Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: Mrs_Snape    01/10/2013    0 recensioni
Una ragazza con un dono, un dono speciale, che le permette di vedere ciò che gli altri non vedono.
E se questo dono le consentisse di vedere il suo unico amore, Michael Jackson? Colui che "Era come un raggio di sole, che portava colore e vita nella mia grigia e monotona esistenza fatta di pillole colorate, per curare la mia presunta schizofrenia, e dottori dal viso sorridente."
Genere: Fantasy, Fluff, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei anni in uno schifoso manicomio o, come preferivano chiamarla loro, la Villa del Sole.
Una stanza singola, arredata con mobili in legno di ciliegio che affacciava sui giardini. Stampe di quadri famosi alle pareti, fiori finti nei vasi, peluche dall’aspetto fin troppo gioioso. In questo posto ho passato la mia adolescenza... Quasi nessun contatto con il mondo esterno. La mia vita si svolgeva fra quelle mura, non avevo la possibilità di andarmene nemmeno nei giorni di festa.
Il primo anno i miei amici mi scrivevano lettere, in cui mi raccontavano cosa succedeva nel mondo esterno, poi a poco a poco smisero di farlo. La mia unica compagnia erano i libri e la musica, in particolar modo quella di Michael Jackson. Era come un raggio di sole, che portava colore e vita nella mia grigia e monotona esistenza fatta di pillole colorate, per curare la mia presunta schizofrenia, e dottori dal viso sorridente.
Tutto era iniziato quando, a 12 anni, vidi il fantasma di mia nonna. Mi spaventai tantissimo e lo raccontai ai miei genitori, che si spaventarono ancora di più e decisero di mandarmi da uno psicanalista. Ma ciò non mi aiutò, anzi la situazione peggiorava sempre di più. Non vedevo solo lei, ma anche persone estranee e spesso parlavo con loro. Fin quando, un giorno, i miei decisero di mandarmi qui.
Non ho mai dubitato di ciò che vedevo. Io non sono pazza, sono loro ad essere “ciechi”. Siccome non volevo passare tutta la mia vita in quella clinica decisi di fingere, di accontentarli: affermai di non vedere ne sentire più i morti. Rimasi un altro anno e fui dimessa. Mi prescrissero dei farmaci da prendere per evitare la ricomparsa dei sintomi.
I miei genitori erano al settimo cielo. Nella clinica mi ero diplomata e adesso programmavano di mandarmi al college, mi presentavano i figli dei loro amici sperando che mi fidanzassi con uno di loro. Ma nessuno di loro mi attirava, erano abituati ad avere tutto quello che volevano dalla vita. La loro esistenza era fatta da discoteche, feste e auto costose. Non avevano passato ciò che avevo passato io, non erano in grado di capirmi. Decisi che non volevo andare al college, volevo trasferirmi nella Grande Mela e ricominciare la mia vita. E così delusi di nuovo i miei genitori.
Con i soldi per il college presi un appartamento e trovai lavoro in una tavola calda. Le città grandi sono il posto perfetto per ricominciare la propria vita: nessuno ti conosce, sei solo uno fra i tanti che incontri la mattina nella metro.
Ma la mia vita continuava ad essere vuota. A volte uscivo con le ragazze che lavoravano con me, ma erano amicizie vuote e senza futuro. A volte mi frequentavo con dei ragazzi. Uscivamo insieme, andavamo al cinema o in qualche ristorantino. Erano dolci con me e, per qualche ora, riuscivano a farmi sentire meglio. Dalle dolci parole si passava alle carezze, ai baci e poi facevamo l’amore. Queste storie non duravano mai più di una notte. Eravamo solo estranei che si incontravano in quell’immensa città fatta da volti senza nome, che per una notte sentivano di appartenersi. Al mattino ci salutavamo, promettendoci di risentirci. Ma non lo facevamo mai.
Quelle storie di una sola notte non erano che promemoria del fatto che alla fine veniamo lasciati completamente soli.
Non avevo smesso di vedere i morti e decisi di sfruttare questo dono, o maledizione, a seconda del punto di vista. Appesi il cartello Medium alla porta di casa mia e sperai che, almeno per una volta nella mia vita, la fortuna venisse a bussare alla porta di casa mia.
  
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