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Autore: Lady Memory    23/08/2013    2 recensioni
Quando il secondino aprì la porta, impulsivamente la ragazza si tirò indietro. Quel luogo evocava un tipo di sofferenza molto diversa dal dolore fisico e anche molto più inquietante.
Genere: Angst, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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II
 
Una miriade di emozioni si disegnò sul viso di Snape per poi sparire e lasciar posto ad una espressione stranamente indifesa. Per la prima volta la guardò direttamente negli occhi e lei ricambiò il suo sguardo apertamente, lasciandosi studiare per qualche minuto.
 
Poi Snape mormorò ancora, “D’accordo. Deve essere lei. Non potrei accettare nessun altro.”
 
“Perfetto!” disse lei con aria professionale. E con un sorriso, si alzò e si sedette sul materasso, tendendogli una mano che questa volta Snape accettò. Quindi, con un nuovo sapiente colpo di bacchetta, Hermione fece apparire una valigetta nera.
 
“Qui ci sono dei documenti che devo pregarla di leggere,” disse, cercando di non apparire troppo pretenziosa nella sua nuova veste di avvocato. In realtà, quella era la prima vera causa che avrebbe affrontato… e ora capiva di morire dalla voglia di ottenerla. Sì, avrebbe lottato, per il suo cliente e per sé stessa.
 
Snape continuava a fissarla con un sorriso bizzarro, quasi accondiscendente. Hermione cominciò a sentirsi a disagio mentre estraeva un fascio di carte e gliele deponeva tra le mani.
 
“Ovviamente,” proseguì mentre la voce le diventava innaturalmente acuta, “dovrà firmare una procura, un atto di incarico, una delega a mio nome con cui…”
 
“Capisco quello che vuole dire, Granger,” le rispose lui tranquillamente. “Le sembrerà strano, ma il mio cervello è ancora in grado di seguire questi semplici ragionamenti.”
 
“Ehm… ah… sì, dunque, suppongo però che le servirà tempo per leggere,” riprese Hermione, e si alzò con movimento rapido. “Questo è il protocollo stabilito. Quindi, se mi permette, la lascio per qualche momento, giusto il tempo di rivedere il tutto e di decidere liberamente.”
 
“Ho già dato la mia risposta,” ribattè Snape quasi divertito. “Non cambio idea così facilmente.”
 
“Sono contenta,” disse lei. “Ma insisto perché si prenda una pausa per pensare. La penna è a sua disposizione.”
 
Senza guardarlo in faccia, Hermione uscì rapidamente dalla cella; non così rapidamente però da non sentirlo commentare, “Pronta per un’altra missione, non è vero? Ma questa volta si tratta di me. E’ sicura di essere sicura?”
 
“Anch’io non cambio idea così facilmente!” rispose lei stizzita, socchiudendo la porta della cella per isolarlo e isolarsi da lui. In realtà, non c’era nessun motivo per uscire da quella stanza e lasciarlo solo. Non a livello legale, naturalmente, e neanche a livello umano. Ma Hermione aveva in mente ben altro quando si era alzata. Rimanevano solo pochi minuti, ne era sicura. Appena il tempo di fare quello a cui stava pensando fin da quando aveva sentito quelle parole sprezzanti.
 
“Signor Malfoy?” chiamò piano nella direzione da cui aveva sentito arrivare le grida.
 
“Chi… chi mi chiama?” rispose una voce debole, affaticata dal pianto.
 
“Non ha importanza adesso. Può farmi capire qual è la sua cella?”
 
Un momento di silenzio, poi un leggero trascinarsi e finalmente due colpi sordi ed esitanti sulla destra del corridoio. La cella di Lucius Malfoy era esattamente di fianco a quella di Severus Snape, ed Hermione non potè evitare una smorfia incredula al pensiero dei due ex-alleati rinchiusi uno vicino all’altro.
 
“Stia indietro,” ordinò imperiosamente a voce bassa.
 
Una sprazzo di luce fuoriuscì dalla sua bacchetta e la porta, cigolando, si aprì obbedientemente. Nella penombra improvvisamente rischiarata, apparve il viso smagrito di Lucius, gli occhi dilatati per la sorpresa.
 
“Miss… Granger?” articolò a fatica.
 
“E’ un piacere rivederla, signor Malfoy,” rispose Hermione, ed un sorriso birichino si fece strada suo malgrado sulle sue labbra.
 
L’uomo di fronte a lei arrossì cupamente e incrociò le braccia, provando ad assumere un’aria altera. Un effetto drammatico e ben studiato, che avrebbe fatto colpo ai vecchi tempi, ma che invece venne immediatamente rovinato dal gemito che gli sfuggì non appena cercò di mettersi dritto.
 
