Capitolo 5.
La testa mi girava. Di che cosa avevo
realmente paura? Sì, paura era la parola giusta. Ma cos'era che mi terrorizzava
così tanto? Perdere l'amicizia di Alex?
Fargli del male? Il primo posto nel mio cuore era soltanto per lui: Perché negarlo,
ormai? Avevo paura di scoprire che anche a Melissa lui piaceva? Avevo paura di.. vederlo felice? Mi sentivo uno schifo, era totalmente
egoista da parte mia, ed io non ero assolutamente così. Era solo perché tenevo
ad Alex, troppo. Cosa dovevo fare? Allontanarmi da
Alex, per non farlo soffrire, e per non soffrire io
stessa? No. Era un'idea stupidissima, e naturalmente impensabile. Desidererai
di non essermi mai innamorata di lui: se non fosse successo, la mia vita
sarebbe stata meno complicata, in quel preciso istante.
Qualcuno mi urtò, e io per poco non caddi all'indietro. Barcollai, perdendo
l'equilibro, come se fossi ubriaca. Sbattei più volte le palpebre, svegliandomi
in quel momento, e lasciando perdere i miei pensieri.
Ero in mezzo al corridoio, immobile, in mezzo ad una
folla di studenti che mi spingevano; i quali si trascinavano nelle rispettive
aule. Mi guardai intorno più volte, voltandomi da tutte le parti. Non c'era
traccia di Alex: In due secondi l'avevo perso di
vista. Brontolando, e facendo lunghi e profondi sospiri, mi diressi verso la
mia aula. Entrai, e mi sedetti compostamente al mio banco, mentre anche i miei compagni di classe ritornavano in aula. Alex non c'era.
Possibile che fossi tanto idiota da averlo completamente perso d'occhio in
circa due secondi netti? La mia mente cominciò a vagare. Magari era andato in
bagno. Magari era successo qualcosa. Un'emergenza, forse. Sospirai di nuovo,
tenendo lo sguardo basso, fino a fissarmi le scarpe.
Il professore di geografia entrò nell'aula. Ci alzammo tutti in piedi in segno
di saluto, e dopo qualche secondo il professore ci fece un cenno con la mano,
per indicarci di sederci. Ubbidimmo, come un sol uomo. Io ero preoccupata. Alex
non c'era. Dov'era? Di solito stavamo quasi sempre insieme, quindi queste cose non accadevano mai.
Presi il libro di geografia dallo zaino, e lo posai sul banco. Mi accorsi solo
in quel momento che il cuore mi batteva ancora forte. Era lui che mi faceva questo effetto, o avevo davvero qualcosa al cuore? Tutto
questo, per me, era completamente nuovo e quindi sconosciuto. Perché io non ero mai stata innamorata di qualcuno. Mai. E questo mi faceva una paura folle. Mentre
il professore apriva il suo registro personale, la porta dell'aula si aprì. Io trattenni il respiro.
C'era Alex. Insieme a Melissa.
Insieme.
"Ci scusi, professore, ma noi.." iniziò Alex. L'uso del plurale mi sconvolse.
"Sì sì, poche scuse. Sono costretto a mettervi
un ritardo. Sono spiacente, ma la campanella è suonata da già 10 minuti." lo interruppe il professore,
con la fronte corrugata.
Alex sospirò, poi annuì. Melissa stava in piedi
accanto a lui, senza aprir bocca, ma sfoderava un sorriso da pubblicità per
rossetti. Nella speranza di ammorbidire il professore? Forse. Dopotutto, era
abituata ad avere tutto quello che voleva, lei.
"A posto." ordinò
il professore ad Alex e Melissa, facendo un altro cenno con la mano. Alex
ritornò velocemente accanto a me, e anche Melissa ritornò al suo posto, con la sua solita camminata da modella. Era bella quasi da fare
schifo. Scossi la testa, sentendomi diventare le guance ardenti. Poi guardai
Alex, mentre il professore prendeva a spiegare la lezione del giorno, l'America
Meridionale.
Alex sorrideva, e con evidente soddisfazione. allora
m'incuriosii, e diedi una leggera gomitata ad Alex, che si voltò a guardarmi.
"Alex, che è successo?" bisbigliai.
Lui continuò a sorridermi, con lo sguardo basso. "Le ho parlato."
"Bene," mentii, "che vi siete
detti?" chiesi, anche se non volevo sapere la risposta.
"Niente di che. Le ho chiesto se aveva qualche
idea per il progetto. Lei ha detto di no, e che magari possiamo vederci qualche
volta, per decidere assieme." continuava
a sorridere.
"Ah." risposi, senza tono nella voce.
