Ecco qui un altro capitolo. Buona lettura!
Ventitre giorni senza
lui
Kagome rinvenne lentamente.
Era tutto bianco.
<< Kagome? Kikyo, si è svegliata! >>
<< S…Sango? >> balbettò la ragazza, confusa. Si sentiva le
guance bagnate. Capì subito dopo che stava piangendo. E
anche il perché. Il ricordarlo la fece esplodere in singhiozzi.
<< Kagome, ti prego,
calmati >> le disse l’amica dolcemente, carezzandogli i capelli.
<< Lui… lui non mi
vuole più vedere! >> urlò piangendo, nascondendo il volto nel cuscino.
<< Kikyo
mi ha raccontato tutto. Vedrai, riuscirete a
spiegarvi. Ora è arrabbiato, ma poi tutto tornerà normale >> la consolò, facendola sfogare.
<< Voi… voi non sapete
tutto >> disse emergendo dal guanciale << Lui si fidava di me. Ed
io… io… >>
Scoppiò di nuovo in lacrime,
stavolta abbracciata a Sango.
<< E’ tutta colpa mia.
Non avrei dovuto chiederti di fare una cosa così infame. E avrei
dovuto accorgermi che eri stata coinvolta con lui >> disse Kikyo tristemente << E’ stata una mia idea. Non
dovevo coinvolgerti >>
<< Su Kikyo, lo sai che non è colpa di nessuno >> intervenne Sango bruscamente. Non
poteva consolare due persone contemporaneamente.
L’infermiera entrò nella
stanza, seguita da Kagura, l’insegnante dell’ora di
Kagome.
<< Oh, ti sei
svegliata. Stavo per chiamare l’ospedale >> disse la vecchia,
tranquillizzandosi << hai avuto uno svenimento, credo da stress >>
<< Higurashi.
Kikyo, intendo, Naraku
vuole che torni in classe. Sango, tu puoi restare,
dirò io a Kaede che stai con Kagome >> disse Kagura, vedendo la ragazza
in lacrime attaccata all’amica. Sango annuì, grata.
Kagome continuava a piangere.
Anche davanti ai professori, anche davanti alla
scuola, non le importava più nulla. Sango la
abbracciò, cullandola.
<< Si risolverà, vedrai. Tornerà tutto a posto >>
Kagome si svegliò, osservando
la sveglia. Le sette. Si mise a sedere, tastando il cuscino con la mano. Era bagnato, aveva pianto di nuovo. Si trascinò in bagno a
forza, infilandosi sotto la doccia. Vide la sua faccia allo specchio. Aveva gli occhi rossi e gonfi, esattamente come il giorno prima, e
quello prima ancora, e quello prima ancora.
<< Buongiorno Kagome
>> la salutò la mamma, quando la ragazza entrò in cucina. La prima cosa
che fece, fu avviarsi al calendario, per fare una X
sul giorno precedente.
Ventuno. Erano ventuno giorni
che la ignorava, che faceva come se non esistesse e non fosse mai esistita. Il nonno la guardò perplesso. Erano tre settimane
che Kagome si comportava in modo strano e faceva croci sul calendario. La mamma
sembrava sapere il perché, ma non c’era stato modo di farsi dire la ragione.
Aveva un sospetto, ma gli sembrava totalmente infondato. Andavano così
d’accordo fino al giorno prima, non poteva certo
essere per… o forse si?
<< Oh, dopodomani è luna nuova >> disse il nonno soprappensiero,
leggendo le previsioni del tempo. Kagome si voltò a fissarlo con gli occhi
lucidi. Il vecchio non capì subito la ragione di quello sguardo triste, ma la
nipote prese la cartella e corse via, per non far vedere che piangeva. Di
nuovo.
<< Ma..
ma cosa gli ha preso? >> chiese confuso guardando la figlia, che alzava
gli occhi al cielo e ricominciava a pulire la cucina. Che
tonti gli uomini.
<< Ho solo detto che è luna nuova! >> si lamentò
guardando Sota, che, a differenza sua, aveva
capito tutto.
<< Nonno, la luna nuova
non ti ricorda niente? >> domandò scocciato, prendendo a sua volta la
cartella. Odiava vedere la sorella in quelle condizioni.
<< Sota!
Non impicciarti dei fatti di tua sorella >> lo riprese la madre, con voce
tranquilla.
<< Non mi sto
impicciando. Ce li sta praticamente sventolando
davanti! >> si lamentò il ragazzino, prima di prendere il suo bento e uscire.
Il nonno era ancora confuso.
Possibile che tutti avessero capito e lui no?
<< Non capisco perché è
così triste. Dopodomani è luna nuova, no? Di solito è felice
quando viene Inuya… >>. Si bloccò
improvvisamente, mentre la figlia gli mandava uno sguardo che diceva “Ce ne hai
messo di tempo per capire”.
