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Autore: Phantom13    20/08/2013    6 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Salve a tutti! Phantom13 è tornata e prima del previsto,
anche grazie ai numerosi e immensamente incoraggianti commentti ^.^ con un pubblico come voi, aggiornare è un piacere e lo stimolo per farlo il più in fretta possibile c'è eccome:) sinceramente, non credevo di riuscire a farlo così presto (e lo sto facendo con il mio gatto in braccio, non vi dico la difficoltà per scrivere questa semplice nota usando una mano sola -.-') quindi vi devo proprio ringraziare di cuore per il sostegno <3
spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento ^.^ (questa volta, credo proprio di aver inventato di sana pianta una o due cosucce, non sapendo bene come funzionavano. Mi perdonate, vero?)

Enjoy!

 


Capitolo 2
-Contrattacco-




Shadow sospirò, osservando distrattamente i lampioni illuminati sulle strade di città ancora deserte, diverse decine di metri più sotto. Seduto sul parapetto dell’attico di un palazzo di centro città, con una gamba a penzoloni nel vertiginoso baratro che lo separava da terra, guardava ora le sporadiche auto che passavano in strada, ora le stelle che allo stesso modo infestavano il cielo, senza prestare troppa attenzione a nessuno dei due.
Era lì già da un bel po’ e non sapeva neanche perché. Vista la sua situazione, starsene tranquillamente appostato in città non sembrava una grande idea. Ma chiunque fossero i suoi persecutori, ora come ora non avevano speranza di metterlo in guai seri, mal che fosse andata avrebbe fatto saltare un qualche robot. Non aveva dunque un valido motivo per cambiare le proprie abitudini, se i rischi erano così scarsi.
Guardare il cielo gli era sempre piaciuto. Anche se ultimamente aveva assunto un significato un po’ diverso rispetto a prima. Sospirò di nuovo. Già, molto diverso. E non in senso negativo. Se possibile, forse, stava cominciando a trovare un suo equilibrio, per quanto riguardava Maria e tutta la faccenda dell’ARK. Purtroppo, stava accadendo nel momento sbagliato.
Un gruppo di giovani uscì da una discoteca, barcollando e ridendo sguaiatamente. Tre ragazzi con altrettante compagne  terrestri e due mobiani, uno lupo e l’altro tasso. Il riccio nero seguì con lo sguardo la loro rotta oscillante.
Aveva davvero troppi pensieri che gli vorticavano in testa senza che però riuscisse a concentrarsi su nessuno in particolare. Era frustrante. L’aria fresca della notte aiutava, a volte. Ma quel giorno pareva aver fatto un’eccezione. Sbuffò di nuovo, cambiando posizione.
Sì, avrebbe avuto tutte le ragioni per preoccuparsi ma paradossalmente negli ultimi tempi non si era mai sentito così calmo, così svuotato come in quel momento. Insomma, qualcuno di non identificato gli stava dando la caccia sfoderando una quantità non indifferente di robot di basso livello e qualcun altro sempre ignoto aveva cominciato a svaligiare banche a nome suo. Non era una bella situazione sebbene fosse sostenibile. Per ora. Aveva come il presentimento che quello era solo l’inizio, che non avrebbe potuto ancora per molto uscire illeso da quegli scontri con i robot, che tra l’altro diventavano pian piano sempre più resistenti.
Strinse i denti.
E lui ancora non aveva la più pallida idea di chi potesse essere il suo persecutore. O i suoi persecutori. I robot, di norma dovrebbero avere uno stemma di riconoscimento, da qualche parte, ma non quelli: erano anonimi.
Un sacco di ipotesi e nessuna certezza, come sempre. Aveva un paio di idee sul perché stesse succedendo tutto ciò proprio a lui, ma con Rouge non ne aveva ancora fatto parola. Chiuse gli occhi. Una di quelle idee in particolare gli era rimasta fissa nel cervello più delle altre, e la cosa lo spaventava parecchio. Sperava di sbagliarsi, e non gli andava di mettere in agitazione la sua collega.
Tornò a guardare il cielo, la luna. Da quelle parti, attorno al campo gravitazionale terrestre, nelle vicinanze del suo satellite naturale, una certa stazione spaziale galleggiava solitaria nel vuoto, racchiudendo ancora in sé il suo globo di segreti. 
Le stelle già stavano sbiadendo, mentre la notte cominciava a morire.
 
Shell, in un qualche modo tutt’ora a lei ignoto, trovò la forza di tirarsi fuori da sotto le coperte. Con tutte le penne arruffate, scoccò un’amara occhiata al suo futuro consorte prima di alzarsi definitivamente. Si passò una mano sulla fronte, togliendo di mezzo la frangia che, come ogni frangia che si rispetti, le cascava esattamente in un occhio. La sua immagine riflessa allo specchio per poco non le fece venire un infarto: era proprio uno straccio vivente. Anzi, uno scopettone anti-polvere, vista la quantità di piume che sbucavano dappertutto in ogni direzione. Si fece la linguaccia da sola prima di dirigersi all’armadio alla ricerca di vestiti.
Avere le ali poteva rivelarsi un problema non da poco per quanto riguardava l’abbigliamento. Stesso discorso valeva per aculei, code, squame, corna, creste, pinne e quant’altro. Per lei, la faccenda si risolveva con capi d’abbigliamento che lasciavano libere schiena e spalle, essendo le ali attaccate alle braccia, con lacci e affrancature quindi che includevano solo il collo e la vita. Per quanto riguardava la coda, beh, forbici alla mano e si modificavano le forme dei calzoni. Su Mobius c’erano tutte gamme d’abiti adatte ad ogni genere di specie e razza diversa, molti negozi fornivano vestiti su misura. Ma sulla Terra ci si doveva arrangiare, non essendo gli stilisti locali ancora preparati alle molteplici forme dei loro piccoli amici mobiani.
