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Autore: Beauty    31/07/2013    9 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Straw

 
Era stata una giornata magra. A poco a poco che la stagione del raccolto andava allontanandosi era sempre più difficile spigolare nei campi. La zia diceva sempre che presto non avrebbero avuto non solo la farina da vendere, ma neppure quella per il pane.
- Dovremo fare a metà…- mormorò sua madre, scuotendo mestamente il capo mentre contava le spighe di grano che avevano fra le mani.
- No, a me ne bastano molto meno - dichiarò zia Mallory, categorica.- A casa mia siamo solo io e mio marito, voi invece ne avete di bocche da sfamare...per non parlare del mulino…
- Tu quante spighe sei riuscita a raccogliere, Ginevra?- chiese sua madre, sporgendosi un poco verso di lei. Ginevra abbassò lo sguardo sulle proprie mani, mostrandole cinque spighe di grano.
Sua madre sospirò, mentre tutt’e tre varcavano il grande portone d’ingresso delle mura che circondavano la città. Subito Ginevra venne colpita dal puzzo del fango e delle bestie, mentre nelle orecchie iniziò a farsi strada il brusio della gente e le urla dei venditori.
Quel giorno l’intera città era in fermento; era stato previsto il ritorno dal fronte di re Uther Pendragon e di suo figlio. Ginevra accelerò il passo, tenendosi ben vicina alla madre a zia Mallory per non perdersi in mezzo alla folla.
- Speriamo che con il ritorno del re le cose cambino!- esclamò sua madre, tristemente.- Se andiamo avanti di questo passo, presto non avremo più nemmeno di che sfamarci…
- Sì, come no! Svegliati, bambina, e guarda in faccia la realtà!- la rimbrottò la zia. - Al re non importa niente di noi; senza contare che Camelot è sommerso dai debiti sin da quando noi eravamo piccole. Al massimo ci getterà qualche soldo come elemosina, ma col marito che ti ritrovi in casa stai pur certa che quelle due monete d’oro dureranno giusto il tempo di un boccale d’idromele!
- Mallory!- esclamò sua madre, a metà fra lo scandalizzato e il vergognoso.- Ma che dici?! Il mio Harold lavora sodo, è solo che…beh, sai, tutti gli uomini hanno i loro piccoli vizi…
- Certo…Il vizietto di mio marito, ad esempio, è andare a prostitute tutta la notte e poi tornare a casa e pretendere che io sia pronta per lui!- ironizzò la zia. - Dimmi un po’, Josephine: quand’è stata l’ultima volta che Harold è riuscito a vendere un sacco di farina? E l’ultima volta che è tornato a casa con le proprie gambe?
- Adesso stai esagerando, Mallory!
- Ah, davvero? Di’ un po’, Ginevra, sto forse parlando a vanvera?
Ginevra evitò prudentemente di rispondere, chinando il capo e tacendo per non mettersi tra due fuochi, ma in fondo al cuore sapeva che sua madre non voleva guardare in faccia la verità…e che zia Mallory aveva dannatamente ragione.
Essere la figlia di un mugnaio non ti dava certo l’accesso all’élite di Camelot, non ti assicurava bei vestiti e pretendenti danarosi, ma a Ginevra sarebbe semplicemente bastato riuscire a consumare tre pasti al giorno e potersene andare in giro per le strade senza udire alle proprie spalle le risatine di scherno delle altre persone.
C’erano altri mugnai, a Camelot, e le loro famiglie non pativano la fame come quella del mugnaio Harold. Ginevra sapeva che suo padre era fuori dalla concorrenza già da un pezzo, e chi comprava loro il pane e la farina era solo qualche amico di sua madre, oppure qualche cliente pietoso che magari aveva visto lei e i suoi fratelli vagare per le strade con gli abiti stracciati e i capelli arruffati.
Nei suoi diciassette anni di vita, Ginevra aveva imparato che due monete d’oro equivalevano per loro a uno dei banchetti organizzati da Uther Pendragon, e che andavano tenute da conto, magari nascoste sotto il materasso imbottito di paglia o nel vasetto del sale sull’ultimo ripiano della credenza. Aveva imparato a rammendare un vestito all’infinito, sfruttandolo fino a che questo non cadeva a pezzi, e solo in quel momento poteva essere gettato via. Spesso si trovava a raccontare ai suoi due fratellini di nove e dieci anni che la casacca cenciosa che indossavano era uguale a quella che il principe Artù aveva addosso alla loro età, oppure a complimentarsi con sua sorella Betty per un meraviglioso abito che altro non era se non un vestito smesso di quando Ginevra aveva cinque anni.
La carne in tavola era un lusso che si potevano permettere solo e soltanto a Natale, se sua madre riusciva a elemosinare qualche scarto dal macellaio, mentre la legna per il fuoco doveva essere centellinata.
E soprattutto, doveva sempre stare attenta che suo padre non s’impossessasse se non di una o due monete, non di più. Zia Mallory aveva ragione a dire che Camelot era sommerso dai debiti da anni, e che il re di certo non si curava che i suoi sudditi morissero di fame…ma aveva anche ragione a dire che la loro miseria sarebbe potuta essere almeno una povertà dignitosa, se solo suo padre si fosse dato da fare per mantenere la famiglia.
Il mugnaio Harold trascorreva di norma più tempo alla taverna che a cuocere il pane. Suo padre nutriva una smisurata passione per il grog e l’idromele, il tutto unito a battute oscene, risate sguaiate e commenti sconci insieme ai suoi compagni di baldoria.
Suo padre non diventava cattivo, quando beveva; c’erano diversi uomini a Camelot che amavano bere e ubriacarsi, ma quando ciò succedeva spesso diventavano violenti e iracondi, si facevano trascinare in risse oppure tornavano a casa e picchiavano la moglie e i figli.
Il mugnaio invece no; Ginevra non ricordava che avesse mai alzato le mani su sua madre, sui suoi fratelli o su di lei. Piuttosto, suo padre tendeva a tornare a casa a notte fonda ridacchiando senza freno, barcollando e chiamando Josephine con voce impastata, fino a che lei e la madre non riuscivano a metterlo a letto. Ma più spesso non tornava neppure a casa, e allora la moglie la pregava di andare a cercarlo. E Ginevra lo ritrovava sempre addormentato sul bancone di qualche bettola, oppure in piedi su di un tavolo mentre si ricopriva di ridicolo di fronte a tutti, e le toccava trascinarlo a casa.
Certo, molto meglio questo che prendersi schiaffi e calci come altre ragazze, ma era comunque sempre dura vedere suo padre ridotto alla stregua del giullare di Camelot; tanto più che, quando era ubriaco, spesso tendeva a lasciarsi sfuggire qualche sciocchezza o frottola colossale.
Uno squillo di trombe richiamò l’attenzione dei presenti.
Mallory, Josephine e Ginevra si voltarono all’unisono con le altre persone, mentre si stavano formando due file parallele ai bordi della strada. In lontananza, si udiva il rumore di zoccoli al galoppo.
- E’ il re!- esclamò Josephine, arretrando di un passo e tirandosi vicino Ginevra.
- E’ tornato a succhiarci il sangue, maledetto…!- ringhiò zia Mallory.- Che siano dannati, lui e suo figlio!
- Il principe Artù non è malvagio!- intervenne Ginevra.
La zia fece uno sbuffo divertito.
- E tu che ne sai? Sei per caso stata a corte, di recente?
Ginevra non rispose, e tornò a concentrarsi sul rumore dei cavalli che si avvicinavano; lentamente, il galoppo si estinse, e quando il corteo fece il suo ingresso a Camelot i destrieri camminavano al passo, con andatura lenta e solenne. Il suono delle trombe cessò, lasciando spazio al silenzio più totale mentre i soldati e i valletti si facevano strada fra la folla, precedendo la famiglia reale.
Ginevra si sollevò sulle punte per vedere meglio.
