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Autore: FabTaurus    14/08/2013    2 recensioni
Rovine. Vestigia decadenti di ere ormai passate. Luoghi disabitati per eccellenza, preda solo di insetti ed intemperie. E se invece non ci fosse nulla di vero? se invece quelle che sembrano vecchie rovine fossero antiche dimore di essereri misteriosi?
Genere: Dark, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono selvaggia come un lupo, agile come un daino, potente come un orso. 
È per questo che mi temono. 
Potrei ucciderli tutti se volessi, spezzarli come fuscelli, spazzarli via come paglia secca. 
Tuttavia non voglio. Sono pur sempre esseri viventi, li osservo e li custodisco da generazioni. Gente che nasce, cresce, si unisce a creare nuova vita. Sono anche loro parte della valle. 
Molti di loro li ho visti nascere, ci ho giocato quando erano bambini. Le loro menti ancora immacolate erano capaci di accettarmi, si fidavano, mi rispettavano. Ora tutti questi fanciulli invecchiati sono davanti a me con i cani e le armi in pugno. Armi che non sono più spade e lance fatte di rami ma vere lame di bronzo e ferro. 
Sono venuti per spaventarmi, scacciarmi, forse uccidermi.
Tutto architettato dello stregone nero che continua a vomitare la sua cantilena d'odio, tessendo trame d'inganni e menzogne d'innanzi hai loro occhi. Le sue movenze, il suo carisma, l'abilità nell'insinuarsi nelle menti di quei poveri popolani è davvero notevole. Per quanto privo di qualsiasi Arte, la sua volontà e la sua violenza lo rendono in grado di inserirsi nella strutture stesse della realtà. È capace di prosciugare e asservire le menti di tutta questa gente, nutrendosi della loro paura fino a evolversi in qualcosa di superiore.
Per un attimo credo sia pure riuscito a scorgermi.
Ne sono rimasta sconvolta.
Il suo potere è davvero affascinante. Anche adesso, mentre tutto il suo essere si concentra in una massa sibilante di pensieri terribili, li tiene in pugno. Distorce la verità a suo vantaggio così tanto da intromettersi quasi nella realtà. Anima le ombre, plasma i vapori.
Sento che qualcosa mi sta sfuggendo e non è affatto piacevole. Gli uomini nel frattempo si sono fermati. Sono in attesa. 
Tre figure si stanno muovendo, spingono qualcosa. Sono diretti al centro della Collina
 
Padre Goetierre si volse verso il carro, il braccio proteso, l'indice accusatore.
-Una di queste demoniache creature si annidava proprio fra di noi.- 
Gli investigatori dell'eresia salirono sul carro. Si sentirono catene tintinnare, e gemiti. Poi i tre uomini trascinarono una figura giù a forza, gettandola al suolo. 
Chiunque fosse, qualsiasi cosa fosse, non emise un suono, non fece un altro movimento. Giacque al suolo, ferma.
I frati ritornano sul carro, scaricando al suolo altre due creature come se fossero qualcosa di disgustoso. Erano figure piccole, davvero molto piccole. Poi ridiscesero, ognuno carico di fasci di legna, che cominciarono a deporre ai piedi dell'immensa roccia al centro del colle.  
 
Esattamente al centro della collina, tra l'erba e i vecchi mozziconi di mura, sorge una strana formazione di pietra. Stele rocciosa conficcata al suolo, mastodontica lama di granito diretta verso il cuore del mondo. 
È il motivo per cui io la Fortezza si erge su questo colle. 
Ghes'on Rhaal la chiavano i Sidhee. Roccia dei Mondi.
Ma non è l'unico nome con il quale è conosciuta: presso gli antichi uomini era Men'er-Tegëc'h, la Roccia dei Re , e perfino oggi ha un nome, Menhir d'Er Grah la chiamano, Pietra della Fata. 
Ghes'on Rhaal. Men'er-Tegëc'h. Menhir d'Er Grah. Molti descrizioni, infiniti appellativi. 
In realtà solo miseri tentativi di comprendere una struttura che è oltre la ragione. Una struttura che il cui nome è il sussurro della pietra e l'urlo di un albero, il cui suono è come il lamento delle stelle solitarie. Impronunciabile e incomprensibile per qualsiasi essere vivente. 
Io stessa che sono superiore a tutti i viventi riesco con fatica a delinearne la parvenza, mentre il suo significato intrinseco rimane comunque oscuro anche per me.
Dall'alto dei suoi sessanta piedi, il monolite domina tutta la valle e oltre, fino alle montagne. 
È lì da sempre. 
Il popolo perduto dei Sidhee credeva fosse il punto di giunzione fra diversi Piani. Credeva che le anime vi transitassero attraverso per giungere agli infiniti mondi-oltre.
Quello che io credo è che questo silenzioso guardiano sia una delle ossa della terra, una zanna rocciosa che osserva e scruta silente la valle. Al suo interno si agita certamente una qualche forma di potere, un potere a cui sono indissolubilmente legata.
Ghes'on Rhaal è  l'origine e il termine della magia in questa valle. Io, che sono un emanazione di quello stesso potere, lo so, lo percepisco. 
Ghes'on Rhaal. Men'er-Tegëc'h. Menhir d'Er Grah. Tante definizioni, numerose interpretazioni.
Una cosa mi turba. Non riesco a capire cosa vogliono fare ora questi miseri umani. 
Dopo aver scarnificato la superficie della collina per cercarmi, quali ulteriori azioni hanno in mente? Non permetterò loro di dissacrare ulteriormente questa mia terra di cui sono l'ultima custode. Non so quanto delle nostre storie e leggende corrisponda a verità o quanto sia un alterazione fantasiosa.
Non so quale sia il potere reale del Ghes'on Rhaal tuttavia non voglio quegli stupidi umani si avvicinino.
È pur sempre la Roccia Sacra del mio Popolo.
 