Le lacrime gli avevano striato il viso. Tremando nel tentativo di dominare il dolore, Lucius disse con aria di sfida, “E’ venuta a godersi la sua rivincita, immagino?”
 
“Non proprio,” rispose lei; con un gesto rapido, alzò la bacchetta e mormorò qualcosa. Istintivamente Lucius impallidì e si ritrasse. Ma poi i suoi occhi si allargarono per lo stupore. Sconcertato, il mago guardò alternativamente la sua caviglia e la ragazza di fronte a lui, senza riuscire a trovare le parole.
 
 “Ci sono cose che danno ben più soddisfazione, signor Malfoy,” disse allegramente Hermione. “Ma se fossi in lei, eviterei di parlarne, in particolare con il signor McDowell.”
 
E con un inchino teatrale, richiuse la porta sul viso dello stupitissimo mago.
 
Sentendosi infinitamente in pace con la sua coscienza, Hermione ringraziò mentalmente Harry per averle insegnato quel trucchetto da Auror che apriva e chiudeva le porte sbarrate senza lasciare segni evidenti. Quel McDowell avrebbe avuto il suo daffare per capire come aveva fatto la caviglia di Lucius a guarire così… così magicamente, appunto.
 
Ridendo dentro di sé, Hermione rientrò nella cella di Snape e lo trovò perfettamente composto, i fogli in grembo firmati con la sua inconfondibile grafia spigolosa. Con calma, sentendosi improvvisamente a suo agio, lei li ricontrollò uno per uno; poi pose a Snape alcune domande irrilevanti, il cui unico scopo era quello di permetterle di osservare le reazioni del prigioniero senza che lui lo notasse. Adesso che aveva bevuto, sembrava essere migliorato enormemente, e le sue risposte pacate vibravano di quell’antico sarcasmo che lei ricordava così bene.
 
“Sì,” pensò Hermione mentre un’ondata di emozioni diverse le faceva battere il cuore con rinnovata energia. “Sarà una causa interessante.”
 
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La notte era calata, invisibile come sempre a tutti coloro che erano rinchiusi nell’eterna penombra delle celle. Sdraiato sul suo pagliericcio, Severus Snape ripensava a quel che era successo quel pomeriggio e ripercorreva ogni parola, ogni pausa, ogni respiro, riesaminando ogni possibile indizio che potesse aiutarlo nelle ore seguenti.
 
Era stato molto fortunato, riflettè, davvero fortunato a trovare un aiuto in quel carcere, una cupa costruzione che fungeva da anticamera per Azkaban. Dopo quello che era successo nell’ultima guerra, i Dissennatori non godevano più delle grazie del Ministero. Adesso i colpevoli del mondo magico venivano processati come nel mondo babbano, aspettando mesi e anche anni nella clausura di quell’edificio tetro dalle mura enormi. Coloro che erano riconosciuti colpevoli venivano poi inviati alla famigerata fortezza nel mare del Nord. E lì correva voce che il Ministero avesse saputo trovare nuovi degni sostituti dei tormentatori che aveva appena bandito.
 
No! Severus Snape non poteva, non voleva finire la sua vita rinchiuso in quell’inferno per uno stupido errore giudiziario. Ma nessuno aveva voluto ascoltarne la difesa dopo la vittoria, nessuno aveva voluto riconoscerne i meriti, la devozione, il sacrificio. La sua guarigione si era rivelata un inganno crudele, il tentativo di far di lui un capro espiatorio nel quale punire tutte le colpe non pagate di altri.
 
Ancora una volta, un’immensa ondata di amarezza lo avvolse mentre ripensava alle parole che Dumbledore gli aveva detto, mentre riviveva il dolore delle scelte fatte, accettate tra le lacrime ed espiate nel sangue. Il sangue che ancora gli macchiava le mani. Nella penombra, strinse i pugni e si rigirò nello stretto spazio vicino al muro, soffocando la sofferenza e la rabbia.
 
Tre anni… tre lunghi anni passati ad aspettare un processo, ad invocare un tribunale, a sperare in un amico. Nemmeno Harry Potter era riuscito a fare qualcosa per lui. Ricordava benissimo il giorno in cui glielo avevano detto.
 
Con quella sua aria indolente e la larga parlata dialettale, era apparso sulla porta McDowell, il nuovo carceriere arrivato da poco ma che si era già guadagnato la stima dei superiori e l’odio dei carcerati per la sua durezza nell’osservare il regolamento. “Spiacente, amico, ma il ragazzo Potter si è rimangiato tutto. Alla fine dei conti, ti sei giocato la vita un’altra volta.”
 
