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Autore: Leo    18/09/2013    2 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Si rigirava tra le lenzuola irrequieta. Era come se quel letto non fosse più il suo, anche se l’aveva ospitata per dodici anni senza mai passare una notte completamente insonne. Eppure ora lo sentiva scomodo, fastidioso, forse troppo morbido, chi lo sa. Ma di una cosa era sicura: quella notte avrebbe chiuso occhio solo se fosse svenuta…un po’ come le tre precedenti!

Quando tornarono a casa ad aspettarli c’era un’arietta fresca che aveva sostituito quasi completamente l’odore di chiuso e di sangue incrostato a cui ormai si erano assuefatti. Tanto che poté notare la leggerezza dei polmoni nel respirare, poteva sentire i tessuti rinvigorire e le vene dilatarsi per accogliere con gioia l’ossigeno.

Cybil era seduta al tavolo con un libro tra le mani. Era un giallo, uno dei romanzi di Sherlock Holmes di Harry, poteva vedere anche il posto vacante sulla libreria. Ma prima che Cheryl potesse dare in escandescenza per aver messo le mani tra i libri del padre, Cybil sorrise e si alzò per accogliere e aiutare i due appena entrati.

Mangiarono a volte in silenzio, altre volte con Cybil che faceva domande a Douglas, per sapere ora questo ora quel dettaglio della sua vita che credeva di aver dimenticato. Si trovò a raccontare di tutto, il figlio, la rapina, il divorzio, il trasferimento, arrivarono a parlare anche della scuola che aveva frequentato da giovane. Si scoprì che i due avevano fatto l’addestramento base nello stesso istituto, ma in reparti diversi; anche se non si erano mai incontrati di persona, avevano molte conoscenze in comune…

In tutto quel tempo Cheryl rimase silenziosa, con la testa sul piatto, mangiando tutto senza dire una parola. Da un lato era estremamente stupita dalla bontà del pasto, reso probabilmente ancor più prelibato dall’assenza prolungata di cibo di qualità nei giorni precedenti. Dall’altro invece aveva capito che per quella sera Cybil non avrebbe raccontato nient’altro di interessante per lei.

Infatti alla fine del pasto, con un gesto eloquente, si stiracchiò sbadigliando.

 

Tsk. Aveva sonno. Come si fa ad avere sonno in una situazione del genere?! E poi si è praticamente autoinvitata a casa mia, e sta dormendo nel letto di mio padre che ha rifatto mentre io neanche ero in casa. Che roba!

Difatti Cybil era nella stanza di Harry, e aveva chiesto in prestito una maglia a Cheryl per dormire. La ragazza acconsentì tacitamente, e si diresse all’armadio per darle uno dei suoi pigiami. Douglas invece sembrò imbarazzato quando disse che sarebbe andato via. Uscì di casa dicendo che sarebbe tornato a trovarle il giorno dopo, e che per qualunque cosa potevano chiamare sul suo cellulare. Lasciò il numero scritto sul comodino all’ingresso, dov’era anche il telefono, e uscì lentamente sorridendo prima di richiudere la porta.

 

Con nervosismo, Cheryl si girò nuovamente stropicciando ulteriormente le lenzuola che la coprivano a malapena. Gli occhi si posarono sul comodino. La sveglia digitale segnava le 3:19; era tardissimo, il giorno dopo non si sarebbe mai alzata ad un orario decente!

Poi guardò qualcos’altro. C’era un libriccino, buttato lì, vicino ad un bicchiere sporco di polvere e calcare. Non lo toccava da tantissimo tempo, eppure le bastò uno sguardo per ricordare il titolo e il punto in cui aveva abbandonato il protagonista.

“Che noia!”

Ancora una volta fece scricchiolare il materasso, e ancora una volta tirò a sé il lenzuolo, questa volta usando troppa foga, fino a scoprire un piede. Sotto le coperte era praticamente nuda, vestita solo di una maglietta neanche troppo larga, che lasciava completamente scoperte le gambe – il suo punto forte, si diceva sempre – ecco perché si ostinava a coprirsi con quel pezzo di stoffa così sottile.

Adesso l’unica cosa che vedeva era il muro, nero per il buio. Si costrinse a tenere gli occhi chiusi, e così restò fino a che non sentì una corrente fresca solleticarle delicatamente il piede scoperto. Era quasi piacevole, anche se cominciava a domandarsi da dove potesse arrivare quell’aria fresca. Non c’erano finestre nella sua stanza, solo quella del bagno, ma la porta era chiusa.

