Capitolo 7
La verità è svelata
“Bisogna
che si sia in due per scoprire la
verità:
che
vi sia uno che la esprima e un altro che la comprenda”. Kahlil Gibran
Nadine
scese celermente dal taxi e alzò gli occhi: la grande insegna “Der Hochmann”
sovrastava quello che tutto sommato era un piccolo edificio. Con tre piani, due
porte d’ingresso, tante finestre e verniciata di color ocra così si presentava
la sede dello storico giornale di Fürstenberg/Havel, un tempo di
propaganda nazista. La donna entrò dalla porta alla sua destra, ritrovandosi
davanti a una lunga scrivania dietro la quale sedevano tante persone
occupatissime a scrivere a macchina e a parlare a telefono. Si avvicinò a una
ragazza bionda con grossi occhiali da vista neri e una lunga coda di cavallo. “Mi
scusi …” le disse “… è possibile
parlare con il signor Hochmann?” “Ha un appuntamento?” fece
la giovane con tono quasi annoiato. “No, ma è importante!” rispose Nadine
sicura. “Mi dispiace, signora, ma non è possibile. Se vuole, le fisso subito un
appuntamento per la prossima settimana.” Le parole della ragazza non
scoraggiarono Nadine che però si vide costretta a uscire dalla sede del “Der
Hochmann”. Subito, una ventata di aria fredda le sferzò il viso e, facendo una
smorfia, chiuse gli occhi per proteggerli dalla polvere. “Ragazze, ma ci
rendiamo conto che questa è la seconda volta che facciamo tardi?! Il signor
Hochmann ci licenzierà tutte, ne sono sicura!” Nadine aprì gli occhi all’udire
questa giovane voce dal tono disperato. “Non agitarti troppo, Gabriela. Questa
volta entreremo dal retro e, se saremo fortunate, nessuno si accorgerà del
nostro ritardo.” All’udire ciò, Nadine ebbe un’idea e si girò di scatto verso
il gruppetto di ragazze. Ne erano sei, tutte vestite in tailleur scuri e tutte con i capelli raccolti in
chignon, alcune indossavano occhiali da vista. Le seguì nella loro corsa verso
il retro, si confuse fra loro e con loro entrò di nascosto nella sede del
giornale attraverso una porta stretta di colore rosso sopra la quale c’era
scritto un divieto d’accesso. Un po’ si vergognò del suo comportamento ma
questo era l’unico modo per conoscere e per far conoscere la verità. Lei e il
padre di Kurt ne avevano pieno diritto! Mentre percorreva i lunghissimi
corridoi del primo piano dalle pareti verniciate di un bel verde acqua, Nadine
ripeteva nella sua testa le parole da dire al signor Hochmann e si
domandava quale sarebbe stata la sua reazione. Forse l’avrebbe incolpata
dell’orribile morte di suo figlio, avrebbe urlato contro di lei la sua rabbia,
l’avrebbe cacciata via e di questo Nadine aveva paura. Ma non gli avrebbe dato torto. Adesso che
anche lei era madre poteva capire pienamente il dolore, la rabbia, l’angoscia,
il vuoto che si prova per la perdita di un figlio. Al solo pensiero di poter
perdere il suo piccolo Andrej,
Nadine rabbrividiva. Alla fine del lungo corridoio, la donna trovò finalmente
l’indicazione che cercava su una targa bianca posta in alto alla parete:
l’ufficio della direzione era al terzo piano, alla stanza numero venticinque. La
porta dell’ufficio era semiaperta e Nadine, prima di bussarvi, sbirciò
all’interno della stanza. Davanti alla finestra c’era un uomo in piedi e di
spalle, con una mano poggiata su un mobiletto pieno zeppo di giornali e l’altra
che reggeva una sigaretta. Curvo e immobile, immerso nella luce fioca della
stanza e probabilmente nella tristezza dei suoi pensieri, l’uomo sembrava il
protagonista di un quadro del più disperato tra i pittori. Nadine capì subito
che quell’uomo non era il padre di Kurt. I suoi capelli non erano bianchi, le
sue mani non erano segnate dal tempo e la sua corporatura non era quella di un
sessantenne. Nadine pensò che quell’uomo fosse un collaboratore del signor Hochmann
o un dirigente del giornale. Nonostante ciò, dovette farsi ugualmente coraggio
per bussare alla porta. “Lydia, lascia quei documenti sulla scrivania e, quando
esci, chiudi la porta per favore.” esclamò l’uomo con voce autorevole senza
voltarsi e Nadine bussò di nuovo alla porta. “Buongiorno …” disse con fare
sicuro “… Dovrei parlare urgentemente con il signor Friedrich Hochmann.” A
quelle parole, l’uomo si voltò e tutto accadde in meno di un secondo. I due si
scambiarono uno sguardo, Nadine sbiancò di colpo, l’uomo sconvolto lasciò
scivolare la sigaretta a terra. Nadine non aveva esitato neppure per un istante
a riconoscerlo, aveva subito capito chi si nascondeva dietro quel volto
sfigurato da innumerevoli cicatrici, ma non voleva crederci e pensò che le ore
d’insonnia e di viaggio le avessero giocato uno strano scherzo. “Nadine?”
“Kurt?” E tutto divenne improvvisamente buio.