E venne il turno della toeletta. Lavoro titanico quello di riorganizzare ogni singola piuma rimettendola al suo posto preciso. Ma fu un’operazione sommato tutto piacevole: tutti gli uccelli amano prendersi cura delle proprie penne e il fatto che per riuscire a terminare e presentarsi puntuali al lavoro occorresse alzarsi all’alba, insieme al sole, non era un problema. Tutto incluso nel DNA dei volatili.
Ingoiò due sardine secche come colazione, si lavò la faccia e, con l’umore infilzato sotto ai tacchi, uscì di casa con un silente saluto all’aquila ancora addormentata. Sebbene fosse ufficialmente licenziata, aveva diritto ancora ad un mese di lavoro, quindi, oltre il danno anche la beffa.
La solita cacofonia di clacson, rombi di motore e chiasso pedonale la schiaffeggiarono appena mise piede fuor di casa. Aveva utilizzato le scale, quel giorno, evitando di prendere la finestra come d’abitudine e volar direttamente al lavoro. Abitare al quarantatreesimo piano era una rottura, ma le ali risolvevano tutto. Non quel giorno però. Si sentiva il cuore tanto pesante che era convinta che si sarebbe schiantata al suolo semmai avesse tentato di volare. Librarsi in aria con quel malumore? Assolutamente no. Meglio affrontare il caotico traffico terrestre, invece che le intossicate vie aeree cittadine, e confondersi con il grigiore generale.
I mezzi di trasporto avevano subito una metamorfosi radicale da quando gli ingegneri umani avevano fatto comunella con quelli mobiani. Niente più benzina nei motori, niente più inquinamento, anche se il tasso di anidride carbonica era comunque troppo elevato. Overcraft e overbord stavano invadendo sempre più le strade dei terrestri, mentre le auto sfrecciavano senza più nuvole di gas tossici alle spalle.
Non che ciò cambiasse di molto le cose: anche se migliorate parecchio, le città umane avevano ancora un tanfo non indifferente.
Strascicando i piedi, salì su per i gradini che troneggiavano alla base del palazzo che era la residenza del MT News. Prese l’ascensore e raggiunse il piano desiderato.
Le occhiate dei colleghi equivalevano a pugnalate. I loro sguardi tristi e affranti, gli stessi della giornata prima. Shell si costrinse a tenere la testa alta, raggiungendo la sua scrivania. Nut le rivolse un timido saluto con la mano. Lei ricambiò con lo stesso sconforto.
 
Knuckles si lasciò cadere pesantemente sul divano di casa Prower, ormai promossa ufficialmente a base operativa. Il muso imbronciato dell’echidna lasciava chiaramente presagire tempesta. Con un sorriso tirato, Amy depose sul piccolo tavolo al centro della stanza un piatto di biscotti alle uvette, Tails entrò in quel momento. –Sonic?- chiese il volpino, avvicinandosi a loro. Amy fece spallucce, mentre i denti di Knuckles scintillavano maligni.
-Oltre a farmi venire fin qui, quel puntaspilli vagante osa pure arrivare in ritardo.- ringhiò il guardiano di Angel Island. –Se uno ha il dono della super-velocità non dovrebbe aver problemi ad arrivare puntuale almeno un volta, no?-
Amy ridacchiò nervosamente. –Qui non si tratta di super-velocità, ma di Sonic. La velocità non può farci nulla se il suo detentore è un dormiglione.-
Knuckles fece per ribattere quando la porta d’entrata si spalancò di botto e con il solito turbine d’aria il riccio blu in questione fece il suo trionfale ingresso.
-Ehilà!- salutò, raggiante.
-Alla buon ora!- ricambiò l’echidna, mostrandogli le zanne.
-Ciao anche a te.- borbottò in risposta Sonic.
-“Ciao” un accidente! Hai una vaga idea di che ore sono?!- sbraitò Knuckles schizzando in piedi.
-Ho perso l’orologio strada facendo.-
-Sono le dieci e mezza! Le dieci e mezza! E tu mi hai fatto venire qui per le nove del mattino!-
-Ah, sì?- Sonic si grattò pigramente un orecchio.
Le nocche dell’echidna crocchiarono le une contro le altre proprio quando il volpino a due code intervenne prontamente, evitando il disastro e i conseguenti danni che avrebbero devastato la sua casetta.
-Ehm, calma ragazzi. Non c’è motivo di azzuffarsi (e se proprio non potete farne a meno, per lo meno combattete fuori). Non ci siamo ritrovati qui per giocare.-
-Dillo a questo buffone che neanche arriva puntuale!- ringhiò Knuckles additando inferocito Sonic, che in tutta risposta fece spallucce.
Amy rivolse gli occhi al cielo, esasperata. Possibile che l’unico con la testa sulle spalle, oltre a lei, fosse il più giovane del gruppo?
Il martello piko-piko le si materializzò in mano, ad un nulla dal naso di Knuckles. –Un’altra parola.- disse con tono tenebroso di minaccia. –E vi sfracello tutti e due contro un muro. Chiaro?!-
Con il tocco femminile della dolce Amy, tutti finalmente si accomodarono in silenzio nel salotto di casa Prower. L’imbarazzante momento in cui qualcuno avrebbe dovuto cominciare a parlare venne sorprendentemente sciolto dallo stesso Sonic, e non da Tails come accadeva solitamente.