Kagome fece un respiro profondo
ed entrò in classe. Era riuscita a calmarsi, e gli occhi non si erano
arrossati. Fece di tutto per non guardare in direzione di quel banco. Non
voleva vederlo, non voleva vedere lui che la ignorava.
Si sedette accanto ad Eri, che la salutò allegra. Giusto, Eri. Dopo quel
giorno, ventuno giorni prima, lui si era spostato.
Dopo tre anni seduti allo stesso banco, aveva cambiato il suo posto con Eri, e
si era messo accanto ad Hojo.
Kagome si sforzava di non piangere in sua presenza, si era
già umiliata abbastanza. Alla mensa, lui si era rimesso al tavolo della sua
classe, e anche se Kagome continuava a portargli il pranzo, lui non lo mangiava
più. Aveva smesso di portarlo quando l’aveva obbligata
Sango.
<< Kagome, smettila di
umiliarti in questo modo! E’ doloroso, lo so, ma lui non ti degna di uno
sguardo, e non farete pace solo perché tu gli porti il pranzo >> gli aveva detto. Era la verità, ma faceva così male.
Alla mensa, lei andò a
mangiare in cortile. Non voleva stare in mezzo agli altri, con Koga che la corteggiava, ma senza più
lui che si metteva in mezzo per difenderla, perché era geloso.
<< Kagome >> la
chiamò Sango, facendogli alzare gli occhi.
<< Oh, Sango, sei tu >>
<< Tutto bene? >>
chiese l’amica sedendosi accanto a lei. Kagome scosse la testa, trattenendo le
lacrime.
<< Senti,
ti va di venire a casa mia, questo pomeriggio? >>
<< No, mamma ha bisogno
di me a casa >> rispose, con tutta la
tranquillità che riusciva a mettere insieme.
<< E
domani? >> chiese allora Sango. Kagome si voltò
a guardarla. Cos’era tutta quell’insistenza?
<< Si, penso di si >> rispose, confusa.
<< Bene. Vieni dopo
pranzo, penso che tu preferisca evitare l’incontro con mia madre >> disse l’altra ironica. Kagome sorrise debolmente. La madre
di Sango era molto insistente, e soprattutto
impicciona, ma in fondo in fondo era simpatica, anche se la figlia ne parlava
come un mostro.
Kagome sopportò altre tre ore
di lezione, e poi corse a casa. Non voleva sentire o vedere nessuno quel
pomeriggio, ma fu obbligata ad accompagnare la madre a fare delle commissioni.
In verità non era obbligata, ma sapeva che sua madre cercava di distrarla
tenendola occupata.
Il giorno successivo era
sabato, e Kagome cercò di dormire il più possibile. Ma
era tutto inutile. Durante la notte, aveva incubi ricorrenti di lui che si
allontanava e non tornava indietro. Rimase comunque a
letto fino a mezzogiorno, cercando di calmare i singhiozzi.
<< Dopo pranzo vado da Sango >> disse
Kagome, entrando in cucina. Segnò l’ennesima croce sul calendario. Ventidue. Quando si sedette a tavola era riuscita a calmarsi a
sufficienza, e gli occhi non erano rossi né gonfi.
<< Va
bene >> rispose la madre con tranquillità, servendogli il riso.
Kagome si sforzò di mangiare, ma, come nei giorni precedenti, si limitò a una minima parte dei piatti serviti. Si vestì rapidamente
con i primi pantaloni e il primo maglione che trovò, e
andò da Sango. Notò che alcune persone la guardavano
male, ma non capì il perché finché non arrivò dall’amica.
<< Ma
come ti sei vestita? >> chiese la ragazza facendola entrare. Kagome si
concentrò sul suo vestiario, un maglione fucsia e pantaloni rosso fuoco.
Facevano decisamente a cazzotti. Oltretutto
quei pantaloni li usava per casa, perché gli stavano stretti. Possibile
che non se ne fosse accorta?
<< La situazione è
peggiore di quanto credessi >> commentò Sango portandola in camera sua.
<< Kirara!
>> strillò avanzando minacciosa verso il letto << Cosa hai fatto al mio
cuscino? >>
Kagome si affacciò per vedere
i resti del “cuscino”. Rise, prendendo al volo la nekomata
che si rifugiò dall’ira di Sango nelle sue braccia. Anche lei sorrise, vedendola ridere. Passarono buona parte
del pomeriggio a parlare del più e del meno, rincorrendo Kirara
che mordeva i fili del computer, rosicchiava le gambe del tavolo o graffiava le
coperte, per poi far sbucare la testolina dai buchi che si era divertita a
creare. Per la prima volta da ventidue giorni, Kagome dimenticò veramente le
sue preoccupazioni.
