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Autore: Ilsignorottopiumato    29/10/2013    2 recensioni
Rabbia, disprezzo, paura e rimorso, sentimenti umani tra i più pericolosi. Insieme formano un ciclo di violenza che stravolge la vita della comunità di Bridgehowl. La scomparsa di alcuni bambini mettono un uomo distrutto come Simon Madler, sulle tracce di un omicida senza volto, che colpisce nelle viscere del bosco. La spirale porterà Simon ad affrontare una realtà che è rimasta nascosta da secoli, ma che ora rivendica la sua esistenza.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il dolore è sordo, il dolore è muto.
Il dolore è sordomuto.
 Sordo perché ascolta solo se stesso,
 muto perché non ci sono parole che possano parlarne.
(A. G. Pinketts)
 
Capitolo 1:
L’ambasciatore e la sua pena
 
“La vita è spettacolare”. Stando supino con il volto rivolto al cielo, e il suo sguardo d’ebano fisso verso l’infinito, che pareva volesse spogliare, bucare e attraversarne il limite, così che potesse arrivare a vedere sempre più in profondità nei meandri di quel mare celeste, nel suo cervello David non riusciva che a far fiorire questo pensiero, che giorno dopo giorno trovava le motivazioni necessarie per crescere e fortificarsi.

“La vita è spettacolare”, ne era più che mai convinto, ci credeva con una tale forza di volontà, che avrebbe potuto rivaleggiare con quella di un prete missionario. Questo non significa che Gould fosse un inguaribile ottimista, forse (avrebbe azzardato qualcuno) un romantico, ma David non era il tipo da vedere il bicchiere o mezzo vuoto o mezzo pieno, era conscio dell’esistenza di entrambe le realtà, contemplandone in egual misura tutte le sfaccettature che erano in grado di generare. La sua idea di spettacolare non coincideva per forza col concetto di bello e gradevole (anche se in quel momento era proprio così), ma assumeva secondo lui, un significato più ampio. Un po’ come quando ci si metteva a guardare un film, con una di quelle scene ad effetti speciali nella quale si osserva meravigliati la dettagliata e limpida immagine del cosmo con le sue stelle, i suoi pianeti e il suo silenzio nel quale è racchiusa l’essenza della contemplazione di una bellezza fino ad allora solo immaginata. Uno spettacolo che sicuramente colpisce ed esalta colui che osservandolo pensa “Stupendo”. Ma anche quando vengono mostrati due uomini in giacca e cravatta che entrano in un appartamento con le pistole spianate e facce che non lasciano presagire nulla di buono, nel momento in cui fanno saltare la testa al tizio seduto a mangiarsi un hamburger e il sangue del suo cranio ridipinge una sezione di muro della stanza, questo spettacolo per quanto meno piacevole e contemplativo farà pensare, nella maggior parte dei casi “Forte”.

“Sia che il mondo cada a pezzi o vada a gonfie vele, seguirà sempre la realtà delle cose” gli ripeteva suo padre. Queste parole per David, erano valide come il vangelo, ed era proprio qui che lui intravedeva la spettacolarità dell’ esistenza, nel concreto, nel tangibile , nella realtà delle cose, dolce o aspra che fosse ma esistente. Non poteva perdersi tutto questo restando ancorato a sciocche fantasie, lo distoglievano da ciò che lo circondava, da ciò che veramente poteva farlo diventare un uomo. Fate, gnomi o extraterrestri era roba da...Jeremy Jenkins, e lui non sarebbe mai stato un Jeremy Jenkins, nossignore. Provava per quel ragazzo uno strano senso di repulsione, quasi fosse infetto. Non era odio, ma più un misto di pena e rassegnazione, Non avrebbe mai goduto di ciò che il mondo offriva, e questo perché se ne era creato uno tutto suo, fatto di cose irreali e prive di senso. Una fidanzata, degli amici, non avrebbe mai avuto nulla di tutto questo.

“Peggio per lui” si diceva. In quel momento, nel quale si trovava ancora ad ammirare all’apice dell’ estasi, il più bel dipinto che la natura avesse mai creato, il suono del suo orologio da polso lo riportò alla più importante delle realtà, il proprio dovere. Sgusciò fuori dal suo sacco a pelo, prestando bene attenzione nel non fare rumore. Non appena fu in piedi, venne salutato da una leggera brezza, di cui avidamente si riempì i polmoni, assaporandone fino all’ultimo la concreta freschezza che gli veniva offerta. Dopodiché armeggiò con la sua mano destra nella tasca dei calzoncini blu notte, estraendone un istante dopo un oggetto metallico che si apprestò a portarsi alla bocca. Il fischietto rifletteva i primi raggi del sole, brillava in modo tale che  David d’istinto chiuse i suoi occhi scuri per un momento. Nell’istante in cui lo fece, regalò tutta l’aria che era riuscito a immagazzinare durante quella generosa accoglienza mattutina di poco prima al piccolo oggetto, che venendo attraversato da un tale dono si mise a gridare acutamente. Seguito di quel suono, fu un mugolio sommesso, ovattato dai pesanti strati di tela e piume dei sacchi a pelo, rendendolo simile al piagnucolio di un cane.

Mentre David continuava a sferzare brevi fischi, quasi come se si trovasse a tirare delle sberle, il verso, dapprima sommesso, cominciò di rimando ad aumentare di volume. Si cominciarono quindi a sentire le prime lamentele della giornata, “No ma daaaaiii’’ e poi ‘’Che notte del cavolo’’ e ancora ‘’Siamo svegli siamo svegli, basta’’. Il fischietto tacque, ora era il turno di Gould. ‘’Non ci credo che siete ancora sdraiati’’. Anche se gridava, non c’era cattiveria nella sua voce, ma una via di mezzo tra la severità e lo sberleffo, quindi riprese ‘’ Louis, che fai? Hai quattordici anni e te ne stai lì come un vecchio di ottanta. Sei tu che dovresti svegliare me.’’.  Un sorriso di finto assenso, accompagnato da un dito medio alzato, fu il modo di Louis Anderson per dire …Buongiorno anche a te rompipalle… Un attimo dopo il plotone era quasi del tutto sveglio, quasi del tutto in piedi e quasi del tutto entusiasta. Dopo aver distribuito la colazione (o il rancio, come lo chiamava Robert) David diede l’ordine di preparare e radunare gli zaini, per poi partire alla volta del “Colosso”.

‘’Forza Jeremy! Quanto ci metti?”, David guardava Jeremy smanettare convulsamente la cinghia del suo zaino. Senza staccare lo sguardo da ciò che stava facendo, Jeremy gli strillò ‘’Non riesco a infilarci il sacco a pelo!’’. Gould insistette ‘’Forza sbrigati, sei sempre l’ultimo ’’, ‘’Non ci sta!’’ sbottò di nuovo. David si buttò la testa all’ indietro esasperato, e a passi stanchi si incamminò in direzione di Jenkins. Lasciò cadere lo zaino a terra, si inginocchiò di fianco a lui, e senza dire una parola mise il sacco a pelo in senso orizzontale in cima allo zaino di Jeremy, dopodiché lo chiuse serrandogli intorno la fibbia dello stesso, poi si alzò in piedi e riprese la sua zavorra in spalle.

‘’Senti Jenkins’’, si interruppe lasciando il tempo al ragazzo di alzarsi e guardarlo negli occhi , ’’Non ho intenzione di passare la giornata a starti attaccato alle chiappe come una sanguisuga, voglio che tu stia qui, insieme a noi e cerchi di goderti la gita; sei sotto la mia responsabilità, perciò non posso mollarti dove mi pare, ma oggi non ti permetterò di fare il peso morto come al solito, scordatelo capito!?’’. David vide che le labbra di Jeremy si stavano serrando, mentre il suo sguardo si abbassava come appassito.
Non capiva se era una conseguenza dettata dall’imbarazzo o dalla rabbia, decise comunque di allentare la morsa. ‘’Ascolta’’ gli disse David nel modo più pacato che riusciva ad ottenere, ’’Mi dispiace se te la sei presa per quello che è successo ieri sera, ma se continui a comportarti in questo modo, ci proveranno sempre più gusto a stuzzicarti’’ …Loro?... pensava tra sé e sé Jeremy …E tu ‘’Granduomo’’? Tu non conti?… Gli occhi di Jeremy erano tornati a fissarsi su quelli di Gould. Per l’ istante in cui i loro sguardi entrarono in collisione, una strana e spiacevole sensazione attraversò David. Fu simile a un brivido, che gli diede l’impressione di avere accidentalmente accarezzato con la punta delle dita, quella pozza di sozzura illogica e infetta, nella quale sguazzava Jeremy. ‘’Sono sicuro che se ti infilassi nei loro discorsi troverete qualcosa in comune che piaccia anche a te ’’. Glielo disse come se stesse spiegandogli le regole di base di qualche gioco dove la strategia era il cuore della vittoria, …Ma per favore…  pensò Jeremy, …Che centro io con quei dementi?... Lunghi fischi richiamarono l’attenzione dei due boy scout. Facendo un segno con la mano David avvisò che erano pronti, ‘’Allora siamo d’accordo Jeremy’’ concluse David ‘’Avanti in marcia’’, entrambi si misero a camminare, poco dopo raggiunsero il gruppo.

***
 
Per tutta la durata delle tre ore e un quarto che impiegarono per arrivare alla meta, i ragazzi non fecero nemmeno una sosta. L’unico momento che li spinse a  interrompere il loro pellegrinaggio, fu quando inaspettatamente si sentirono raggiungere all’unisono da un lungo e melodico fischio. Tutti si fermarono, e alcuni interruppero il contatto visivo coi loro piedi, alzando la testa e spostandosi su David. Lo videro che fissava con attenzione uno spiazzo di rocce e cespugli che si trovava sotto di loro, oltre il sentiero sul quale camminavano.
Ci fu un altro fischio, e questa volta fu chiaro che né questo né il precedente erano opera del fischietto di David che, appoggiandosi l’indice sulle labbra, comunicò agli altri di fare silenzio. Indicò un punto nello spiazzo dal quale, su una roccia, si ergeva ritta in piedi e immobile come una statua, una bestiola dalla pelliccia di un colore simile al miele che fissava il monocromatico paesaggio, muovendo talvolta di scatto la testa pelosa, prima da una parte, e poi da un’ altra. Lanciò un terzo fischio, dopodiché si lanciò fulminea con un balzo dietro di lei, per sparire dentro una fessura tra le rocce, talmente rapida che sembrò essere stata aspirata e ingoiata dal quel buco così scuro. David sorrise, si volse e riprese a camminare lungo il sentiero. Rassegnati dal fatto che la bestiola non sarebbe riapparsa, gli altri lo imitarono riprendendo il loro monotono andamento.