Distogliendo lo sguardo, Severus aveva accusato il colpo in silenzio, ma dentro aveva sentito qualcosa di tagliente lacerargli il cuore. La sensazione di cadere in un abisso senza fine, il fischio del vento nelle orecchie. E poi, era arrivata una frase, una frase sconcertante in cui un inspiegabile tono rispettoso aveva improvvisamente sostituito il grossolano accento popolare.
 
“Mi spiace, signore. Purtroppo lei ha fatto un errore. Potter non è mai stato in grado di capirla.”
 
Di colpo, Severus aveva trattenuto il respiro. Che cosa… che cosa voleva dire? Disorientato, aveva fissato i suoi occhi in quelli dell’uomo davanti a lui, il suo carceriere, la guardia inflessibile che rispettava rigidamente il regolamento a costo della vita dei prigionieri.
 
Lentamente, un sorriso malinconico era apparso sul viso di McDowell.
 
“Sono Ian McDowell, Professor Snape. E lei ha salvato i miei genitori.”
 
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Erano seguite altre visite, dapprima circospette, via via sempre più lunghe, man mano che si rafforzava la fiducia tra loro. McDowell si era presentato meglio. I suoi genitori erano maghi che il precedente Ministero, agli ordini di Voldemort, aveva condannato a morte per essere entrambi di ascendenza babbana. Con avvertimenti mirati, in alcuni casi Severus era riuscito ad evitare questa triste fine a molti sfortunati membri del mondo magico; il miracolo era riuscito anche con i due McDowell. Il figlio Ian era già stato inviato in Irlanda al tempo, e non aveva avuto notizie dei suoi fino a quando non erano precipitosamente rientrati dall’Inghilterra, benedicendo il loro salvatore.
 
Finita la guerra, il giovane McDowell era tornato a Londra, alla ricerca di un lavoro e del professor Snape. Non aveva grandi talenti, per cui aveva cercato un incarico in un ufficio nella pubblica amministrazione; invece gli avevano offerto un posto nelle carceri. Dopo tutto quel che era successo, ben pochi maghi erano disposti a fare un lavoro che ricordava loro le atrocità commesse. McDowell non aveva simili ricordi e quindi era stato lieto di accettare. Ancor più lieto quando aveva saputo della guarigione di Severus, anche se il successivo processo e l’errore giudiziario lo avevano sconvolto. Avrebbe voluto protestare, ma si era reso subito conto che da solo non avrebbe mai potuto confutare la sentenza. Quindi, aveva fatto il possibile per guadagnarsi la fiducia dei suoi superiori con un comportamento correttamente spietato, ed era riuscito a farsi trasferire all’ala dei Mangiamorte dopo un paio di mesi.
 
Nelle settimane successive aveva cercato di dare il meglio di sé nel mantenere la disciplina, creandosi un’immagine di perfetto carceriere. E nel frattempo, aveva studiato il prigioniero della cella a sinistra di Lucius Malfoy, facendo domande svagate alle altre guardie e dimostrandosi ancora più duro dopo averne ricevuto le risposte. Il risultato era stato quello desiderato. Nel giro di un mese, McDowell aveva assunto il controllo di quel settore; e a quel punto, aveva cercato un modo di parlare con Severus Snape senza farsi scoprire.
 
C’era sempre il rischio che l’uomo non fosse come gli avevano descritto i suoi genitori. Dopo tutto, l’aveva giudicato un tribunale di maghi e la pena era stata sorprendentemente mite, considerando le accuse. McDowell se ne era rallegrato più volte nei suoi colloqui con Severus.
 
“E’ fantastico, professore! Essere in questa gabbia ci permette ancora un tentativo. Farò il possibile per aiutarla a riaprire il processo.”
 
Galvanizzato da quell’entusiasmo, Severus si era applicato a richiedere una revisione, un’opportunità che gli sarebbe stata negata se fosse stato destinato ad Azkaban. McDowell gli faceva rapporto regolarmente, fingendo di obbligarlo a punizioni o compiti spiacevoli.
 
Così avevano saputo della cosiddetta “corrente clandestina”, un piccolo gruppo di parenti e amici di ex-Mangiamorte che stava preparando una richiesta formale per rivedere alcune delle situazioni più controverse.
 
E così avevano anche saputo con molto anticipo del probabile arrivo di un avvocato per Severus.
 
