del suo rivale, spalancò gli occhi e barcollò appena.
Cyd ne approfittò ed infierì.
–O forse ti sei impicciato proprio perché ti compete… Cos’è, equino, ti brucia che io sono riuscito in dodici ore dove tu hai fallito per un mese intero?! Devi accettarlo, povero caro: non tutti nascono vincenti, te l’ho detto sempre! A proposito: è graziosa la fanciulla, non credi?!- e con quelle parole fece scorrere la mano verso l’alto lungo il torace della ragazza, le toccò la guancia girandole il viso e, riservando un’ultima occhiata obliqua ad Hagen, la baciò.
-MALEDETTO BASTARDO FIGLIO DI UN CANE RABBIOSO!-.
Il grido furioso del God Warrior di Merak risuonò probabilmente per tutto Palazzo Polaris, mentre il ragazzo si scagliava in una carica furiosa contro il suo odiato compagno d’armi.
Cyd non si scompose. Spingendo June da un lato e mandandola carponi in terra senza degnarla più di uno sguardo, parò il colpo che Hagen ciecamente gli aveva scagliato in pieno viso.
-Brucia, eh ronzino?! Allora vediamo di estinguere una volta per sempre questo fuoco!- sibilò quando furono faccia a faccia.
-Stavolta ti ammazzo, Cyd di Mizar, e finalmente libererò Asgard dalla tua lurida presenza!- ruggì di rimando Hagen, travolto da un’ira inarrestabile.
Il duello tra i due esplose ferocemente. Entrambi si muovevano ad una velocità incredibile e i colpi che si riservavano erano senza risparmio, senza esitazione, scagliati con un unico intento: colpire a morte l’avversario.
E inizialmente sembrava che l’esito non dovesse essere positivo per nessuno dei due, tanto le loro capacità di equivalevano: le tecniche infuocate di Hagen venivano sistematicamente spente dai Ghiacci Eterni manipolati da Cyd, i quali a loro volta in fase d’attacco evaporavano a contatto con il Fuoco del Meriggio. Poi, di colpo, il cavaliere di Merak riuscì a riprendere il controllo di sé e decise di cambiare tattica.
“Ghiaccio contro ghiaccio. Vediamo chi di noi due è il più forte, bastardo di un felino…”
E lo scontro divampò di nuovo, stavolta tra due guerrieri le cui tecniche erano pressoché identiche, come in sostanza lo era la loro forza.
Eppure, alla lunga, qualcosa sembrò fare la differenza. I colpi di Hagen divennero più forti, più precisi, e finivano sistematicamente per eludere la difesa del suo avversario, facendolo arretrare.
“Maledizione, ma cosa mi succede?! Dev’essere colpa dei bagordi di ieri notte e la stanchezza accumulata nella missione…”
Cyd non fece in tempo a focalizzare quel pensiero che Hagen prese il sopravvento, facendolo crollare in terra e montandogli sopra, percuotendolo violentemente all’addome.
-È finita, “Tigre”…- lo sbeffeggiò, sottolineando ironicamente l’ultima parola e continuando a colpirlo.
In quel momento, però, accadde qualcosa.
Nell’instante esatto in cui Cyd realizzò che sarebbe stato sconfitto sentì dentro di lui qualcosa rompersi, come se in un angolo remoto del suo spirito uno squarcio si fosse aperto. E qualcosa da lì dilagò, denso, vischioso, oscuro. Doloroso.
Un grido inumano eruttò dalle sue labbra, il quale nulla aveva a che fare con il dolore innescato dai colpi del rivale. Una patina rossa gli calò sugli occhi, come se tutta la furia, la violenza e la ferocia del mondo si fossero concentrate in un unico, minuscolo punto nella sua testa, esplodendo di colpo. La sua razionalità si spense e l’ultima cosa che visualizzò fu il fatto che le forza gli stavano tornando.
Quello che accadde dopo, nel gioco di ombre di quel corridoio sperduto, fu qualcosa generato dal caos e dall’odio. Fiotti di sangue imbrattarono la pietra millenaria delle pareti, i colpi inferti rimbombavano come percosse su tamburi inesistenti e grida di dolore sfumavano in un’aria che sembrava essersi improvvisamente rarefatta.
Poi, rotolando in terra, i due contendenti avvinghiati ricomparvero in un cono di luce. Stavolta era Hagen a sottostare a Cyd, il quale si piantò sopra di lui. Il suo volto era completamente deformato in una maschera di ira, furore e qualcosa d’altro. Il Merak non riusciva a capire bene, confuso dai terribili colpi ricevuti e con la vista annebbiata dal sangue che gli colava dalle innumerevoli ferite infertegli, ma quando il suo avversario calò il volto sopra il suo ne percepì la voce come estranea, diversa, corrotta.