-Ragazzi- esordì –abbiamo un bel problema da risolvere, questa volta.-
-Non l’avrei mai detto.- borbottò tra i denti Knuckles che ricevette in risposta un pronto calcio di Amy su una rotula, cosa che zittì una volta per tutte l’echidna.
-Un problema che riguarda il nostro Shadow.- continuò il riccio blu. –Ed è una faccenda piuttosto seria. Eggman per una volta non c’entra, o almeno credo.-
Sonic passò a spiegare brevemente gli ultimi avvenimenti che avevano reso necessario quell'incontro. Ora Knuckles, il vero destinatario del riassunto in corso siccome Amy e Tails già sapevano tutto, era in ascolto, concentrato sulle parole di Sonic. –Quindi- disse piano. –Tu mi stai dicendo che qualcuno si sta spacciando per Shadow, è così?-
-Questo è ciò che abbiamo pensato noi. Qualcuno imita faker.-
-E lui dov’è?-
Tail fece spallucce. –E chi lo sa? Se Shadow non si vuole far trovare, non lo si trova. Punto.-
-Avete già un piano?- chiese ancora l’echidna.
-No.- rispose schiettamente Amy.
-E io allora a che vi servo?- domandò ancora Knuckles, spazientito. L’ultima cosa che voleva era lasciar incustodito lo Smeraldo Gigante ben sapendo che certe ladre alate potevano tranquillamente andare a fargli visita mentre lui non c’era. E tutto ciò per un problema che riguardava Shadow, e non loro.
-Ad aiutarci a trovare l’impostore, ovviamente.- ribattè Sonic.
Knuckles si impose di non recar danno fisico al riccio. –E che vi fa pensare che io abbia tempo a sufficienza per dar la caccia ad un qualcuno tanto abile da non esser ancora stato intercettato da colui che sta imitando (e stiamo parlando di Shadow, non del primo scemo che passa)?-
-Ma come?- esclamò Amy, stupita. –Non ci vuoi aiutare?-
-Io vi ho sempre aiutato.- disse l’echidna con tono solenne. -Non vedo un motivo per fare un’eccezione oggi. Ma l’idea di lasciar da solo lo smeraldo …-
-Non ti preoccupare per questo.- disse piano Tails. –Ho la quasi certezza che Rouge ora sia con Shadow.-
-Quasi certezza, appunto.-
-E allora che fai, Knuck? Non dai una mano al mio faker?- disse Sonic, incrociando le gambe e guardando fisso l’echidna rosso.
Knuckles sospirò. –Quel tipo non mi piace, non mi è mai piaciuto e mai mi piacerà. Ma lo aiuto comunque.-
Espressioni di sollievo modellarono i volti di tutti.
-Dovete dirmi però da che parte avevate in mente di cominciare.- disse l’echidna.
Gli occhi di tutti si puntarono su Tails. –Beh- balbettò. –Potremmo, per esempio, dividerci in due gruppi. Uno cerca l’impostore, l’altro cerca Shadow.-
-Oh, due compiti sicuramente facilissimi.- commentò Knuckles. Poco dopo la sua fronte si aggrottò. –Ma quindi Shadow non sa che voi lo volete aiutare?- chiese tutto ad un tratto, preoccupato.
Gli altri scossero la testa. –No, non lo sa. Ecco perché riuscire a parlargli sarebbe un passo avanti.-
-E se lui non gradisse? Lo conoscete, sapete com’è fatto. Non è il tipo che accetta aiuto esterno (e credo che neanche gli serva, aiuto esterno), a meno che non sia con le spalle al muro.-
Sonic chiuse un attimo gli occhi. –Meglio aiutarlo prima che finisca effettivamente con le spalle al muro, no? Qui non stiamo parlando di due robot di Eggman che vanno a terra con un colpo. Ho il presentimento che è qualcosa di più grosso.-
Knuckles abbassò lo sguardo. –E come facciamo a trovare Shadow e la sua ombra? Di certo non passeggiando per il centro città sperando che un qualche riccio, nero e non, ci passi davanti per caso.-
 
Rouge finì di bere il caffè latte e gettò il bicchiere di plastica in un cassonetto giallo arrugginito. Attraverso gli occhiali da sole diede una rapida occhiata al maestoso edificio ornato da un scintillante colonnato che troneggiava su tutta la piazza. Central Bank, quella che Shadow avrebbe rapinato, a sentir la tv. Ancheggiando raggiunse la banca. La porta di vetro era piuttosto pesante, fatta a misura umana, non mobiana, ma lei riuscì comunque ad entrare. I suoi occhi osservatori non notarono né crepe né placche di vetro recentemente cambiate nelle finestre: tutte le vetrate riportavano i segni essiccati della pioggia avvenuta la serata scorsa.
All’interno tutto pareva normale. Si accigliò. Non sapeva esattamente come si organizzassero le banche in caso di furto (lei assaltava quasi esclusivamente musei con gioielli) ma si sarebbe aspettata magari un giorno o due di ferie per gli impiegati, o per lo meno un aumento delle guardie e della sicurezza, presenza di poliziotti, striscioni gialli per le indagini, giornalisti ovunque e una fila di gente che protestava per essersi ritrovata il conto svuotato. A parte le due guardie all’entrata e le ordinarie videocamere di sicurezza, tutto rientrava nella norma. Aggottò la fronte. Quella era davvero una banca che aveva appena subito una rapina da un violento criminale?
Osservò le signorine agli sportelli. Tutte sorridenti e allegre, che salutavano i clienti.
Qualcosa non quadrava.
Raggiunse un bancomat, prelevò un paio di banconote giusto per giustificare la sua presenza lì ed uscì.