Il resto del viaggio fu intervallato da momenti nei quali l’unica cosa che si potesse sentire (oltre ai normali piccoli suoni della montagna) era il gracidare delle suole di gomma degli scarponi che grattavano contro il terreno in maniera ritmica e costante insieme all’ incessante sfregare degli zaini contro il tessuto delle uniformi; da altri nei quali c’era ancora abbastanza fiato da potersi permettere di chiacchierare dei più disparati argomenti. Dietro di loro c’era Jeremy, che svogliatamente, trascinava il suo corpo spronandolo senza impegno a continuare la salita. Nulla di strano; era risaputo nel gruppo, che tra tutti i posti in cui  Jeremy ‘’Junk’’ Jenkins non avesse intenzione di rimanere, il corpo Scout di Bridgehowl era sicuramente in cima alla lista.
Un elenco, che comprendeva in linea di massima ogni attività a cui il ragazzo era allergico, le quali erano praticamente tutto ciò che non rientrava nei cinque metri quadrati della sua stanza.

Quel giorno sua madre, era entrata nella sua camera camminando decisa, l’aveva sentita entrare, ma non per questo si permise di distogliere lo sguardo dal monitor, che a quanto pare, aveva su di lui un potere che in quel momento l’ex signora Jenkins, invidiava ferocemente. Diede due colpi di tosse per avvertire il figlio della sua presenza, ma l’unica reazione che ottenne fu il meccanico movimento del braccio di Jeremy che afferrava da un pacchetto una manciata di nachos portandoseli poi alla bocca. A questo punto sbottò: ‘’Jeremy!’’ , le rispose nello stesso tono che avrebbe usato con una zanzara ‘’Shh, mà , non riesco a sentire’’. I piccoli occhi verdi della donna parevano adesso due tuorli d’uovo. Avanzò verso il televisore quasi di corsa, e parandosi di fronte al figlio, ma rivolta all’infernale apparecchio, premette con evidente soddisfazione il pulsante nell’angolo in basso a destra. Come un niente la finestra di colori, suoni e follie, venne inghiottita da un sipario nero.’’ Ecco, adesso ci senti meglio?’’.
Jeremy guardò la madre con l’aria di un vagabondo a cui hanno appena rubato il pane da davanti agli occhi, lei riprese ‘’Ora apri bene le orecchie e tieni la bocca ben chiusa, perché non ho intenzione di discuterne chiaro?’’ Jeremy si limitò a fissarla allarmato senza fare alcunché. Lei perciò proseguì ‘’Domattina verrà a prenderti il signor Gould insieme a suo figlio.’’…Cosa?... ‘’L’ho convinto a portarti con lui in campeggio assieme ai tuoi amici di scuola.’’ …Amici di scuola loro?... ‘’Il tutto durerà due settimane. Ho preparato i ricambi sufficienti e ti ho comprato uno zaino. Non ho intenzione di farti passare l’estate in questa camera che tra l’altro puzza da morire.’’
A questo punto Jeremy tradì un espressione di puro e angosciante sconforto. Sua madre, era decisa a non farsi intenerire da quella silenziosa supplica, e a passi scattanti uscì dalla camera, tirando poi un sospiro di sollievo. Sapeva che se non fosse stata sbrigativa nell’annunciarglielo si sarebbe poi arresa di fronte all’estremo disagio dell’ameba che aveva partorito.

La mattina dopo si sarebbe trovata in mezzo alla crisi isterica del figlio, e all’impazienza del signor Gould, che anziché il campanello, preferiva prendere a manate, il clacson del suo fuoristrada. Fu la minaccia di requisire tutti i cd e i videogame che possedeva , a far calmare Jeremy e convincerlo a scendere, e fu la vista del ragazzino in tenuta da campeggio sulla soglia di casa, a far cessare il signor Gould di torturare il volante, insieme ai timpani di tutto il vicinato. Ed eccolo qui, Jeremy ‘’Junk’’ Jenkins, costretto a trascorrere l’estate insieme alle persone che lo maltrattavano per tutto il resto dell’anno. …Grazie tante mamma… pensò; riuscì a immaginarsi la madre  in salotto, con una sigaretta accesa in una mano e un biscotto nell’altra, mentre era seduta comodamente sul divano a guardare la tv , sussurrando con un sorriso compiaciuto ‘’Non c’è di che tesoro’’.

Nessuno quindi, notava nulla di inaspettatamente anomalo nel comportamento di Jeremy.
Eppure questa volta fu diverso. I suoi compagni non ebbero modo di accorgersene, ma questo, non rendeva il fatto meno straordinario. Jeremy  stava fissando gli altri che parlavano poco più avanti. Da qualche minuto, un pensiero gli svolazzava ronzandogli impertinentemente nella testa …Sono sicuro…  , intanto lui non smetteva di osservare  gli altri ragazzi …nei loro discorsi…

Quasi senza accorgersene Jeremy allungò il passo …qualcosa in comune… Si avvicinò abbastanza da poter capire quello che si stavano dicendo; uno dei ragazzi, Kyle Crowford , stava raccontando a Louis Anderson di quella volta in cui suo padre, l’aveva accompagnato a visitare il museo delle torture nella contea di Fistburn. L’esposizione aveva creato parecchio malcontento in quella città, infatti Kyle disse di essere riuscito a visitarla, pochi giorni prima che il comune decidesse di chiudere l’edificio. In quelle sale venivano mostrate ogni genere di apparecchi e marchingegni, assemblati al solo scopo di tranciare, sbudellare e deturpare nella maniera più colorita possibile, ogni essere umano che necessitava di una pena. ‘’Dovevi vedere la faccia di mio padre’’ disse Kyle sghignazzando tra i denti. ‘’Quando siamo arrivati all’impalamento non ce la faceva più, è dovuto uscire’’, ‘’Sarà perché è un medico ’’ rispose Louis sorridendo. Sebbene entrambi fossero consapevoli di aver ormai concluso la conversazione, non poterono fare a meno di prestare attenzione al ragazzo che, parlando dietro di loro, approfondì l’argomento.

‘’Il conte Dracula uccideva usando l’impalamento’’. Entrambi voltarono la testa, senza però smettere di camminare, Jeremy Jenkins era appena dietro di loro che li fissava come un topo fa col cibo. Erano stati presi alla sprovvista, e non riuscirono a nascondere l’espressione di sorpresa nell’essersi accorti che l’ultima persona di cui immaginavano sentire la voce, stesse rivolgendosi proprio a loro. Passato l’iniziale momento di incredulità, Kyle azzardò una risposta. ‘’Il conte Dracula? Cioè il Vampiro?’’ Jeremy annuì quasi senza accorgersene, con evidente enfasi, poi disse ‘’Sì…No, no aspetta non il vampiro del libro. Parlo del sovrano.’’ Louis si affrettò a contraddirlo, ‘’L’unico Dracula che conosco è un vampiro, e non si mette a impalare la gente ma a succhiargli il sangue’’. Questa volta Jeremy non correva il rischio di venire sbugiardato, stava giocando la partita sul suo campo da gioco, e poteva fare ricorso a tutte le sue conoscenze sull’argomento.
Aumentò il passo finché non si trovo di fianco a Kyle, quindi guardò Louis negli occhi dicendogli, ’’Il sovrano di cui parlo ha ispirato il personaggio del racconto, ma era di gran lunga più cattivo ’’. Jeremy era riuscito ad incuriosire i suoi compagni, lo capì dopo che Kyle gli disse, ‘’Per il fatto che impalasse le persone?’’. Era fatta, ormai li aveva in pugno, quindi rincarò la dose. ‘’Per il fatto che ci provasse gusto. Non faceva distinzioni fra donne, uomini o bambini; e spesso si faceva portare del cibo mentre li osservava morire’’.
Tra i due ragazzi, Louis era quello che appariva più rapito dal racconto, senza riuscire a trattenersi dall’esclamare ‘’Porca troia, quello era fuori’’. Incoraggiato dall’esclamazione, Jeremy continuò. ‘’Ed era anche parecchio fantasioso. Non si limitava a usare solo pali di legno, ma si divertiva a modificarli. Così poteva osservare ogni volta, un’espressione sempre diversa sulle sue vittime. Ad esempio come quando faceva spalmare di miele un palo, per poi guardare il condannato divorato vivo dalle formiche.’’ Nemmeno Kyle a questo punto riuscì a trattenersi dall’ assumere una smorfia schifata, ma fu immediatamente soppressa dalle sue parole. ’’Per la miseria, questo non lo immaginavo neanche. Che figata’’.

L’entusiasmo di Jeremy aveva raggiunto l’apice; riusciva a sentire in quel momento, un’energia che lo caricava come nulla fino ad allora, le parole gli uscivano con una tale naturalezza che non si sarebbe aspettato di possedere. Intanto Kyle restava a guardarlo interessato, sorridendo di tanto in tanto. Jeremy era in preda ad’ una sensazione del tutto nuova per lui, le frasi zampillavano come l’acqua da un buco; forse fu per questo motivo che non riuscì a notare un qualcosa che, nel suo abituale stato d’animo, non si sarebbe lasciato sfuggire. Si sarebbe accorto che in certi momenti, lo sguardo di Kyle scattava fulmineo a scrutare dietro le spalle del suo interlocutore, e si sarebbe accorto di Louis Anderson, che sorrideva un po’ troppo per un’ argomento che trattava la tortura, e si sarebbe anche reso conto che il viso di Crowford non mostrava interesse, ma impazienza.

All’ improvviso Jeremy avvertì un brivido lungo la gamba destra, ebbe la sensazione che qualcuno gli avesse tirato una palla di neve che, lanciata a tutta velocità ora si era frantumata sul suo polpaccio.  Ma non si trattava certamente di una palla di neve, e il gelo che Jeremy sentiva mordergli la gamba  fu tutt’altro che una sensazione; qualcosa di incredibilmente freddo gli si era infilato nella calza di lana. Realizzò un attimo dopo, che nulla aveva avuto l’idea di infilarsi volontariamente nei suoi vestiti, ma che ne era stato indirizzato. Lo capì, quando voltandosi, vide Robert Miller accovacciato che si ritraeva dalla sua gamba, con il viso paonazzo per le risa che non si vergognava di mostrare agli altri.