Re Uther Pendragon cavalcava un purosangue nero alla testa del corteo, tenendo il capo dritto e lo sguardo di fronte a sé con quell’atteggiamento fiero e anche un poco altezzoso che Ginevra gli aveva sempre scorto. Alle sue spalle, a pochi metri di distanza, il principe Artù lo seguiva a cavallo di un destriero bianco, un poco più incerto del padre.
Ginevra lo guardò, e come al solito avvertì un tuffo al cuore.
Si sentiva infinitamente stupida. Era come nelle antiche leggende, o nelle ballate popolari: la povera fanciulla che s’innamora del bel principe. Il figlio del re era un giovane molto piacente, con capelli neri e mossi, occhi scuri e penetranti, alto e slanciato, con un volto amabile e gentile.
Non erano poche le ragazze e le donne che ne ammiravano la bellezza e il coraggio dimostrato in guerra e la destrezza nei tornei. Ma per Ginevra era diverso.
Lei era innamorata del principe Artù.
Era tutto molto stupido, insensato oltre ogni dire: il figlio di Uther non le aveva mai neppure rivolto la parola – e perché mai avrebbe dovuto perdere il suo tempo a parlare con una contadina? –, eppure erano anni che lei lo amava di lontano. All’inizio, l’aveva scambiata per semplice ammirazione, e vissuto con allarme e paura il momento in cui si era resa conto dei propri sentimenti.
Aveva cercato di attribuire alla cosa l’importanza dovuta a una passeggera infatuazione, ma a distanza di anni ancora il suo amore non si era estinto.
Ginevra non ne aveva parlato con nessuno; e come avrebbe potuto? Chiunque l’avrebbe presa in giro e canzonata. Lei stessa si sentiva patetica e ridicola, eppure non poteva farci niente. Le pareva impossibile essersi innamorata di un uomo – e non un uomo comune, il principe Artù! – solo guardandolo di lontano, ma era così.
Sapeva che era un amore impossibile e che lui non avrebbe mai e poi mai donato a lei le sue attenzioni. Ma era abituata a convivere con questa certezza. L’unica cosa che sperava era che nessuno oltre a lei se ne accorgesse.
Il corteo proseguiva con solenne lentezza; sembrava che il tempo si fosse fermato, e che tutto il mondo si muovesse al passo del re e dei suoi soldati.
Tuttavia, ben presto fu chiaro a chiunque che non procedeva tutto secondo la perfezione. Uno dei cavalli, in sella al quale montava un uomo in armatura – un soldato o un ufficiale, presumibilmente – aveva iniziato a dare segni di agitazione sin da quando aveva varcato il portone d’ingresso a Camelot. Probabilmente tutta quella folla l’innervosiva, fatto stava che procedeva a passi veloci e nervosi, e sempre spronato dal suo cavaliere ad andare avanti. L’animale muoveva il muso a destra e a sinistra, con gli occhi sbarrati e impauriti.
Un nitrito attirò l’attenzione di tutti, compreso il re, che non mancò di scoccare un’occhiata furente. Il principe si voltò, incuriosito da tutto quel trambusto. Il soldato tirò le briglie del cavallo nel tentativo di riportarlo all’ordine, ma questo parve solo peggiorare la situazione.
Il cavallo lanciò un altro nitrito acuto, prima di scuotere violentemente il muso e impennarsi sulle zampe posteriori, agitando in aria gli zoccoli anteriori. Il cavaliere venne disarcionato, cadendo a terra con un tonfo.
Tutti i componenti del corteo e la gente che assisteva al passaggio arretrarono con dei mormorii e grida di spavento, mentre l’animale imbizzarrito continuava ad agitarsi pericolosamente.
- Indietro!- urlarono delle guardie. Il re fece indietreggiare il suo cavallo, mentre Artù scostò il proprio. Alcune guardie tentarono di avvicinarsi per calmare l’animale, ma senza riuscirci.
Il cavallo scalciava sempre più incontrollato a ogni minuto che passava.
Ginevra venne spintonata dalla folla che arretrava. Alcune madri tentavano di proteggere i bambini piccoli tirandoli verso di sé. Mallory emise un gemito quando venne colpita da una gomitata.
- Dannazione, fermatelo!- ringhiò re Uther.
Due guardie afferrarono le briglie del cavallo per farlo stare fermo, ma subito questo si divincolò, riprendendo a dimenarsi. Il principe Artù smontò velocemente dalla sua cavalcatura, avvicinandosi velocemente per aiutare i soldati.
La folla si stava facendo sempre più spaventata e irrequieta; Ginevra veniva spintonata qua e là quasi senza capire dove si trovasse. A un certo punto, Josephine emise un gridolino, venendo spintonata in avanti; la donna cadde a terra, a pochi centimetri dal cavallo imbizzarrito.
Ginevra si fece velocemente strada tra la folla, raggiungendo sua madre. Josephine arretrò impaurita strisciando nella polvere quando il cavallo s’impennò nuovamente.
Ginevra non ci rifletté troppo; spiccò un piccolo balzo in avanti e afferrò le briglie dell’animale. Questo dimenò il muso cercando di liberarsi.
- Buono! Sta’ buono!- ansimò Ginevra, cercando di calmarlo, ma quell’animale era di gran lunga più forte di me. La ragazza sentì le briglie di cuoio graffiarle la pelle mentre le scivolavano via dai palmi.
Josephine sgattaiolò via, rifugiandosi di nuovo fra le persone impaurite.
Il cavallo s’impennò di nuovo; Ginevra era certa che sarebbe riuscito a divincolarsi di nuovo, ma una seconda e più salda presa si aggiunse alla sua intorno alle briglie. La ragazza voltò il capo, incrociando il volto del principe.
- Sta’ fermo!- ringhiò Artù, cercando di trattenere il cavallo.
A quel punto, altri tre soldati corsero in loro aiuto, riuscendo alla fine a calmarlo.
Ginevra lasciò cautamente le briglie, pronta a raggiungere di nuovo la madre e la zia il più in fretta possibile, ma incespicò inavvertitamente nell’orlo del proprio abito sdrucito. La ragazza finì a terra con un tonfo, suscitando qua e là qualche risata di scherno.
- State bene?
Ginevra fece uno sbuffo innervosito, prima di alzare lo sguardo su chi aveva appena parlato. Immediatamente, la sua espressione, da seccata, si fece imbambolata.
Il principe Artù si chinò verso di lei, tendendole una mano e aiutandola a rimettersi in piedi.
- Ecco qui. Tutto a posto?
Ginevra boccheggiò; si sentiva come se la voce le si fosse spenta nella gola. Alla fine, non trovò niente di meglio che chinare il capo e annuire con forza, cercando di sistemarsi almeno un po’ il vestito.
- Vi ringrazio. Siete stata di grande aiuto - sorrise il principe.
Ginevra avvampò.
- Artù!- tuonò il re. - Andiamo, abbiamo perso fin troppo tempo!
- Arrivo subito, padre!- rispose Artù; s’inchinò, baciando il dorso della mano di Ginevra, prima di allontanarsi.
Non appena il corteo ebbe ripreso la via del castello e fu scomparso oltre la cinta di pietra, la ragazza iniziò ad avvertire su di sé le prime risatine canzonatorie, ma non vi badò, rimanendo a fissare la strada quasi in stato di ipnosi. Fu la scrollata a una spalla da parte di zia Mallory a riportarla alla realtà.
- Ehi, che fai lì impalata?- gracchiò la zia. - Sei stata brava oggi, cara la mia San Giorgio, ma cerca di non farti troppe illusioni…
Ginevra si riscosse.
- Che cosa?- boccheggiò.- Illusioni? Zia, ma di che stai…
- Non fare la finta tonta. Guarda che l’ho capito, sai?- ammiccò la zia. - Puoi ingannare Harold, che sta sempre attaccato alla bottiglia, e tua madre che ha sempre la testa fra le nuvole, ma non me. Ginevra, da’ retta alla zia: lascia perdere. I Pendragon sono tutti uguali, si curano di noi povera gente solo per succhiarci via il sangue. Il principe Artù è fuori dalla tua portata. Credimi, lo dico per il tuo bene. Hai diciassette anni, e sei anche graziosa; non buttare via tutto seguendo un amore impossibile.
Ginevra non rispose, chinando il capo. Zia Mallory le rivolse un sorriso complice, circondandole le spalle con un braccio e tirandola verso di sé, raggiungendo Josephine e riprendendo la via di casa.
 