Camminava in fretta, ora. Voleva assolutamente parlare con Shadow.
Nessuna rapina era avvenuta in quella banca, almeno non apparentemente. E se ciò si fosse rivelato esatto, non c’era allora nessun impostore a cui dare la caccia. Ma no, che andava a pensare! Certo che c’era stata, la rapina. Come poteva essere altrimenti? Magari semplicemente il riccio impostore era un tipo tranquillo, uno che per svaligiare una banca non la demoliva da cima a fondo, come invece avrebbe probabilmente fatto Shadow.
Eppure il suo istinto non si placava. Decise di andare fino in fondo con il suo piano originale: andare a controllare i nastri di quelle telecamere. Se i notiziari e i giornali avevano messo in giro informazioni fasulle, di certo le registrazioni video della banca avrebbero dovuto riportare la verità.
Svoltò a sinistra, in una strada laterale che ripiegava alle spalle dell’edificio. Forse non avrebbe trovato nulla, ma valeva la pena tentare. Del resto, quali altre piste potevano seguire? Chiunque ce l’avesse con Shadow, riccio impostore o organizzazioni più grandi, sapeva il fatto suo per quanto riguardava la cancellazione delle proprie tracce.
Il sole ormai era alto, quasi allo zenit. Mezzogiorno.
 
Shell si appoggiò allo schienale della sedia, con lo stomaco pieno. Il piatto di spaghetti al sugo aveva fatto il suo lavoro, poco ma sicuro. Un buon pasto aveva il potere di scacciare, almeno per un po’, i tormenti della giornata.
Osservò i suoi commensali. Nut the Ferret, Joy the Cockatoo e Rosie the Panda. Ridevano a crepapelle dopo una delle solite barzellette di Joy. Sorrise anche lei, ma con un velo di tristezza. Quelle erano le ultime battute del cacatua che aveva l’onore di sentire. Tre settimane e mezzo e tutti loro sarebbero usciti dalla sua vita. Certo, nulla le vietava di mantenere i contatti ma la faccenda era diversa. Il cuore le divenne più pesante tutto di colpo.
Il cameriere portò loro infine il dessert: tre boccali stracolmi di gelato innaffiato di cioccolato fondente, con tanto di ombrellini colorati.
I tre colleghi si scambiarono un’occhiata complice, che Shell non notò assolutamente. Afferrarono ognuno la propria coppa gelato e, alzandole in alto, esclamarono. –Brindisi a Shell!-
Lei cadde dalle nuvole, guardandoli stranita. –Che?- disse, mentre un angolino del suo cervello cercava di capire da quando i brindisi si facevano con il gelato.
-Festeggiamo te.- sussurrò Rosie, con la sua vocina abituale tremante.
-Già.- sorrise Nut, mostrandole i suoi trentadue denti aguzzi. –Sarai sempre la nostra preferita.-
-E- aggiunse Joy, con tono eloquente drizzando il ciuffo di piume che gli adornavano il capo. –Ti giuriamo solennemente che renderemo la vita della pantegana che ti ha soffiato il posto un vero inferno, parola di cacatua! Da questo momento e per sempre! Fino a quando non la rinchiuderanno in manicomio!-
Shell li guardò uno ad uno, con occhi sgranati. –Ragazzi…- riuscì a dire.
-In cambio vogliamo solo una cosa.- sorrise Rosie. –Devi smetterla di tenere il broncio. Noi ti vendicheremo, ma tu devi andartene a testa alta, d’accordo?-
Le lacrime le pizzicarono gli occhi. –Vi voglio bene, amici!- sbottò, scoppiando definitivamente a piangere.
Joy le fece l’occhiolino. –Ci mancherai. Ma ci terremo occupati in vari modi, vedrai: ci hai fornito un nuovo hobby, andandotene, sebbene sia un hobby un po’sadico. E quella roditrice sarà di scrivania vicina a Nut. Puoi immaginare come la conceremo.-
-Ben detto!- esclamò il furetto in questione.
-A Shell!- propose il cacatua.
-A Shell!- risposero gli altri, lanciandosi all’arrembaggio delle coppe gelato che ebbero miseramente la peggio.
Rimpinzati come non mai, con gli stomaci gonfi e soddisfatti, si concessero un po’ di riposto digestivo. Avevano ancora mezz’ora prima di dover tornare in ufficio. L’idea di inerpicarsi in cima al palazzo con quella zavorra nella pancia non era molto gradita.
Shell era felice, commossa come forse non lo era mai stata prima d’ora. Aveva degli amici stupendi, che le avevano promesso di combattere l’usurpatrice con puntine sulla sedia, gomme da masticare nei capelli, documenti sfasati, impaginazioni sbagliate, articoli sconclusionati, inchiostri burloni, stilografiche giocherellone e qualunque altro stratagemma che i loro ingegnosi cervelli sarebbero riusciti ad escogitare.
Sorridendo nell’anima, la gabbiana si ritrovò ad osservare distrattamente i passanti.
La maggior parte erano umani, ma c’erano anche dei mobiani che rallegravano con i loro colori le grigie strade urbane. Un cervo verdognolo, un leopardo azzurro, una scoiattola color oro, una farfalla arcobaleno, un camaleonte viola affiancato da un ape e da un mastodontico coccodrillo, una comitiva di tre cavalli sghignazzanti dal colore bluastro. Vide anche un’ancheggiante pipistrella bianca che camminava a passo spedito, allontanandosi rapidamente dalla piazza. Il suo passo flessuoso la rendeva piuttosto attraente, senza contare i fianchi e le sinuose curve del suo corpo. Chissà se la pantegana che le aveva fregato il posto fosse anche lei sexy a quel modo.