‘’Ti ho trovato un amichetto Junk’’ strillò rialzandosi da terra quasi senza smettere di ridere, ‘’Ma se non lo tiri fuori sverrà per la puzza’’. Jeremy distolse l’attenzione da lui, mentre goffamente cercava di tirare fuori quello spiacevole estraneo. Lasciò cadere lo zaino a terra dimenandosi come un pazzo; ansioso e furioso nello stesso tempo scavò freneticamente all’interno della calza con le dita, fino a quando anche con quest’ultime avvertì il freddo viscidume che aveva già invaso il suo polpaccio. Sollevò lentamente la mano sperando, ma senza illusioni, che quello che teneva in mano non fosse ciò che pensava. Quando finalmente si trovò faccia a faccia con l’intruso, Jeremy dovette trattenere un urlo isterico che trasformò in un verso sommesso simile ad un guaito; agitò convulsamente la mano su e giù allontanando da sé quella schifezza.

La lumaca cadde rovinosamente a terra a pochi centimetri da Jeremy che si stava strofinando la mano contro la manica, in preda a un panico che il resto dei ragazzi trovava divertente. Non era la prima volta che Miller tirava a Jeremy questo tiro mancino; da quando aveva scoperto a scuola che il caro Junk aveva una fortissima fobia verso chiocciole e lumaconi, il suo passatempo preferito era quello di fargli trovare le suddette bestiole ovunque, nell’astuccio degli occhiali, sotto il banco; una volta era riuscito ad infilargliene uno nel sandwich che Jeremy portava per pranzo tutte le volte, purtroppo se ne era accorto proprio prima di addentarla, ma l’esito che ne seguì rese lo scherzo decisamente appagante e la storia si stava per ripetere.

Jeremy barcollò per qualche secondo cercando un qualunque appoggio senza però riuscire a trovarlo, dopodiché gli risultò impossibile riuscirsi a trattenere. Si portò entrambe le mani all’addome premendole contro lo stomaco, si chinò in avanti come qualcuno che lancia un potente starnuto, chiuse gli occhi e si lasciò andare, rigettando ogni cosa che aveva ingerito in quella mattina. Aprendo gli occhi, Jeremy sentì la testa pulsargli come un tamburo, il sudore inumidiva il suo viso e l’inguine gli doleva per lo sforzo. Si accorse che le punte delle sue scarpe erano ricoperte di vomito , che come se non bastasse aveva raggiunto in piccole gocce buona parte dei suoi calzoni. Ora vedeva anche gli altri ridere, li osservava a darsi pacche sulle ginocchia e battere le mani come fossero a un concerto. Poi Jeremy individuò lì a terra davanti a lui la lumaca, contemplava  immobile la scena da brava spettatrice. Forse… pensò Jeremy …anche lei sta ridendo di me… Fece qualche passo verso di lei, fino a quando non se la trovò abbastanza vicino da riuscire a distinguere in quella massa di bava e viscidume due lunghi occhietti che fissavano ammirati il suo stivale lordato.

Con il volto fradicio di sudore (o erano lacrime?) Jeremy sollevò lo scarpone sopra la piccola e silenziosa creatura, scatenando su di lei con un violento colpo, tutta la frustrazione che gli aveva involontariamente procurato. Il piede di Jeremy pareva fuori controllo, pestava senza sosta il terreno riducendo ad ogni colpo la lumaca in un ammasso sempre più scomposto di viscide e appiccicose interiora organiche. A prima vista quello poteva sembrare Jenkins che se la prendeva con un innocuo animaletto, ma in realtà Jeremy non stava calpestando la lumaca. Stava schiacciando tutti quelli che lo avevano portato a sentirsi uno schifo con sé stesso, si stava vendicando su Robert Miller che lo tormentava fino a farlo piangere, su Kyle Crowford che aveva taciuto lo scherzo, sul signor Gould che per una volta poteva farsi gli affari suoi e andarsene beato a fare il suo stramaledetto campeggio, su David che l’aveva illuso, su sua madre che mentre lui veniva distrutto dall’umiliazione si stava guardando la sua telenovela bevendo scotch a fiumi come al solito, su quell’idiota di suo padre che prima di fottersi la cara mammina poteva spendere dei soldi per un profilattico.

Li stava spappolando tutti quanti sotto la suola di quello stivale sporco di rigurgito e polvere. Tutto ciò che in quel momento aveva rappresentato la sua vita si trovava in balia della sua ira e del suo dolore. ‘’Che state facendo qui?’’. David arrivò camminando ma con un andamento piuttosto rapido; poco prima si trovava più avanti nel sentiero insieme a Leonard Olsen e Gary Prescott, conversando non si era reso conto di aver distanziato il resto del gruppo di qualche metro in più del dovuto. Furono le risate che lo convinsero a voltarsi, e quando vide Robert Miller sganasciarsi davanti a Jeremy Jenkins, gli fu immediatamente chiaro che non ne sarebbe uscito nulla di piacevole. Adesso si trovava al centro di quel teatrino, circondato dai volti ammutoliti dei suoi compagni e a pochi passi da Jeremy che, nonostante l’entrata in scena di Gould, continuava imperterrito a tirare pestoni all’ormai defunta lumaca (o al resto del mondo sotto di lei). David lo afferrò per un braccio tirandolo verso di sé, interrompendo quello che Jeremy considerava un atto di giustizia. Poi senza lasciarlo si rivolse agli altri, ‘’Posso ridere anch’io?’’ il suo sguardo fulminava quello di tutti i presenti, che per paura di esserne inceneriti, fissavano con sommo imbarazzo ogni cosa intorno a loro capitasse a tiro. ‘’Avanti voglio proprio farmi quattro risate, che cos’è che vi diverte tanto?’’, David si guardò intorno ,fino a quando non scorse la figura di Miller che ,all’arrivo del ‘’Granduomo’’ alternava sorrisi malignamente divertiti ad espressioni di sincera preoccupazione.

Consapevole che David si aspettasse una risposta proprio da lui, Robert parlò con voce parzialmente rauca  ‘’Ha toccato una lumaca e si è messo a vomitare’’, lo disse indicando la chiazza lasciata da Jeremy lì a pochi metri. Robert sorrise aspettandosi una reazione di ilarità da parte di Gould, che senza battere ciglio deluse le sue aspettative. ‘’Se io adesso ti ordinassi di chinarti e di toccare con la lingua quello schifo tu cosa mi risponderesti?’’ Robert era adesso intimorito e confuso, di conseguenza restò muto. ‘’Mi diresti di andare a farmi fottere non è così?! E’ normale, tu sai che se ti mettessi a leccare quella merda probabilmente inizieresti a vomitare anche tu, perché hai un cervello che nelle rare volte che viene usato ti dice Non mangiarlo fa schifo. Mi sbaglio?’’ Robert aveva smesso del tutto di sorridere ora si limitava ad annuire impercettibilmente. ‘’Io penso che il cervello di Jenkins funzioni allo stesso modo, non credo che si metta a toccare quello che lo fa star male no?’’. Jeremy era ormai libero dalla presa di David, e ora restava immobile di fianco a lui senza prestare attenzione se non al gelatinoso ammasso di frattaglie che  aveva creato. Gould continuò a rivolgersi a Robert, ‘’Bene Miller, dato che sembri divertirti un po’ troppo resterai per tutto il resto del viaggio accanto a me, e faremo un bel discorsetto riguardo alle conseguenze delle nostre azioni’’. Robert avrebbe voluto parlare, ma l’umiliazione non glielo permise, si limitò a guardare Jeremy che non ricambiò il suo sguardo, ma se lo era sentito comunque addosso è certo, e a Miller questo bastava per ora.

Mentre la marcia  stava nuovamente ricominciando ad avviarsi, David guardò Jeremy e lo chiamò, ‘’Jenkins…’’, non gli era piaciuto per niente il modo con cui Jeremy aveva reagito, ma non se la sentiva nemmeno di aggiungere un ulteriore spina nel suo orgoglio già martoriato; voleva provare se non a comprenderlo perlomeno a compatirlo, perciò gli disse ‘’…mi raccomando stai al passo ’’. Questa volta il gruppo viaggiò in modo spedito; non ci furono più pause, non ci furono più animali a farsi ammirare , non c’era più alcuna chiacchera che valesse la pena di essere ascoltata. Sia loro che la foresta erano rimasti silenziosi, trovandosi uniti in una gelida simbiosi, intenti assieme nel portare a termine il proprio scopo, entrambi estranei a cosa l’uno, celasse alla vista dell’altro.

***
 
Nessun rimpianto. Tornò indietro con la mente ripescando i ricordi dei giorni precedenti. Rammentava la confusione che si era creata nel momento in cui si sistemavano i preparativi per l’escursione, il continuo rallentamento del proprio passo per far sì che nessuno del gruppo venisse lasciato indietro, le dolorose vesciche ai piedi che in quello stesso momento stavano probabilmente sanguinando a causa delle tredici ore di marcia su sentieri sconnessi e ripide salite, le ore passate a implorare il padre di offrirgli quella responsabilità; tutte le prove che aveva dovuto affrontare fino a quel momento gli erano costate tutta la determinazione che possedeva e tutta l’energia che poteva offrire, ma ne era valsa la pena; ‘’Spettacolare’’ disse David ‘’Assolutamente spettacolare’’.

Nessuno dei ragazzi lì presenti (compreso Jeremy) riusciva a distogliere lo sguardo da ciò che aveva rappresentato fino a quel momento l’agognata meta, la loro personale El Dorado, il loro unico scopo per il quale si erano preparati per una settimana e mezza. Davanti a loro, il ‘’Colosso’’ era immobile, enorme. Magnifico a vedersi e al contempo terribile da contemplare, si imponeva come unico sovrano su quel tappeto di terra, ciottoli ed erba secca. L’unica forza che si era permessa di infrangere il silenzio che quel luogo sembrava imporre, fu il soffiare del vento che accarezzava la cima del gigante, cercando di scuoterne i rami robusti e spogli simili a braccia d’ uomo. Superato quell’ attimo di smarrimento, tutti si avvicinarono a passi stanchi alla base della quercia, ne toccarono la scura e rugosa corteccia, ammirarono l’impressionante circonferenza che a fatica riuscirono a contenere abbracciandola in cinque. A causa delle intricate evoluzioni che i suoi rami riuscivano a ottenere, sembrava che la sommità dell’albero apparisse come un immenso e mostruoso ragno che avesse scelto come dimora la testa di quel golem di legno nodoso.