***

 
Uther Pendragon scaraventò rabbiosamente uno degli innumerevoli quaderni di conti dall’altra parte della sala, alzandosi in piedi e ribaltando con furia la grande e pensante scrivania in legno di ciliegio. Centinaia di foglia fluttuarono nell’aria; molti consiglieri e ministri si ritrassero spaventati, ma il principe non si scompose. Era abituato agli scatti d’ira di suo padre.
- Come sarebbe a dire che dovremo dichiarare bancarotta?!- ululò il re.
Di fronte a lui, il Ministro del Tesoro arretrò un poco, ma mantenne un atteggiamento risoluto.
- Mi dispiace, Vostra Maestà. I conti non tornano, e le casse di Camelot sono praticamente vuote.
- Allora aumentiamo le tasse!- dichiarò il re. - Quei volgari paesani avranno sicuramente…
- Il popolo non può sopportare oltre ulteriori tassazioni. La gente non ce la fa più - rispose l’uomo. - Aumentare ancora le tasse comporterebbe il serio rischio di una rivolta…
Il re ringhiò sommessamente, sbattendo un pugno contro una parete.
- Ci dev’essere un sistema!- sibilò.- Un’altra guerra, allora…
- L’esercito non è in grado di affrontare altre battaglie - dichiarò un consigliere.- Gli uomini sono stremati, e non abbiamo i mezzi per sostenere altre spedizioni.
- Vostra Maestà!- inaspettatamente, un soldato si fece avanti.- Vostra Maestà, forse conosco io la soluzione…
Tutti si voltarono a guardarlo, stupefatti e anche un poco scettici. Re Uther aggrottò le sopracciglia, avanzando verso di lui.
- Ebbene, parlate, allora!- lo incitò.
Il soldato si schiarì la voce.
- Stamane ho udito al villaggio alcune voci…- esordì.- Pare che un mugnaio abbia dichiarato di avere una figlia in grado di filare la paglia in oro.
- Davvero? Si tratta forse di una strega?
- Non saprei dirlo, Vostra Maestà. Ma credo che si tratti piuttosto di un dono.
- E come fate a sapere che non si tratta di una menzogna?
Il soldato si strinse nelle spalle.
- Conosco il nome di quell’uomo e il luogo dove abita. Un tentativo non nuocerà a nessuno. Se scoprirete che si tratta di una fandonia, potrete prendere i provvedimenti che ritenete più giusti.
Uther si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, riflettendo sulla proposta.
- Bene, dunque - dichiarò dopo pochi istanti.- Vi affido questa missione, capitano. Portatemi quella ragazza.
 

***

 
Ginevra accelerò il passo, stringendosi in un vecchio scialle di lana grezza per proteggersi dal vento notturno. Superò velocemente alcune botteghe chiuse e pochi rari passanti, fino a giungere in prossimità di una vecchia baracca di legno, fango secco e paglia, con una sola porta e poche finestre. Un’insegna risplendeva alla luce di una lanterna.
La Testa di Porco, lesse mentalmente Ginevra.
Salì in fretta i pochi gradini che la separavano dalla porta d’ingresso, spalancandola ed entrando nella stanza semibuia. Subito venne investita da un forte tanfo di alcool misto a odore di chiuso e di olio per le lanterne. Udì lo scalpiccio di alcuni ratti sul pavimento di legno.
Anche quella sera suo padre non era tornato a casa. Josephine aveva atteso insieme a lei e ai suoi fratelli fino a quasi mezzanotte, inutilmente, e allora le aveva chiesto di andarlo a cercare. Non era la prima volta che Ginevra si ritrovava a vagare di notte per le strade di Camelot, da sola, alla ricerca di suo padre e, negli anni, aveva imparato a memoria i luoghi in cui era più possibile trovarlo.
E La Testa di Porco era una delle sue taverne preferite.
Infatti, Ginevra non ebbe difficoltà a riconoscere, fra i pochi e ubriachi clienti, in quel sacco di stracci abbandonato sul bancone il mugnaio Harold.
Suo padre giaceva addormentato sul ripiano del bancone di legno di fronte a una decina di boccali vuoti. Ginevra si avvicinò a lui, scuotendolo malamente per una spalla.
- Padre!- chiamò.- Padre, svegliatevi!
Harold scosse il capo, grugnendo e mugolando qualcosa nel sonno, prima di aprire lentamente gli occhi e sbattere le palpebre per mettere a fuoco la figura della figlia.
- Che cosa…?- fece, con voce impastata.- Chi…? Ginevra…?
- Ehi, Harold! E’ tua figlia, quella?- sbraitò una voce maschile altrettanto impastata, ma Ginevra non si curò neppure di sapere a chi appartenesse, e afferrò suo padre per le spalle, tirandolo in piedi. Il mugnaio si rialzò, barcollando.
- Sì, è mia figlia! La mia Ginevra!- biascicò, dandole delle lievi pacche su una spalla.- Sei venuta a raccattare il tuo vecchio, tesoro mio?
Ginevra non rispose; fece circondare le proprie spalle da un braccio di suo padre, sostenendolo mentre si avviavano verso l’uscita.
- Ehi, ragazza!- l’apostrofò l’oste. - Guarda che quell’ubriacone mi deve ancora tre monete d’argento
- Ora non ho denaro…- soffiò la ragazza.- Ma vi prometto che vi pagheremo quanto prima.
L’uomo sbatté rabbiosamente una mano sul bancone.
- Bada bene che è l’ultima volta che vi faccio credito, morti di fame!
- Ma di che ti preoccupi?- biascicò la voce di prima.- Cosa credi, che abbiano problemi? Quel bocconcino sa filare la paglia in oro, non lo sapevi?
- Andiamo!- ringhiò Ginevra, trascinandosi dietro suo padre.
Lei e Harold si lasciarono alle spalle La Testa di Porco, arrancando e incespicando in direzione della loro catapecchia; quando vi giunsero, Ginevra spalancò la porta con un calcio, entrando insieme al mugnaio.
- Buon Dio, guarda come si è ridotto questa volta!- esclamò Josephine, correndo incontro al marito.
- Betty e i bambini sono già a letto?- s’informò Ginevra, richiudendo la porta.- Non voglio che lo vedano in questo stato…
- Sì, sono a letto. Dov’era stavolta?
- Alla Testa di Porco, ubriaco fradicio. Ora credo che sia meglio portarlo a let…
Un rumore interruppe la sua frase a metà. Josephine e Ginevra si voltarono all’unisono: qualcuno stava bussando con forza contro la porta. La ragazza si morse il labbro inferiore, un po’ esitante, quindi si decise a togliere il chiavistello e ad aprire.
- Ah, e così sei tu! La ragazza del cavallo…beh, a saperlo, di avremmo già fatto visita stamattina…
Ginevra sgranò gli occhi; di fronte a lei c’erano tre soldati della guardia reale, armati di tutto punto e dall’espressione decisa e sicura di loro stessi. Uno di loro entrò in casa senza farsi scrupolo.
- Che cosa volete?- boccheggiò Josephine.- C’è qualche problema?
Il soldato non si degnò di risponderle, e squadrò Ginevra da capo a piedi.
- Tu ora vieni con noi…- dichiarò, afferrando la ragazza per un braccio.
Ginevra emise un gemito di dolore quando il soldato l’afferrò per un braccio. Josephine si lanciò verso di loro, tentando di fermarli.
- No!- implorò.- Vi prego…mia figlia non ha fatto niente…!
- Spostati, donna!- abbaiò il secondo soldato, allontanandola con uno spintone.- Ordini del re.
 

