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Autore: Aryuna    13/03/2008    9 recensioni
Kagome e Inuyasha, odiati compagni di classe e di banco da tre lunghissimi anni. Kagome, stanca di venir presa di mira dal mezzodemone, organizza una vendetta con sua cugina Kikyo, ex-fidanzata del ragazzo. L'ho scritta assieme ad Emiko92. La storia, il progetto e l'ambientazione sono mie, gli sviluppi e i dialoghi li abbiamo scritti assieme! E' la mia prima fanfict, speriamo bene! (siate indulgenti, è pure abbastanza lunga)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La vendetta

Ecco qui un altro capitolo. Buona lettura!

Ventitre giorni senza lui




Kagome rinvenne lentamente. Era tutto bianco.

<< Kagome? Kikyo, si è svegliata! >>

<< S…Sango? >> balbettò la ragazza, confusa. Si sentiva le guance bagnate. Capì subito dopo che stava piangendo. E anche il perché. Il ricordarlo la fece esplodere in singhiozzi.

<< Kagome, ti prego, calmati >> le disse l’amica dolcemente, carezzandogli i capelli.

<< Lui… lui non mi vuole più vedere! >> urlò piangendo, nascondendo il volto nel cuscino.

<< Kikyo mi ha raccontato tutto. Vedrai, riuscirete a spiegarvi. Ora è arrabbiato, ma poi tutto tornerà normale >> la consolò, facendola sfogare.

<< Voi… voi non sapete tutto >> disse emergendo dal guanciale << Lui si fidava di me. Ed io… io… >>

Scoppiò di nuovo in lacrime, stavolta abbracciata a Sango.

<< E’ tutta colpa mia. Non avrei dovuto chiederti di fare una cosa così infame. E avrei dovuto accorgermi che eri stata coinvolta con lui >> disse Kikyo tristemente << E’ stata una mia idea. Non dovevo coinvolgerti >>

<< Su Kikyo, lo sai che non è colpa di nessuno >> intervenne Sango bruscamente. Non poteva consolare due persone contemporaneamente.

L’infermiera entrò nella stanza, seguita da Kagura, l’insegnante dell’ora di Kagome.

<< Oh, ti sei svegliata. Stavo per chiamare l’ospedale >> disse la vecchia, tranquillizzandosi << hai avuto uno svenimento, credo da stress >>

<< Higurashi. Kikyo, intendo, Naraku vuole che torni in classe. Sango, tu puoi restare, dirò io a Kaede che stai con Kagome >> disse Kagura, vedendo la ragazza in lacrime attaccata all’amica. Sango annuì, grata.

Kagome continuava a piangere. Anche davanti ai professori, anche davanti alla scuola, non le importava più nulla. Sango la abbracciò, cullandola.

<< Si risolverà, vedrai. Tornerà tutto a posto >>


Kagome si svegliò, osservando la sveglia. Le sette. Si mise a sedere, tastando il cuscino con la mano. Era bagnato, aveva pianto di nuovo. Si trascinò in bagno a forza, infilandosi sotto la doccia. Vide la sua faccia allo specchio. Aveva gli occhi rossi e gonfi, esattamente come il giorno prima, e quello prima ancora, e quello prima ancora.

<< Buongiorno Kagome >> la salutò la mamma, quando la ragazza entrò in cucina. La prima cosa che fece, fu avviarsi al calendario, per fare una X sul giorno precedente.

Ventuno. Erano ventuno giorni che la ignorava, che faceva come se non esistesse e non fosse mai esistita. Il nonno la guardò perplesso. Erano tre settimane che Kagome si comportava in modo strano e faceva croci sul calendario. La mamma sembrava sapere il perché, ma non c’era stato modo di farsi dire la ragione. Aveva un sospetto, ma gli sembrava totalmente infondato. Andavano così d’accordo fino al giorno prima, non poteva certo essere per… o forse si?

<< Oh, dopodomani è luna nuova >> disse il nonno soprappensiero, leggendo le previsioni del tempo. Kagome si voltò a fissarlo con gli occhi lucidi. Il vecchio non capì subito la ragione di quello sguardo triste, ma la nipote prese la cartella e corse via, per non far vedere che piangeva. Di nuovo.

<< Ma.. ma cosa gli ha preso? >> chiese confuso guardando la figlia, che alzava gli occhi al cielo e ricominciava a pulire la cucina. Che tonti gli uomini.

<< Ho solo detto che è luna nuova! >> si lamentò guardando Sota, che, a differenza sua, aveva capito tutto.

<< Nonno, la luna nuova non ti ricorda niente? >> domandò scocciato, prendendo a sua volta la cartella. Odiava vedere la sorella in quelle condizioni.

<< Sota! Non impicciarti dei fatti di tua sorella >> lo riprese la madre, con voce tranquilla.