Si erano preparati con molta cura. Chiunque fosse arrivato, doveva prendere Severus in simpatia, considerarlo da subito una vittima della brutalità del sistema, desiderare di aiutarlo. Non era stato dificile per un pozionista esperto come Snape ricavare un decotto dalle erbe che McDowell aveva abilmente sottratto dalle cucine. Non era una vera pozione ma un semplice infuso dalle proprietà leggermente tossiche, capaci di stimolare un intenso calore corporeo unito ad una profonda disidratazione: una rappresentazione che il cuore tenero della Granger aveva scambiato per un attacco di febbre perniciosa.
 
Perché l’ultimo colpo di fortuna era stato proprio quello: Hermione Granger e tutta la sua ostinata carica di giustizia ed umanità. Un mastino tenace che avrebbe affondato i denti senza mollare l’osso. Severus Snape sorrise e si rigirò, sistemandosi meglio sul pagliericcio rigido. Con Hermione Granger in campo, forse la ruota della fortuna avrebbe girato nella direzione giusta. E finalmente, Severus si addormentò mentre un ultimo fugace pensiero gli guizzava nella mente: era bello sapere che, là fuori, lei si preoccupava per lui. Sì, era bello… ripensò alla dolcezza con cui lei l’aveva trattato, alla premura con cui gli aveva porto da bere… quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno aveva fatto qualcosa di gentile nei suoi confronti… In fondo, Hermione Granger non era poi così spiacevole…
 
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Nel silenzio del corridoio vuoto, Ian McDowell si preparava al turno di guardia della notte. Fischiettò tra i denti mentre alzava il bicchiere di caffè in un saluto ironico al collega che stava uscendo di servizio.
 
“Tutto tranquillo, Will?” chiese.
 
“Tutto a posto, Ian,” rispose quasi con deferenza il collega. “Malfoy è stato molto silenzioso, oggi pomeriggio. Gli hai dato qualcosa per fargli smettere quella lagna?”
 
“Tu mi conosci, Will; io ho dei metodi che funzionano meglio di un sonnifero.”
 
Will sogghignò a quelle parole, e McDowell rispose con un sorriso crudele. Non c’era bisogno di dire troppo. L’altro avrebbe immaginato chissà che cosa, senza neanche lontanamente avvicinarsi alla verità. Sì, era stato bravo a crearsi una reputazione.
 
“Di’ un po’, e com’è la Granger?” chiese di nuovo il collega, curioso. “Mi hanno detto che è carina, ma molto arrogante.”
 
“Niente di speciale,” rispose McDowell stringendosi nelle spalle. “E’ convinta di poter fare il bello e il cattivo tempo perché era amica di Potter. Sarebbe ora che la piantassero con queste storie, ormai è roba passata.”
 
“Be’,” disse l’altro in tono conciliante, “non si può negare che abbia fatto parecchio per aiutarci a vincere.”
 
“Ma informati, scemo!  Ha fatto tutto Potter! Lei gli è solo andata dietro a raccattare i cocci. Scommetto che avrebbe fatto carte false per potersi prendere tutta la gloria.”
 
“Va bene, va bene, non ti scaldare,” rispose il collega, dandogli amichevolmente una pacca sul braccio. Ma aveva l’aria nervosa. Nonostante l’atteggiamento cordiale, McDowell vedeva che stava in guardia. Lo reputavano un gran bastardo. Eh sì, era stato davvero bravo a sostenere la sua parte.
 
McDowell sorseggiò in silenzio il caffè mentre ripensava alla conversazione con Hermione Granger. Era andato tutto bene. La recita del prigioniero malato e incatenato aveva colpito la ragazza. Si capiva benissimo che in fondo, con tutte le sue arie, era una dal cuore tenero. E poi c’era stata l’aggiunta imprevista di Malfoy, quel gran seccatore. La Granger non poteva sapere che in realtà si era lussato la caviglia appena un paio d’ore prima della sua visita… però McDowell se lo sentiva che Malfoy avrebbe contribuito a dare un tocco di veridicità a tutta la faccenda. Aveva anche previsto come sarebbe andata a finire… non era poi così difficile, considerando la ragazza.
 
Quel che la Granger non avrebbe saputo, naturalmente, era che McDowell, al suo ritorno, si era affrettato a fare un contro incantesimo a Lucius. Che faccia atterrita aveva fatto quell’aristocratico smidollato quando McDowell si era presentato nella sua cella come un angelo vendicatore! Per quasi cinque minuti, aveva balbettato incoerentemente scuse e suppliche e promesse… Ma, ehi! McDowell era un buon attore, e non lasciava niente al caso. L’indomani era previsto il guaritore, chiamato da un secondino più sensibile di lui al fascino dei soldi, e non si poteva farlo venire per niente… Già, meglio non creare sospetti.
 