***

 
Ginevra venne spinta così forte che, quando la porta della torre si spalancò, cadde riversa sui mattoni di freddo marmo. La ragazza singhiozzò, cercando di rialzarsi e guardando negli occhi le guardie.
- Ma perché?!- strillò, in preda alla disperazione.- Perché mi state facendo questo? Che cosa ho fatto di male?
- Ma niente, mia cara…ero solo…ansioso di conoscerti - sibilò con scherno una voce cattiva alle spalle del soldato. Subito questo si scostò, esibendosi in un profondo inchino prima di uscire dalla stanza.
Ginevra, ancora inginocchiata sul pavimento, si ritrovò di fronte a re Uther Pendragon.
Alla sua destra, con espressione incerta e vagamente preoccupata, c’era il principe Artù; alla sinistra del re, invece, se ne stava un uomo piuttosto alto, con addosso un mantello nero con il cappuccio sollevato, ma non abbastanza da nascondere il volto solcato da rughe e una lunga barba bianca.
Ginevra chinò il capo.
- Perché sono qui?- soffiò.- Ve lo giuro, Vostra Maestà, io non ho fatto nulla di male…
- Lo so - ghignò il re, avanzando di un passo all’interno della stanza.- Non sei qui per qualcosa che hai fatto, figlia del mugnaio…ma per qualcosa che devi fare
Ginevra sollevò lo sguardo su di lui, senza sapere cosa pensare.
- Io…io non capisco…- balbettò.
- Voltati. Alle tue spalle c’è tutto ciò che devi sapere.
Ginevra ubbidì, sgranando gli occhi quando vide cosa c’era di fronte a sé.
In un angolo della torre era stato sistemato un enorme mucchio di paglia, che occupava quasi tutta la stanza ed era alto sino al soffitto. A fianco di esso, era posto un arcolaio.
- Ultimamente mi sono giunte all’orecchio alcune voci…- proseguì Uther, incurante dello sconcerto della ragazza.- Tuo padre, figlia del mugnaio, dice che sei in grado di filare la paglia in oro. Bene. Hai a disposizione tutta la notte per dimostrare che è vero…
- Vostra Maestà…- balbettò Ginevra, voltandosi verso di lui.- Io…ci dev’essere un errore…io non…
- Se non ci riuscirai… - continuò re Uther.- Se non ci riuscirai, all’alba sarai processata e condannata a morte. Ti auguro un buon lavoro, figlia del mugnaio.
Detto questo, Uther Pendragon fece un cenno al figlio e all’uomo incappucciato affinché lo seguissero, e uscì dalla stanza; una guardia chiuse a chiave la porta, lasciando Ginevra sola e disperata inginocchiata sul pavimento.
 

***

 
- Padre, ma che state facendo?!- protestò Artù non appena ebbero raggiunto il corridoio.- Condannarla a morte? Padre, non sappiamo nemmeno se è in grado di…
- Le ho dato la possibilità di dimostrarmi la verità - replicò duramente Uther.- Se ha mentito, allora pagherà per le sue bugie.
- E’ stato suo padre a mentire, non lei!
- Mio signore…- s’intromise l’uomo incappucciato.- Mio signore, il principe ha ragione. Senza contare che la capacità di trasformare qualcosa in oro è simbolo di stregoneria…
- Oh, lo so bene, mio caro Merlino - ghignò il re. - E puoi stare certo che la ragazza verrà messa al rogo, per questo…
- Ma…ma allora morirà comunque!- ringhiò Artù, incredulo e indignato insieme.- Padre, questo è spregevole!- urlò. - State sfruttando quella poveretta! La state usando per i vostri fini e il vostro divertimento! Questo è…
- Un’altra parola, Artù, e ti farò rinchiudere nelle segrete!- ululò Uther.- Sono io il re, e decido io cosa fare e come farlo. Questo tu e Merlino farete bene a ricordarvelo, d’ora in avanti!
Il principe ammutolì, stringendo i pugni dalla rabbia. Re Uther si voltò, facendo strusciare il mantello, e si allontanò, scomparendo poco dopo in un altro corridoio.
- Merlino, dobbiamo fare qualcosa!- disse Artù, voltandosi in direzione dell’uomo. - Quella poveretta all’alba morirà. Dobbiamo liberarla. La porta è chiusa a chiave…io non posso entrare, ma tu sei un mago…
- Non c’è nulla che possiamo fare, per il momento - dichiarò Merlino, risolutamente.
- Ma non possiamo lasciarla morire! Mio padre non avrà pietà di lei in nessun caso, e io non credo che sia una strega…
- Infatti. Non lo è. So riconoscere chi pratica la magia, e quella ragazza di sicuro non è a conoscenza né delle arti bianche né di quelle malefiche. Non è in grado di filare la paglia in oro.
- Allora, forse mio padre avrà pietà di lei…
Merlino scosse il capo con aria grave.
- No. Conosco il re, e niente sarà in grado di fargli cambiare idea. Ma forse…- si avvicinò al principe.- Forse, domani all’alba, qualcun altro potrà salvare quella fanciulla…
- E chi?
- Voi, principe Artù.
 