Schiuse delicatamente gli occhi e riuscì a intravedere una spaccatura di luce provenire dalla porta d’ingresso.

“Ma che dia…”

Le ultime parole furono soffocate da una mano…

 

Era nel suo letto. Nonostante avesse cambiato le lenzuola in quella stanza ancora non andava via l’odore di ferro ematico. Lì dentro il corpo era rimasto per troppo tempo, e il materasso era impregnato. Ma oltre a quell’odore sgradevole ce n’era un altro che pure giungeva alle sue narici. Lo riconobbe. Lo riconobbe nell’armadio, tra i suoi vestiti e nelle pagine dei libri che teneva a volte sistemati su delle mensole altre volte sparsi su qualsiasi ripiano.

Quando si racconta una storia d’amore di solito non si sa mai cosa succede dopo. Dopo che i due si sono baciati, dopo che hanno capito d’amarsi alla follia, di essere persi l’uno per l’altro ed esserselo confessato di solito la storia si conclude. Quasi mai si parla di quello che succede dopo. E anche se la storia non è a lieto fine, il loro amore resterà eterno. Ma la realtà è un’altra cosa. L’amore si conclude, lascia spazio ad altri sentimenti, più quotidiani, ad un amore di differente stampo. Oppure si spegne del tutto. O, ancora, diventa malato. Troppo spesso si tramuta in tristezza, in nervosismo. Ma Cybil voleva ricordare comunque la sua storia, la loro storia, fino al momento del loro primo bacio, quando Harry con uno scatto timido si impossessò delle labbra rosse della donna, sorpresa dal gesto improvviso. E voleva fermarsi a quel punto, a quel bacio lungo e dolce, che con lo schiudersi delle labbra faceva fiorire anche la passione dei due. E anche se voleva con tutto il cuore fermarsi smettere di ricostruire il ricordo nella sua mente, non riusciva a dimenticare che quell’amore passionale durò un solo anno. Anno in cui si allontanò da Silent Hill con il corpo e con la mente. Anno in cui Silent Hill si riavvicinò con violenza inaspettata.

 

Guardò il comodino. Su uno dei suoi libri ci aveva appoggiato la pistola. Precauzione, si diceva. In realtà da quando era tornata da quella città non l’aveva mai tenuta a più di un metro di distanza da lei. Se la portava in bagno, in cucina, l’appoggiava sulle gambe quando si sedeva sul divano a guardare la televisione, o sul tavolo, mentre leggeva il giornale sorseggiando una bevanda. Quando era costretta ad andare in banca si sentiva spoglia e insicura, agiva svelta e cercava di andare via il più presto possibile. Spesso era entrata e alla sola vista di una fila di persone troppo lunga aveva abbandonato il posto. In gioielleria non ci entrava più…

Vicino la pistola c’era una sveglia a lancette che segnava quasi le tre e venti. Piuttosto vecchiotta; era proprio lo stile di Harry. Non si era mai rassegnato a vivere senza tecnologia di qualsiasi genere. Il computer era un obbligo, non gli permettevano più di presentare dei manoscritti. Ma lo usava solo per scrivere.

Già…se Harry usava il computer solo per scrivere magari su c’era qualcosa che avrebbe parlato di Cheryl. Ma si sarebbe sentita a disagio a guardare senza permesso, lo sapeva. Preferiva raccogliere le sue informazioni come già stava facendo. Preferiva sapere solo quello che Cheryl voleva dirle.

 

Un rumore catturò la sua attenzione. Aveva lasciato la porta socchiusa per sentire eventuali spostamenti di Cheryl e finora l’aveva sentita rigirarsi nel letto battendo qualche volta con una parte del suo corpo contro il muro sottile che divideva la sua stanza dal soggiorno.

Però quelli sembravano passi. Forse si era alzata, stanca del fatto che non riusciva ad addormentarsi. Forse aveva sete. E se l’avesse raggiunta? Avrebbero chiacchierato un po’, magari sarebbe riuscita a tranquillizzarla. O chissà, col favore delle tenebre e della malinconia che si portava dietro, forse avrebbero parlato di Harry. A lei sarebbe piaciuto molto. Ma da quel po’ che aveva potuto vedere, era quasi sicura che le avrebbe chiesto di continuare la storia anche a quell’ora. Però voleva provare lo stesso.