-Cosa sarebbe finito, eh?! Spregevole ammasso di carne putrida e fatiscente, qui l’unica cosa ad essere finita è la tua inutile esistenza! Muori, miserabile- sibilò con tono atono ed innaturale Cyd, alzando i suoi micidiali artigli e pronto a sferrare il colpo mortale.
Hagen chiuse gli occhi raccomandando l’anima alla dea Freya quando vide che la mano del rivale stava già calando su di lui. Eppure il colpo non giunse, sostituito da un rapidissimo e gelido spostamento d’aria seguito da una sensazione di leggerezza sul proprio corpo. Spalancò gli occhi e si accorse che Cyd non era più sopra di lui. Un guizzo bianco attirò la sua attenzione, poi due figure identiche, strette in una reciproca morsa, si materializzarono del suo campo visivo.
“Bud…” pensò.
Il gemello di Cyd, di bianco corazzato, era intervenuto un istante prima che suo fratello uccidesse l’altro God Warrior, ed ora lo teneva stretto in una presa micidiale contro il muro. Eppure il cavaliere di Mizar non sembrava voler desistere, dimenandosi come un demone inferocito e sputando frasi velenose e minacciose.
-Che diavolo stai facendo, fratello?! Sei forse impazzito?! Calmati e torna in te… CALMATI, CYD!- gridò alla fine Bud di Alcor, assestando al gemello una potente manata alla gola.
Cyd sembrò rimanere senza fiato ed i suoi occhi, che si erano trasformati in due fessure iniettate di sangue, si spalancarono tornando di colpo limpidi. Fu allora che il fratello mollò la presa su di lui, che crollò in terra come una marionetta.
Bud rimase a fissarlo, serio, senza scomporsi. Poi si volse verso Hagen e, avvicinandoglisi, gli allungò impassibile una mano per aiutarlo ad alzarsi. Il cavaliere di Merak sputò in terrà, puntellandosi sui gomiti con le poche forze che gli rimanevano.
–Non ho bisogno di aiuto da te…- sibilò senza guardarlo.
Bud non sembrò essere colpito da quelle parole.
–Forse avrei dovuto lasciare che mio fratello finisse quello che aveva iniziato, dopotutto… Magari avreste finito con lo scannarvi a vicenda come porci, liberandoci una volta per tutte dalla vostra stupidità. Dannato il mio senso del dovere che mi impone di proteggere Cyd e l’onore dei Mizar- replicò senza particolari inflessioni vocali, ma dando le spalle ad Hagen in un gesto di puro disprezzo.
Il God Warrior di Merak abbassò lo sguardo in terra, vergognandosi per un istante del suo comportamento: in fondo Bud non era Cyd sebben fossero fisicamente due gocce d'acqua e, innegabilmente, se non fosse intervenuto poco prima probabilmente lui sarebbe morto. -Hai ragione. E, anzi, ti ringrazio… È che non capisco cosa sia successo…-.
-Non so cosa risponderti. Ho assistito dalla scena sin dall’inizio, da ben prima che tu arrivassi, e fino ad un certo punto non c’è stato niente di strano… Ma poi…- non terminò la frase, Bud, mentre guardava Cyd che andava riprendendosi scuotendo la testa confuso.
In quel momento una voce altisonante squillò dall’ombra. -Che cosa è successo qui, per tutti gli Dei Oscuri del Niffleheim?-.
Siegfried comparve dall’ombra, probabilmente richiamato dal clamore della lotta. I suoi occhi grigi osservarono severi e glaciali la scena che gli si parava davanti.
-Comandante, noi…- azzardò Hagen, confuso.
Il God Warrior di Dubhe alzò la mano e lo zittì. –Non dire nulla. Ora andremo da un cerusico per farci controllare, poi indirò una riunione dell’Alto Consiglio: quello che è successo qui è grave e dovrete rendermene conto. Bud, conduci tuo fratello dal medico di Corte, mentre io aiuterò Hagen a fare altrettanto. Subito-.
I quattro guerrieri si mossero,due a sorreggere e altrettanti sorretti dai primi. Dopo qualche istante, nel silenzio, il corridoio tornò silenzioso. Neppure della giovane fanciulla greca v’era più ombra.
 
 
 



 
L’Angolo di June
Sarò breve, perché dopo quasi un anno che non pubblico un capitolo ogni scusa sarebbe proprio inutile. Che dire se non “PERDONOOOOOOOOOOOOOO!!”
Miei adorati puffoli lettori, sono troppo pigra. Troppo. In maniera davvero esasperante (anche per me). Ma dato che ogni tanto la voglia di scrivere mi si riaffaccia alle mani e al cervello, approfitto… Voi non scoraggiatevi: prima o poi ne verrò a capo!
Vi amo incondizionatamente!

June di Dolphin




 

   
 
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