***

 
Io non posso filare la paglia in oro! E’ impossibile!
Non appena queste parole che rappresentavano una certezza si furono, dopo lunghi minuti di confusione trascorsi a fissare la paglia e l’arcolaio di fronte a sé, formulati con chiarezza nella sua mente, Ginevra si lasciò cadere sul pavimento, affondando il viso nelle mani e iniziando a singhiozzare.
Perché stava succedendo tutto questo? Che aveva fatto di male? All’alba sarebbe morta, e per cosa? Una bugia, una maledetta menzogna che suo padre, ubriaco, aveva raccontato con noncuranza? Non meritava di morire! Aveva diciassette anni, non aveva fatto nulla di male…
Perché doveva morire?
- Io non posso filare la paglia in oro…- singhiozzò, dando voce ai suoi pensieri.- Non…non posso…io non posso…
- Davvero? No? Beh, e se ti dicessi che io invece posso?
Ginevra sobbalzò, riscuotendosi e prendendo a guardarsi intorno con aria frenetica. Ansimò, asciugandosi le lacrime quando scorse una figura opaca nascosta in un angolo, appena dietro al mucchio di paglia. Quando tornò a vedere in maniera chiara, la scorse con chiarezza.
Si trattava di un uomo, abbastanza alto e dal fisico magro; aveva i capelli castani, gli occhi neri come la notte e come i suoi abiti. Indossava stivali di pelle, pantaloni e camicia scuri e un mantello nero foderato internamente di rosso. Doveva essere molto giovane, all’incirca venticinque o ventisei anni, ma i tratti appuntiti del viso non lo rendevano molto affascinante.
Lo sconosciuto mosse qualche passo verso di lei; inaspettatamente, le gettò un fazzoletto di seta con aria infastidita.
- Asciugati gli occhi!- le ordinò.- Non ho mai sopportato i mocci, e voi donne avete le lacrime in tasca…
Ginevra afferrò il fazzoletto quasi meccanicamente, e ubbidì all’ordine, ancora frastornata.
- Grazie…- mormorò, ancora con voce rotta.- Voi…voi non eravate qui, un attimo fa…- balbettò, guardandolo negli occhi.- Come avete fatto a entrare?
Lo sconosciuto le sorrise, scoprendo due file di denti bianchissimi e affilati. Ginevra si sentì percorrere da un brivido: quel ghigno pareva essere stato disegnato da Lucifero in persona.
- Magia!- rispose l’uomo. - Se no, come credi che avrei fatto?
Ginevra scosse il capo, asciugandosi completamente gli occhi. Lo sconosciuto mosse un altro passo nella sua direzione; le tese una mano, aiutandola a rialzarsi.
- Come ti chiami, dolcezza?- ammiccò.
- Ginevra…- soffiò la ragazza, un po’ incerta.
- Ginevra? Un nome molto carino…direi quasi…regale!- ridacchiò lo sconosciuto.- Bene, se le orecchie non mi hanno ingannato, poco fa, mi è parso di capire che tu hai un piccolo problema con tutta questa paglia…- avvicinò il proprio volto a quello della ragazza.- Zia Mallory aveva ragione sui Pendragon, vero?- sibilò.
Ginevra trasalì, arretrando istintivamente.
- Come conoscete il nome di mia zia? Mi avete spiata?! Chi siete voi?- ansimò.
- Chi sono io non ha importanza, cara. Quello che conta…- sorrise lo sconosciuto.- …è ciò che posso fare per te.
Ginevra non rispose, e lo guardò attentamente. Sembrava che dicesse la verità, ma poteva fidarsi di lui? C’era in gioco la sua vita…a quel punto, che altra scelta aveva?
- Voi…voi potete davvero filare tutta questa paglia in oro?- domandò, incerta.
- Uhm…fammi pensare…sì!- rise l’uomo. - Una notte di lavoro dovrebbe essere sufficiente…
- Allora mi aiuterete?!- esclamò Ginevra, sentendosi rinascere.- Oh, grazie! Grazie, grazie, vi ringrazio infinitamente, io davvero non so come…
Lo sconosciuto sogghignò, sollevando una mano per bloccarla.
- Non correre troppo, piccola. Sì, è vero, posso filare tutta questa paglia in oro, ma non credere che io vada in giro a fare la carità ai disperati come il caro vecchio Merlino. No, tesoro…sai come si dice, vero? Quid pro quo
- Che intendete dire?
L’uomo le rivolse un sorriso smagliante.
- Facciamo così: io filerò questa paglia in oro al posto tuo, e in cambio tu mi darai ciò che ti chiedo…
- Ma…ma io non ho niente…
- Non sto parlando di qualcosa che hai. Ma di qualcosa che avrai - l’uomo sogghignò.- Sai, tesoro, ho come l’impressione che il principe Artù abbia messo gli occhi su di te. Ma non è ricchezza, ciò che voglio…
- E allora, che cosa volete?
Lo sconosciuto ghignò.
- Il tuo primo bambino - sussurrò, mentre una luce maligna gli accendeva lo sguardo.
Ginevra trasalì nuovamente, arretrando di diversi centimetri.
- Il…il mio…- boccheggiò.- Voi volete…volete il mio primo…
- Il tuo primo bambino, sì, cosa non ti è chiaro di ciò che ti ho appena detto?- rispose l’uomo, con fare sbrigativo.- Mi sembra ragionevole, dico bene? La tua vita per quella del tuo primogenito. So che stai pensando che è orribile, immorale, e altre sciocchezze senza senso…ma cerca di ragionare. Hai diciassette anni, è un po’ presto per morire, no? Io posso salvarti la vita, e in cambio chiedo solo quella di un fagottino urlante che neppure conosci, e che potrai sicuramente sostituire con altri figli. Allora? Che ne dici? Prendere o lasciare, raggio di sole!
Ginevra strinse le labbra a fessura, e si portò istintivamente una mano al ventre. Ciò che le stava chiedendo quell’essere era ignobile, spregevole, le stava proponendo uno squallido accordo a cui nessuna madre avrebbe mai ceduto.
Il suo primo bambino…in cambio della sua salvezza. Ginevra si sentì mancare, ma si fece forza, cercando di essere lucida. All’alba sarebbe morta, e lei voleva disperatamente vivere. Quello sconosciuto la poteva salvare. Non le importava se fosse un semplice uomo, uno stregone, una creatura malefica. Ciò che contava era che sapesse filare la paglia in oro, come le aveva ordinato re Uther. E in cambio voleva che lei gli cedesse il suo primogenito…
Ma chi l’aveva detto che avrebbe avuto un figlio? Povera com’era, non bella, per di più senza dote, chi l’avrebbe mai chiesta in moglie? Molto probabilmente non si sarebbe mai sposata, non avrebbe avuto figli…Forse c’era il modo di salvarsi la vita e di ingannare quell’essere. Non tutte le donne avevano figli, dopotutto. Lei avrebbe fatto in modo di non averne. Le zitelle non avevano bambini, e nemmeno le suore. Sì! Ecco cos’avrebbe fatto! Sarebbe entrata in convento! Lì avrebbe liberato i suoi genitori dal peso di una figlia nubile, avrebbe condotto una vita dignitosa e onorevole al servizio di Dio, e avrebbe così scampato l’accordo.
Era la soluzione migliore, per lei e per chiunque.
Ginevra chiuse gli occhi, inspirando a fondo.
- Accetto l’accordo.
 

***

 
Più volte aveva letto gli annunci che vedevano la condanna al rogo di una donna accusata di stregoneria. Ma mai avrebbe pensato che, su quei manifesti ricchi di accuse infamanti, un giorno ci sarebbe stato scritto il suo nome.
Ginevra si rannicchiò ancora di più in un angolino della cella umida e buia del castello dei Pendragon, nascondendo il volto in un braccio e sciogliendosi in lacrime.
Era stato tutto inutile. Aveva siglato un accordo orribile per niente.
Non era bastato aver filato la paglia in oro come voleva il re. Quando, all’alba, re Uther Pendragon era entrato nella torre e aveva scorto il mucchio di paglia ora tramutato in fili di oro zecchino, non aveva mantenuto la sua parola. Aveva ordinato che fosse imprigionata e condotta in catene di fronte ai giudici. Era stata processata con l’accusa di essere una strega che praticava la magia nera.
Ed era stata ritenuta colpevole.
Aveva trascorso tutta la giornata e buona parte della notte in cella. Il giorno dopo sarebbe morta sul rogo.
Ginevra riprese a singhiozzare, stavolta più forte, disperata come non lo era mai stata. Perché stava capitando tutto questo? Che aveva fatto di male?
La porta si aprì cigolando, lasciando entrare un fascio di luce.
- Madamigella…Ginevra, se non sbaglio?
La ragazza alzò lo sguardo. Nonostante la disperazione, si stupì non poco che il principe Artù fosse venuto a trovarla in cella; le venne quasi da ridere, ridere di se stessa, quando ripensò al suo stupido amore platonico, e a come quella sarebbe stata la morte perfetta: fra le braccia del suo Vero Amore.
Ma non era più tempo di illusioni.
Si asciugò le lacrime con una manica dell’abito.
- Siete venuto a dare l’ultimo saluto a una condannata a morte?- domandò, con una sorta di amara ironia.
Il principe si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco.
- No…- mormorò.- Sono venuto a dirvi che…che forse c’è una speranza…
Ginevra lo guardò, incerta se credergli o meno, se la stesse canzonando oppure no.
- Una speranza?
- Sì. Ma dipende da voi - Artù inspirò a fondo, prima di continuare.- Fra le priorità di un principe ereditario, c’è anche quella di poter scegliere la propria moglie - spiegò.- Se voi acconsentiste a divenire la mia promessa sposa, solo per finzione, sareste assolta da ogni accusa. Dopo, avremo tutto il tempo per dimostrare la vostra innocenza, e sarete libera.
Ginevra lo guardò, incredula. Il principe Artù le stava dando una possibilità. Fingere di divenire sua moglie, in modo da poterla scagionare da ogni accusa. Acconsentire a un falso fidanzamento solo per…questo voleva dire che lui le credeva?
Quasi le stesse leggendo nel pensiero, Artù le prese una mano.
- So che non siete una strega. Non siete stata voi a filare quella paglia in oro, ma non m’interessa sapere chi è stato. Mio padre ha oltrepassato il limite, e voi non meritate di morire per i suoi capricci. Gli ho già annunciato il nostro fidanzamento…ora, dipenderà solo da voi…
Ginevra si sentì ancora una volta salire le lacrime agli occhi, ma stavolta era diverso. Erano lacrime di sollievo, di commozione, di liberazione.
Annuì con forza e, senza più pensare, gettò le braccia al collo al principe.
- Ma…ma come farete a dimostrare la mia innocenza?- domandò poco dopo.
- A quello penserà Merlino. Ha detto di sapere esattamente come sono andate le cose…
 

