Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    09/12/2013    8 recensioni
Venezia, 1577. Un orfano di nome Jean guarda il corpo del suo migliore amico bruciare tra decine di altri corpi, mutilati e deformati dagli effetti della Morte Nera.
Venezia, 1582. Mentre la città ormai guarita si prepara a festeggiare il Carnevale, Jean viene avvicinato da un misterioso ragazzo dalla maschera nera. Qualcosa di grande sta per succedere, qualcosa per cui Venezia non è neanche lontanamente preparata...
Davanti agli occhi di Jean si formò l'immagine delle pire che avevano illuminato a giorno il sestiere anche nelle ore più buie della notte, fino a qualche settimana prima. La cenere cadeva ancora, più lenta e rada in quel momento, ma cadeva. Fu assalito da un pensiero improvviso, malato.
(Stiamo respirando cadaveri.)
Genere: Angst, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Vita e Morte a Venezia



Si sentiva come se lo avessero fatto a pezzi e avessero festeggiato ballando sulla sua tomba. Pensieri confusi e dolorosi gli attraversavano la mente a velocità massima, cercando di scappare, di farlo concentrare sul dolore.

Ma non era il dolore fisico ciò che in quel momento Jean temeva di più, per quanto avesse portato d'istinto una mano verso il torace – per trovarvi una cicatrice fresca; no, a ferirlo era il nome che più di tutti in quel momento suonava come una minaccia di morte, due cose che mai avrebbe pensato di associare.


(Marco)


L'essere vivo gli parve strano, ma in quel momento non aveva importanza; ciò che contava era la vita di Marco e, sì, il fatto che avesse tentato di ucciderlo.

O forse lo aveva ucciso, e ciò in cui si trovava ora era l'inferno.

Ma, rifletté, l'inferno non ha torce alle pareti. Si issò in piedi a fatica, dolorante, ripensando agli ultimi istanti che avesse vissuto prima di collassare.

Grisha Jaeger. Al solo pensare al tocco viscido della sua mano che si posava sulla sua spalla Jean ebbe un tremito di violenta rabbia. Eccolo, il vostro beniamino.

La Maschera aveva levato il travestimento, rivelando il volto dell'ultima persona a cui Jean avrebbe mai pensato. No, si corresse mentalmente, ci aveva sperato, specie la notte in cui la Maschera lo aveva aiutato a scappare dai Piombi, ma la razionalità aveva ucciso quel pensiero. E invece eccolo lì, vivo e vegeto. Mutilato, il volto ridotto nella macabra ombra di ciò che era stato, ma vivo.

Cosa gli avevano fatto? Perchè era bastata una parola di quella strana ragazzina bionda per far sì che Marco arrivasse a ucciderlo? Quale orrori era stato costretto ad affrontare?

Il pensiero di tutte le convinzioni sbagliate che le droghe del dottor Jaeger avevano creato nella sua mente lo invase, lasciandogli una forte sensazione di nausea addosso. Non aveva mai visto il corpo di Marco bruciare, non c'era mai stato nessun fazzoletto sotto il cui Marco avesse nascosto il proprio volto, spaventato dalla peste; neanche il suo nome era vero, perchè era il diavolo in persona ad averglielo dato.

Più ci pensava, più si convinceva che la priorità, in quel momento, era uscire da quella fossa e capire la situazione. La ferita si era già cicatrizzata, quanto tempo poteva essere passato da quando lo avevano gettato lì dentro?

Si diresse verso le pareti della fossa, scavalcando cadaveri e sforzandosi più di una volta di mantenersi lucido. Il puzzo e la spossatezza fisica misero a rischio la sua vista più di una volta. Dovette arrivare alla parete di fango e appoggiarvisi, chiudendo gli occhi per qualche minuto, per assicurarsi di non svenire.

Nonostante l'umidità, il terreno in cui la fossa era stata scavata sembrava essere in grado di reggere una scalata. Erano solo tre metri e, nonostante tutto, Jean si sentiva abbastanza vivo e motivato da poter affrontare anche quello.

Infilò le mani nel terreno e si issò, muovendo rapido il braccio libero verso un punto più in alto e sperando di non sentirsi scivolare la terra da sotto le dita; più di una volta fu sicuro che sarebbe caduto, e più di una volta lo rischiò veramente, ma riuscì ad uscire dalla fossa quasi illeso.

Si distese a terra, per niente sorpreso di scoprire di trovarsi da qualche parte nel carcere dei Piombi. Una parte in disuso o abbandonata, a giudicare dalla scarsità di torcie alle pareti e di prigionieri nelle celle. Attraverso le sbarre di una finestra, Jean potè vedere la luna illuminare il paesaggio circostante. Era la seconda volta che si ritrovava a dover fuggire da quel posto in piena notte, e la prima volta non era andata a finire bene.