 
LUOGO SCONOSCIUTO – A QUELLA STESSA ORA
Un uomo in camice bianco finì di scrivere qualche annotazione sul suo taccuino. Diede un ultima occhiata alla bestia sotto osservazione che stava racchiusa nella capsula di vetro infrangibile proprio davanti a lui. Quella ricambiò lo sguardo, mostrandogli la doppia fila di denti taglienti come lame. Non fu difficile per lui sentire il ringhio che le risalì su per la gola. Per un attimo, l’uomo rimase ipnotizzato da quegli occhi verde-neon dalla pupilla verticale che lo stavano fissando. Scosse la testa, annotò un qualche altro dato sulla carta e fece per cliccare il pulsante che avrebbe oscurato la capsula con le placche d’acciaio, utili per calmare la creatura e farla dormire. Quando la sua mano fu sopra il pannello di controllo, gli artigli foderati di metallo e lunghi un buon quaranta centimetri dell’esperimento D55 cozzarono contro il vetro. La creatura ruggì, questa vola a pieni polmoni, la voce lievemente deformata dal liquido nel quale era immersa. Lo scienziato schizzò indietro, stringendosi al petto il blocco di appunti, come se fosse stato uno scudo. La creatura attaccò ancora e ancora la capsula. Ora il vetro si stava intaccando seriamente, graffiato dagli artigli della belva che continuava a ruggire, spalancando quelle sue fauci infernali.
Lo scienziato, esitante, si decise a muoversi verso il pannello e chiudere la capsula ermeticamente prima che quella cosa riuscisse a liberarsi. Sarebbe stato impossibile rompere un vetro che resisteva pure ai razzi di un carro armato, pensava lui. Ma aveva fatto male i conti.
Arrivato abbastanza vicino, fece per premere il bottone ma la zampa della bestia sfondò il vetro. Uno dei suoi quattro artigli gli si conficcò nel braccio. Lo scienziato urlò, balzando indietro, sanguinando copiosamente. La pressione del liquido contenuto nella capsula fece il resto: il vetro cominciò a creparsi. La belva sorrise, prima di assestare un ultimo colpo alla capsula che si ruppe una volta per tutte. Una luce rossa cominciò a lampeggiare per la stanza mentre una voce meccanica diceva. –Emergenza. Emergenza. Esperimento il libertà. Esperimento in libertà.-
D55 e scienziato di fissarono. La creatura, tutta gocciolante del liquido contenuto nella capsula, sfoderò e zanne e con un ruggito si slanciò all’attacco, tranciando come burro la carne dello scienziato. Le urla straziate dell’uomo sature di dolore puro raggiunsero le videocamere di sorveglianza, il sangue colava sul pavimento di lastre bianche.
I due uomini dall’altro lato dello schermo, oltre le telecamere, premettero senza esitazione il pulsante verde che fece scattare le saracinesche, spesse un metro e trenta, di puro metallo e piombo, rinchiudendo definitivamente il loro collega con D55. Gli urli dell’uomo di trentacinque anni, loro compagno di lavoro, con una figlia piccola e una moglie che lo aspettava a casa cominciavano a diminuire d’intensità fino a scemare del tutto.
Una figura più imponente della altre gli raggiunse da dietro, osservando con occhi seri D55 che consumava il suo pasto, che ancora un poco si muoveva.
-Il gas, presto!- ordinò.
I due addetti agli schermi eseguirono. Le nubi velenose cominciarono ad invadere la stanza senza che D55 se ne accorgesse.
-Signore.- disse uno dei due, deglutendo. –perché non abbiamo utilizzato i laser istantanei, come le altre volte? O i collari ad esplosione?-
-Perché la pelle di D55 era troppo dura anche per quelli.- fu la risposta.
La creatura cominciò a tossire e ruggire, staccandosi finalmente dalla sua vittima. I tre che stavano osservando la scena si sentirono lo stomaco rivoltarsi. Uno vomitò perfino, gli altri si limitarono a diventare verdi e bianchi. D55, ansante, crollò a terra, con la bava alla bocca impiastrata di sangue. Tossì un ultima volta e non si mosse più.
Il capo se ne andò, a passi pesanti.
I due rimasti, spensero le telecamere, troppo nauseati per continuare a vedere.
-Ecco cosa ci si guadagna.- disse il primo. –Se si lavora su creature senzienti non si ottiene nulla perché sono troppo complesse e il loro cervello non funziona. Se le si crea senza coscienza sono delle belve che uccidono sempre. Non c’è via di mezzo!-
L’altro rimase un attimo in silenzio, prima di parlare. Recitò ciò che il capo rispondeva ad ogni loro domanda. –Se vogliamo ottenere la Perfezione, bisogna mettere in conto dei sacrifici.-
Il collega gli scoccò un’occhiata. –Già, la Perfezione. Ma siamo sicuri che sia una buona idea?-
Il secondo fece spallucce, poi azionò il citofono e disse. –Mandate qualcuno nel reparto 7E a ripulire.-
 
Shadow e Rouge guardavano in silenzio la schermata nera bombardata di macchioline bianche intermittenti del computer di Eggman sul quale stavano osservando i risultati dell’innocente furtarello della pipistrella.
-Te lo sai spiegare?- chiese lei, annullando il volume, infastidita dal ronzio di fondo.
Shadow non rispose subito. –Hanno tagliato il pezzo di video sull’orario della rapina.- ipotizzò.