<< Non mi sto impicciando. Ce li sta praticamente sventolando davanti! >> si lamentò il ragazzino, prima di prendere il suo bento e uscire.

Il nonno era ancora confuso. Possibile che tutti avessero capito e lui no?

<< Non capisco perché è così triste. Dopodomani è luna nuova, no? Di solito è felice quando viene Inuya… >>. Si bloccò improvvisamente, mentre la figlia gli mandava uno sguardo che diceva “Ce ne hai messo di tempo per capire”.


Kagome fece un respiro profondo ed entrò in classe. Era riuscita a calmarsi, e gli occhi non si erano arrossati. Fece di tutto per non guardare in direzione di quel banco. Non voleva vederlo, non voleva vedere lui che la ignorava. Si sedette accanto ad Eri, che la salutò allegra. Giusto, Eri. Dopo quel giorno, ventuno giorni prima, lui si era spostato. Dopo tre anni seduti allo stesso banco, aveva cambiato il suo posto con Eri, e si era messo accanto ad Hojo. Kagome si sforzava di non piangere in sua presenza, si era già umiliata abbastanza. Alla mensa, lui si era rimesso al tavolo della sua classe, e anche se Kagome continuava a portargli il pranzo, lui non lo mangiava più. Aveva smesso di portarlo quando l’aveva obbligata Sango.

<< Kagome, smettila di umiliarti in questo modo! E’ doloroso, lo so, ma lui non ti degna di uno sguardo, e non farete pace solo perché tu gli porti il pranzo >> gli aveva detto. Era la verità, ma faceva così male.

Alla mensa, lei andò a mangiare in cortile. Non voleva stare in mezzo agli altri, con Koga che la corteggiava, ma senza più lui che si metteva in mezzo per difenderla, perché era geloso.

<< Kagome >> la chiamò Sango, facendogli alzare gli occhi.

<< Oh, Sango, sei tu >>

<< Tutto bene? >> chiese l’amica sedendosi accanto a lei. Kagome scosse la testa, trattenendo le lacrime.

<< Senti, ti va di venire a casa mia, questo pomeriggio? >>

<< No, mamma ha bisogno di me a casa >> rispose, con tutta la tranquillità che riusciva a mettere insieme.

<< E domani? >> chiese allora Sango. Kagome si voltò a guardarla. Cos’era tutta quell’insistenza?

<< Si, penso di si >> rispose, confusa.

<< Bene. Vieni dopo pranzo, penso che tu preferisca evitare l’incontro con mia madre >> disse l’altra ironica. Kagome sorrise debolmente. La madre di Sango era molto insistente, e soprattutto impicciona, ma in fondo in fondo era simpatica, anche se la figlia ne parlava come un mostro.

Kagome sopportò altre tre ore di lezione, e poi corse a casa. Non voleva sentire o vedere nessuno quel pomeriggio, ma fu obbligata ad accompagnare la madre a fare delle commissioni. In verità non era obbligata, ma sapeva che sua madre cercava di distrarla tenendola occupata.

Il giorno successivo era sabato, e Kagome cercò di dormire il più possibile. Ma era tutto inutile. Durante la notte, aveva incubi ricorrenti di lui che si allontanava e non tornava indietro. Rimase comunque a letto fino a mezzogiorno, cercando di calmare i singhiozzi.

<< Dopo pranzo vado da Sango >> disse Kagome, entrando in cucina. Segnò l’ennesima croce sul calendario. Ventidue. Quando si sedette a tavola era riuscita a calmarsi a sufficienza, e gli occhi non erano rossi né gonfi.

<< Va bene >> rispose la madre con tranquillità, servendogli il riso. Kagome si sforzò di mangiare, ma, come nei giorni precedenti, si limitò a una minima parte dei piatti serviti. Si vestì rapidamente con i primi pantaloni e il primo maglione che trovò, e andò da Sango. Notò che alcune persone la guardavano male, ma non capì il perché finché non arrivò dall’amica.

<< Ma come ti sei vestita? >> chiese la ragazza facendola entrare. Kagome si concentrò sul suo vestiario, un maglione fucsia e pantaloni rosso fuoco. Facevano decisamente a cazzotti. Oltretutto quei pantaloni li usava per casa, perché gli stavano stretti. Possibile che non se ne fosse accorta?

<< La situazione è peggiore di quanto credessi >> commentò Sango portandola in camera sua.

<< Kirara! >> strillò avanzando minacciosa verso il letto << Cosa hai fatto al mio cuscino? >>

Kagome si affacciò per vedere i resti del “cuscino”. Rise, prendendo al volo la nekomata che si rifugiò dall’ira di Sango nelle sue braccia. Anche lei sorrise, vedendola ridere. Passarono buona parte del pomeriggio a parlare del più e del meno, rincorrendo Kirara che mordeva i fili del computer, rosicchiava le gambe del tavolo o graffiava le coperte, per poi far sbucare la testolina dai buchi che si era divertita a creare. Per la prima volta da ventidue giorni, Kagome dimenticò veramente le sue preoccupazioni.