***

 
L’ennesimo bicchiere di vino venne scaraventato sul pavimento, infrangendosi in mille pezzi. Re Uther Pendragon non se ne curò, e riprese a percorrere barcollando il corridoio che conduceva alle mura a Nord, borbottando frasi sconnesse con voce impastata.
- Tutto questo non vi fa bene, Vostra Maestà.
Uther rise senza allegria a quel commento, voltandosi lentamente e puntando gli occhi arrossati in quelli di Merlino.
- E da quando ti interessi della mia salute, vecchio pazzo?- biascicò.- Non credo che te ne importi molto di me, dal momento che ti sei schierato con quel traditore di mio figlio e la sua puttana.
- Io ho deciso di stare dalla parte che ritenevo giusta, votata al Bene - replicò Merlino, senza scomporsi.- Per tutti questi anni vi ho servito e aiutato sopportando ogni vostro capriccio e ogni crudeltà, ma ora mi sono stancato di restare a guardare. Ho sperato che, con i miei consigli, voi cambiaste, ma ora mi rendo conto di quanto sono stato cieco.
- Cambiarmi, dici?- sbraitò il re, ridendo sguaiatamente.- Cambiarmi? Beh, in tal caso, direi che decisamente non ci sei riuscito, anzi, hai fatto di tutto per mettere mio figlio contro di me. Ma non puoi sconfiggermi, oh no!, ti farò vedere con chi hai a che fare, in realtà. Domani stesso disconoscerò mio figlio e farò condannare quella strega. Quanto a te…finirai al rogo come meritano gli stregoni come te…!
Detto questo, senza attendere risposta, il re si allontanò, ubriaco e barcollane.
Merlino rimase a guardarlo, impassibile, mentre iniziava a salire le scale.
Uther raggiunse lentamente la porta in cima a esse, borbottando imprecazioni e frasi rivolte contro Merlino e Artù. La spalancò con furia, uscendo all’aria aperta.
Incespicò lungo il corridoio di solito pattugliato da sentinelle, ma quella sera stranamente deserto. Un lato era costeggiato dalle mura del castello; l’altro era separato dal vuoto solo da una striscia di merlature. Uther barcollò fino a quasi metà del corridoio, appoggiandosi malamente alla balaustra dei merli. Gettò il capo in avanti, ridendo fra i denti.
In fondo, non ci avrebbe perso molto a disconoscere quel sempliciotto di suo figlio. Artù era sempre stato deludente, dopotutto. Aveva destinato il trono a lui solo perché era il suo unico figlio legittimo, ma aveva una quantità di bastardi in giro, concepiti con cortigiane e serve di corte. Per ovviare al problema della successione gli sarebbe bastato riconoscere il più meritevole di loro, nulla di più.
Artù se l’era cercata. Aveva cercato di salvare quella sgualdrina e si era messo contro di lui, ma non l’avrebbe passata liscia. Oh no. E neanche Merlino. Aveva tollerato la sua magia solo perché era bianca e potente, e gli era stato utile in molte occasioni, ma quel vecchio pazzo ultimamente aveva iniziato a montarsi troppo la testa. Doveva prendere dei provvedimenti, se non voleva rischiare di vedersi spodestato da…
Uno dei mattoni di pietra delle merlature cedette, e la mano di Uther scivolò; il re emise un piccolo grido, agitando le braccia per tenersi in equilibrio, ma a nulla servì. L’uomo cadde di peso, sbattendo il torace contro la balaustra, e cadendo dall’altra parte.
Uther urlò, aggrappandosi disperatamente alle merlature con entrambe le mani. Si ritrovò a penzolare nel vuoto; sotto di lui c’era il marmo freddo e duro del cortile riservato all’addestramento dei cavalieri.
Il re ansimò, cercando di far forza sulle braccia per risollevarsi. Strinse i denti, gettando un avambraccio al di là della balaustra e riuscendo a sollevarsi fino al collo.
Una figura emerse dall’ombra.
Uther sgranò gli occhi, a metà sorpreso e a metà felice che ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo. Il qualcuno in questione era un giovane uomo, alto e vestito completamente di nero, dai capelli castani e gli occhi molto scuri, e i tratti del viso affilati.
- Aiutatemi!- implorò re Uther.
Il giovane uomo si avvicinò, puntando le sue iridi nere negli occhi grigi del re. Si muoveva con calma e lentezza misurata, quasi avesse avuto tutto il tempo di questo mondo. Beh, Uther invece non ce l’aveva!
- Aiutatemi! Vi prego, aiutatemi!- supplicò ancora.
Lo sconosciuto avanzò ancora verso di lui, senza che l’espressione del suo viso lasciasse trasparire alcuna emozione. Uther annaspò, cercando di sollevarsi ancora.
- Sono…sono scivolato…- soffiò, quando l’uomo fu a pochi centimetri da lui.- Vi prego, aiutatemi a risalire…
- Scivolato, eh?- lo sconosciuto scoprì i denti in un ghigno sbilenco.- Proprio un bell’inconveniente, vero?
- Già…- ansimò re Uther; che lo stesse prendendo in giro? Beh, quando sarebbe ritornato con i piedi per terra gli avrebbe fatto passare la voglia di ridere!.- Aiutatemi, ve ne prego…
- Oh, ma certo. Certo. Sicuro che vi aiuterò - lo sconosciuto si chinò verso di lui.- Coraggio, tendetemi le mani…
Re Uther ubbidì, tendendogli a fatica prima l’una poi l’altra mano. Lo sconosciuto scoprì i denti in un altro sorriso, afferrandogliele con forza. Uther fece una smorfia di dolore quando gli conficcò le unghie nella carne.
- Grazie…- soffiò. - Vi ringrazio…sarete ricompensato per aver prestato aiuto al re…
- Al re…?- sibilò lo sconosciuto.- Oh, sì, certo…sto rendendo un grande favore a vostro figlio e sono certo che non tarderà a ricompensarmi…
- Mio…mio figlio?
Lo sconosciuto ghignò, ridacchiando sommessamente. Uther sgranò gli occhi, mentre la sua espressione si tramutava in puro terrore.
L’uomo conficcò ancora di più le unghie nella carne del sovrano, chinandosi verso di lui fino a quasi accostare il proprio volto al suo.
- Lunga vita al re!- sibilò.
Un secondo dopo, Uther sentì la presa intorno alle proprie mani scivolare via. Il re urlò, precipitando nel vuoto. Si udì un tonfo sordo, e immediatamente le grida cessarono.
L’uomo in nero si sporse un poco per guardare oltre la balaustra, scorgendo il corpo inerte e immobile del re riverso a terra contro il pavimento di marmo. Il suo volto si aprì in un genuino e soddisfatto sorriso, prima di allontanarsi facendo frusciare il mantello.
Poco distante, non visto, Merlino sollevò ancora di più il cappuccio sul capo.
 