Per la seconda volta, quel contemplativo silenzio venne interrotto. ‘’Eccoci squadra’’, Gould si trovava in piedi di fronte al mostro, aveva  in mano un solido palo di legno con annodata in cima una bandiera raffigurante un elefante  su uno sfondo arancione. ‘’Siamo arrivati fino a qui con le nostre forze, da soli. Da questo momento dichiaro questo luogo ‘’territorio degli elefanti’’. Sollevò i pugni al di sopra della sua testa, e si assicurò di avere ben saldo il proprio stendardo tra le dita. Infine, con un movimento analogo a quello di un boia che lascia cadere la lama sulla testa del condannato, la punta dell’asta trafisse il terreno che inerme, si lasciò violare dal freddo metallo. A David, visibilmente compiaciuto, gli sembrò che la bandiera sovrastasse in qualche modo l’enorme sovrano con cui ora condivideva il regno. Non certo per l’imponenza, ma per qualcos’altro che a David risultava difficile riuscire a definire con chiarezza, ma che infondeva in cuor suo un piacevole tepore. Nel giro di dieci minuti il gruppo si stava finalmente godendo la sua meritata pausa. Si rifocillarono tutti insieme sotto il sole pomeridiano, poi ognuno di loro fu libero di fare ciò che più gli andasse a genio. Louis Anderson tirò fuori dallo zaino un mazzo di carte con cui si mise a giocare insieme a Kyle Crowford; Miller e un altro gruppo di ragazzi, allestirono un grezzo campo da calcio, e si misero ad utilizzarlo con esagerato entusiasmo. David preferì appartarsi e rilassarsi un po’, non aveva certo fatto tutta quella strada solo per mettersi a correre come un forsennato dietro a una palla di cuoio, perciò si allontanò portando con sé la sua Polaroid, e cominciò a ritrarre il paesaggio.

Per quanto riguarda Jeremy, lui non era né attratto dalle carte di Louis, né dal pallone di cuoio, né tantomeno dal panorama circondato da colline verdi e cieli brizzolati da nuvole paffute, ma ciò non vuol dire che Jeremy non avesse trovato nulla che avesse suscitato il suo interesse. Finito di pranzare, aveva rovistato nel suo zaino, tirandone fuori un blocco da disegno e una matita; si era seduto in un punto vicino all’albero, stando bene attento a non rientrare nel campo visivo di nessuno dei suoi aguzzini; riportò la sua attenzione sul ‘’Colosso’’ fissandolo intensamente come un pittore farebbe col viso di una bella donna, cercando di estrapolarne ogni briciola di sentimento. Ma Jeremy non era sicuramente quel tipo di ragazzo che si facesse ammaliare dalle opere della natura. Certo, la quercia ispirava in lui uno strano senso di soggezione, a causa della sua insolita imponenza, ma era stato ben altro a convincerlo di soffermarsi su quella contorta e spoglia figura. Quell’albero, aveva alle sue spalle una storia, e lui la conosceva bene. A dire la verità non c’era una sola persona in tutta la città di Bridgehowl che non fosse a conoscenza dello scopo per cui la pianta era stata allevata; in un certo senso, quella quercia, racchiudeva in sé l’essenza stessa della cittadina, la quale ne aveva condiviso il padre. Adesso era utilizzata più che altro come attrazione per i turisti, anche se nessuno di loro se la sentiva mai, di affrontare una scarpinata in salita, per arrivare a vedere un vecchio albero rinsecchito al quale una volta venivano appesi i condannati a morte.

***
 
 Si racconta che nel 1602 (quando Bridgehowl era solamente l’ombra di ciò che il mercato del tabacco e del legname sarebbe riuscito a trasformare) la colonia era ancora sotto la guida del suo fondatore, Clifford Mills. All’età di vent’anni, Clifford era già un affermato imprenditore nel campo del commercio tessile. Gestiva l’attività in Inghilterra, assieme al padre, il quale anni prima ne fu il promotore. Entusiasmato dall’idea di fare fortuna nel nuovo mondo, il giovane Mills cercò di convincere il genitore a dargli il permesso di partire. Dopo mesi di tartassanti richieste, suo padre a malincuore cedette, organizzando un spedizione di materiale con la quale il figlio avrebbe raggiunto le Americhe.

Pochi giorni dopo lo sbarco, grazie all’influenza che esercitava come mercante e potendo disporre di un ingente fondo economico, Clifford iniziò a costruire le basi di quella che sarebbe divenuta la sua impresa. Fece fortuna con la coltivazione di tabacco, che dopo avergli fruttato a sufficienza, vendette per costruire una segheria. Dopo appena tre anni, era riuscito ad ottenere una tale somma economica, che la sua rinnovata fama di imprenditore arrivò fino alle orecchie della famiglia, tanto più sorpresa di quanto non lo fosse il giorno della sua partenza. Ora che Clifford possedeva gran parte del monopolio sul legname, non passò molto tempo che, attingendo dai suoi guadagni e avendo accesso alle materie prime, riuscì ad acquistare una vasta zona prevalentemente collinare, e lì aveva intenzione di fondare quella che, in un futuro non troppo lontano, doveva essere Bridgehowl, la sua città.

Fu durante un giorno nel quale, assieme a dei suoi collaboratori, era alla ricerca di materiali per la costruzione dei primi edifici. Si recarono in un punto della zona nella quale non avevano ancora iniziato nessun lavoro di disboscamento, d’altronde Clifford non aveva avuto abbastanza tempo a disposizione per esplorare accuratamente tutta la terra di cui si era appropriato. Dopo circa un’ora dall’inizio dei lavori, uno degli uomini chiamò a raccolta alcuni altri tra cui lo stesso Clifford. Quando arrivò nel punto dal quale l’uomo chiamava, vide che i suoi boscaioli circondavano un albero piazzato in mezzo a una piccola radura. Si trattava di una quercia dalle modeste dimensioni, i suoi rami erano appena visibili, nascosti com’erano dal manto smeraldino che le foglie avevano elegantemente formato. Il tale che aveva lanciato l’appello, altro non voleva che offrire ai suoi colleghi e al suo datore di lavoro, una lampante dimostrazione della sua forza. Partirono scommesse su in quanti colpi, il taglialegna sarebbe riuscito ad abbattere la giovane pianta. Mentre era in procinto di scagliarsi a dare il primo colpo d’ascia, venne immediatamente bloccato da nientepopodimeno che da Clifford stesso. Con entrambe le mani teneva bloccato l’attrezzo, esortando il suo operaio a desistere dal tagliare quello, che a suo dire, era il simbolo della loro città. Dal momento che si era messo a osservare quell’albero ancora così giovane e debole, Clifford decise che esso sarebbe dovuto crescere contemporaneamente alla sua Bridgehowl, perché lui non voleva limitarsi a costruirla, ma voleva donare alla città una propria essenza, una propria anima con la quale ogni abitante, compreso lui stesso, si sarebbe potuto nutrire e riconoscere. E questa energia, a parer suo, era racchiusa sotto la debole corteccia della quercia che aveva appena salvato , e in un certo senso adottato.

Il tempo passava, e intanto il sogno di Clifford riusciva a prendere sempre più forma. In capo a sei mesi erano riusciti a costruire, una mensa comune, un’ infermeria e alcune piccole baracche da usare come alloggi. Una volta terminati i lavori per le abitazioni, avevano già inserito nel progetto, una scuola e una cappella. Alla fine di ogni mese Clifford non si scordava mai di salire all’apice della foresta, e rimaneva stupito ogni volta, di come la sua quercia diventasse di volta in volta sempre più grande, non di molto, ma ad un ritmo analogo a quello della cittadina.

Trascorsero gli anni, Clifford Mills visse abbastanza a lungo per vedere la sua creatura diventare ciò che aveva sempre sperato. Famiglie di coloni arrivarono da ogni parte; c’erano mercanti, dottori, persino artisti che avevano deciso di stabilirsi insieme a mogli e figli in quella città, che ora era impregnata di quell’ anima che lui aveva sempre saputo di poterle offrire. Non si pentiva di nulla; aveva costruito un  impero con le proprie forze, aveva dato una nuova casa a chi ne aveva bisogno, aveva baciato per la prima volta il volto di sua moglie sotto l’ombra della quercia da lui tanto amata, e infine aveva… aveva fatto quello che era stato necessario fare, non rimpiangeva nemmeno quello. Mentre osservava le sue mani macchiate dalla sua saliva e dal suo sangue, pensò a tutto ciò che aveva seminato durante la folle corsa della sua vita …Speranza… Tossì altre otto volte con gli occhi bagnati dalle lacrime e il petto che pareva prendere fuoco. Crollò con la nuca sopra il cuscino con lo sguardo fisso al soffitto, non si sa come, ebbe il tempo di sorridere. Dopodiché chiuse gli occhi. Le spoglie di Clifford Mills vennero seppellite accanto a quelle della consorte al capezzale di famiglia, che ancora oggi è possibile visitare. La morte del fondatore scosse terribilmente gli animi di chi grazie a lui, aveva  potuto sperare in una vita migliore, soprattutto di chi insieme ad altri aveva assistito alla nascita della città.

Gli stessi boscaioli che l’avevano aiutato fin dall’inizio, decisero in segno di rispetto, di far scolpire a loro spese una targa commemorativa e di porla proprio sotto la quercia che anni prima si apprestavano a tagliare. Quando i vecchi taglialegna arrivarono fino in cima, nei pressi della radura, l’immagine che gli si presentò dinanzi ai loro occhi fu così sconcertante che la targa quasi non scivolò dalle mani del suo portatore. Fissavano atterriti con le bocche spalancate l’enorme pianta che se fino a pochi giorni prima fosse al limite della rigogliosità, ora si presentava completamente spoglia, scura e minacciosa. Molti di loro erano restii nell’avvicinarsi, e con passo guardingo abbandonarono la targa ai piedi di quel cadavere di legno, per poi andarsene a passi rapidi, con la sensazione che Clifford Mills non se ne fosse andato da solo.