- Lei e i suoi mostruosi figli evocavano il diavolo in questi luoghi. Vedete quella pietra? È l'altare sacro hai Servi dell'Innominabile! Pietra della Fata la chiamate voi, Pietra delle Streghe la rinomino io! - Padre Goetierre sputò tre volte in direzione delle figure accasciate al suolo, il  volto contratto in un ringhio feroce. 
- Quivi imparavano malvagità senza pari, stregonerie che poi diffondevano in tutto il villaggio. Loro causarono la moria di bestiame lo scorso autunno, lei disseccò i pozzi due estati fa e furono i suoi figli che sputando sui vostri raccolti li distrussero, quest'anno.-
La folla cominciò a urlare e a imprecare.
- Karina! - tornò a sibilare Padre Goetierre. - la strega di Radura Dei Corvi e i suoi figli, progenie del demonio!-
Qualche voce si alzò fra la folla.
- È  vero! Quando io la chiamai per curare i miei vitelli, in tre giorni dovetti seppellirli tutti! È malvagia, è una strega!-
- Sì, anche io. Stavo giusto attingendo acqua dal pozzo, quando lei passando mi sorrise. La sera stessa di acqua non ve n'era più! Maledetta lei e la sua progenie!-
Nell'oscurità oltre le torce, ci fu un altro movimento. Occhi gialli, fessurati come quelli di un gatto ammiccarono.  Nessuno lo notò. 
- Il Demonio ha cercato d'ingannare il popolo di Dio servendosi della vostra compiacenza verso l'eresia. Pentitevi, peccatori! E pregate, ringraziando il Signore che vi ha protetti! - il prete fece una pausa voltandosi verso la sagoma al suolo – per vostra fortuna però nessuno ingannare l'occhio di Dio. E Dio ha visto! Ha visto Karina praticare la magia nera. Ella indugia in amplessi immondi con i diavoli. Parla con i morti, corrompe la fede e sparge pestilenze.- Padre Goetierre si volse nuovamente ai suoi fedeli – e ora voi vedrete la punizione riservata da Dio a questa Rinnegata!-
Contro il monolite, tre strutture di legno si ergevano verso l'alto. Pallide e scheletriche come dita affioranti dal suolo. Tre pali d'abete rozzamente piallati, circondati da fascine irrorate d'olio.
 