-L’ho pensato anch’io, tesoro. Mi ci vorrà un pochino, però, per studiare meglio il nastro e controllare che sia stato effettivamente tagliato. Magari le telecamere sono state semplicemente distrutte, come avevano detto alla tv. Dovrò controllare attentamente.- disse Rouge, ricordando al contempo che in banca non aveva visto tecnici alle prese con telecamere guaste e per rifare un intero sistema di sicurezza ci voleva diverso tempo, impossibile dunque che avessero già finito i lavori prima che lei arrivasse. Conclusione: le telecamere erano rimaste integre.
-Mi metto subito al lavoro.- disse lei, estraendo dal lettore le registrazioni della banca.
Shadow piegò la testa di lato, guardando fisso davanti a sè, immerso nei propri pensieri.
–Non sarebbe male- cominciò Rouge. -riuscire a mettere le zampe sul filmato integro: troveremo il colpevole, forse.- borbottò lei.
-No.- la voce di Shadow aveva un che di perentorio. –Troviamo il padrone dei robot e troviamo chi ha manomesso le notizie sui giornali e alla televisione.-
La pipistrella aggrottò la fronte, alzando lo sguardo sul riccio. –Come lo sai?-
Gli occhi di Shadow divennero cupi come la notte. –Istinto.- Incrociò le braccia e non spiccicò più parola. Rouge drizzò la schiena. Lui le stava nascondendo qualcosa, era ovvio. Lui sapeva qualcosa, ma non voleva dirlo. Fare pressioni non avrebbe portato risultati, tanto valeva assecondarlo e lasciargli la sua privacy. Estorcergli informazioni, del resto, era scientificamente impossibile. Avrebbe condiviso i suoi pensieri quando l’avrebbe ritenuto opportuno. La pipistrella sospirò, scoccando una rapida occhiata al riccio nero. Le dispiaceva, però, quando Shadow faceva così. Lavorare come una vera squadra, di tanto in tanto, non le sarebbe dispiaciuto.
-E come facciamo a trovare il mittente dei robot?-
Gli occhi rossi di Shadow fissarono Rouge. –Semplice: basta seguirli.-
 
QUELLA STESSA NOTTE
-Te lo chiedo ancora: sicuro che sia una buona idea?- la voce impregnata di dubbi di Rouge riecheggiò appena, sul tetto di un palazzo in centro. Aumentò la stretta sulla radiolina che teneva in mano.
-Ovvio.- fu la risposta dall’altro ricevitore.
Rouge sospirò pesantemente. Quando si nasce con la sicurezza di sé infusa … -Senti, Shadow. Siamo qui già da un ora e nessuno si è ancora fatto vivo. E se non vengono?-
-Verranno.-
La pipistrella sbuffò. Ecco, come non detto.
Mentre lei se ne stava lì, appostata, a sfregarsi le mani intorpidite dall’aria fredda della notte, diverse decine di metri più giù, per le strade cittadine già immerse nelle ombre, correva Shadow, senza una meta precisa con l’unica idea di farsi trovare.
Le vie erano praticamente deserte e questo era un bene. Avevano scelto di agire di notte proprio per evitare che qualche innocente rimanesse coinvolto. Shadow correva, lasciando che l’aria gli scompigliasse gli aculei, l’unico suono era quello dei suoi pattini a reazione, oltre di tanto in tanto la voce di Rouge. Solitamente se la sarebbe goduta una corsetta notturna tra i palazzi, ora invece ogni minuto che passava la sua impazienza cresceva. Ma che fine avevano fatto? Lo perseguitavano da settimane e quando lui aveva voglia di menar le mani quelli sparivano? Che logica c’era?
Finì il pensiero ed il primo rottame di latta fece la sua comparsa. Sbucò di colpo da una strada laterale, con i lanciarazzi già puntati. Shadow sorrise, proprio mentre il robot faceva fuoco. Non gli ci volle chissà quale sforzo per evitare il primo missile, che finì per colpire solo asfalto, sgretolandolo e rivelando le tubature, a qualche piede di profondità. Ovviamente, il metallo del sistema idraulico non resse il colpo e una fontana d’acqua di sorprendente potenza si levò verso il cielo velato di stelle.
Al primo robot se ne aggiunsero altri due, sempre arnesi volanti armati di lanciarazzi. Shadow si prese un bel respiro profondo, rigirandosi il microcip in mano. A quale dei tre doveva attaccarlo, ora? Ovviamente, aveva solo l’imbarazzo della scelta, bastava ricordarsi su quale l’avrebbe piazzato.
Gli stessi macchinari intervennero, costringendo il riccio ad agire d’impulso. I primi due gli vennero incontro, con i cannoncini fusi alle braccia che sparavano a più non posso. Shadow balzò indietro, spostandosi più in giù lungo la via correndo e facendosi inseguire al contempo. Voltandosi di schiena e continuando a pattinare al rovescio, lanciò due Chaos Spear contro i robot, colpendoli uno al petto l’altro ad uno dei due reattori che gli permetteva di volare. Entrambi cascarono al suolo in un nugolo di fiamme e schegge metalliche. Dal fumo sbucò il terzo, rimasto indietro. Sparò due missili, ingaggiando battaglia.
Shadow evitò il primo con un Chaos Control, il secondo venne deviato con un calcio, mandandolo a deragliare contro la strada. Un’altra esplosione, frammenti di catrame e ghiaia volavano ovunque. Il giorno seguente, il traffico sarebbe stato piuttosto difficoltoso, pensò distrattamente il riccio, ora fermo, preparandosi ad attaccare di nuovo il robot, ormai vicino.