Negli anni a seguire, coloro che  presero il posto di guida succedendo a Mills, divennero testimoni insieme ai concittadini, del degrado nel quale la città si stava inabissando. Durante il periodo in cui Clifford era ancora vivo, Bridgehowl era una comunità quasi priva di criminalità. C’erano stati certamente degli episodi spiacevoli, si trattavano più che altro di furti di pecore o qualche rissa, ma adesso la situazione era fuori controllo. Con l’aumento esponenziale di abitanti, in città si stavano verificando una quantità spaventosa di furti, atti vandalici, violenze, stupri e occasionalmente, anche alcuni omicidi. Il carcere di Bridgehowl era stracolmo, non fu più possibile sperare di riuscire ad arginare il problema, non in quel modo.

Fu così, che decisero di ricorrere alla vecchia quercia. Si fecero costruire sotto di essa dei ponteggi appositi con tanto di botola, alti abbastanza da permettere agli esecutori di raggiungere i rami. Dapprima la pena fu assegnata solamente a coloro che si erano macchiati degli atti più gravi, ma il numero di detenuti era così alto che convinse i giudici ad allargare la manica anche su crimini come il vandalismo o la prostituzione. In principio battezzato come simbolo di vita della cittadina, ora era considerato uno dei molti strumenti di morte che contraddistinguevano la giustizia in quegli anni. Ai più anziani era chiaro come il sole, Clifford Mills era stato portato via dalla tubercolosi, il suo albero lo aveva seguito, e la città era rimasta senza più alcuna anima. Bridgehowl stava morendo.
 
***
 
 Non si poteva negare che quello di Jeremy, fosse un talento innato. Fin da quando frequentava le elementari, passava la maggior parte del suo tempo sulle pagine bianche di un blocco da disegno, mettendosi a riempirle con le sue fantasie. Sua madre non aveva la mano dell’artista, per questo lui credeva di aver ereditato questa abilità dal padre. Certo, non ne era sicuro. L’unica volta che aveva visto Edward Jenkins, era stato quando lo trovò dentro una scatola di cartone in soffitta, rinchiuso all’ interno di una piccola cornice color porpora. Sua madre non parlava mai di lui, né del motivo per cui se ne fosse andato. Ma quando Jeremy tentava di mostrarle qualcuno dei suoi piccoli capolavori, lei si limitava ad’ abbozzare un mezzo sorriso, accendersi un sigaretta e dire ‘’Sei grande ormai per queste cose, no?!’’.

Per questo lui credeva di possedere il talento del padre; sua madre non aveva alcun motivo di denigrare così tutti i suoi disegni, a meno che questi non le ricordassero colui che partendo dopo quella che lei confuse per una notte d’amore, l’aveva fatta risvegliare con addosso lo stesso stato d’animo che avrebbe avuto un fazzoletto usato. Il medesimo individuo che sette anni dopo, sarebbe stato trovato dentro un bagno di un locale a Las Vegas da una spogliarellista tossicodipendente. L’avrebbe visto seduto sulla tazza con la lingua bruciata, le mani mozzate, la faccia violacea, e due banconote da venti dollari arrotolate e infilate nelle narici. Più tardi la polizia avrebbe recuperato il suo cadavere, ma in nessun rapporto sarebbe mai stato scritto, che Edward Jenkins avesse quaranta dollari ficcati nel naso. In ogni caso, né Jeremy né sua madre, avrebbero mai saputo niente di questa storia.

Adesso Jeremy si trovava in uno stato di grazia che, solo facendo slittare la sua HB sul blocco da disegno, avrebbe saputo raggiungere. La storia del ‘’Colosso’’ lo affascinava da molto tempo, e adesso era come se vedesse davanti ai suoi occhi l’albero nel giorno in cui aveva deciso di raggiungere il suo padrone. Lo immaginava mentre le sue foglie verdi come smeraldi, venivano lasciate cadere verso terra a marcire, e visualizzava perfettamente di come in quello stato, si fosse poi trasformato grazie ai detenuti di Bridgehowl, in quello che lui definiva ‘’un raccapricciante albero di natale’’. Fissò soddisfatto la sua opera d’arte, compiacendosi di come  avesse fedelmente riprodotto il modello originale insieme a tutti i suoi vecchi ospiti. Tornò con lo sguardo rivolto sulla quercia. Restò fermo ad osservarne ogni piccolo aspetto, sperando di poter captare quell’anima che una volta, apparteneva ad ogni abitante di Bridgehowl. Dopodiché, dato che non riusciva a scorgere nulla, chiuse lentamente gli occhi, ascoltando attentamente tutto ciò da cui era accerchiato. Udì il rotolare delle foglie secche spinte dal vento, poi anche gli schiamazzi e le bestemmie dei ragazzi che giocavano poco più in là.

Si aspettava di sentire un cinguettio di qualche uccello, o il gracchiare di una cicala, ma nulla di ciò avvenne. A parte loro, su quella collina sembrava non esserci alcun segno di vita, come se fosse stata abbandonata dentro un limbo al di fuori del tempo e dello spazio. Gli tornò in mente Carol, la ragazza che, la sera prima, era stata uccisa nella sua testa. Jeremy allontanò quel pensiero, che riteneva troppo assurdo perfino per lui. Riprese immediatamente ad ascoltare di nuovo. D’un tratto, si chiese se la sua fin troppo fervida immaginazione, non gli stesse giocando un brutto scherzo. Per un attimo, ma solo per un attimo, credette di udire qualcosa di simile al suono del petto di sua madre quando capitava che lo abbracciasse. …Un cuore… pensò, …Un cuore che batte… Un istante dopo Jeremy avvertì anche qualcos’altro.

Sentì una forte fitta nel punto al centro della schiena. Il dolore lo fece inarcare in avanti, e stringendo i denti soffocò un lamento. ‘’Hai visto che l’ho preso?’’. Ormai avrebbe riconosciuto la voce di Miller anche se si fosse trovato in mezzo a un coro di cantanti lirici. Jeremy scattò in piedi tenendo la mano premuta contro la botta, e vide Robert fissarlo sghignazzante, in compagnia di altri due ragazzi di cui non ricordava il nome. ‘’Hey Alan’’ disse parlando con il ragazzo alla sua destra, ‘’Scommettiamo che adesso lo centro dritto sui denti?’’. Il ragazzo lo guardò pensieroso, poi disse ‘’Facciamo tre sigarette?’’ ‘’Andata!’’ disse Robert, e con uno dei sassi di cui si era fatto scorta, prese la mira puntando verso Jeremy. Lanciò la pietra con la precisione di un giocatore di baseball, colpendo la sua vittima al collo. Alan ringraziò Miller, ricordandogli la scommessa. ‘’Cazzo Junk’’ , esclamò. ‘’Sei una delusione dietro l’altra, non sei capace nemmeno di stare fermo?’’. Jeremy dovette trattenere il pianto, il dolore al collo era così acuto, che gli sembrò che la pietra vi si fosse conficcata. Trovò comunque la voce per parlare “Ma tu che vuoi da me Miller? Che vuoi, che ti ho fatto?’’. Robert lo guardò con aria seria, un aggettivo che non gli si addiceva per nulla, e poi disse, “Perché sei una piattola frocetto, mi hai rovinato una gran bella giornata’’.

Jeremy volse lo sguardo dietro di sé alla disperata ricerca di David, che in quel momento, era probabilmente a farsi gli affari suoi in chissà quale angolo della collina. Robert strinse un altro sasso tra le dita, poi riprese ‘’Guarda che a me piace stare qui, e non ho voglia di finire nei casini per colpa di una checca isterica come te ’’. Nel momento in cui finì la frase, scagliò il ciottolo che prese in pieno la mano di Jeremy. ‘’Lo sai che grazie al tuo spettacolino di poco fa, adesso io sarò sospeso dal gruppo per tutta la prossima settimana?’’ Jeremy cercava un punto nel quale potersi divincolare, ma Alan e l’altro ragazzo, bloccavano ogni via di fuga. Miller non smetteva di parlare, ‘’Sai che significa per me starmene rinchiuso per una settimana? Forse a te potrà anche piacere rimanertene da solo a toccartelo davanti al computer. Ma io devo starmene tutto il cazzo di giorno ad aiutare mio padre a lavarsi…’’, tirò un altro sasso, ‘’…mangiare…’’ e un’ altro ‘’…e a pulirsi il culo!’’. Adesso Robert tirava pietre con la frequenza di una semiautomatica, colpendo e mancando Jeremy senza fermarsi. Finalmente esaurì i proiettili, e si arrestò, fissando per terra  ansimante per lo sforzo.

‘’Non è colpa mia’’, Jeremy nonostante la lapidazione subita, aveva ancora abbastanza forza e coraggio, di sputare la sua verità in faccia a quel suino di Miller. ‘’Non è colpa mia se tuo padre è un celebroleso con l’unica fortuna di non rendersi conto di che grassone schifoso abbia come figlio!’’. Miller sollevò la testa di scatto, i suoi occhi trasmettevano un tale calore, che Jeremy ebbe quasi l’impressione di potersi scottare. Nulla comunque, avrebbe potuto competere con il tuonare furioso che si sentì uscire dalla sua bocca.
‘’Bloccatelo!…tenete fermo quel figlio di puttanaaaaaa!’’. Jeremy non riuscì a evitare la presa dei due complici di Robert, vide Miller che caricava di corsa, sbuffando a denti stretti come un toro alla corrida, si trovava ormai a pochi metri da lui. Preso dal panico, Jeremy si mise a scalciare come un mulo impazzito, mirando agli stinchi dei suoi assalitori, che però non mollarono la presa. Quando vide il volto infiammato di Robert Miller, in procinto di investirlo insieme ai suoi novantadue chili, in un ultimo gesto disperato, Jeremy sollevò i piedi da terra, scaricando sulla faccia di Robert, quattro centimetri di suola rinforzata con punta d’acciaio. Il colpò fu tale, che tutti e quattro i ragazzi si ritrovarono a rotolare per terra, sollevando un enorme quantità di polvere.

