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Autore: viktoria    01/08/2013    2 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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- Ci pensi che questa doveva essere la parte facile?- la voce di Jonathan mi riportò con i piedi per terra. Era mattina presto, eravamo appena partiti dopo una notte praticamente insonne, diretti all'aeroporto. Finalmente eravamo riusciti a trovare un volo diretto Dublino-Roma che per lo meno ci avrebbe permesso di aspettare un po' meno per poi prendere quello per Catania. L'ultima volta lo scalo a Parigi era stato distruttivo per i miei nervi.

Lui rideva divertito a me invece veniva quasi da piangere. Se sua sorella, favorevole alla nostra relazione, si era rivelata tanto restia ad approvare il nostro matrimonio, anzi a voler essere onesti non l'aveva proprio fatto, i miei genitori ci avrebbero uccisi, entrambi.

- Ti diverte?- domandai leggermente scorbutica.

- Sì.- ammise lui accarezzandomi la gamba. Gli diedi un leggero colpetto sulla mano mettendo il muso.

- Io fossi in te non sarei divertita.- gli feci notare facendogli la linguaccia. -sarei terrorizzata, avvilita ecco cosa sarei.-

- Ok, sono terrorizzato e avvilito, guardami.- scherzò lui voltandosi verso di me mentre guidava e mostrandomi una faccia adorabile su cui spiccava il suo fintissimo sguardo corrucciato.

- Secondo me quando torneremo a Londra tra due giorni non sarai più così euforico.- mugugnai incrociando le braccia al petto e dandogli un leggero pizzicotto sul fianco.

- Tra due giorni si vedrà.- rispose lui con assoluta tranquillità.

Proprio non riuscivo a capire come potesse essere così assolutamente indifferente all'idea di ritrovarsi davanti una famiglia di Siciliani, amanti delle ferree leggi imposte dalla morale comune e un padre iperprotettivo. Tra l'altro la notizia non sarebbe stata facile da dare come alla sua famiglia. Stavo cercando il momento giusto per chiamare mia madre e dirle che tornavo per un paio di giorni. Lei stessa avrebbe probabilmente organizzato una cena di famiglia e solo allora, davanti a tutti, avremmo potuto dare la notizia. Almeno mio padre non avrebbe potuto uccidermi subito.

- Devi rilassarti però, altrimenti rischi di morire di infarto prima di arrivarci a casa.- mi consigliò lui addolcendo la voce e passandomi una mano sul viso con tenerezza. Quelle mani mi fecero dimenticare per un attimo tutto ciò che avevo precedentemente pensato e che non faceva altro che angustiarmi terribilmente.

- Sì.- ammisi io stessa prendendo un respiro profondo e sorridendogli dolcemente. - tra due giorni torneremo a lavoro ed io a scuola. Tutto tornerò normale.-

- E dovrai cominciare ad occuparti dei preparativi visto che ci sposiamo tra otto mesi praticamente.- mi ricordò lui per rovinare il mio piano di rilassamento che stava dando i suoi frutti.

- Ti odio.- lo accusai.

- Io ti amo.- ribatté lui ridendo.

Rimasi in silenzio tenendogli il broncio, le braccia incrociate al petto. Non avrei parlato io per prima quella volta, era bene che si desse una mossa perché altrimenti il silenzio ci avrebbe accompagnati fino in Italia.

- Lorie?- in realtà non fu difficile come credevo. Dopo qualche minuto fu lui stesso, con un filo di voce, ad attirare la mia attenzione.

- Che c'è?- domandai facendo la scorbutica per il semplice gusto di farlo.

- Posso venire con te per scegliere il vestito?- domandò come se si vergognasse quasi a chiedermelo.

- Perché?- chiesi io voltandomi verso di lui aggrottando leggermente la fronte. Era una domanda strana, di solito nessun ragazzo era davvero interessato a queste cose futili. Sorrisi. Lui non era il solito ragazzo, era il mio futuro marito.

- Perché per me sarebbe importate far parte di tutti i preparativi, vorrei che questo matrimonio fosse una cosa nostra, completamente, vorrei che potessimo occuparcene da soli, io e te e questo renderebbe tutto più speciale.- mi confessò parlando davvero pianissimo.