<< Senti, Kagome… sono contenta che tu ti sia distratta, ma so bene cosa succederà non appena tornerai a casa >> cominciò Sango, osservandola seria. Kagome annuì, carezzando Kirara.

<< Non puoi andare avanti così. Lui non ti vuole parlare? Obbligalo! Vai a casa sua >>

<< Non posso, Sango! Lui non è quasi mai a casa. Solo la notte >>

<< Allora, vai di notte! A costo di svegliare tutto l’isolato >> disse l’amica severa << Non può trattarti così, deve almeno darti la possibilità di spiegarti >>

Kagome sospirò.

<< Tu e Miroku litigate sempre no? Però fate pace quasi subito >>

Sango sorrise, a quel pensiero.

<< Kagome, io e Miroku litighiamo sempre per delle sciocchezze. Certo, io sono molto gelosa, quindi mi arrabbio spesso. Ma lui torna sempre a chiedermi scusa. Certe volte esagero, me ne rendo conto, e allora anche io mi scuso >> spiegò, osservando una foto che li ritraeva insieme sulla scrivania << Ma io lo ascolto, quando torna. Certo, all’inizio magari sono arrabbiata, e non voglio vederlo, ma poi… insomma, Kagome, non l’ho mai ignorato per ventidue giorni! E con oggi sono ventitre. Questo è assurdo, deve ascoltarti! >>

<< Domani è luna nuova >> disse Kagome in un sospiro << di solito veniva da me, te l’ho detto >>

<< Ah, giusto. Diventa umano >> rifletté l’amica, lasciando Kagome di stucco.

<< C… come lo sai? >>

<< Kagome, ti dimentichi chi erano i miei avi? >> chiese perplessa << Mi hai detto che viene da te ad ogni luna nuova, è ovvio che sia perché diventa umano >>

Kagome distolse lo sguardo, rassegnata.

<< Deve venire. Ho bisogno di parlargli >> mormorò tristemente. Sango annuì.

<< Ricorda Kagome. Se tu sarai sincera, lui capirà >> la rassicurò, con un sorriso. Kagome rispose con un sorriso molto sforzato.

Non dormì nemmeno quella notte. Era impossibile dormire. Si affacciò per vedere l’ultimo spicchio di luna di quella notte, ma quando lo fece era già calata oltre l’orizzonte. Rimase alla finestra nell’attesa dell’alba. La chiacchierata con Sango l’aveva tranquillizzata, ed era riuscita a non piangere. Aveva avuto un solo incubo, perché poi non si era più messa a letto, ma alla fine crollò, appoggiata al davanzale, in un sonno senza sogni.

<< Kagome! Il pranzo è pronto >> chiamò la madre dalla cucina per la quinta volta. La ragazza si svegliò di colpo a quell’urlo. Volò giù per le scale, ancora in pigiama, chiedendo scusa per il ritardo. La madre sorrise, vedendola così conciata. Finalmente aveva dormito. Kagome corse al calendario a fare l’abituale crocetta. Ventitre. Ed era decisa di non raggiungere il ventiquattro.

Passò la giornata con Sota, per non pensare a quella sera. Non doveva assolutamente pensarci. Con il passare del tempo, il cielo si annuvolò, e cominciò a piovere. Inizialmente era una pioggerella leggera, ma si trasformò ben presto in un temporale con tanto di tuoni e saette.

Kagome osservò l’orologio, dato che il cielo coperto non le permetteva di controllare il calare del sole. Ormai il tramonto era passato. Pensò che, conoscendo Inuyasha, sarebbe venuto a piedi sotto la pioggia, quindi preparò degli asciugamani all’ingresso, e chiese alla madre di prendere degli abiti del padre come cambio. Si sedette davanti all’ingresso, in attesa. Doveva assolutamente venire.

<< Non arriva? >> chiese la madre, sedendosi accanto a lei. Kagome scosse la testa, tristemente. Sapeva cosa doveva fare, ma non poteva… o forse si?

<< Kagome, penso di sapere cosa vuoi fare >> mormorò la madre dolcemente. La figlia si voltò a guardarla. Non voleva, non voleva segnare quel ventiquattro. Non poteva sopportarlo, non più.

<< Stai chiedendo il mio permesso? >> domandò osservandola con affetto. Kagome si morse il labbro, speranzosa e timorosa allo stesso tempo.

<< Corri >> disse la madre sorridendogli. Kagome non se lo fece ripetere due volte. Infilò le scarpe, aprì la porta e corse via, sotto la pioggia, senza giacca, senza nulla. Non le importava nulla di bagnarsi, né di ammalarsi, o qualunque altra cosa. Ormai aveva deciso cosa fare.

Se lui non veniva, sarebbe andata lei da lui.

  
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