Jean afferrò una torcia dal proprio supporto e si guardò attorno il più silenziosamente possibile; il corridoio proseguiva in entrambe le situazioni, e c'erano due stanze, all'apparenza vuota. Decise di perlustrarle, alla ricerca di un'arma con cui farsi strada fuori dal carcere.

La prima stanza doveva essere stata l'ufficio di un qualche boia disgraziato; era piena di coltelli e lame, tutte usurate e arrugginite dal tempo, troppo deboli per reggere in duello. Jean prese con sé solamente una daga scalcinata; il solo osservarla gli riportò alla mente i suoi primi allenamenti con quell'arma.

Era stato Marco ad insegnargli a usarla, sotto lo sguardo vigile e le urla di rimprovero di Antonio. In quanto agli allenamenti con la spada, Marco peccava di voglia di fare, e Jean ne eccedeva: non esattamente la combinazione perfetta per un duello, ma avrebbero potuto essere un'accoppiata fantastica contro qualcun altro, Jean lo aveva sempre pensato.

Si chiese con una fitta al cuore come avesse fatto a dimenticarlo per così tanto tempo, come il suo nome avesse potuto sbiadirsi nella sua memoria. Il senso di colpa gli strinse la gola ed era sul punto di mettersi a piangere, quando un rumore di passi in lontananza lo fece irrigidire.

Rapido, estrasse la daga dalla propria custodia e si posizionò in prossimità dell'entrata della stanza, pronto ad attaccare. I passi si facevano sempre più vicini; strinse le dita sull'elsa con tanta forza da perdere la sensibilità.

Un'ombra entrò nella stanza; Jean scattò veloce, fendendo la mano armata verso il nuovo arrivato, ma invece di affondare nella carne dell'uomo, la lama cozzò contro qualcosa di duro e metallico e Jean quasi perse l'equilibrio a causa del contraccolpo.

L'uomo alzò una lampada ad olio, rivelando il volto della Maschera.


'Jean!', sussurrò preoccupato.


Jean gli si precipitò contro, gettandolo a terra; lottarono per qualche secondo, in silenzio, mentre Jean cercava di togliere la maschera dal volto dell'altro.


'Leva quella maschera, bastardo! Levatela!'

'Lo avrei fatto se...unf...me lo avessi chiesto!'

'Come faccio a sapere che non sei un...argh...nemico?!'

'Ti ho riportato in vita...ah...non ti basta?'

Jean bloccò il proprio pugno a metà strada.


'Come?', esclamò sorpreso.

La Maschera ansimò. 'Fammi alzare e fai silenzio. È un'ala abbandonata, ma non si è mai abbastanza prudenti.'

Jean lo fissò per qualche secondo, poi si alzò, porgendogli una mano ed aiutandolo ad alzarsi. Una volta in piedi, la Maschera fece scivolare una mano guantata verso il proprio volto, scostandolo. Tremava visibilmente, quando rialzò lo sguardo su Jean.

Dal canto suo, Jean rimase a fissare il volto di Marco in silenzio, attonito.

Una cicatrice correva rapida quasi nella metà esatta della faccia, proseguendo sul collo e probabilmente ancora più in basso; nel lato sinistro, la faccia era quella che Jean ricordava: il volto sereno e cordiale del suo migliore amico, con dolci occhi scuri e una spruzzata di lentiggini sulle guance, solo invecchiato dall'età e da ciò che aveva dovuto patire. Ma il lato destro era una massa metallica di cui Jean non avrebbe potuto indicare il nome, modellata in modo da ricordare un volto con una maestria inquietante. Dove ci sarebbe dovuto essere un'occhio definito, però, era come se l'autore di quella...protesi avesse deciso di non donare a Marco la possibilità di rivedere del tutto il proprio volto umano.

L'occhio destro di Marco era quello di una maschera.


'La Maschera è ciò che sono...', sussurrò Jean, ricordando le parole pronunciate da Marco durante il loro primo incontro. 'Ora capisco cosa intendevi.'

'Sono un mostro.' mormorò Marco.

'No. Non lo sei. Non tu.'


Jean lo abbracciò e lo strinse fino a farsi mancare il fiato, felice di poter sentire accanto a sé il corpo di una delle poche persone che mai avesse amato al mondo. Dopo qualche momento di incertezza, Marco ricambiò l'abbraccio.


'Mi sei mancato, Marco.'

'A...anche tu.'


Jean sciolse l'abbraccio, un sorriso commosso sul volto.