Si alzò lentamente, facendo scivolare le lenzuola su quel pigiama bianco. Si stava avviando verso la porta, quando un brivido la costrinse a chiudere gli occhi e a muovere il collo in un riflesso incondizionato. Non era freddo, lo sentiva. Guardò attraverso la finestra chiusa. Oltre i vetri si intravedeva una notte nera, forse senza luna. Forse una nuvola l’aveva appena oscurata, perché quando si era alzata riusciva a distinguere bene ogni oggetto nella stanza, sebbene non nei dettagli, e invece ora poteva vederne solo i contorni poco definiti.

Il suo sguardo si fece più serio, e d’istinto si portò verso il comodino afferrando la pistola.

 

Aprì lentamente la porta.

Dalla sua posizione poteva benissimo vedere la porta della stanza di Cheryl, spalancata. Le luci erano tutte spente, ma la luce nella stanza principale filtrava meglio, e Cybil poteva distinguere bene gli oggetti nei paraggi. Si voltò verso la cucina e l’ingresso, pensando di trovare in quella zona la ragazza. Poi un nuovo rumore attirò la sua attenzione. Il balcone era aperto, e una figura umana teneva un’altra persona su una spalla, e cercava di uscire da quella porta.

“Hey, chi diavolo sei?!”

Al suono di voce, quello si voltò. Solo allora Cybil si rese conto che la corporatura era l’unica cosa che gli rimanesse di umano!

Forse per il buio, forse per la sorpresa iniziale, non si era minimamente resa conto che le braccia erano molto più lunghe del normale, e che le dita erano artigli pericolosissimi, simili a lunghi coltelli; e la faccia…la faccia…

Non ce l’aveva più una faccia. O forse non l’aveva mai avuta. Al suo posto grumi di sangue e spaccature solcavano la testa, e lì dove avrebbe dovuto trovare degli occhi, lì trovò solo carne tumefatta e in alcuni punti bruciata. La bocca era serrata da alcuni lembi di pelle, di modo che l’unico suono in grado di uscire da essa era un grugnito di dolore privo di alcun senso logico.

Il mostro avvertì la presenza di Cybil, e prese a correre furiosamente verso l’esterno.

“FERMO!”

Cybil si lanciò all’inseguimento. Aveva l’orrenda sensazione che l’altra persona che portava su una spalla fosse proprio…

Arrivò in cima al tetto e lo vide dirigersi come un ossesso verso la porta delle scale principali. In un batter d’occhio prese la mira e lo colpì a una gamba. La creatura si inginocchiò di fronte alla porta aperta. Sembrava in grado di rialzarsi, ma la persona che teneva in spalla cadde di lato con l’impatto.

Il secondo colpo lo raggiunse alla tempia, mentre si stava chinando a raccogliere ciò che aveva perso.

Cybil ansimava con la pistola tra le mani. Tremava leggermente, anche se non era la prima volta che vedeva una creatura del genere. Ma c’era qualcosa che non andava: non erano a Silent Hill, e il Dio venerato dall’ordine era morto. Non aveva alcun senso quello che stava succedendo.

Sentì un lamento sommesso, e vide una figura muoversi per terra, di fianco al cadavere della creatura. Si avvicinò lentamente, tenendo la pistola puntata di fronte a sé. Quando fu abbastanza vicina, si accorse che la testa era avvolta in una busta di tela nera, e che i movimenti della persona erano rallentati e stanchi.

La riconobbe a causa delle sue gambe scoperte e della magliettina che ora era tutta sporca e stropicciata.

“Cheryl!”

Le tolse velocemente la stoffa dal viso. La guardò negli occhi, ma quelli erano socchiusi con le iridi che si scorgevano a mala pena sotto le palpebre calate. La bocca aperta cercava ossigeno, ma intorno al suo naso e sulle labbra sentiva la presenza umida di una sostanza. Non riusciva a sentirne l’odore senza venire colta da improvvisi capogiri. Usando la stoffa del sacco appena sfilato, cercò di pulire il suo viso alla meglio, poi continuò a chiamarla e a colpirla leggermente con una mano. La ragazza reagiva agli stimoli, ma non riusciva a muoversi. Non sembrava però essere ferita in nessun modo, il che rappresentava una ben magra consolazione.

Guardò il cadavere, adagiato su un fianco in una pozza di sangue scuro. A guardarlo le venne una forte emicrania, per cui distolse lo sguardo e si concentrò sul corpo agonizzante di Cheryl. Usando tutta la forza di cui disponeva, cercò di riportarla dentro. Ci riuscì solo trascinandola con le braccia intorno al petto facendo strusciare i piedi per terra. Le scale furono la parte più difficile, ma con uno sforzo enorme riuscì a sollevarla e a riportarla in casa.