"Stavo pensando.." disse ancora lui, alzando
di poco gli occhi e incrociando il mio sguardo. "Tu, il progetto di
scienze, con chi lo farai?" chiese, sempre con quel maledetto sorriso
sulla faccia. Avrei voluto staccarlo via.
"Ehm.." venni colta alla sprovvista. Ero
troppo presa dal pensiero di Alex, di Melissa, e di
tutto il resto. Non ci avevo completamente pensato.
"Immagino che tu non lo sappia." rispose, secco, anche se il sorriso non era ancora sparito
dal suo viso.
"Immagini bene." commentai, abbassando lo
sguardo. Ero ancora rossa, lo sentivo.
"Dovresti chiederlo a qualcuno. Il lavoro dev'essere fatto a coppie."
Sottolineò pesantemente l'ultima parola, e ciò
m'irritò profondamente.
"Che te ne frega? Tu sei con Melissa." risposi, surriscaldandomi, anche troppo.
Nel preciso istante in cui pronunciai queste parole, me ne pentii amaramente.
Mi morsi forte il labbro inferiore, come quasi a volermi punire per quello che
avevo appena detto. Lui si fece un po’ scuro in volto, e inarcò le
sopracciglia. Lo guardai per un attimo.
"Scusa, è che io.."
'Che io, cosa?'
Lui scosse la testa. "No, non ti preoccupare. Lascia
perdere." disse, con un tono di voce che
mi sembrò tranquillo. Sospirò e si voltò verso il professore, come a voler dirmi che la discussione, per lui, era chiusa. Ma per me non
lo era affatto.
***
"Dobbiamo parlare."
Mi afferrò per un braccio, con delicatezza, e mi fece sedere al nostro solito
muretto di fronte alla scuola. Incrociò le gambe e si sedette di fronte a me,
guardandomi con aria piuttosto seria.
"Mi vuoi spiegare che ti succede?" mi chiese. Il suo tono di voce non
era minaccioso. Forse voleva solo sapere come stavano veramente le cose.
"Che cosa?"
"Sai a quel che mi riferisco."
Mi lanciò un'occhiata d'intesa. Io rabbrividii, poi sospirai
profondamente. In fondo, qualche spiegazione gliela dovevo,
anche se non avevo nessuna intenzione di raccontargli tutta la verità. E non
gliel'avrei mai, mai detta.
"Davvero, Alex. Mi dispiace. Io non voglio darti problemi." dissi, torturandomi le mani.
"Perché ti comporti così? Mi pare di esser stato chiaro, ieri sera.
No?"
Continuavo a tenere lo sguardo basso.
"Ho solo paura di perderti."
Seguì una lunga pausa. Io rimasi con gli occhi bassi, non osando alzare
lo sguardo di un solo centimetro. Lui rimase in silenzio. Sentivo solo i
ragazzi che passavano accanto a noi, e nel frattempo mi fissavo le mani. Poi,
lui si chinò un po' per guardarmi negli occhi. Io sobbalzai, e d'istinto
arretrai.. Lui, finalmente, mi sorrise. Mi scostò i
capelli dagli occhi con una mano, mettendomeli dietro l'orecchio. Neanche a dirlo,
arrossi furiosamente.
"Adrienne, sei una scema. Credi davvero che ti abbandonerei?"
Mi pentii di averlo pensato, ma soprattutto, di averlo
detto, anche se lui aveva reagito molto bene. O
almeno, così sembrava. Senza neanche accorgermene, sorrisi: ero di nuovo sicura di avere un'aria da idiota.
"No. Scusami, scusami.."
Mi avvicinai a lui, e per un secondo lo abbracciai. Sciolsi subito l'abbraccio,
imbarazzatissima. Lui rise e mi scompigliò i capelli.
"Non preoccuparti, e soprattutto non pensarci più. Mi raccomando!
Altrimenti, la prossima volta mi arrabbio sul serio."
disse, e rise di nuovo.
Questa volta risi anch'io. "E' una promessa?" chiesi.
"No, è una minaccia."
Risi ancora di gusto, sinceramente divertita. Ci fu una breve pausa, poi lui
parlò di nuovo per primo.
"Senti, oggi sei libera?" mi chiese.
Riflettei per un attimo. "Sì, sono sola a casa."
risposi, tranquilla.
"Ah. Allora posso venire a casa tua, che dici?" mi chiese ancora.
"Sì, certo. Se vuoi puoi restare ancora a cena,
la casa sarà vuota fino a domani mattina."