<< Senti, Kagome… sono
contenta che tu ti sia distratta, ma so bene cosa succederà non appena tornerai
a casa >> cominciò Sango,
osservandola seria. Kagome annuì, carezzando Kirara.
<< Non puoi andare
avanti così. Lui non ti vuole parlare? Obbligalo! Vai a casa sua >>
<< Non posso, Sango! Lui non è quasi mai a casa. Solo la notte >>
<< Allora, vai di
notte! A costo di svegliare tutto l’isolato >> disse l’amica severa
<< Non può trattarti così, deve almeno darti la possibilità di spiegarti
>>
Kagome sospirò.
<< Tu e Miroku litigate sempre no? Però fate pace
quasi subito >>
Sango sorrise, a quel pensiero.
<< Kagome, io e Miroku litighiamo sempre per delle
sciocchezze. Certo, io sono molto gelosa, quindi mi arrabbio spesso. Ma lui torna sempre a chiedermi scusa. Certe volte esagero,
me ne rendo conto, e allora anche io mi scuso >> spiegò, osservando una
foto che li ritraeva insieme sulla scrivania << Ma
io lo ascolto, quando torna. Certo, all’inizio magari sono arrabbiata, e non
voglio vederlo, ma poi… insomma, Kagome, non l’ho mai ignorato per ventidue
giorni! E con oggi sono ventitre. Questo è assurdo, deve ascoltarti! >>
<< Domani è luna nuova
>> disse Kagome in un sospiro << di solito veniva da me, te l’ho
detto >>
<< Ah, giusto. Diventa umano >> rifletté l’amica, lasciando Kagome di
stucco.
<< C… come lo sai?
>>
<< Kagome, ti
dimentichi chi erano i miei avi? >> chiese perplessa << Mi hai detto che viene da te ad ogni luna nuova, è ovvio che sia
perché diventa umano >>
Kagome distolse lo sguardo,
rassegnata.
<< Deve venire. Ho bisogno di parlargli >> mormorò tristemente. Sango annuì.
<< Ricorda Kagome. Se tu sarai sincera, lui capirà >> la rassicurò, con
un sorriso. Kagome rispose con un sorriso molto sforzato.
Non dormì nemmeno quella
notte. Era impossibile dormire. Si affacciò per vedere l’ultimo spicchio di
luna di quella notte, ma quando lo fece era già calata
oltre l’orizzonte. Rimase alla finestra nell’attesa dell’alba. La chiacchierata
con Sango l’aveva tranquillizzata, ed era riuscita a
non piangere. Aveva avuto un solo incubo, perché poi non si era più messa a
letto, ma alla fine crollò, appoggiata al davanzale,
in un sonno senza sogni.
<< Kagome! Il pranzo è pronto >> chiamò la madre dalla cucina per la quinta
volta. La ragazza si svegliò di colpo a quell’urlo. Volò giù per le scale,
ancora in pigiama, chiedendo scusa per il ritardo. La madre sorrise, vedendola
così conciata. Finalmente aveva dormito. Kagome corse al calendario a fare
l’abituale crocetta. Ventitre. Ed
era decisa di non raggiungere il ventiquattro.
Passò la giornata con Sota, per non pensare a quella sera. Non doveva
assolutamente pensarci. Con il passare del tempo, il cielo si annuvolò, e
cominciò a piovere. Inizialmente era una pioggerella leggera, ma si trasformò
ben presto in un temporale con tanto di tuoni e saette.
Kagome osservò l’orologio,
dato che il cielo coperto non le permetteva di controllare il calare del sole.
Ormai il tramonto era passato. Pensò che, conoscendo Inuyasha,
sarebbe venuto a piedi sotto la pioggia, quindi preparò degli asciugamani
all’ingresso, e chiese alla madre di prendere degli abiti del
padre come cambio. Si sedette davanti all’ingresso, in
attesa. Doveva assolutamente venire.
<< Non arriva? >>
chiese la madre, sedendosi accanto a lei. Kagome scosse la testa, tristemente.
Sapeva cosa doveva fare, ma non poteva… o forse si?
<< Kagome, penso di
sapere cosa vuoi fare >> mormorò la madre
dolcemente. La figlia si voltò a guardarla. Non voleva, non
voleva segnare quel ventiquattro. Non poteva sopportarlo, non più.
<< Stai chiedendo il
mio permesso? >> domandò osservandola con affetto. Kagome si morse il
labbro, speranzosa e timorosa allo stesso tempo.
<< Corri
>> disse la madre sorridendogli. Kagome non se lo fece ripetere
due volte. Infilò le scarpe, aprì la porta e corse
via, sotto la pioggia, senza giacca, senza nulla. Non le importava nulla di
bagnarsi, né di ammalarsi, o qualunque altra cosa. Ormai aveva deciso cosa
fare.
Se lui non veniva,
sarebbe andata lei da lui.