La cavalleria robotica arrivò con tempismo ottimale alle spalle del riccio. Shadow esultò mentalmente. Ecco l’occasione perfetta. Rapidamente, attaccò il robot solitario. Prese la rincorsa e gli fu addosso, con un sonoro pugno lo fece barcollare, pugno che servì anche a mettergli addosso il microcip in questione. Poi con uno Spin Dash dall’alto verso il basso lo fece schiantare al suolo, mentre il riccio andava ad occuparsi dei nuovi venuti “non accorgendosi” che il macinino ammaccato a terra era ancora funzionante. Si allontanò dal rottame, correndo a tutta velocità lungo la strada, facendosi seguire dal tutti i nuovi venuti e allontanandosi al contempo dal robot ammaccato con il microcip appiccicato. La battaglia, ora si svolgeva in movimento, lungo la Super-Strada.
La cavalleria era composta da altri tre robot volanti più due di terra, che si spostavano su delle specie di ruote di gomma molto spesse. Assomigliavano vagamente a dei centauri, mezzi lanciarazzi e mezzi moto. Shadow non ne aveva mai visti di robot fatti a quel modo, ma probabilmente non erano molto differenti dagli altri. Cominciò ad occuparsi di quelli volanti, continuando a correre. Con un Chaos Spear fece saltare uno dei tre volanti, mentre i suoi compagni cominciavano a sparare i soliti missili, facilmente evitabili con salti, scatti, contorsioni varie e acrobatici balzi qui e là. Con sorpresa del riccio, però, i centauri robotici erano assai veloci, tanto che gli stavano alla pari senza problemi, premettendo che lui ora non stava correndo a velocità supersonica per permettere alle macchine volanti di seguirlo. Uno Chaos Control combinato con uno Spin Dash fece schiantare un altro dei robot volanti a terra, mentre il riccio nero balzava immediatamente addosso al supersite, che esplose a mezz’aria. Shadow atterrò alle spalle dei due robot-centauro, sempre correndo. Il busto umanoide dei due ruotò, andando a fissare il loro bersaglio pur viaggiando nella direzione opposta. Le loro braccia, notò solo ora Shadow, erano veri e propri mitra. Il riccio sbuffò, ricominciando a schivar proiettili, come di routine.
Accelerò notevolmente l’andatura (come solo lui e un altro riccio blu sapevano fare) avvicinandosi sempre più al centauro di destra per poi attaccarlo con uno Spin Dash. Il metallo si schiantò senza problemi ma un insolita nube di fumo vagamente violaceo invase la strada. Il riccio non vi badò più e fece lo stesso con il robot restante. Altro fumo viola. Shadow si permise un sospiro, rilassando appena i muscoli. Possibile che quei nuovi nemici si fossero rivelati un simile fiasco?
Un rombo di motore lo avvisò che si stava sbagliando.
Shadow si voltò di nuovo all’indietro, già pronto a dar ancora battaglia ai due quando si ritrovò davanti uno spettacolo imprevisto. Quattro piccoli robot che sfrecciavano ognuno su una singola ruota e ognuno con un singolo cannoncino si stavano dirigendo contro di lui in formazione. Shadow aggrottò la fronte riconoscendo in quelle piccole pesti meccaniche le parti dei due centauri più grandi. In pratica i due motociclisti ibridi si erano divisi ognuno in due, dando vita a quelle piccole macchine che continuavano a sparare come indemoniate.
Shadow sbuffò. I robot piccoli, a suo parere, erano peggio di quelli grandi poiché erano più agili e meno facili da colpire siccome offrivano un bersaglio più ristretto. La strada piegò a sinistra, costringendo il riccio a tornare a guardare dove andava. I monocicli dietro di lui sghignazzarono, lanciandosi all’inseguimento. Lo affiancarono in breve, sgommando, due ai lati, due dietro. Shadow provò con un Chaos Spear ma il bersaglio schivò con un notevole balzo fatto puramente sul quell’unica gomma a sua disposizione, che a quanto pareva era estremamente elastica. Saltavano davvero niente male, quei robotini, constatò i riccio, e sparavano altrettanto bene. La situazione stava diventando più problematica ora. Non di certo ad un livello allarmante, ma adesso Shadow si trovava in un bell’impiccio. Non riusciva a colpirli e loro erano vicinissimi al colpire lui.
Un’idea piuttosto insolita gli venne in mente. Con la coda dell’occhio controllò che le piccole pesti gli fossero effettivamente dietro, e lo erano. Poi smise per un attimo di accelerare, lasciandosi andar avanti per inerzia, riducendo la distanza tra lui e i monoruote.
Fu un attimo solo, il riccio si appallottolò, conficcando gli aculei a terra, come un ancora, e frenando di colpo. Da quattrocento all’ora stimati a zero nel giro di un mezzo secondo circa. I robotini non ebbero speranze. Uno dei due lo centrò in pieno, sfondandosi contro gli aculei e decollando subito dopo per il contraccolpo, andando fortunatamente ad esplodere ad un nulla da un suo compagno mecchanico. Shadow con un po’ di fatica si schiodò dall’asfalto mentre diverse decine di metri più in giù, slittando come sulla neve, i tre supersiti tentavano in tutti i modi di frenare, curvare e tornare indietro, continuando però per la spinta accumulata dalla velocità a procedere in avanti, nella direzione sbagliata.
Quello scherzetto non era stato gratuito per Shadow, che ora si trovava con la schiena piuttosto dolorante, ma nulla di serio. La difficoltà motorie dei robotini, gli permise di riprendersi dal colpo e tornare all’attacco, proprio quando i poveretti si erano finalmente fermati. Chaos Spear e uno di loro finì in fiamme. Gli altri si mossero per tempo, evitando uno Spin Dash di Shadow, che continuò semplicemente a correre, lasciandoseli dietro. Furibondi i due sopravvissuti gli furono dietro in breve. Shadow svoltò a destra, in una strada laterale, seguito a ruota dai due robotini che sparavano a più non posso, come spiritati. Shadow scoccò loro una mesta occhiata, sembravano quasi arrabbiati, quei due.