- Dicono che porta sfortuna.- gli ricordai. Ma la mia voce era tutto miele ormai e sapevo che stavo sorridendo. Era ovvio che gli avrei detto di sì.

- Lo credono solo quelli che non si amano abbastanza e vogliono trovare una scusa per un possibile divorzio.- concluse lui facendo spallucce e sorridendo piano a sua volta. Quasi non si vedeva sulle sue labbra ma io sapevo di averlo reso felice.

 

Due ore e mezzo dopo atterrammo a Roma. Sentire di nuovo le persone intorno a me parlare la mia lingua mi fece sorridere e mi sentii stranamente a casa.

- Devi imparare l'italiano.- lo avvisai mentre estraevo il telefono dalla borsa e cercavo in rubrica il numero di mia madre.

- Lo capisco un po', è parlarlo il problema.- mi rispose lui prendendomi per mano e accompagnandomi al gate da cui ci saremmo dovuti imbarcare.

- Sarò una brava insegnate. Molto paziente.- promisi premendo il tasto di avvio chiamato.

- Sì, me lo immagino.- mugugnò lui alzando gli occhi al cielo e ridacchiando divertito. Gli lasciai un pizzicotto sulla coscia. -Ouch.- si lamentò lui.

- Prima lezione.- lo avvisai atteggiandomi a maestrina. - in italiano si dice Ahi.-

nello stesso momento in cui pronunciavo quella frase dall'altra parte del telefono la voce familiare, dolce e confortante di mia madre mi rispose.

- Laura.- non aveva bisogno che le dicessi chi fossi. Doveva essere davvero una bella sorpresa per lei leggere il mio nome finalmente dopo così tante settimane di silenzio.

- Ciao mamma.- la salutai anche io con la voce leggermente rotta dalla commozione.

- Oh amore mio, sono così felice di sentirti.- mi accolse con la sua solita gentilezza e io sorrisi di me e di lei. -come stai? Quanto vieni? Ci manchi molto.- mi tempestò di domande senza darmi il tempo di rispondere e sorrisi del suo entusiasmo. La mia mamma.

- Sto davvero bene, la scuola va alla grande, il lavoro anche. Io e Jonathan saremmo a Roma adesso e ho pensato di venire a trovarvi.- le comunicai meritandomi un immediato grido di felicità.

- Oh amore mio! Fabio! Fabio vieni.- mia madre aveva preso a gridare alla cornetta per chiamare mio padre che probabilmente si trovava nel salone in quel momento. Allontanai un po' la cornetta dall'orecchio ma riuscii lo stesso a sentire lei che rispondeva ad una probabile domanda di mio padre con: -Laura sta tornando a casa.-

ci misi parecchio per riuscire a calmare il suo entusiasmo. Sembrava come se le avessi appena comunicato una vincita miliardaria al superenalotto. Non credevo che mia madre avesse sofferto tanto per la mia lontananza. Dopo tutto l'università mi avrebbe sempre costretta lontana da casa. Ne avrei parlato con lei comunque.

- Mamma, il volo sta per partire, tra due ore sarò a casa, adesso lasciami andare ti prego.- scherzai ridacchiando piano.

- Sì, scusami. Temo che chiudendo la chiamata non ti risentirò per altri tre mesi.- si lamentò lei.

- Non sono stati tre mesi mamma, non esagerare.- la rimproverai io bonariamente. - non preoccuparti potrai riabbracciarmi tra un paio d'ore...- la rassicurai con dolcezza. -sempre che tu non mi faccia perdere l'aereo.-

- Sì, scusami. Vai.- la sentì tirar su col naso e sorridere. -ci vediamo all'aeroporto.- mi promise.

- Mamma, non c'è bisogno, Jonathan ha una macchina all'aeroporto, veniamo noi, preparami qualcosa di buono invece, non mangio come si deve da un sacco di tempo.- scherzai persuadendola alla fine ad evitare incursioni improvvise che non avrebbero portato nulla di buono.

Ci imbarcammo qualche minuto dopo e i miei poveri nervi stavano per abbandonarmi. Ero tesa come una corda di violino. Mi sentii passare una mano tra i capelli e mi voltai verso l'uomo al mio fianco. Non si era azzardato a consolarmi o dire qualcosa.