***

 
Niente era andato come previsto. Gli eventi avevano preso una piega inaspettata ma che, in fondo, era molto migliore di quella che si era preannunciata. Se non fosse stato per un particolare.
Era incinta. Dopo tutte le promesse e i buoni propositi che si era fatta, era rimasta ugualmente incinta. Incinta di Artù.
Sebbene fosse iniziato tutto con un inganno, una farsa escogitata per salvarle la vita, alla fine l’aveva sposato ugualmente. I suoi sogni di ragazzina si erano avverati…ma a che prezzo?
La notte stessa in cui Artù le aveva proposto il suo piano per salvarla, re Uther era morto. Dicevano che fosse ubriaco e che fosse precipitato giù per sbaglio da uno dei corridoi esterni del castello.
Trascorsi i due mesi previsti per il lutto, Artù era stato incoronato nuovo re di Camelot.
A quel punto, Ginevra si era resa conto che la sua presenza lì era inutile. Aveva trascorso una brutta avventura, ma ora era passata, e dal momento che Uther era morto non c’era più alcun motivo per cui Artù dovesse proteggerla. Ma il nuovo re l’aveva pregata di rimanere ancora per un poco, se non altro per farsi perdonare per il modo in cui era stata trattata.
Poi, la settimana di ospitalità era divenuta un mese, e il mese si era protratto ancora più a lungo. Ginevra era ancora incredula sul fatto che Artù si fosse davvero innamorato di lei, ma così era.
Ora che erano sposati, sarebbe stato tutto perfetto…se non fosse stato per quel bambino che mai e poi mai sarebbe dovuto nascere.
Artù era felice del nuovo arrivo, e anche lei lo sarebbe stata, se non ci fosse stato di mezzo quell’accordo. Ginevra non aveva detto nulla al marito in merito, e adesso era più disperata che mai.
Si sedette sul letto a baldacchino della sua camera matrimoniale, accarezzandosi con l’indice e il medio il ventre arrotondato di otto mesi. Il bambino stava per nascere, e presto lui sarebbe venuto a reclamarlo.
Non voleva dare via il suo bambino. Non voleva!
- Mai visto un ventre così grazioso, mia cara!- gracchiò una voce alle sue spalle.
Ginevra sentì il battito del proprio cuore arrestarsi di colpo, per poi riprendere a battere furiosamente. Si voltò di scatto, dandosi mentalmente della stupida per non averci pensato. Aveva dato per scontato che le guardie avrebbero tenuto lontani gli intrusi, dimenticando che, la prima e unica volta che l’aveva incontrato, non aveva utilizzato la porta d’ingresso per entrare nella torre.
Scattò in piedi, arretrando istintivamente.
- Non sembri molto contenta di vedermi…- osservò ironicamente l’uomo. Non era cambiato in nessun dettaglio, dall’ultima volta. Ginevra si circondò il ventre con le braccia.
- Andate via!- ordinò, quasi strillando.- Andate via, o chiamerò le guardie!
- Sai meglio di me che non servirebbe a nulla. Me ne andrò con piacere, ma temo che mi rivedrai molto presto. Precisamente, il giorno della nascita di tuo figlio.
- No!
Ginevra arretrò ancora, fino a urtare una cassapanca alle sue spalle.
- No! No, voi non avrete il mio bambino!
- Avevamo un patto, carina, e nessuno rompe un accordo con me. Hai acconsentito a darmi il tuo primogenito, e che tu lo voglia o no, io lo avrò, con le buone o con le cattive.
Ginevra serrò le labbra, mordendosi l’interno di una guancia. In un attimo, scoppiò a piangere.
- Vi prego!- implorò.- Vi prego…farò qualsiasi cosa…
- Perdonami, ma stento a fidarmi di chi ritira in questo modo la parola data.
- Vi supplico!- insistette Ginevra.- Vi darò ciò che volete…
L’uomo ghignò, scuotendo il capo con aria compassionevole.
- Odio quando succede così…- sospirò.- E va bene, dolcezza: ti propongo una sfida. Tornerò da te il giorno della nascita del bambino. Avrai tre possibilità per indovinare il mio nome. Se ci riuscirai…- alzò le mani in segno di resa. - Allora ti lascerò per sempre in pace. In caso contrario…mi prenderò tuo figlio come stabilito.
Ginevra abbassò lo sguardo, scuotendo il capo, sconvolta.
- Ma…ma come posso…- mormorò, alzando nuovamente gli occhi, ma non terminò la frase.
L’uomo era sparito.
- Mia signora!
Ginevra trasalì, voltandosi in direzione della porta.
- Merlino!- esclamò, incredula e impaurita.
- Ho udito tutto, mia signora…- mormorò il mago, entrando nella stanza.
Ginevra chinò il capo, affondando il volto fra le mani.
- Merlino, cosa posso fare?!- singhiozzò.- Come posso indovinare il suo nome? E’ praticamente impossibile!
Il mago si avvicinò a lei, prendendole le mani fra le sue.
- Sedetevi!- le ordinò, conducendola verso il letto.- E’ meglio che non vi affatichiate troppo, nelle vostre condizioni!
Ginevra ubbidì, ma non smise di singhiozzare.
- Merlino, io non so proprio come fare! Si prenderà il mio bambino!
- No - dichiarò il mago, risolutamente.- No, non lo farà.
Ginevra lo guardò senza capire; Merlino si sedette accanto a lei, senza lasciarle le mani.
- L’essere con cui avete stretto un accordo si chiama Tremotino.
La ragazza si asciugò velocemente gli occhi.
- Tremotino?- ripeté.- Voi…voi lo conoscete?
Merlino annuì.
- Si tratta di uno stregone molto potente, forse il mago oscuro più forte di questo mondo. Un tempo era votato al Bene, ma poi…beh, è una lunga storia…
- Voglio saperla!- insistette Ginevra.- Merlino, quell’essere vuole mio figlio!
- Ora che conoscete il suo nome, potete considerare l’accordo annullato. Tremotino pratica le arti oscure, è malvagio e infido, ma rispetta sempre i suoi patti.
- Ma potrebbe fare ancora del male! Al bambino, ad Artù, a Camelot!- Ginevra si avvicinò a lui.- Merlino, dobbiamo…
- Non temete - sussurrò il mago, con aria grave.- Non temete, mia signora…penserò io a questo…
 