Mia madre lavorava in ospedale, quindi in certe giornate era costretta a
rimanere tutto il giorno a lavorare. Mio fratello in alcune giornate stava con
me, in altre se ne stava a dormire da amici. Mio
padre, be', era ancora fuori per lavoro. A me non dispiaceva stare da sola.
Avevo sicuramente tanto tempo per me stessa.
"Accetto molto volentieri. Allora, verso le quattro vengo da te?"
Sorrisi. "Certo. Ci rivediamo più tardi. Ciao!"
Scesi dal muretto con un saltello, e feci ciao-ciao con la mano
mentre mi allontanavo. Lui rimase a guardarmi, seduto sul muretto, e mi
regalò uno splendido sorriso. Mentre tornavo a casa a
piedi, ebbi modo di pensare. Ero preoccupata. Non era assolutamente la prima
volta che passavo la serata con Alex; ma questa volta le
circostanza erano diverse. Sarei riuscita a resistere,
senza lasciarmi scappare nulla, per una sera intera?
***
Alle quattro meno cinque, il citofono suonò. Io, che ero comodamente
seduta sul divano, in salotto, scattai in aria. Mi alzai velocemente, quasi
inciampando sul tappeto, e mi avvicinai al citofono per rispondere.
"Sì?"
"Sono Alex."
Schiacciai il pulsante sulla cornetta. Un rumore metallico mi avvisò che il
portone era stato aperto, quindi mi avviai verso l'ingresso, e aprii la porta.
Mi appoggiai su quest'ultima, aspettando che Alex salisse le scale. Dopo cinque
minuti lo vidi spuntare sul mio pianerottolo,
sfoderando ancora quel sorriso che mi piaceva tanto. Lo squadrai dalla testa ai
piedi, notando perfino cosa indossava. Aveva un paio di jeans chiari, sbiaditi
sulle ginocchia. Indossava anche una maglietta a righe bianche e grigie, e le
solite scarpe da ginnastica. I capelli neri gli ricadevano sul viso,
nascondendogli gli occhi nocciola. Portava lo zaino su una sola spalla, che sobbalzava
ad ogni suo movimento. Arrossii non appena mi fu di fronte.
"Ciao." disse, a voce bassa.
Io sorrisi, e lo spinsi dolcemente dentro casa. "Entra." dissi, e poi chiusi la porta. Ormai lui era completamente a
suo agio, dentro casa mia, dopo tutto quel tempo che ci conoscevamo. Sempre
sorridendo andò verso il salotto, e sprofondò sul divano di pelle.
"Guarda che dobbiamo anche studiare." commentai, facendo capolino sulla porta del salotto. Lui
scoppiò a ridere, mettendosi le mani dietro la testa.
"Al massimo, copierò i tuoi compiti."
Io afferrai un cuscino che era appoggiato su una poltrona lì
vicino, e glielo lanciai, colpendolo dritto in faccia.
"Ehi!" protestò lui, scattando in piedi. Io scoppiai a ridere, e gli
feci una linguaccia.
Lui fece una faccia scandalizzata, e mi raggiunse. Cercai di correre via, ma
lui mi prese per un braccio, cercando di trattenermi. E così inciampai sul tappeto di prima, finendo a terra. Con
lui, sopra di me.
Mi sentii praticamente in trappola, e naturalmente il
mio viso assunse una tonalità di colore che andava sul violetto. Lui era sopra
di me, sì, e rideva, tenendomi stretti i polsi per non farmi andare via. Ma in fondo, che c'era di male? Niente. Non c'era motivo di
essere in imbarazzo, no, no. Eravamo solo due amici che stavano scherzando e
ridendo assieme. Giusto? Così risi anch'io. Poi lui mi lasciò i polsi, e
ritornammo seri. Feci per togliermi da quella scomoda posizione, ma poi
ci ripensai. Mi guardava dritto negli occhi, e aveva un'espressione
indecifrabile. Io sospirai, e ricambiai il suo sguardo. Mi sentivo mancare il
fiato, e il pavimento era incredibilmente freddo, sotto di me. Cominciò a
carezzarmi la guancia con il dorso della mano. Al contrario, le sue mani erano
caldissime. Rabbrividii. Socchiusi gli occhi, perdendomi nel
calore della sua mano, e nella sensazione che mi provocava sentirla sulla mia
guancia. Con il pollice cominciò a sfiorarmi tutto il viso, come se
stesse cercando di memorizzarlo. Le sue dita indugiarono sul mento, vicinissime
alle mie labbra. Mi spostò alcuni ciuffi di capelli dal viso,
lo sentii sospirare. Poi parlò, come se stesse parlando con sé stesso, ad alta voce.
"Lei. Se non ci fosse, io.."
La sua voce era poco più di un sussurro.