- Non sono capace di consolarti, non saprei neanche che cosa dirti onestamente...- mi confessò lui lasciandomi una carezza sul collo. - so di non aver vissuto a diciotto anni quello che stai vivendo tu adesso, so di non poterlo capire perchè la tua famiglia, la vostra mentalità è diversa dalla nostra.- ammise avvicinandosi leggermente lasciandomi un bacio sulla punta del naso. -ma sono convinto che i tuoi genitori dopo tutto non saranno così arrabbiati all'idea che ti sposi. Ci stiamo impegnando, è una promessa. Secondo me anzi sarà qualcosa che ai tuoi farà piacere.- cercò di addolcirmi lui avvicinandosi a me e lasciandomi un bacio dolcissimo sulle labbra.

 

Tre ore dopo eravamo già a tavola. Ovviamente. Quando eravamo arrivati sua madre l'aveva abbracciata stretta e anche suo padre, per una volta, si era dimostrato felice di vederla. Sull'aereo mi aveva dato l'anello.

- Non voglio che lo vengano a sapere perchè vedono questo. Voglio essere io a dirglielo.- mi aveva detto con preoccupazione. Io avevo accettato e adesso l'anello sembrava quasi pesarmi nella tasca della giacca.

- Ciao Jonathan.- mi salutò sua madre.

- Salve signora.- risposi io con un leggero sorriso sperando di non incorrere nell'ira funesta di suo padre per essermi preso la libertà di sorridere.

- Jonathan.- invece anche lui alla fine, volente o nolente, ritrovandomi di fronte a lui, dovette salutarmi, se non per gentilezza almeno per educazione.

La madre di Laura l'aveva portata immediatamente in cucina dove si erano riunite, lo sentivo, tutte le donne di casa che avevo avuto il piacere di conoscere per pasqua.

- Prego seguirmi.- mi invitò suo padre accompagnandomi in salone dove si era riunita la comunità maschile.

Tutti seduti sui divani a guardare la televisione e parlare di qualcosa che non riuscivo proprio a capire. Forse lavoro, forse di Laura, forse di me. Chi poteva dirlo.

Qualcuno, più gentile, cercò di parlare più lentamente con me, qualcuno addirittura cercò anche di parlottare in inglese. Lo apprezzai dopo tutto, anche se avrei preferito alzarmi e rifugiarmi in cucina insieme a Laura, sapere come stava finalmente a casa.

Ad un certo punto tutti si alzarono di scatto e cominciarono ad abbracciare uno dei ragazzi, a dargli affettuose pacche sulle spalle e a ridere. Aggrottai la fronte. Mi ero perso un passaggio.

- Che succede?- domandai al ragazzo che poco prima aveva cercato di parlare con me in inglese.

Peppe, il ragazzo di Alessandra, ieri ha chiesto a suo padre la sua mano.- mi avvisò sorridendo soddisfatto.

Ricordavo quella strana coppia. Era stato grazie alla loro voglia irrefrenabile di sesso se quella notte avevo potuto assaggiare il suo corpo, baciarla di nuovo dopo un primo bacio rubato.

- Si deve chiedere il permesso al padre?- domandai aggrottando la fronte stupito.

- Sì, è una questione di educazione più che altro. Voglio dire è il padre il capo famiglia.- mi rispose quello come se fosse ovvio. Per me ovvio non era.

Comunque mi alzai, mi avvicinai a lui e gli strinsi la mano congratulandomi. Lui mi rispose con una stretta molto seria ed un grazie emozionato. Purtroppo in quel momento avevo altro per la testa. Cercai di uscire inosservato dalla stanza ma qualcuno mi intercettò.

- Jonathan.- il padre di Laura mi stava guardando con la fronte aggrottata. - dove vai?-

- Ho bisogno di un bicchiere d'acqua, non vorrei disturbare le signore in cucina.- risposi semplicemente meritandomi un leggero movimento del capo che mi autorizzava.

La porta della cucina era chiusa e dentro sentivo la voce di Laura parlare. Le altre intervenivano ogni tanto e ridevano. Aprii la porta e tutte si zittirono e mi guardarono.

- Scusatemi. Laura, posso dirti una cosa un attimo?- le domandai facendole segno di uscire un attimo.

Lei mi sorrise col suo bel sorriso allegro e, lasciando il pomodoro di cui si stava occupando, mi seguì in corridoio.