A Jeremy, faceva male la schiena, rimasta graffiata nella caduta. Riuscì comunque a rialzarsi in piedi per primo, rendendosi conto troppo tardi, di quello che aveva scatenato. Aveva sopportato per anni, tutti gli scherzi che i molti Robert Miller gli avevano propinato. C’era solo una regola che Jeremy seguiva per affrontare questo genere di scocciature, e che oggi aveva fatalmente infranto. Mai, MAI reagire. Ora, osservando il suo tormento mentre si rialzava, guardandolo negli occhi  riuscì ad’ interpretarne il significato traducendolo in un pensiero
…Non aspettavo altro, Junk…  Non si concesse nemmeno di prendere il tempo necessario per pensare, approfittò del fatto che i due compari di Robert, fossero abbastanza disorientati da permettergli di fuggire senza essere ostacolato in nessun modo. Jeremy si mise a correre superando l’albero, con Miller che si era messo ad’ inseguirlo. Si sforzava di ignorare il dolore provocatogli dalla caduta e dalle sassate, ma il pensiero di Robert che riusciva a mettergli le mani addosso, bastava quel tanto da convincerlo a non fermarsi. Jeremy si diresse dalla parte opposta a quella del campetto da gioco, correndo con tale foga, da non preoccuparsi tanto di quale fosse la direzione in cui stava scappando, l’importante era che scappasse. Anche Robert aveva in testa nient’altro che il suo obbiettivo, e questa volta né Gesù Cristo né tantomeno David Gould, avrebbero potuto sottrare Jenkins dalla sua giusta punizione.

Vedeva la sua esile figura distanziarlo di parecchio, fino a scomparirgli del tutto da davanti agli occhi, mentre Jeremy entrava in mezzo agli alberi della foresta. Robert rallentò il passo, fermandosi non appena ebbe raggiunto il limite imposto dagli alberi, osservando la pacata oscurità in cui si era rifugiata la sua preda. L’idea di infilarsi in mezzo a quella fitta distesa di tronchi e tenebra, faceva emergere in lui un moto di codardia. ‘’Tanto dove scappa?’’ mormorò fra sé e sé, ‘’Dovrà tornare prima o poi, e anche se così non fosse, lo becco in qualche altro posto ’’. Ma qualcosa gli impedì di fare dietrofront, qualcosa che quel verme aveva osato dire davanti a lui e ai suoi amici, 
…tuo padre è un celebroleso…  Non era disposto a perdonare quello smacco, avrebbe preso tra le mani quel pezzente e gli avrebbe fatto rimangiare i suoi insulti a suon di calci nei denti, poi magari gli avrebbe fatto mangiare una di quelle lumache che a lui piacevano tanto. In qualche modo l’avrebbe pagata. Si lanciò in avanti, incurante del dubbio che l’aveva assalito poco prima, correndo nella stessa direzione che aveva visto prendere da Jeremy. Seppure a causa della sua mole, la corsa riusciva a consumare velocemente il suo fiato, la foresta tutt’intorno risuonò all’urlo delle sue parole. ‘’Preparati Junk, vengo a prenderti’’.
          
***
 
Erano venute proprio bene. David guardava con orgoglio le fotografie che era riuscito a scattare durante il pomeriggio. Era riuscito a immortalare il paesaggio in tutte le sue sfumature. In un immagine si poteva vedere una distesa di abeti illuminati dai raggi del sole, e sormontati da un cielo perfettamente azzurro. Nell’altra si ammirava il medesimo paesaggio, stavolta sommerso da una tenue sfumatura rosata. Al signor Gould, piacevano particolarmente le foto paesaggistiche, soprattutto quelle scattate dal suo Granduomo. Le avrebbe messe nel suo Album insieme a tutte le altre, compiacendosi del figlio e festeggiando l’avvenimento, condividendo con lui una birra. Gli sarebbe piaciuto scattare delle foto anche a qualche animale, ma dopo l’avvistamento della marmotta, nessun’altra bestiola si era presa la briga di farsi vedere, se si esclude la lumaca che aveva ‘’attaccato’’ Jenkins.

Si rese conto, che era ormai ora di andarsene. Dirigendosi verso il punto in cui avevano pranzato, vide i ragazzi che dopo la partita a calcio, stavano godendosi stesi a terra, alcune stecche di Lucky Strike. Li avvisò tenendosi distante, ‘’Ragazzi prepariamoci ad andare, radunate la vostra roba e torniamo al campo ’’. Olsen lo osservava con aria assonnata, per poi chiedergli ‘’Quanto ci vorrà prima di poter arrivare?’’. David rispose sorridendo ‘’Restando stesi con una sigaretta in bocca, dovremmo riuscire a farcela entro il prossimo millennio. Se invece vuoi tentare la sorte camminando, c’è la possibilità che ci arriveremo in circa un’ora.’’ Olsen annuì pensieroso, e poi disse ‘’Mi spiace non sono uno a cui piace rischiare’’. Detto questo tornò a stendersi supino, tirando una lunga boccata di fumo, che espulse formando dei cerchi. David cercò di rimanere serio, ma dovette infine cedere all’ilarità della situazione, ritrovandosi a ridere assieme a Leonard Olsen, e al resto del gruppo. Interruppe la risata senza però rinunciare a sorridere, dicendo ‘’D’accordo seriamente adesso, ci siamo tutti?’’. Si guardarono tutti intorno, nessuno escluso, passandosi al setaccio alla ricerca di ogni viso. ‘’Non vedo Alan e Wally’’ affermò Louis Anderson. Gli rispose Kyle dicendo ‘’Li ho visti andarsene insieme a Miller durante la partita. Hanno detto che sarebbero andati vicino all’albero a fumare’’.

Forse fu il sentire il nome di Miller, o forse per il fatto che era dall’inizio della giornata, che aveva in testa solo la persona che adesso non riusciva a trovare. ‘’ Dov’è Jenkins?’’ proruppe David. Nessuno dei presenti poté sfuggire all’idea, che se proprio Robert e Jeremy mancavano all’appello, allora forse non sarebbero state le sigarette a fumare. L’ansia di David crebbe, quando vide arrivare Alan e Wally, da soli. Si precipitò verso di loro, fermandosi a pochi passi da dove si trovavano. ‘’Dove sono Robert e Jeremy?’’ chiese David, tradendo una vena di apprensione. Loro si guardarono per un istante, cercando una risposta, l’uno negli occhi dell’altro. Gli rispose Wally, domandandogli ‘’Non sono ancora tornati?’’. David si batté la mano sulla fronte, finendo con lo strofinarla nervosamente sui capelli rasati. La situazione lasciava molti pochi interrogativi, era chiaro come il sole che a Robert non era andato giù il fatto di essere sospeso, e che Jeremy fosse il candidato perfetto, per il ruolo del capro espiatorio. ‘’Dove sono adesso? Dove sono andati?’’, chiese David fuori di sé. Questa volta fu Alan a rispondere, ‘’Non lo sappiamo, li ho visti soltanto mentre correvano in quella direzione, verso il bosco’’. Adesso erano ufficiali due cose. La prima, era che David era seriamente preoccupato, aveva perso due ragazzi che si odiavano a morte,  e che ora si stavano rincorrendo nel bel mezzo della foresta. La seconda, era che non appena fosse riuscito a trovarli, avrebbe rotto il culo a tutti e due.
 
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Con il fiato ormai al limite, e la milza che pareva stesse andando a fuoco, Jeremy si accasciò appoggiando la schiena graffiata e sudata, su uno dei tronchi vicino a lui. Era esausto, aveva lividi sulla maggior parte del corpo, e durante la corsa si era  accorto, di essersi slogato una caviglia. Pensò a quanto fosse riuscito ad essere imbecille, oltre che aver dato a Miller più di una ragione per scorticarlo vivo, anziché dirigersi verso il gruppo dove David e i ragazzi più grandi avrebbero potuto in qualche modo ‘’addomesticare’’ Robert, era andato a infilarsi in un posto pieno di alberi, fango, e rovi taglienti. Per non parlare poi, di come a quell’ora la foresta stesse diventando decisamente buia. Già abitualmente quel luogo doveva (a causa dell’ombra creata dagli alberi) essere piuttosto scuro anche durante il giorno, ma adesso Jeremy, correva seriamente il rischio di perdersi. Non conosceva affatto il posto nel quale si trovava, e il fatto che l’ambiente circostante fosse formato perlopiù da alberi dello stesso tipo, non gli permetteva nemmeno di trovare un punto di riferimento. ‘’Ammettilo Jenkins’’ disse a sé stesso ‘’Hai avuto un idea di merda’’.

Tornò per un momento vigile, allertando i sensi nel caso in cui Robert avesse deciso di continuare ad’ inseguirlo anche lì. Si sollevo in piedi, aiutandosi con le mani, e appoggiandole al tronco. Non sarebbe riuscito a correre ancora, ma non aveva certo intenzione di restarsene lì al buio, ad aspettare in grazia di venire scovato da Miller. Non avendo altra scelta, si mise a camminare zoppicando, facendo attenzione a non scivolare nel terreno fangoso. Procedeva lentamente, nella speranza che ad un certo punto, si potesse imbattere in qualcosa che somigliasse a un sentiero. Dopo circa dieci minuti, nei quali aveva continuato a muoversi, Jeremy si rese conto che la temperatura notturna, iniziava subdolamente a farsi sentire. Si strinse le braccia intorno alle spalle, strofinandosele senza avvertire alcun miglioramento. Seppure in quella semioscurità regnasse il più assoluto silenzio, Jeremy volgeva allarmato lo sguardo in ogni direzione, fermandosi talvolta a osservare un punto buio fino a quando non fosse sicuro di essersi immaginato chissà cosa.