'E ora spiegami perchè cazzo mi hai ammazzato e come faccio ad essere ancora vivo.', sibilò.

'Vieni, dobbiamo fare in fretta. Sono passate poche ore da quando ti ho...ucciso, ma potrebbero comunque insospettirsi e venire a controllare.'


Marco gli fece cenno di seguirlo; Jean rinfoderò la daga e lo seguì fuori dalla stanza e lungo il corridoio, fino a raggiungere un'altra stanza buia. Marco aprì la lanterna e inclinò lo stoppino infiammato verso una, due, quattro candele. Man mano che l'ambiente si illuminava, Jean sentì la salivazione azzerarsi e i nervi tendersi fino allo spasmo.

C'era un letto, nell'angolo a destra, ma era l'unica cosa umana in tutta la stanza. Appese alle pareti c'erano armi, coltelli, strumenti di tortura di cui Jean non conosceva esistenza o utilizzo, né desiderava conoscerli. Su un tavolo erano poggiate siringhe e piccoli coltellini chirurgici dall'aria letale, nonché varie mappe e strumenti di misurazione.

Il pavimento in mattoni era impregnato di chiazze di sangue.

Marco appese la lampada ad olio ad una catena in mezzo alla stanza e, tramite un sistema di carrucole, alzò la lampada fino a che essa non illuminò la stanza; legò la catena ad un gancio a terra e si voltò verso Jean, soddisfatto.


'Casa mia.', pronunciò solamente, alzando le spalle.


Lo sguardo di Jean passò in rassegna le decine di armi alle spalle di Marco.


'Cosa diavolo ti hanno fatto, Marco?', sussurrò, paralizzato dall'orrore.

L'espressione di Marco si addolcì. 'Nulla che valga la pena raccontare, credimi. E poi è da due anni a questa parte che mi ci alleno, con quelli.'

'Tu ti alleni con...' Jean lo oltrepassò veloce e proseguì verso la parete, afferrando la prima arma che gli capitò in mano, un corto coltello ricurvo dall'aria letale. '...questa roba?!'

Marco alzò l'occhio al cielo. 'Quello è un Karambit e, sì, lo so usare. Non ho avuto molto da fare tra una sessione di tortura e l'altra, in questi cinque anni.'

Jean lasciò cadere il Karambit. '...cos'hai detto?'

Marco lo fissò a lungo, cupo. Poi, in silenzio, si slacciò la cappa, levò i guanti e slacciò i bottoni della camicia. Quando ebbe finito, rialzò lo sguardo su Jean.

Non era solo il suo volto ad essere composto da quell'odioso materiale; parte della cassa toracica e tutto il braccio destro erano fatti allo stesso modo, modellati allo stesso modo del lato sinistro del suo corpo, con la sola differenza che se su quel braccio le cicatrici che solcavano tutto il corpo di Marco erano solo curve e tagli nel metallo, nella parte sinistra erano vere, rosse e pulsanti. Jean si lasciò cadere a terra, sul punto di svenire. Marco si riappoggiò addosso la cappa e si diresse verso di lui, sedendosi a pochi centimetri di distanza.

'Il titanio modificato è una scoperta di Grisha Jaeger. È un materiale metallico estremamente resistente e leggero. Non so cosa lui abbia aggiunto alla formula che lo compone, ma so che ha creato un'arma letale, un simbionte in grado di modellarsi in base ai pensieri dell'individuo a cui si attacca. È così che sono sopravvissuto, cinque anni fa. Jaeger stava per ferirti con una spada contente una boccetta di titanio modificato. Ti sarebbe entrata in circolo, poi lui ti avrebbe fatto dimenticare il vostro incontro e sarebbe rimasto ad osservarti in attesa di risultati. Ma io mi sono messo in mezzo e sono morto. Il titanio modificato si è mischiato al mio sangue e mi ha mantenuto in vita, ma sarei morto dissanguato se Jaeger non avesse creato questo per me.' sfiorò il lato destro del volto con dita tremanti. 'Il titanio modificato accresce la resistenza fisica, inibisce la soglia del dolore, dona forza o agilità in base alla tua personalità. È incredibile, e incredibilmente orribile. Esistono altri come me, altri che sono stati costretti a farmi del male in tutti questi anni. Per testare le mie capacità fisiche. E le loro.

Quando sei fuggito dai Piombi, l'altra notte, sono riuscito a raggiungere il laboratorio di Jaeger e ho rubato una fiala di titanio modificato, prima che riuscissero a prendermi. Sapevo che mi avrebbero costretto a ucciderti, per cui, appena ho ripreso conoscenza, ho sistemato la boccetta di titanio modificato nella spada.'