- Peppe ha chiesto la mano di Alessandra.- l'avvisai.

- Cosa?- lei sgranò gli occhi. - tu come fai a saperlo?- domandò aggrottando la fronte e incrociando le braccia al petto.

- Lo ha appena detto a tutti di là.- le raccontai indicando il salottino da cui venivano le voci degli uomini che vi si erano riuniti.

- ah...- rispose semplicemente lei. -wow, che galantuomo. La ragazza dovrebbe essere la prima a saperlo.- mormorò lei prima di guardarmi e sorridermi apertamente. -comunque non sarebbe mai stato meraviglioso come quello che hai fatto tu per me!- concluse lei prendendomi il viso tra le mani baciandomi con trasporto.

Ma sì, tanto già in quella casa c'erano davvero pochissime persone che mi sopportassero.

- Scusami se ti ho disturbata, torna dalla tua famiglia.- la rassicurai aggiustandole una ciocca di capelli che le era sfuggita dalla coda che si era fatta.

Lei ritornò dentro chiudendosi la porta alle spalle. Stavo per dare a suo padre un motivo in più per detestarmi, fantastico. In ogni caso non avrei mai chiesto la sua mano. Lei mi aveva già detto di sì e chiedere adesso la sua mano sarebbe stato come ignorare la risposta che già una volta mi aveva dato lei. Tornai nel salone dove le congratulazioni, grazie al cielo, erano finite. Il padre di Laura aveva preso una bottiglia di sangria e l'aveva offerta ai suoi ospiti. Quando mi vide entrare nuovamente mi guardò per un attimo e poi, dopo un sospiro, mi indicò un tavolinetto su cui erano poggiati dei bicchieri e la bottiglia. Era un invito a servirmi pure, dovevo ritenermi fortunato? Ringraziai con un sorriso e ne versai poco per evitare di esagerare, bere non sarebbe stata una buona idea per affrontare una simile conversazione. Non avevo mai pensato di dover fare una cosa simile. Insomma chiedere la mano di una donna era un qualcosa di tremendamente superato. Non si poteva semplicemente annunciare la decisione presa e basta? Mi morsi il labbro sovrappensiero e quando la zia di Laura venne a chiamare per il pranzo fermai l'uomo la cui inimicizia mi ero già ampiamento conquistato e che adesso avrebbe decisamente cominciato ad odiarmi.

- Scusi signore, potremmo parlare per un attimo?- domandai fermandomi di fronte a lui con una certa sicurezza. Il suo sguardo truce mi fece capire che non ne era felice ma mosse la testa comunque in segno di assenso.

- Vieni, seguimi.- mi invitò facendomi strada verso il suo studio. Era una stanza abbastanza grande, con una porta finestra che dava sulla strada. Tutto era in tinte scure per rendere l'ambiente ancora più professionale. -Dimmi.- mi invitò lui sedendosi nella poltrona nera che gli conferiva un'aria ancora più inquietante. Mi stavo comportando da liceale alle prese col primo rapporto di coppia. Insomma ero un uomo. Quello che avevo di fronte aveva solo dieci anni più di me. Aggrottai la fronte. La madre di Laura era più coetanea mia di quanto io non lo fossi con la figlia.

- Vorrei chiedergli la benedizione per sposare sua figlia.- ponendola in questi termini la cosa mi sembrava più che giusta. Non stavo sottovalutando la sua posizione ne quella di Laura.

- Come scusa?- lui era scattato in piedi immediatamente. La voce era un sibilo che probabilmente avrebbe dovuto spaventarmi.

- Vorrei avere la sua ben...- stavo per ripetere educatamente ma lui mi interruppe.

- Tu, un uomo, vuoi sposare mia figlia minorenne?- sibilò lui in preda ad un'ira che sarebbe scoppiata da un momento all'altro.

- sì.- affermai semplicemente io indifferente. Lui si avvicinò a me molto lentamente, il suo fare minaccioso però non mi spaventò. Ero abbastanza sicuro di ciò che stavo per fare. La mia sicurezza probabilmente lo irritò. Mi afferrò per il colletto guardandomi in viso con una rabbia che mi fece socchiudere gli occhi. Non potevo reagire anche se avessi voluto davvero tanto tirargli una testata sul naso e mandarlo affanculo.

