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Autore: Nadine_Rose    04/10/2013    1 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 7

 

La verità è svelata

 

“Bisogna che si sia in due per scoprire la verità:

che vi sia uno che la esprima e un altro che la comprenda”. Kahlil Gibran 

 

Nadine scese celermente dal taxi e alzò gli occhi: la grande insegna “Der Hochmann” sovrastava quello che tutto sommato era un piccolo edificio. Con tre piani, due porte d’ingresso, tante finestre e verniciata di color ocra così si presentava la sede dello storico giornale di Fürstenberg/Havel, un tempo di propaganda nazista. La donna entrò dalla porta alla sua destra, ritrovandosi davanti a una lunga scrivania dietro la quale sedevano tante persone occupatissime a scrivere a macchina e a parlare a telefono. Si avvicinò a una ragazza bionda con grossi occhiali da vista neri e una lunga coda di cavallo. “Mi scusi …” le disse “… è possibile parlare con il signor Hochmann?” “Ha un appuntamento?” fece la giovane con tono quasi annoiato. “No, ma è importante!” rispose Nadine sicura. “Mi dispiace, signora, ma non è possibile. Se vuole, le fisso subito un appuntamento per la prossima settimana.” Le parole della ragazza non scoraggiarono Nadine che però si vide costretta a uscire dalla sede del “Der Hochmann”. Subito, una ventata di aria fredda le sferzò il viso e, facendo una smorfia, chiuse gli occhi per proteggerli dalla polvere. “Ragazze, ma ci rendiamo conto che questa è la seconda volta che facciamo tardi?! Il signor Hochmann ci licenzierà tutte, ne sono sicura!” Nadine aprì gli occhi all’udire questa giovane voce dal tono disperato. “Non agitarti troppo, Gabriela. Questa volta entreremo dal retro e, se saremo fortunate, nessuno si accorgerà del nostro ritardo.” All’udire ciò, Nadine ebbe un’idea e si girò di scatto verso il gruppetto di ragazze. Ne erano sei, tutte vestite in tailleur scuri e tutte con i capelli raccolti in chignon, alcune indossavano occhiali da vista. Le seguì nella loro corsa verso il retro, si confuse fra loro e con loro entrò di nascosto nella sede del giornale attraverso una porta stretta di colore rosso sopra la quale c’era scritto un divieto d’accesso. Un po’ si vergognò del suo comportamento ma questo era l’unico modo per conoscere e per far conoscere la verità. Lei e il padre di Kurt ne avevano pieno diritto! Mentre percorreva i lunghissimi corridoi del primo piano dalle pareti verniciate di un bel verde acqua, Nadine ripeteva nella sua testa le parole da dire al signor Hochmann e si domandava quale sarebbe stata la sua reazione. Forse l’avrebbe incolpata dell’orribile morte di suo figlio, avrebbe urlato contro di lei la sua rabbia, l’avrebbe cacciata via e di questo Nadine aveva paura.  Ma non gli avrebbe dato torto. Adesso che anche lei era madre poteva capire pienamente il dolore, la rabbia, l’angoscia, il vuoto che si prova per la perdita di un figlio. Al solo pensiero di poter perdere il suo piccolo Andrej, Nadine rabbrividiva. Alla fine del lungo corridoio, la donna trovò finalmente l’indicazione che cercava su una targa bianca posta in alto alla parete: l’ufficio della direzione era al terzo piano, alla stanza numero venticinque. La porta dell’ufficio era semiaperta e Nadine, prima di bussarvi, sbirciò all’interno della stanza. Davanti alla finestra c’era un uomo in piedi e di spalle, con una mano poggiata su un mobiletto pieno zeppo di giornali e l’altra che reggeva una sigaretta. Curvo e immobile, immerso nella luce fioca della stanza e probabilmente nella tristezza dei suoi pensieri, l’uomo sembrava il protagonista di un quadro del più disperato tra i pittori. Nadine capì subito che quell’uomo non era il padre di Kurt. I suoi capelli non erano bianchi, le sue mani non erano segnate dal tempo e la sua corporatura non era quella di un sessantenne. Nadine pensò che quell’uomo fosse un collaboratore del signor Hochmann o un dirigente del giornale. Nonostante ciò, dovette farsi ugualmente coraggio per bussare alla porta. “Lydia, lascia quei documenti sulla scrivania e, quando esci, chiudi la porta per favore.” esclamò l’uomo con voce autorevole senza voltarsi e Nadine bussò di nuovo alla porta. “Buongiorno …” disse con fare sicuro “… Dovrei parlare urgentemente con il signor Friedrich Hochmann.” A quelle parole, l’uomo si voltò e tutto accadde in meno di un secondo. I due si scambiarono uno sguardo, Nadine sbiancò di colpo, l’uomo sconvolto lasciò scivolare la sigaretta a terra. Nadine non aveva esitato neppure per un istante a riconoscerlo, aveva subito capito chi si nascondeva dietro quel volto sfigurato da innumerevoli cicatrici, ma non voleva crederci e pensò che le ore d’insonnia e di viaggio le avessero giocato uno strano scherzo. “Nadine?” “Kurt?” E tutto divenne improvvisamente buio.

 

   
 
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