Dentro era ancora tutto buio e riuscì a trovare la poltrona a memoria. Adagiò il corpo di Cheryl delicatamente, sentendola lamentarsi, intuendo lo sforzo che faceva per restare sveglia. Chiuse il balcone dietro di sé, serrò di nuovo la pistola nella mano e corse all’ingresso, lì dov’era il telefono. Cercò di accendere la luce, ma sembrava che la corrente fosse stata tagliata. Sul comodino c’era il numero di telefono di Douglas, ma con quel buio difficilmente sarebbe riuscita a leggere il biglietto. Aprì il cassetto del comodino, ma non trovò nulla di utile, solo chiavi e scartoffie. Si guardò attorno freneticamente, fino a girarsi completamente. Si trovò di fronte l’attaccapanni, dove alloggiava il giubbino di Cheryl, intonso dal suo ritorno da Silent Hill, uno dei pochissimi oggetti non toccati da Cybil durante la sua pulizia; stava appeso, insieme all’impermeabile di Harry e a un cappello che probabilmente era stato messo lì più per bellezza che per utilità.

Senza pensare, Cybil mise le mani in ogni tasca, cercando qualcosa che potesse fare luce, un accendino, un fiammifero, qualsiasi cosa. La mano scivolò nel taschino del petto, e Cybil rimase quanto mai stupita di trovare una piccola torcia elettrica rettangolare. L’accese illuminando l’ambiente intorno a lei, poi finalmente fece luce sul bigliettino e compose velocemente il numero sulla tastiera del telefono. Suonava fortunatamente, il ché tranquillizzò Cybil per qualche istante. Ma dopo tre squilli, si sentì uno stacco brusco, e il rumore di statico prese il sopravvento. Qualcuno o qualcosa stava parlando, ma il rumore era troppo forte, e le parole perdevano di significato.

“Douglas! Maledizione non si sente niente…Douglas, vieni immediatamente a casa!”

Un rumore la distrasse. Mise giù il telefono, e puntò torcia e pistola verso il salotto alle sue spalle. Cheryl era finalmente in piedi, ma doveva appoggiarsi ancora alla poltrona. Teneva il palmo della mano sulla fronte e cercava di trascinarsi stancamente verso Cybil, ma la luce puntata negli occhi era un grosso ostacolo da superare per lei. Prima che potesse dire qualcosa, Cybil corse verso di lei per aiutarla a camminare.

“Ora ce ne andiamo da qui!”

Passò il suo braccio intorno al collo, e lentamente si avviarono verso la porta d’ingresso. Girò la chiave nella serratura, e spalancò la porta.

Anche nel corridoio la luce era fuori uso, e c’era un silenzio assordante, specialmente per Cybil il cui udito era fortemente provato dal rumore dello sparo. Sentiva un fischio insistente che sembrava partire direttamente dalla sua testa e i passi lenti e strascinati delle due erano un sollievo per lei. Avrebbero raggiunto il portone secondario girando l’angolo.

Ma dalla porta a vetri Cybil intravide qualcuno all’esterno. Ne vide solo la sagoma, un’ombra irregolare che puntava qualcosa nella loro direzione. In un attimo i vetri andarono in frantumi con un rimbombo pauroso. Cybil aveva fatto in tempo a riportarsi dietro al muro, trascinando con sé Cheryl che per la spinta improvvisa cadde seduta a terra. Vide il foro di un proiettile conficcatosi nel muro alle loro spalle. Era una pistola?!

Si affacciò lentamente, cercando di puntare alla meglio la torcia, in modo da riconoscere la persona all’esterno. Riuscì a vedere dei lunghi capelli neri dietro i quali si nascondeva il viso. Aveva un corpo femminile e sembrava indossasse una divisa. La sua testa tremava vistosamente.

Reagì alla luce della torcia ed esplose un altro colpo, che questa volta si ficcò nel pavimento ai piedi di Cybil. Dal foro fuoriuscì della polvere, illuminata dalla luce della torcia. Cybil cercò di prendere la mira, ma appena si sporse nuovamente partì un terzo colpo.

Ma dov’erano tutti?!