- Io non ti concederò mai la mano di mia figlia, schifoso bastardo. E sto cominciando a perdere la pazienza!- sibilò lui sputandomi in faccia. -non ti denuncio solo perché mia moglie è convinta che Laura ne soffrirebbe ma appena osi toccare la mia bambina giuro che non esiterò un attimo.- mi avvertì lui.

- Io non sto chiedendo la sua mano signore, lei ha già accettato e a Maggio ci sposeremo, le sto chiedendo la sua benedizione.- stavo tirando troppo la corda, era chiarissimo. Avrebbe potuto spaccarmi la faccia da un momento all'altro e non avrei potuto farci niente, ne aveva tutte le ragioni.

- Che cosa?- quello fu decisamente un grido. Il pugno arrivò un secondo dopo, direttamente sul naso. Sentii chiaramente il rumore dell'osso che si incrinava e mi portai una mano sul viso mentre le gambe cedevano e mi ritrovai a terra. Il sangue mi scendeva sulle labbra abbastanza copioso e accorsero tutti a vedere a cosa fosse dovuto quel grido. La prima che vidi fu la madre di Laura. Si portò subito le mani alla bocca disgustata da quella scena e chiamò il marito ammonendolo di fermarsi. La figlia, la mia fidanzata, sgranò gli occhi e si precipitò su di me. Il suo spirito da crocerossina ovviamente non poteva resistere ad una simile scena, lei doveva salvarmi, come aveva sempre fatto. Le sue mani sostituirono subito le mie, dolci, morbide e profumate. Avrei voluto stringerla, baciarla, e dirle che stavo bene. Cancellare dal suo viso il terrore che vi leggevo.

- Quel mostro! Quel mostro vuole sposare una bambina!- gridò l'uomo rivolto probabilmente alla moglie che gli aveva chiesto spiegazioni per quel disastro. Io sollevai involontariamente le labbra in una smorfia tra una risata ed un accenno di patimento. -E ha anche il coraggio di ridere!- stava per avventarsi su di me quando gli uomini che un momento prima erano nel salone lo fermarono.

Laura di voltò verso di lui, sapevo che avrebbe pianto, lo sentivo dai singhiozzi che soffocava a stento.

- Papà...- sussurrò. Ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Suo padre si sfogò su di lei rinfacciandole una vita di sacrifici per poterle permettere il meglio. La insultò nei modo peggiori in cui una donna potesse essere insultata, in cui una figlia potesse essere insultata. La umiliò, la schiaffeggiò violentemente dopo averla fatta alzare ma il peggio venne dopo.

Sembrava essersi calmato. Laura aveva un atteggiamento calmo ai limiti del parossismo. Credevo che avrebbe potuto avere una crisi di nervi. Eravamo rimasti solo noi quattro la dentro. Noi due ed i suoi genitori. Lo studio che mi era sembrato prima abbastanza grande adesso mi sembrava una trappola mortale. Avrei potuto morire senz'aria lì dentro. Suo padre si era accomodato ad una sedia, la stessa poltrona di prima, e le dava le spalle rivolto di tre quarti verso la porta finestre di fronte a me.

- Vuoi sposare quest'uomo?- domandò l'uomo alla figlia ancora scossa.

- Sì.- rispose lei al mio fianco mentre una mano si perdeva tra i miei capelli e l'altra stringeva la stoffa dei suoi indumenti sul fianco.

- Se lo farai non sarai più mia figlia, non vorrò mai più vederti mettere piede in questa casa, quando sarai gravida e abbandonata non riceverai da noi nessun aiuto e se tua madre si farà intenerire da te sbatterò anche lei fuori di casa.- l'avvisò con voce grave.