Quando tornò a guardare la strada, un ostacolo imprevisto gli si parò davanti. Quattro mobiani davanti ad un cinema, una gabbiana, un cacatua, un panda e un furetto.
In una frazione di secondo Shadow realizzò due cose.
Loro erano esattamente sulla sua strada.
Lui non poteva schivarli o sarebbe entrato nella traiettoria dei proiettili dei due monoruote.
Recentemente aveva scoperto che se manteneva costantemente il Chaos Control mezzo attivato, con la forza dello Smeraldo lui riusciva a percepire con precisione chirurgica tutto quello che gli stava attorno nel raggio di qualche metro. Cosa che si era rivelata immensamente utile in battaglia che gli permetteva di esser cosciente delle traiettorie di tutti i proiettili in circolazione a lui abbastanza vicini. Così ora sapeva che, se avesse schivato sterzando a sinistra il gruppo di giovani, sarebbe entrato in collisione con uno dei proiettili, che l’avrebbe preso probabilmente ad una spalla. Tutto questo, lui lo realizzò in una frazione di secondo e nella stessa frazione di secondo prese la sua decisione.
I ragazzi del gruppo lo videro. La gabbiana urlò mentre lui sterzava di lato. E il proiettile gli entrava nella spalla per poi uscire dall’altro lato.
 
Shell, fuori dal cinema rideva con i suoi compagni. Avevano appena visto un film d’azione durato sì e no tre ore e adesso, mezzi intontiti, parlottavano tra loro commentando le scene. L’idea di andare al cinema era stata presa subito dopo il lavoro. Così, finito di cenare ognuno a casa propria e dopo aver deciso il film in questione, si erano ritrovati verso le nove davanti al cinema. Un altro regalo per lei. Shell sorrideva.
-Mi è piaciuta la scena con il combattimento degli aerei.- disse piano Rosie. –Hanno fatto delle riprese sensazionali.-
-Verissimo.- concordò Nut. –Ho preferito però l’inseguimento sulla strada. Troppo figo!-
-Già. Peccato che di cose così non se ne vedono, nella vita reale.- borbottò Joy. –Non mi dispiacerebbe, sapete, vedere per davvero un qualcosa di simile.-
Rosie drizzò appena le orecchie, voltandosi. –Cos’è quello?-
Si voltarono tutti, verso lo strano oggetto in avvicinamento rapido con due strani affari che lo seguivano. Shell lo riconobbe per prima. Il respiro le si era mozzato di botto, il suo cuore pompava sangue come non mai. Sentì qualcuno urlare e realizzò vagamente che era stata lei. Tutto quello che riusciva a vedere erano gli occhi rosso fuoco di Shadow. Come al rallentatore, in una realtà assai improbabile vista la rapidità con cui tutto avvenne, riuscì ad incontrare ben distintamente lo sguardo del riccio, quando lui balzò di lato, passandole ad un nonnulla di distanza. Il suo spostamento d’aria le fece perdere l’equilibrio. Battè la testa a terra e al contempo sentì gemito soffocato alla sua sinistra che l’avvisò che qualcosa non andava con il riccio nero. Mezza stordita dal colpo, si rigirò, rimanendo sdraiata, a guardare la persona che mai si sarebbe aspettata di vedere, allontanarsi barcollando appena, con una mano premuta su una spalla con quei due affari che lo seguivano ancora.
Dalla via laterale che conduceva alla fabbrica di viti e bulloni lì vicino, un camion di mastodontica mole, uno dei tanti che lasciavano la fabbrica nelle ore notturne, finì per mettersi proprio nella traiettoria del riccio nero.
Shadow, con un agilità che aveva dell’incredibile, lo saltò via con la stessa facilità con la quale si salta via un marciapiede. Lo stesso non si poteva dire dei due inseguitori che si schiantarono contro il corpo ripieno di metallo del camion.
Loro quattro si ritrovarono con gli occhi sbarrati a guardare le fiamme dei robot lambire i fianchi dell’enorme rimorchio, mente un conducente, un uomo, usciva correndo. Poco oltre, più in giù lungo la strada, il riccio nero si era fermato. Voltato indietro, guardava ora il camion ora loro.
Ci fu un bagliore e Shadow era scomparso.
Lo sguardo di Shell si abbassò sull’asfalto dove, all’intermittente luce elettrica dei lampioni, scintillava un rosso schizzo di sangue.
 
Rouge risorse quando il bagliore del Chaos Control le accecò gli occhi stanchi.
-Alla buon ora!- lo accolse, ma tutta la sua spiritosaggine morì di botto non appena vide la striscia rossa, che nulla aveva a che fare con l’abituale colorazione del suo compagno, che dalla spalla gli arrivava fin sotto al petto. Balzò in piedi. –Sei ferito!- esclamò, andandogli subito vicina per controllarne la profondità.
L’espressione del riccio era piuttosto scocciata.
-Gli ho messo il cip.- comunicò, serio e sintetico come sempre.
Rouge non sembrò badargli, intenta solo a constatare che il proiettile fosse effettivamente uscito dalla ferita. Shadow scosse piano la testa, chiamando a sé nuovamente il potere di Chaos per teletrasportando entrambi a casa, dove, su uno schermo, un puntolino giallo si avviava fuori città, verso nord-ovest, puntando al deserto che regnava da quelle parti. 

  
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