E così Lucius aveva avuto la caviglia rotta di nuovo, ma questa volta McDowell aveva aggiunto anche un incantesimo Silencio. Non voleva certo che quel patetico rottame tenesse sveglio il professor Snape coi suoi lamenti!
 
L’uomo finì di bere il caffè, ma con la bevanda assaporava ben altre sensazioni.
Finalmente era riuscito a fare il primo passo verso il successo del suo progetto. Salutò il collega cordialmente e l’altro gli rispose con un cenno, stupito di tutta quell’allegria. Subito McDowell si irrigidì: così non andava, non doveva creare sospetti. Doveva controllarsi meglio. Non poteva fallire proprio adesso, ad un passo dalla vittoria. Indurì di nuovo le labbra nel suo solito atteggiamento sprezzante e, incredibilmente, Will si rilassò a quell’espressione famigliare.
 
 Si salutarono con reciproco sollievo, ognuno diretto ai suoi compiti, ma l’errore che aveva appena commesso rese silenzioso McDowell per un lungo tratto. Sì, doveva stare attento a non tradirsi, a non tradire il suo segreto. Nessuno doveva saperlo. Nessuno l’avrebbe saputo. Tuttavia l’uomo non riuscì a reprimere un sorriso di trionfo mentre si avviava verso la sua stanza. Lì avrebbe preso la fiaschetta d’argento che teneva sempre piena, avrebbe controllato il suo aspetto e poi avrebbe bevuto la dose necessaria. E infine si sarebbe messo in marcia per la consueta ronda notturna.
 
I suoi occhi si strinsero leggermente quando si scrutò nello specchio. Ian McDowell vide i suoi lineamenti trasformarsi e il suo viso assumere un’espressione di odio profondo prima di riuscire ad alzare la fiaschetta e bere un sorso. Appena in tempo. Ancora qualche attimo, e il collega si sarebbe trovato di fronte un uomo anziano invece del robusto giovane con cui aveva appena scherzato. Perché questo era il segreto di McDowell, un segreto che custodiva gelosamente dal giorno in cui suo figlio era stato catturato e torturato da una congrega di Mangiamorte. Non sapeva quali fossero i loro nomi, ma di uno di loro era più che certo, perché glielo aveva rivelato suo figlio. Severus Snape, aveva balbettato prima di morire.
 
Severus Snape, il prediletto del Signore Oscuro.
 
Aveva stretto il ragazzo tra le braccia e ascoltato il suo cuore battere sempre più piano fino a fermarsi. Con quello di suo figlio, si era fermato anche il suo. Da allora, l’odio gli aveva bruciato l’anima e corroso la mente, facendogli dedicare la vita ad un unico scopo: la vendetta.
 
Per questo motivo, aveva cambiato nome ed aspetto. Il suo nuovo cognome era quello di una coppia di maghi irlandesi, di passaggio a Londra durante il regime di Voldemort. Nessuno si ricordava più di loro, ma erano stati inseriti nel registro delle inchieste, un particolare che era stato controllato subito prima della sua assunzione al carcere, proprio come aveva immaginato. Il vero Ian McDowell, il loro unico figlio, aveva abbandonato l’Irlanda per l’America molti anni prima, lasciando campo libero al suo imitatore. Nessuno conosceva le sue sembianze, per cui non era stato difficile “scegliersi” un viso e procurarsi ingredienti a sufficienza per la pozione Polisucco. Era stato tutto sorprendentemente facile, anche se aveva richiesto tempo.
 
Ma adesso era tutto pronto. Presto Severus Snape sarebbe stato libero, e allora avrebbe pagato, e pagato abbondantemente, non con la tiepida giustizia del mondo magico. E prima di sparire per sempre in un gorgo di orrori, Severus Snape gli avrebbe rivelato i nomi degli altri, quei nomi rimasti nascosti fino a quel momento. Lui li avrebbe cercati uno per uno. Anche loro avrebbero pagato, e pagato fino in fondo.
 
Certo, ci sarebbe voluto tempo, ma non era poi un gran problema.
 
La pazienza era la virtù che aveva saputo coltivare meglio nella sua vita.
 
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Bene, la storia è finita qui, aperta ad innumerevoli scenari. Ma potrebbe anche andare avanti. Come sempre, ai lettori l’ardua sentenza. Intanto grazie per avermi letto.
  
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