Fu assalito dai brividi, ma questa volta non fu la fredda aria della notte, bensì l’atmosfera in cui era stato inghiottito quel luogo, e che a Jeremy risultava spaventosamente familiare. Iniziava a crescere dentro di lui, uno spiacevole e poco chiaro senso di angoscia. Gli tornarono alla mente i claustrofobici corridoi di pietra, la corsa senza fine della povera Carol, le tenebre talmente fitte da risultare quasi solide, ed’ infine lui. Il mostro, la belva senza volto, la creatura scartata dal naturale ciclo dell’esistenza, deposta e dimenticata dal suo stesso creatore. Poteva avere qualunque aspetto, essere qualsiasi cosa; una serpe demoniaca, un animale preistorico, un Gargoyle, o anche …Robert Miller…  Jeremy tornò con i piedi per terra, era la prima volta nella sua vita, che si trovava a rimpiangere la sua immaginazione. Quello che gli era servito come rifugio eremitico per tutto quel tempo, ora gli si ritorceva contro suggestionandolo con una storia inventata da lui stesso. Avanzò per altri pochi metri, dopodiché si arrestò di colpo.
Tutto intorno a lui era immobile. Non c’era vento che soffiasse tra le fronde, non c’erano volatili a muoversi tra i rami degli alberi, tutto quello che offriva a quel luogo una prova di vita esistente, era il respiro di Jeremy che appariva davanti ai suoi occhi sotto forma di fumo, per poi sparire nel nulla e riapparire un attimo dopo. Insieme a quel suono. Un frusciare di passi, lento e  moderato, ma costante, imminente, vicino. Tremante, con la testa che batteva come un tamburo durante una danza tribale, Jeremy chinò la testa verso il basso chiudendo gli occhi e serrando i denti ... Ti prego, ti prego Signore fa che sia Robert, ti prego fa che sia…
 
 Robert era inciampato un paio di volte, e ancora più spesso si dovette fermare per riuscire a recuperare fiato, ansimare, sputare una cospicua dose di catarro sul terreno e riprendere a correre. I muscoli delle gambe gli ordinavano di darsi pace, che era inutile affaticarsi a causa di uno sgorbio, che probabilmente avrebbe rincontrato il giorno dopo. Robert e il suo buonsenso, non erano mai andati particolarmente d’accordo , trovava quell’insidiosa vocetta interiore, limitante e fastidiosa. Soprattutto quando metteva in discussione la sua idea di divertimento. Questa volta non fu molto diverso, se non per il fatto che per Robert, non si trattava più di una questione sul divertirsi. Una persona si era permessa di colpirlo nell’aspetto più fragile della sua esistenza, e non una persona qualunque, ma quella mezzasega di Jeremy Jenkins. Lui era il perfetto esempio di quanto possa arrivare a diventare patetico un essere umano.

Da quando se l’era ritrovato sulla sua strada, Robert decise che avrebbe fatto di tutto per insegnare a quell’incapace, di come il mondo ti possa prendere a calci, facendoti dimenticare stupidaggini come troll, streghe o Babbo Natale. Ovviamente i suoi intenti, erano tutt’altro che nobili. Anche Robert aveva a che fare tutti i giorni con i suoi demoni interiori, e maltrattare Jeremy era un modo per acquietarli, e che lo faceva sentire bene, troppo bene. Da quando le loro vite si erano incrociate, Robert si era impegnato a demolire letteralmente l’autostima di Jeremy, con scherzi sempre più pesanti. Dal mettergli una lumaca nel sandwich, al farlo quasi soffocare infilandogli la testa nel water, fino ad arrivare ad’ urinargli sul sellino della bicicletta. Dopo averlo sottoposto per un anno, ad un simile calvario, l’ultima cosa che si aspettava era che Jeremy Junk Jenkins alzasse la testa e gli vomitasse addosso la verità più intima che possedesse. Se ne sarebbe comunque pentito molto presto, non appena Robert fosse riuscito a scovarlo, Jeremy avrebbe rimpianto il giorno in cui sua madre l’aveva messo al mondo.

Rallentò la sua corsa, non tanto per la fatica che adesso si faceva sentire ad ogni passo, ma perché a causa di tutto quel buio rischiava di andare a sbattere contro uno degl’ alberi. Gli venne in mente di controllare la sua tasca sinistra, dalla quale estrasse un telefono cellulare. Anche se a quell’altitudine la linea era assente, l’apparecchio poteva ancora rivelarsi utile, venendo utilizzato come torcia. Il fascio di luce gli permise di procedere, se non più velocemente, con maggiore sicurezza. Ebbe la netta sensazione che Jeremy potesse essere vicino, l’ oscurità della notte doveva averlo colto alla sprovvista, costringendolo ad avanzare lentamente. Non poteva essere troppo lontano. Robert sentiva il sangue salirgli alla testa, scorreva per tutto il suo corpo donandogli un tale calore, da fargli ignorare completamente l’aria gelida. Temeva che Jeremy potesse essere allertato dalla luce scaturita dal suo telefono; lo sfiorò l’idea di spegnerlo, ma ci ripensò, in quel momento rappresentava un vantaggio per lui riuscire a distinguere l’ambiente circostante. Avanzò provando il più possibile a non fare rumore, ma cercando comunque di mantenere un passo costante. Dopo pochi minuti di quell’andatura felpata, Robert iniziò lentamente a spazientirsi. Puntava il cellulare in ogni direzione, alla ricerca di qualche traccia che lo indirizzasse verso il suo obbiettivo.

Fu una cosa del tutto inaspettata. Proprio nell’istante in cui stava per rinunciare alla sua caccia, un rumore simile a quello delle foglie secche quando vengono calpestate, lo indusse a nascondersi dietro un tronco. Coprì la sua luce, premendosi l’apparecchio contro il petto. Dopodiché, con la prudenza di una leonessa, sporse la testa sbirciando nella direzione del suono. Il fruscio si interruppe di colpo, e gli ci volle un po’ per riuscire ad abituare i suoi occhi, a quell’opprimente massa scura. Era in grado però adesso, di vedere una qualche cosa che si muoveva poco più avanti. Non si stava spostando, ma sembrava piuttosto rannicchiata e intenta ad afferrare qualcosa da terra. …Sei mio Junk… Jeremy doveva essere talmente esausto, da essersi dovuto fermare a riposare. Robert pensò che quello sarebbe stato l’ultimo errore che avrebbe commesso.

Si tenne basso, in modo da riuscire a prenderlo alle spalle. Mentre si avvicinava, il buio non gli offriva alcuna certezza, che quello davanti a lui potesse essere Jeremy. Ma in fondo, di chi altri avrebbe dovuto trattarsi? Robert assaporò ogni singolo e ragionato passo che effettuava, mentre si stava preparando ad accanirsi sul verme, che aveva osato scavargli dentro l’anima. Quando gli fu abbastanza vicino, serrò le mani intrecciando le dita di una con quelle dell’ altra. Si sbarazzò di tutta la prudenza mantenuta fino ad allora, scattando in avanti  e raccogliendo rumorosamente aria gelida col naso, per poi sollevare contemporaneamente le sue mani sopra la propria testa. Mai era accaduto, che Robert Miller si tirasse indietro quando si trattava di colpire qualcuno con il suo ormai noto colpo a martello. Né si è mai raccontato che avesse avuto qualche scrupolo, ad usarlo contro ragazzini molto più piccoli di lui. Utilizzava questo colpo soprattutto per ‘’battezzare’’ i nuovi arrivati, in modo che capissero subito con chi avevano a che fare.

Adesso era l’esatto contrario. Colui che avrebbe dovuto subire l’attacco di Robert, si voltò con la rapidità di una saetta, finendo con l’osservare l’espressione sconvolta del suo assalitore. La mancata vittima cominciò ad alzarsi in piedi lentamente, raddrizzandosi verso l’alto come la coda di uno scorpione. Dopodiché cominciò a inclinare la testa a destra e a sinistra, come se fosse stato colto da un improvviso attacco epilettico. Nel frattempo Robert si trovava ancora con le mani sollevate e fuse insieme, immobile come una statua che osserva inerte, l’ineluttabile e assurdo orrore senza poter nemmeno rifiutarsi di guardare. Neanche l’agghiacciante figura davanti a lui, sembrava riuscire a smettere di fissarlo negli occhi, ma per quanto si sforzasse, Robert non riusciva a vedere i suoi.
 
***
 
‘’Guarda che non è uno scherzo ’’. L’uomo stava osservandolo dalle tonde e spesse lenti dei suoi occhiali, mentre il resto di lui si era abbandonato, tra le comode imbottiture del sofà in stoffa gialla. ‘’Non te lo chiederei se pensassi il contrario ’’ si sentì rispondere. L’uomo seduto scostò per qualche secondo lo sguardo a terra, cominciando impercettibilmente ad annuire. Tornò poi, agli occhi del ragazzo ‘’Sono dubbioso, dico davvero. Non so risponderti’’. Si interruppe massaggiandosi con le dita, le guance lisce e lievemente infossate, mentre il ragazzo restava immobile a fissarlo con occhi ansiosi. Quando lo vide deglutire, riprese a parlare. ’’So che sei in gamba, accidenti se lo so. Ma quello che mi stai chiedendo, si tratta di una bella gatta da pelare. Ci hai pens…’’ ‘’Sono sicuro ’’ disse in fretta, ‘’Devi lasciarmi provare, per favore’’. L’uomo aveva ancora interrotto il loro contatto visivo, volgendosi ora verso un dipinto a olio, appeso alla parete di fronte a lui. Di colpo, infranse il silenzio. ‘’Non mi deludere’’. Il viso del ragazzo esplose in un bagliore, formato da gioia e da una cospicua dose di incredulità. L’uomo riprese, ‘’Sono certo che ti impegnerai al massimo affinché non succeda, dico giusto?’’ ‘’Dici giusto’’. L’uomo seduto, smise di essere tale, poggiando i palmi delle mani sui braccioli della poltrona e spingendosi verso l’alto. Si diresse poi verso il ragazzo e gli strinse virilmente le spalle scuotendolo leggermente, mostrandogli il suo miglior sorriso. ‘’Passo dopo passo, David’’ ‘’Passo dopo passo…Papà’’.


‘’Ma dove cazzo sono finiti?’’. Erano passate circa due ore, da quando Gould si era reso conto. della scomparsa di due membri della sua squadra. Due ore nelle quali David, aveva in testa solo una cosa …Non mi deludere…  Lui e gli altri si erano organizzati in più gruppi, dividendosi e proseguendo ognuno per conto proprio, sperando così di riuscire a scovare Robert e Jeremy in poco tempo. David aveva dato istruzioni precise, ogni squadra doveva setacciare da cima a fondo l’area che gli apparteneva, si sarebbero successivamente rincontrati tutti quanti a un’ora stabilita, sotto il Colosso. I tre gruppi erano capitanati dai membri più anziani, ovvero David, Olsen e Prescott. David non aveva l’assoluta certezza che i suoi due coetanei, avrebbero evitato ulteriori azioni da testa calda, ma le circostanze l’avevano convinto ad accettare questo compromesso; non c’era assolutamente bisogno che altri ragazzi, scorrazzassero da soli nel bosco.  Più il tempo passava, più David sentiva stringersi intorno alla sua propria e innata sicurezza, il soffocante cappio del dubbio; il tipo di morsa che si insidia attorno al collo senza che ce se ne accorga.