Io la sentii, dato che la casa era immersa in un silenzio assoluto, e a queste
parole aprii di scatto gli occhi, ritrovando di nuovo i suoi a fissarmi. Questa
volta lo spinsi di lato, con decisione, e lui si
spostò. Mi alzai in piedi, e velocemente mi imitò,
standomi di fronte. Il cuore mi batteva fortissimo, per l'ennesima volta. Mi
schiarii la voce, ero rossa in volto, lo sapevo.
"Vado in bagno." dissi, per prendere tempo.
"Okay." rispose lui, evitando di guardarmi. Senza aspettare, mi
precipitai in bagno. Appoggiai le mani sul bordo del lavandino, e guardai il
mio riflesso allo specchio.
Mi studiai attentamente. Ero rossa, ancora. La coda con la qualche mi tenevo i capelli era mezza sfatta. I capelli, troppo ricci,
mi ricadevano in maniera scombinata sul viso, sugli occhi. Quest'ultimi erano un po' lucidi. Smisi di fissarmi, e passeggiai
avanti e indietro dentro la stanza, riflettendo. Cosa
voleva dire, Alex? E chi era quella lei, che aveva
pronunciato? Ero io? Tutto era molto strano, sembrava
non avere nessun senso logico. E io ed Alex non ci eravamo
mai comportati così. Non c'era mai stato imbarazzo fra noi. Ma
da quando io ero innamorata di lui, le cose erano cambiate. E
anche lui sembrava cambiato.
Ma perché..?
Al solo pensiero di quello che era successo, prima, arrossi di nuovo. La
sensazione del suo corpo contro il mio.. era qualcosa
di strano, ma di piacevole allo stesso tempo. Non sapevo bene come definirla,
sapevo solo che in quell'attimo mi ero praticamente
sentita.. euforica. Dovevo stare calma, però. In fondo c'era ancora tutto il
pomeriggio, e la sera, da passare insieme a lui.
Uscii dal bagno. Sospirai, come a darmi forza, e ritornai in salotto. Come immaginavo, Alex era seduto sul divano, e aveva appoggiato
il suo zaino sul tavolino di fronte. Non sorrideva, e lo interpretai come un
gesto non troppo incoraggiante.
"Vado a prendere i libri." dissi.
Dopo cinque minuti ritornai in salotto. Aveva i piedi appoggiati sul tavolino,
e sfogliava il libro di geografia.
"Fai come fossi a casa tua, eh." commentai, sarcastica. Lui fece un ghigno.
Presi il mio libro di geografia, e mi accomodai sull'altra estremità del
divano, lontana da lui. Tenevo il libro appoggiato sulle gambe, ed esse strette
al petto. Cadde un silenzio spiacevole. Vedere che lui era così lontano da me,
e che non mi rivolgeva la parola, mi faceva stare malissimo: come se avessi un
buco all'altezza dello stomaco. Senza fargliene accorgere, lo guardai. Aveva la
bocca socchiusa e leggeva, giocherellando con un ciuffo di capelli che gli ricadeva sugli occhi. A quella scena,
sorrisi, finché il suo sguardo incrociò il mio: evidentemente si era sentito
troppo osservato. Sorrisi, imbarazzata, e abbassai
lo sguardo. Poi posai il libro sul tavolino, e strinsi le braccia al petto.
"Non sopporto non parlarti." dissi. Lui
chiuse il libro e lo appoggiò accanto al mio. "Già, neanch'io."
Poi continuò. "Se è per quello che è successo.."
Lo interruppi. "Ma non è successo niente."
Lui sembrò spiazzato dalla mia risposta. "Sì, ehm, già." farfugliò.
Ma infatti, di che mi preoccupavo? Non era successo
niente. A parte quel che aveva detto, che per me era ancora
un mistero. Si avvicinò un po’ a me, accorciando quella distanza che
c'era fra me e lui.
"Mi dispiace, io.." disse,
quando mi fu a pochi centimetri.
Gli appoggiai un dito sulle labbra, zittendolo. "Ma
di che ti scusi? Non mi hai fatto niente, Alex."
Lui sorrise. Prese la mia mano e la strinse fra le sue.
"Adrienne?"
"Sì?"
"Ti voglio bene."
Gli sorrisi di rimando.
"Alessandro?"
"Sì?"
"Anch'io ti voglio bene."
'Più di quanto immagini.'
Sorrise, poi scoppiò a ridere. "Che impressione..
Alessandro. Non mi chiami mai così. Mi suona come qualcosa di troppo serio."
"Ma è il tuo nome!"
"Io preferisco Alex."
"Anch'io lo preferisco." dissi.
'In tutti i sensi.'