La schiava del demonio ha a mala pena una ventina d'anni e non ha conosciuto altro che la pace dei boschi e la violenza degli uomini. Nata in una famiglia di zingari, Karina trascorre i primi sette anni di vita vagando di città in città. Ragazzina silenziosa quando ci sono altri bambini, Karina possiede dalla fervida immaginazione. Non è raro infatti vederla chiacchierare da sola, gesticolando a presenze immaginarie. All'età di otto anni nell'attraversare una zona boscosa piuttosto impervia, la loro carovana viene assalita da una banda di banditi che uccide molti degli uomini e rapisce varie donne. Suo padre muore combattendo, così come molti suoi zii e cugini. Sua madre e molte delle sue sorelle e cugine spariscono per sempre nella foresta. Gli unici a sopravvivere all'agguato sono lei che si era nascosta in un baule di biancheria e Nazzar, uno strano ragazzo muto e storpio, suo lontano cugino. 
È grazie a lui che sopravvivono per vari anni, vagando per le foreste. Nazzar conosce infatti l'arte delle erbe: sa riconoscere le piante che si possono mangiare, sa trovare e mescolare le erbe sia per curare che per uccidere, e insegna tutto questo alla ragazza. I questi anni Karina cresce, si sviluppa, diventa una giovane donna. Vivono fra la foresta e i villaggi limitrofi, offendo cure pozioni unguenti. 
Non è bella Karina, ma qualcosa nel suo aspetto selvatico la rende affascinante come una lince. Un giorno Nazzar cerca di prendere Karina con la forza. La ragazza dapprima non capisce, poi cerca di svincolarsi, urla, lo graffia, infine si abbandona a lui come morta, l'anima assente. È in quel momento che tutte le visione che l'accompagnavano da bambina si concretizzano. Sente una presenza amica nella foresta, le chiede aiuto. 
Quando l'anima ritorna nello scrigno di carne ormai violato, Karina si accorge di non essere più prigioniera di suo cugino, lo cerca, lo trova. Il viso che mai è stato dai tratti gentili è ridotto ad una maschera di sangue, ma gli occhi ancora vigili sono sbarrati dal dolore e sono fissi nei suoi. Un enorme lupo bianco si sta cibando delle sue viscere. La ragazza non riesce a fare altro che fissare la scena, il cuore indurito e disseccato. Non prova nemmeno paura. 
Dopo un tempo che a Karina pare infinito gli occhi di Nazzar sono ormai vacui, e il lupo solleva il muso. Fissa la ragazza. Poi fa una cosa strana, fa come un cenno con la testa. La abbassa fino al suolo e la rialza. Riporta lo sguardo sulla ragazza e poi scompare. Karina si sente come accarezzare il viso, e ode una strana cantilena trasportata dal vento. 
È il suo primo incontro da adulta con la Fata Blu. Il primo di molti. 
Stringono una strana amicizia la Fata e Karina. Ogni volta che la ragazza ha bisogno, la Fata trova il modo di aiutarla. È grazie al suo intervento che non muore di parto quando partorisce il figlio che Nazzar le ha piantato nel ventre. Un figlio brutto e storpio come il padre con  una grossa gobba a deformargli la schiena e un cranio asimmetrico. 
Allo stesso modo Karina ricambia i favori della Fata, offrendole la sua fede, diventandone un emissaria, una sacerdotessa. A diciassette anni Karina, mentre è alla ricerca di erbe particolari per curare una bambina di un villaggio, viene assalita da un gruppo di tre boscaioli che la rapiscono. Per tre giorni la seviziano, tre giorni d'orrore, in cui lei non smette mai di implorare in un aiuto della Fata. Il terzo giorno la Fata arriva. Non si manifesta come tutte le altre volte sotto forma animale o spirituale. È davvero lei, bellissima e terribile. 
La rabbia della fata è oltre ogni limite, quegli uomini hanno osato profanare la sua sacerdotessa. Il primo muore sventrato, dal naso al pube le unghie della Fata che lo aprono come burro. Al secondo invece la testa viene letteralmente strappata dal corpo, muscoli tendini e ossa che schioccano in modo orribile. Il terzo tenta la fuga. Non fa nemmeno tre passi, la Fata gli compare d'innanzi. Paralizzato scivola a terra, piangendo. Implacabile lei gli dilania la cassa toracica, e gli cava fuori il cuore con le mani. Poi raccoglie fra le su braccia il corpo esanime di Karina e lo porta nella sua Fortezza. Non quella di ruderi. 
Karina è la prima umana dopo secoli ad entrare nel reame della Fata Blu.
 
Uno degli investigatori dell'eresia strattonò un tratto di fune. La figura che un tempo era stata Karina  non si mosse. Il frate tirò e tirò ancora senza ottenere nulla. Giunse pure un secondo frate che cominciò a fustigarla con la verga con cui aveva precedentemente sferzato il mulo. Nessun movimento, nessun gemito. 
Un lampo squarciò il cielo, illuminando con la sua luce cruda tutto il mondo.
Senza proferire parola, il terzo frate afferrò entrambi  bambini che giaceva al suolo e cominciò a trascinarli in direzione della catasta di fascine. I piccoli corpicini lasciarono dietro di se solo un lieve solco nel terreno.  
Solo a quel punto Karina sembrò svegliarsi dal suo stato catatonico, si trascinò in piedi  le braccia protese verso i suoi figli. Indossava una tunica lercia, incrostata di sangue, intrisa di fluidi corporei. Le mani legate erano gonfie a causa della stretta delle corde, e le dita, contorte, spezzate dai morsetti degli inquisitori. Karina, la strega, sollevò lentamente il volto verso il cielo nero. La sua parve quasi una sfida. Era esistita umanità in quel volto. Lineamenti affilati, labbra gentili, occhi intelligenti, attaccatura dei capelli bruni a punta di lancia. Una strana bellezza che il lavoro di Dio aveva ridotto a uno scempio grottesco. Cranio rasato a zero, naso fratturato, occhio destro tumefatto, labbra spaccate, denti polverizzati.
 
O Karina, figlia mia, cosa ti hanno fatto.. 

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**LASCIARE UNA RECENSIONE dovrebbe
essere un DOVERE di ogni LETTORE**
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