L’ aspetto che David trovava più assurdo in quella faccenda, era il fatto che fu proprio lui a infilarci la testa dentro, aveva azzardato il passo più lungo della gamba ed ecco il risultato. Adesso la sua mente, non focalizzava più il pensiero del suo vecchio che gli allungava una birra mentre ridevano e guardavano l’album dei paesaggi, ma ora si immaginava suo padre fissare con espressione spenta il suo giornale durante la cena, ignorandolo completamente. …Non mi deludere… , ‘’Ci penso io Papà’’ mormorò sottovoce. La frenetica marcia di Gould fu frenata da una voce dietro di lui. ‘’David aspetta’’, quando si voltò si rese conto di essersi talmente preoccupato di tenere a bada i propri pensieri, da non accorgersi di aver distanziato di parecchi metri Louis e Kyle. Faticò a individuarli in mezzo a quella distesa oscura, finché spazientito esclamò ‘’Forza, cercate di stare al passo ’’. Ancora non riusciva a scorgerli, riuscì però ad udire la risposta di Kevin, ‘’Non riusciamo a vederti. Fermati un attimo, dove sei?’’. David si stupì nell’apprendere con quanta difficoltà riuscisse a distinguere le forme e gli oggetti in mezzo a quel buio; di certo non biasimava i suoi due compagni di averlo perso di vista, dato che lui stesso, si trovava nella loro medesima situazione.

‘’Seguite il suono della mia voce’’ gridò. Dopo un paio di minuti, riuscì finalmente a intravedere i due, che tenendosi per mano, avanzavano cauti per timore di ritrovarsi la faccia grattugiata da qualche corteccia. Non appena gli si furono avvicinati Louis si rivolse a David dicendo, ‘’Forse è meglio tornare indietro.’’ Sapeva che in quel momento David non era incline ai ripensamenti, evitando quindi di guardarlo negli occhi (azione che in quella oscurità, sarebbe stata comunque impossibile) riprese a parlare. ‘’Può darsi che gli altri li abbiano già trovati, e poi con questo buio è inutile andare avanti, rischiamo di perderci anche noi.’’ Louis non aveva tutti i torti, anzi; David sapeva che aveva perfettamente ragione, ma non era assolutamente intenzionato a permettersi il lusso, di lasciare alla buona sorte il compito di far riapparire Miller e Jenkins. Per quanto gli fu possibile osservò i volti dei suoi due scudieri, e dopo un attimo di pausa disse, ‘’ D’accordo, torniamo al punto di raduno. Vi accompagnerò fino a lì e poi tornerò indietro per continuare a cercarli’’. Subito dopo aver esposto le proprie intenzioni, David iniziò ad incamminarsi in direzione del Colosso; Louis e Kyle realizzarono che diceva sul serio, e preoccupati dall’idea di vederlo di nuovo sparire, lo seguirono.

Il viaggio di ritorno procedeva lentamente e in totale silenzio. Era chiaro che David non avesse alcuna fretta di tornare, sperando di riuscire a individuare qualsiasi cosa che lo conducesse dai due dispersi. Nemmeno la nota logorrea di Louis si fece sentire, talmente era alto il disagio che quel posto gli provocava. Di canto suo Kyle, avanzava tenendo lo sguardo rivolto verso terra, non che ci fosse qualcosa di interessante da osservare, solo non se la sentiva di starsene a guardare il resto del paesaggio intorno a lui. Gli tornò in mente la sera passata, quando seduti attorno alla fioca luce della lanterna, stava ad ascoltare una storia con luoghi e creature appartenenti al buio. …Vaffanculo Jeremy…  pensò, e a testa bassa continuò a camminare. D’un tratto Kyle sentì la propria testa urtare qualcosa davanti a lui, a discapito del suo timore iniziale, alzò rapido lo sguardo e cominciò a guardarsi intorno scoprendo di aver colpito la schiena ossuta di Louis. Non incline all’idea di starsene fermo lì, Kyle intimò a Louis di non starsene immobile, sibilando, ‘’Ehi che fai? Vai avanti’’. Non sentì la voce dell’amico rispondere, ma quella di David, ‘’Shh zitti ’’. Se ne stava completamente immobile e in ascolto, lo stesso fecero gli altri due, restando aggrappati l’uno alla divisa dell’altro.

Era lontano, distorto, incomprensibile, ma c’era. Una specie d’ululato, che nulla aveva a che fare con il grave alitare del vento. Mentre ora David non aveva più in mente di raggiungere il punto di ritrovo, Kyle e Louis erano di tutt’altro avviso. ‘’Cos’è David? Sono lupi?’’. Gould non lo degnò di uno sguardo, mantenendo l’orecchio teso e suggerendogli con la mano davanti alla bocca, di fare altrettanto. Dopo qualche secondo passato in compagnia di quella strana e lugubre melodia, David sentenziò, ‘’C’è qualcuno là in fondo ’’. dicendolo indicava con il dito un punto indefinito nel buio, poi aggiunse, ‘’C’è qualcuno, e sta piangendo’’. Non ci volle che un attimo. David si lanciò in una corsa sfrenata, in direzione del lamento, ignorando le supplichevoli ammonizioni dei suoi due accompagnatori. Correva sfiorando continuamente tronchi, che se colpiti, non avrebbero avuto difficoltà a rompergli il naso. Talvolta David interrompeva la sua corsa per tornare ad ascoltare e decidere quale direzione prendere.

Ad ogni sosta, il suono si faceva sempre più vicino e definito, ora il verso appariva più simile ad un lamento che però non era struggente, bensì trattenuto, spento, rassegnato. David continuò a seguire quella voce, fino a raggiungere un piccolo spiazzo nel quale gli alberi lasciavano filtrare qualche raggio di luce lunare. Fu lì che lo vide. L’origine di quell’angosciante litania, apparteneva ad una figura raggomitolata a terra, immobile e costante nel suo lamento. Con cautela si avvicinò a quello che nell’oscurità, appariva come un informe cespuglio che respirando si gonfiava e si ritraeva. Quando fu abbastanza vicino, in quella carcassa illuminata dalla torcia, riconobbe Robert Miller.

David rimase basito, Robert non sembrava essersi accorto della sua presenza, perpetuando il suo innaturale pianto. David si chinò su di lui avvertendo un intossicante odore di orina, scuotendolo lentamente disse chiamandolo, ‘’Robert?’’. L’attimo dopo David vide il capo di Miller reagire, voltandosi verso di lui, mostrandogli un volto pallido e occhi spalancati, grandi come biglie. David arretrò di scatto, preso alla sprovvista dall’ espressione spiritata del ragazzo. Robert aveva cessato di piangere, ma dopo qualche secondo, David vide la sua bocca spalancarsi in una voragine nera simile a un pozzo, dal quale uscì la più disperata e agghiacciante delle grida. David era pietrificato, a stento riusciva a sostenere lo sguardo demoniaco di Miller, il quale non smetteva di urlare. David raccolse coraggio e si diresse verso Robert, per poi arrivare ad afferrarlo per entrambe le spalle. Iniziò a scuoterlo, gridandogli di calmarsi, ma la sua voce non superava quella del ragazzo. Cercò di farlo tornare in sé tirandogli uno schiaffo, ma Robert sembrò non sentirlo. Aveva anzi iniziato ad urlare con ancora più forza, e adesso dai suoi occhi scendevano grosse lacrime, che scorrevano sul tondeggiante viso sporco di terra e muco.

Le orbite di Robert si agitavano e si rigiravano guardando in ogni dove, David tolse le mani dalle spalle e gliele premette sulle guance bagnate costringendolo a guardarlo negli occhi. ’’Robert, dov’è Jeremy?’’. Adesso il ragazzo ansimava furiosamente, dopo aver interrotto il suo folle sfogo. David non staccava gli occhi dai suoi, ‘’Robert, cosa è successo? Dov’è Jeremy?’’. Miller si era messo a ricambiare lo sguardo di David, come se non ne avesse più osservato uno da molto tempo. ‘’E’ stato visto ’’. Le parole uscirono dalla bocca di Miller come un getto d’acqua in mezzo all’oceano, la sua voce era gracchiante a causa dello sforzo che aveva sostenuto urlando. David non disse nulla, ma la sua espressione né tradì lo stupore, Robert continuò ‘’E’ stato visto da lui, ma non è riuscito a nascondersi, non avrebbe potuto comunque, lui ti guar…’’. David lo interruppe bruscamente dicendo, ‘’Ma dai i numeri? Smettila di prendermi in giro e dimmi dov’è Jeremy’’. Robert aveva smesso di fissarlo, guardando adesso il terreno ai suoi piedi, riprese a parlare con voce ancora più sommessa. ‘’Non ti accorgi quando ti osserva, non sai quando ti ascolta. Non ha bocca per parlare, però riesci a sentirlo. Non ha occhi per fissarti, eppure lui ti vede.’’

. David era completamente fuori di sé, Robert adesso non sembrava nemmeno più parlargli assieme, ma si stava lasciando andare in un personale baratro di disperazione. Mentre David assisteva impotente a quella discesa, ciò che vide successivamente gli sarebbe rimasto impresso nella mente fino a quando non fosse giunta la sua ora. A causa del buio non era riuscito ad accorgersene prima; l’uniforme di Robert, insieme alle sue mani, erano completamente inzuppate di sangue. Per la seconda volta David arretrò di qualche passo. La testa gli girava, non riusciva a sostenere l’assurda piega che avevano preso gli eventi. ‘’Robert…cosa hai fatto?’’. Miller continuava a tenere la testa china, ma rispose dicendo, ‘’Lui ti vede David’’. David si teneva a distanza di sicurezza, assalito da una tremenda, quanto probabile ipotesi. ‘’Jeremy. Tu l’hai…’’. Robert questa volta alzò di scatto la testa, tornando a fissare David con lo stesso volto, con cui l’aveva accolto poco prima. ‘’LUI. TI. VEDEEEEEEEEEEEEEEEE.’’.

  David Gould non pensava più a come si fosse ritrovato in quella situazione, non pensava più ai cieli azzurri e ai limiti che formavano; alle foto, alla natura o alla spettacolarità dell’esistenza. In quel momento cercava di identificare la parte piena del bicchiere, e quella vuota. Ma il bicchiere non c’era più, era infranto, distrutto, privato di ogni logica; dissolto da quello sguardo folle nel quale David si era perso. Occhi verdi e grandi; occhi che rivelavano tutto; occhi che per una volta David, aveva paura di affrontare.    
       
…CONTINUA…
  
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