 

Improvvisamente si udì un colpo e un lamento sommesso. Cybil si sporse, ma il buio e l’angolazione non permettevano di avere una perfetta visuale. Un secondo colpo annunciò che il portone ora era aperto, e qualcuno si avvicinava velocemente, senza curarsi di calpestare i vetri rotti sul pavimento.

Cybil appoggiò le spalle al muro, abbassò il cane della pistola per velocizzare la premuta del grilletto e prese un profondo respiro. Poi si voltò di scatto, uscendo con tutto il corpo dal suo nascondiglio, pronta a fare fuoco verso chiunque le si parasse di fronte.

“Non sparare! Sono io!”

Fece appena in tempo a fermarsi!

Di fronte a lei Douglas aveva alzato la mano con cui reggeva la pistola, tenendo l’altra appoggiata al bastone che in quel momento serviva più come arma che come appoggio. Aveva colpito la persona all’esterno con quello, facendola svenire.

“Douglas! Che ci fa qui?!”

“Mi hai chiamato tu! Con il telefono. Ma hai riagganciato prima che potessi dire qualcosa, così mi sono precipitato qua. Dov’è Heather?”

“È qui dietro. Forse è stata drogata con qualcosa, ma si sta riprendendo”

Douglas si affacciò nel corridoio e vide nella penombra la sagoma della ragazza, appoggiata con una spalla al muro, mantenendosi in piedi con enorme sforzo.

“Tutto bene?!”

“Me la caverò…e quando starò di nuovo bene ti farò passare il vizio di chiamarmi ancora Heather!”

Douglas sorrise nel constatare che la ragazza non aveva perso il suo spirito.

“Scusa…nervosismo!” disse con un mezzo sorriso. “Ora andiamo, ho la macchina all’altro ingresso”

“E allora perché sei passato da questo?”

“Ho sentito gli spari e ho deciso di passare da dietro, sperando di prendere alla sprovvista chi vi stava minacciando…e ho avuto fortuna!”

Cybil sorrise, poi si infilò nuovamente sotto il braccio di Cheryl, aiutandola a reggersi in piedi e a camminare. Ma questa si oppose…

“Hey, può bastare così! Riesco a tenermi in piedi! E poi quelli armati siete voi, pensate a sparare!”

“Va bene, ma stai tra me e Douglas”

A Cheryl non piaceva prendere ordini, ma quella volta obbedì, e si incamminò tenendosi alle spalle del detective.

Procedendo lentamente, sia per il passo incerto di Douglas e di Cheryl, sia per il buio che imperversava, riuscirono finalmente ad arrivare al portone. Uscirono nel vicolo che avrebbe portato alla strada. Fuori il freddo colse alla sprovvista Cybil e Cheryl, che indossavano solo le magliette del pigiama. In effetti faceva più freddo di quello che ci si sarebbe aspettati da una notte d’estate.

Una volta giunti alla macchina Douglas aprì la portiera posteriore, facendo segno a Cheryl di salire. Lei entrò aiutata da Cybil alle sue spalle. Ma mentre anche la donna stava cercando di entrare nell’auto, uno sparo rimbombò nell’aria.

Fu un momento solo. Sentì una fitta in una spalla, e senza emettere un suono si accasciò sul sedile posteriore, perdendo sangue che sporcava la tappezzeria tutt’attorno. Douglas rispose al fuoco che arrivava dal vicolo buio. Sparava praticamente alla cieca sperando di intimidire il nemico e guadagnare secondi preziosi. Cheryl urlava disperata.

“CHERYL FALLA ENTRARE!”

Con le lacrime che le appannavano la vista, Cheryl tirò il corpo di Cybil all’interno dell’abitacolo, sporcandosi di sangue a sua volta. Douglas dall’esterno chiuse la portiera, e continuando a sparare a intervalli regolari, contando i proiettili che rimanevano nel caricatore per non rischiare di sparare a salve facendo saltare del tutto la sua copertura, si avvicinò all’ingresso del guidatore. Sparò un ultimo colpo prima di entrare in macchina abbandonando il bastone all’esterno. Dopodiché accese il motore e partì sgommando. Si sentì il rombo di un altro sparo, ma evidentemente il proiettile andò a vuoto.

Cheryl teneva la testa della poliziotta sulle gambe e grondava lacrime. Cercava di spostarle i capelli dalla fronte, ma l’unico risultato che otteneva era quello di sporcarle il viso con il sangue che aveva nelle mani.

Douglas accellerò.

“Tieni duro, stiamo andando all’ospedale!”

“Douglas…non si muove…”

 

  
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