-Non mi hanno preso.
Mi sono fatto prendere dal panico proprio all'inizio. La mia carriera
da musicista è finita ancor prima d'iniziare.
-Dai, non prenderla
così male, ci saranno di certo altre occasioni.
Gli occhi di Cody si
fanno lucidi.
-Non ne voglio di
altre. Non è la mia strada, capisci? Non sono io. E vorrei che non
fosse così; vorrei solo che fosse il mio cammino per vedere mio
padre fiero di me. Ho provato perché non volevo dargli un
dispiacere.
Steve alza gli occhi
al cielo. Si batte le mani sulle cosce. Sa già che il concetto sarà
difficile da spiegare e spetterà a lui farlo.
-Capisco l'emozione,
ma sappi che il mondo della musica è fantastico: tu sei lì su un
palco e c'è la gente che ti ama. Vogliono tutto di te, accettano il
tuo schifo, i tuoi difetti. Tu sei lì ed urlano per te e aspettano
solo che tu li ami, che gli dica qualcosa di loro che nemmeno sanno.
Li guardi uno ad uno negli occhi e ti senti vivo.
-E' proprio quello il
punto. Io ero lì che li osservavo e loro osservavano me... e non
avevo niente da dire a nessuno. Volevo solo andarmene. Ho provato
solo stress, il vuoto più assoluto e totale.
-Sai cosa penserà
Brian?! Si sentirà rifiutato, crederà di aver sbagliato qualcosa.
Voleva che ti crescesse la passione, ti ha mostrato tante cose e sarà
convinto che l'hai fatto apposta perché lo disprezzi.
Cody cessa di
tormentarsi le mani, gli brillano gli occhi.
-Steve, ma scherzi?!
Non ho nemmeno il coraggio di dirgli che ho fatto una figuraccia. Io,
il figlio di Brian Molko.
Mio padre è il mio
eroe, è fantastico. Tornava dai concerti e mi faceva vedere
l'affetto della gente. Pendono tutti dalle sue labbra, li incanta. Ha
carisma, lo amano, capisci?! Lui è un drago, fa un mestiere
meraviglioso; sale sul palco, ha il coraggio di guardare tutti negli
occhi e sbattergli in faccia le sue emozioni, le cose più intime di
sé. Io sono timido, ho paura di ciò che penso, di farlo sapere, di
dirlo. Io non ho tutto quel coraggio, avrei tanto nascere drago come
lui.
Vorrei tanto riuscire
a spiegargli che di Brian Molko ne nasce uno su un milione, che non
sono capace di brillare come lui... e solo chi brilla può percorrere
questa strada. Non voglio essere semplicemente il caro figlio della
star che fa musica e brilla di luce riflessa.
Lui cura le anime; i
fans quando sale su un palco e canta si aspettano qualcosa che gli
faccia tremare le gambe. Io non sono così tosto da far nascere le
emozioni dal nulla. Ho solo la sua voce, ma non luccico come il mio
eroe.
Invece quando trovo le
regole, soluzioni per curare i mali dall'interno, quando riesco a
mettere in ordine il mondo azione per azione, quello sono io. Io
posso curare solo i corpi; per le anime non tutti hanno la scintilla.
Brian spense la registrazione.
-Basta così.
Steve lo fissò interrogativo, indeciso sul come decifrare una tale
reazione.
“Sono un drago, il suo eroe”. Gli si dipinse sulla bocca uno
stupido sorriso soddisfatto. Non era stato rinnegato da suo figlio;
era il suo eroe. Era bastata una semplice frase gettata lì in modo
sincero, per sciogliere quell'iceberg di spine che cela a tutti per
sentirsi più forte: il suo cuore.
D'altronde, cosa gli aveva messo in testa che avrebbe potuto decidere
per lui la sua vita?! Dov'era finito il mai fuori moda “l'importante
è vederlo contento”, le promesse che si era fatto tempo fa, quando
avrebbe preferito prendersi a coltellate, piuttosto che rendere
infelice il suo bambino?!
Steve osservò il respiro altrui farsi calmo, regolare come un oceano
piatto. Missione compiuta. Sono così bravo che stavolta l'ho
spuntata da solo!
-Beh, forse sono stato un tantino impulsivo...
Replicò la star.
“Forse?! Un tantino?!” Pensò il biondo, con le pupille limpide
di soddisfazione. Rispose con una perplessa alzata di sopracciglio.
Dopotutto, i suoi “forse” sono una quasi ammissione di colpa.
Cercò di dimenticare la burrasca appena passata dirigendosi verso il
frigo. Molko lo fermò con una pacca sulla spalla e piegò gli angoli
delle labbra in un sorriso. Ora ne aveva la certezza: “posso
fidarmi di Steve”, ma quei pensieri non presero mai forma di
parole.
Proprio in quel momento fece ritorno quel fantasma di Stef, seguito
da una sagoma incerta, una massa di vermicelli ispidi e bruni e due
occhi dispiaciuti, in cerca di conferme.
Brian si fece indecifrabile: fissò Stef quasi volesse entrargli
dentro l'anima e lui capì all'istante.
Col boss si doveva parlare la lingua di sguardi che parlano le donne;
molte cose le diceva solo così. Comunicarci senza guardarlo negli
occhi era come leggere un libro a metà.
Spinse Cody verso il padre che lo trascinò in una stanza
-Dobbiamo parlare.
Si chiusero alle spalle
L'adolescente tremava, intimorito dalle parole che solo un
padre/amico/eroe avrebbe potuto pronunciare distruggendo il suo
mondo. Del resto dei pareri non gli importava; a lui interessava
soltanto di quella dannatissima approvazione. Quegli immensi punti
azzurri puntati addosso, lo mettevano in soggezione.
Brian vide quel sé stesso così trasgressivo e bambino allo stesso
tempo. Un giovane uomo che sgomita per esistere. Aprì le braccia e
lo strinse, concluse con una pacca.
Prima di staccarsi gli sussurrò all'orecchio con quella voce calda e
metallica allo stesso tempo, roco e sensuale sibilo di vento, parole
che il ragazzo non avrebbe mai dimenticato.
-Scusa, ho sbagliato. Sono fiero di te, qualsiasi cosa vorrai fare.
Persino le mura avrebbero voluto parlare, rendere pubblico quel
segreto. Ma Cody non disse mai nulla: non avrebbe mai confessato che
il suo papà così testardo, così ribelle, così trasgressivo, così
stralunato, così prima donna, aveva ammesso di aver sbagliato.
Che l'uno era l'eroe dell'altro, era una rivelazione che entrambi si
sarebbero sempre tenuti per loro.
-Ce l'hai fatta eh?! Sapevo che ce l'avresti fatta, Cody conta su di
te.
Disse Stef beffardo, mollando un occhiolino all'amico.
Steve
non aggiunse altro, se non uno dei suoi soliti sorrisi carichi di
enfasi. Sapeva che non era necessario ringraziarlo per avergli dato
modo di risolvere le cose. Era da tempo che doveva far capire la
verità a Brian, senza intermediari.
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Peeping Tom, come avrete capito, è una canzone dei Placebo. Per essere più precisi, si trova nel loro terzo album: Black Market Music. Sapevate che l'ingranaggio sulla copertina del cd è quello di un carillon?! Quando l'ho saputo mi sono strutta dall'emozione.
Li ringrazio per questo brano stupendo e per il modo in cui mi fanno volare. Quando scrivo di loro lo faccio sempre col cuore.