***

 
I goblin avevano paura della luce. Lo stesso Castello Oscuro era immerso nelle tenebre, anche se Merlino non avrebbe saputo dire se il motivo fosse la presenza di quelle creature notturne, oppure se semplicemente l’aspetto della dimora di Tremotino rispecchiasse l’animo del suo padrone.
Entrare era stato facile. Merlino aveva eluso abilmente la guardia dei goblin, materializzandosi all’interno del palazzo. Il mago si guardò intorno: quello doveva essere un atrio, grande e circolare, con marmo nero a ricoprire i pavimenti e solo poche candele per illuminare l’ambiente.
Tutto pareva permeato di una strana immobilità, un silenzio innaturale riempiva l’intera stanza.
Merlino avanzò di un passo, calandosi il cappuccio dal capo.
- Tremotino!- chiamò, e la sua voce rimbombò sulle pareti.- So che sei qui, Tremotino! Fatti vedere!
- Accontentato!- rise una voce giovanile alle sue spalle.
Merlino si voltò senza scomporsi; Tremotino se ne stava con le spalle appoggiate a una parete, le braccia incrociate al petto, e un sorriso sulle labbra.
- A cosa devo questa visita inaspettata, maestro?- chiese.
Merlino avanzò un poco verso di lui.
- Sono venuto qui per avvertirti - dichiarò.- Da questo momento in avanti, farai bene a lasciare in pace la regina di Camelot, la sua famiglia, e tutti gli abitanti del regno.
- Oh, ma che paura!- lo canzonò Tremotino.- Davvero credi che bastino due parole intimidatorie per fermarmi, maestro?
- Io non sono il tuo maestro! Non più - disse Merlino.
- Davvero?- Tremotino avanzò lentamente verso di lui, senza smettere il suo sorriso.- Strano. Eppure sei stato tu a insegnarmi la magia.
- Io ti ho insegnato a utilizzare le arti magiche per fare la cosa giusta. Ma tu hai voltato le spalle al Bene per seguire la via dell’Oscurità. Sei diventato un mostro, Tremotino!- ringhiò il mago.
- Non esageriamo!- rispose lo stregone, con noncuranza.- Diciamo che ho semplicemente scelto ciò che era più conveniente per me. La tua magia non poteva darmi ciò che cercavo, così ho deciso di fare a modo mio.
- E cos’è che cercavi? La vendetta?!- Merlino lo guardò con furia.- Avrei dovuto capirlo anni e anni fa. Il tuo cuore è sempre stato oscuro. Sempre, sin dal momento in cui ti ho salvato la vita e ti ho portato con me. Ho sbagliato a farti divenire il mio apprendista, ma speravo che prima o poi avresti dimenticato i tuoi propositi di vendetta…e invece…
- Non parlare di cose che non conosci!- ululò Tremotino; in un attimo, il suo volto si era trasformato in una maschera di rabbia.- Tu non sai niente!- sibilò.- Non hai idea di cosa si prova. Tu sei solo un povero vecchio solo che si diverte a fare il moralista. Dov’erano tutte le tue belle parole, quando ho ucciso re Uther?- beffeggiò.
- Se avessi potuto salvare il sovrano, l’avrei fatto - dichiarò Merlino.- Perché l’hai ucciso?- gli chiese.- Lui non c’entrava niente con Ginevra e il bambino. Perché l’hai fatto?
Tremotino rise con scherno.
- Perché mi era d’intralcio, ecco perché. Re Uther non si sarebbe fatto scrupolo a sacrificare una vita umana, ma quel sempliciotto di suo figlio mi cederà qualunque cosa, pur di riavere indietro il bambino - spiegò, con voce melliflua.- Davvero credi che a me importi di un inutile neonato?- chiese.- Il figlio del re è solo una pedina. E’ altro ciò che voglio. E ora, vedi di andartene…- gli voltò le spalle, iniziando ad avviarsi verso una porta dall’altra parte della stanza.- La regina ha siglato un accordo con me, e sarà costretta a rispettarlo. Non c’è niente che tu possa fare.
- L’ho già fatto - disse Merlino.- Ginevra ora conosce il tuo nome, Tremotino. Hai perso.
Tutto accadde molto in fretta.
Il mago fece appena in tempo a vedere Tremotino voltarsi nella sua direzione come una furia, prima che questo stendesse un braccio verso di lui; Merlino venne improvvisamente sbalzato a diversi metri di distanza, finendo riverso a terra con un tonfo.
Il mago tossì, dolorante, cercando di rialzarsi, ma un istante dopo si ritrovò con uno stivale di Tremotino premuto contro il petto.
Lo stregone lo schiacciò, tenendolo premuto a terra.
- Maledetto!- sibilò.- Tu, dannato impiccione! Devi sempre mettere il becco negli affari altrui, vero?
- Ho fatto ciò che era giusto fare - soffiò Merlino, con un fil di voce.
- E credi che questo sarà sufficiente?- lo schernì Tremotino.- Mi dispiace deluderti, mio caro, ma stavolta l’allievo ha superato il maestro - ghignò.- Avrò ciò che voglio, anche se dovrò aspettare. Quel bambino è la chiave d’accesso a ciò che bramo, e sarà mio, prima o poi.
- Ma che cos’è che vuoi?- tossì Merlino, guardandolo con rabbia.
Tremotino sogghignò.
- Davvero non lo immagini?
Il mago impiegò diversi secondi prima di capire, e quando comprese sgranò gli occhi in preda al terrore.
- No! Tu sei pazzo!- urlò. - Non puoi averla! Non puoi, in alcun modo, loro non possono essere…
- Oh, sì che posso - sorrise Tremotino.- Peccato che tu non sarai lì a goderti la mia vittoria…
Tremotino racchiuse la mano destra a pugno, pronto a colpirlo con un altro incantesimo, ma Merlino fu più lesto. Lanciò un incantesimo che colpì lo stregone in pieno petto, facendolo cadere all’indietro.
Merlino strisciò sul pavimento, cercando di raccogliere quanto più potere possedeva per avere la forza di smaterializzarsi.
Tremotino si rialzò, ringhiando, pronto al contrattacco, ma ancora una volta Merlino fu più veloce, e si smaterializzò di fronte ai suoi occhi.
Nella sala tornò il silenzio.
Tremotino si rialzò, furioso.
- Non riuscirai a fermarmi ancora a lungo!- ululò, parlando al nulla.- Mi hai sentito? Non potrai sempre metterti in mezzo, Merlino! Hai capito? Avrò quel bambino! Avrò ciò che voglio!- ringhiò.- Un giorno avrò la mia vendetta!
 

***

 
Il popolo di Camelot accolse con grande festa e clamore la nascita della nuova principessa. Ginevra rivolse uno sguardo carico di tenerezza prima al marito e poi alla figlia, prima di ritirarsi dalla terrazza e rientrare nelle sue stanze.
Merlino le sorrise, attendendo che Artù uscisse prima di avvicinarsi alla sovrana e alla neonata. Poco distante, seminascosto nella penombra della camera, un ragazzino sugli undici o dodici anni stava ramazzando il pavimento con uno straccio bagnato.
- Grazie per tutto quello che avete fatto, Merlino - Ginevra gli sorrise, grata.- Spero solo che quell’essere non torni mai più…
A quelle parole, il ragazzino smise di pulire, drizzando il capo.
- Questo purtroppo non posso garantirvelo, mia signora - sospirò Merlino.- Tremotino è molto potente, ed estremamente determinato. Dovremo prestare molta attenzione, da qui in poi.
- Già…- soffiò Ginevra, guardando la neonata con aria inquieta.- Spero solo che non faccia del male alla piccola…
- Non temete, mia regina!- saltò su il ragazzino.
Ginevra e Merlino si voltarono a guardarlo all’unisono.
- Non dovrete preoccuparvi per la sorte della principessa - proseguì lui con entusiasmo ma anche estrema serietà.- Da grande sarò cavaliere, e penserò io a proteggerla!
- Oh beh, in tal caso allora posso dormire sonni tranquilli!- Ginevra rise di gusto.- Come ti chiami, ragazzino?
Quello si esibì in un profondo inchino prima di rispondere.
- Il mio nome è Lancillotto, mia signora.
- Lancillotto, eh?- sorrise Ginevra.- E’ un bel nome, vero, Merlino?
- Concordo. A proposito di nomi…- fece il mago. - Potrei avere il piacere di sapere come si chiama la nostra nuova principessa?
Ginevra sorrise, cullando piano la neonata. Le rivolse uno sguardo carico d’amore.
- Odette. Il suo nome è Odette.
 
 
 
 
Angolo Autrice: Con questo capitolo credo di essermi definitivamente giocata la stima di tutti voi. Era un azzardo, me ne rendo conto. So che Merlino e co. non sono personaggi delle favole ma, come ho già spiegato con Lady Marian, non solo il Regno delle Favole si sta mobilitando per l’arrivo dei Grimm.
Questo era un flashback che però avrà molta importanza nella storia. Vediamo di fare due precisazioni…
Allora. Il nome Odette è parlante. Immagino avrete compreso a che storia mi riferisco e a cosa succederà. Per chi se lo stesse chiedendo: sì, Tremotino sarà il Rothbart di turno. A questo proposito, sento già gli sbuffi di chi, oltre a questa storia, segue anche la mia Riflessi d’ombra. Due paroline di spiegazione: tranquilli, sebbene le due vicende tratteranno argomenti simili, non ho nessuna intenzione di rendere le due cose papali e identiche, love stories (chi vuole intendere intenda!) comprese (a questo proposito, keep an eye on Odette and Lancillotto! :P), e cercherò anche di dosare i ritmi di pubblicazione e gli episodi raccontati per non rendere troppo noiose le due narrazioni.
Comunque, in questa storia la vicenda di Odette arriverà solo fra un po’ di tempo.
Merlino è un altro che ne sa un pezzetto in più rispetto agli altri…Il passato di Tremotino. Dunque. Mi è parso di udire gli accidenti che tutti coloro che si aspettavano delucidazioni su Mary-Anne mi hanno inviato. Ancora, vi chiedo di avere pazienza. Qui si è scoperta solo una parte del passato di Tremotino, ma si scoprirà anche il resto a tempo debito.
E intanto…a cosa gli serve la bambina? Che cosa vuole in realtà e perché Merlino è così terrorizzato che se ne impossessi? Contro chi vuole vendicarsi e perché?
Passiamo alle immagini. Ecco qui, come promesso, Gretel.
 
Gretel (Rose McGowan):
 
http://25.media.tumblr.com/500f94108b12dda65c0907f19834684f/tumblr_mjnpdhxwpS1rm2bcqo1_500.gif
 
Veniamo ora a Capitan Uncino. Ringrazio cleme_b per il suggerimento. Io non ci sarei mai arrivata XD.
 
Capitan Uncino (Ben Barnes):
 
http://cdn01.cdn.justjared.com/wp-content/uploads/headlines/2007/12/ben-barnes-factory.jpg
 
Bene, ho detto tutto :). Ringrazio chi legge e chi recensisce :).
Al prossimo capitolo!
Beauty

  
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