Sgranai gli occhi a quella proposta. Le stava dicendo chiaramente che tutto ciò che si aspettava da lei era che mi lasciasse, seduta stante, che non mi rivedesse mai più e tornasse alla sua normale vita prima che io arrivassi a sconvolgerla. Sentii un peso sul petto. Era così che finiva la nostra storia. Ci saremmo detti addio in quel modo, lo sapevo. Io a diciassette anni non avrei mai potuto lasciare la mia famiglia per una donna, per una vita che non era una sicurezza ma solo un insieme infinito di vane promesse e speranza. Non c'era nulla che desse a me una speranza. Mi sentii perso. Laura, la mia piccola crocerossina, rappresentava tutto per me. Non riuscivo a vedere la mia vita oltre lei. C'era in ogni progetto, in ogni istante che potessi scorgere con la mente. C'era il suo amore, la sua vivacità, la sua freddezza, la sua dolcezza, il suo sorriso. Forse lei, senza di me, avrebbe potuto vivere una vita più serena, senza avere accanto un uomo che avrebbe avuto settant'anni e lei solo cinquantatré. Si sarebbe innamorata di nuovo, forse più di adesso, avrebbe avuto una casa in Italia, un uomo che parlava la sua lingua, dei figli che somigliavano a lei e a quel lui che non l'avrebbe mai amata come l'amavo io. La mia Lorie. La mia dolce, piccola, amata Lorie. Mi morsi il forza il labbro e sentii la sua mano scivolare via dalla mia testa. Non sentivo più le sue dita tra i capelli e sapevo che quello era per noi il distacco definitivo.

- Papà...- sussurrò lei per la seconda volta cercando di attirare l'attenzione del padre.

- Dì a quell'uomo di uscire da casa mia in caso contrario, digli di non farsi mai più vedere, di non mettere più piede in casa mia, di non cercarti, mai. Di non parlare mai di te....- era ovvio che suo padre avesse capito, come me, dove protendesse la decisione della figlia. La stava mettendo con le spalle al muro. Senza sapere che così facendo stava per uccidere un uomo.

Non c'era la pena di omicidio colposo per quello?

Laura si voltò verso di me priva di qualsiasi espressione, come un automa, come un burattino nelle mani del suo burattinaio. Odiai profondamente l'uomo che aveva ridotto in quello stato catatonico la mia piccola Lorie.

- Jonathan...- aveva cominciato. Sapevo quello che avrebbe detto e non volevo sentirlo. Mi alzai quasi di scatto, lasciai cadere il fazzoletto che tenevo premuto sul naso, gentilezza di qualche signora poco prima, le afferrai il viso tra le mani e la baciai. La baciai con la foga di un addio, la baciai con la consapevolezza di amarla e di non poter amare mai più in questo modo. La baciai come un disperato. Il cuore mi stava scoppiando nel petto. Non dovevamo venire. Non dovevo portarla lì. Dovevo ascoltarla.

Lei mi allontanò con dolcezza dopo parecchi minuti. Sapevo cosa vedeva, vedeva i miei occhi lucidi di disperazione. Ero malato, questo era certo. Lei era diventata la mia ossessione. Doveva essere solo mia. Non volevo dividerla con nessun altro.

- Jonathan...- riprese con tranquillità. Le sue guance si erano colorate nuovamente. -non siamo più graditi qui, credo che dobbiamo proprio andare via.- mi disse lei. E quelle parole mi scaldarono il cuore.

- Ci possiamo fermare alla rosticceria che c'è fuori città prima? Muoio di fame e lì fanno le bombette più buone di sempre!- mi domandò prendendomi per mano e spingendomi fuori dallo studio.

Suo padre era scattato a sedere. Probabilmente non si aspettava una simile conclusione. Sua madre era sul punto di scoppiare in lacrime. Io non sapevo bene cosa provassi.

Prima che fossimo fuori Laura si fermò, mi infilò una mano nella tasca e ne estrasse il suo anello di fidanzamento, lo mise al dito e andando in cucina lo mostrò a tutti. Sua madre intanto l'aveva seguita.

- Guardate. Io mi sposo. Chi è disposto a non giudicare e a voler festeggiare con me riceverà la partecipazione per gli altri risparmiatevi il disturbo.- concluse lei raggiungendomi di nuovo e andando via. Fortunatamente le valigie non erano ancora state aperte e la nostra partenza fu piuttosto rapida.

Ero così felice di come fossero andate le cose che avrei voluto ridere, ridere e sfogare la tensione accumulata. Fermarmi nella prima chiesa e sposarla, subito. Ma lei persa tutta la decisione che aveva mostrato in quella casa appena la porta blindata si chiuse alle nostre spalle con un tonfo definitivo.

In macchina, non appena misi in moto e partii, scoppiò in lacrime.  

  
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