Jean guardò dritto nell'occhio di Marco. 'Sono vivo grazie a te. Per la seconda volta.'

'Jean, io...'

'Ho creduto che fossi morto. Per così tanto, tanto tempo...'

La mano di Marco, quella vera, si strinse a quella tremante di Jean.


'Ma sono qui. Sono vivo.'

Jean sciolse la stretta e sfiorò il lato destro del volto di Marco. Il metallo era freddo sotto le sue dita.


'Non c'è sensibilità da quella parte. Non posso sentirti.', sussurrò Marco.


Le dita di Jean si strinsero sui suoi capelli; lo tirò verso di sé con violenza, poggiando le proprie labbra sulle sue. Marco non reagì, limitandosi a fissarlo dapprima sorpreso, poi coinvolto. Chiuse gli occhi mentre la presa di Jean si addolciva, trasformandosi in una carezza.


'Non dovresti.', sospirò Marco, a pochi millimetri dalle labbra di Jean. 'Potrebbero costringermi a ucciderti da un secondo all'altro. Non ho controllo del mio corpo, lo hai visto.'

'Non mi importa.'

'Ma potresti morire...'

'Marco.', esclamò, e fu come se il suo nome avesse infranto definitivamente la barriera invisibile tra loro. 'Sai quanto io sia un egoista. Finchè sei con me qui, vivo, non mi importa. Non. Mi. Importa.'


*

*

*

[Qualche ora prima]


'LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI ANDARE, HO DETTO!'

Ymir strinse la presa contro il petto di Sasha, che era aggrappata allo stipite della porta. Un altro po' e le avrebbe involontariamente rotto un paio di costole. Forse non proprio involontariamente.

'Sasha, ti prego, basta!' intervenne Connie, cercando di allontanare Sasha dall'uscio. 'Ti prego, per favore, piantala. Ci farai uccidere tutti!'

Sasha si voltò verso Connie, il volto una maschera di rabbia. 'Jean è morto, Connie! MORTO!'

'Appunto per questo dovresti smetterla di comportarti così! Non puoi andare là fuori a cercare chi lo ha ucciso, non sai nemmeno chi sia stato!'


Questo sembrò convincere Sasha; smise di lottare lentamente, e Ymir la sistemò nell'unico letto presente nella stanza, dove si raggomitolò tremante. Connie si affrettò a sedersi accanto a lei e a stringerle la mano, nonostante lui per primo fosse quello in preda alle lacrime e al tremore.

Ymir si voltò verso l'altra occupante della storia e un moto di fiero orgoglio montò dentro di lei. Non una lacrima era scesa dagli occhi di Christa, seduta rigidamente di fronte al tavolo in mezzo alla stanza. Ymir afferrò una sedia e le si posizionò accanto, in silenzio. Christa si prese un lungo momento, prima di parlare.


'Non c'è stato nulla da fare?'

Ymir scosse il capo. 'Se anche l'enormità della folla mi avesse permesso di avvicinarmi a loro senza essere rallentata, non sarei riuscita a combatterli. Loro sono in quattro, e sono forti. La Maschera lo ha accoltellato, gli hanno rimesso la maschera bianca per nascondergli il volto agonizzante e sono spariti rapidamente in mezzo alla folla, verso i Piombi.'

Christa fissava dritto davanti a sé, dando l'impressione di ignorarla; ma le sue piccole dita flessuose si strinsero a quelle callose e rovinate di Ymir sotto il tavolo, in cerca di affetto e sostegno. Ymir strofinò il naso contro i suoi capelli.

'Non è giusto.', sussurò Christa, la voce resa quasi stridula dall'ondata di emozioni che la travolgeva in quel momento. 'È colpa mia. L'ho coinvolto io.'

'Tu non centri.' Ymir alzò lo sguardo verso Connie. 'Ehi, pelatino. Dici di non sapere chi sia stato, ma io un'idea vaga ce l'avrei, e non ha senso tacere a riguardo. Saresti pronto a vendicare il tuo amico?'

Connie si voltò verso di lei. Non c'erano più lacrime nei suoi occhi, solo un furore cieco. 'Dimmi tutto.'


Ymir spiegò ciò che sapeva: che erano in quattro, e rispondevano ad un capo di cui non conosceva l'identità, e che erano tutti ragazzini. Bertholdt, forte e agile ma molto facilmente malleabile; Reiner, estremamente forte fisicamente e reso ancora più pericoloso dall'instabilità mentale; Annie, letale e sicura dei propri intenti.'


'E poi la Maschera. L'uomo che ha ucciso Jean.' dichiarò Connie secco.

Ymir scosse la testa. 'Lui è diverso. Non ha una propria volontà, ma risponde agli altri tre. È una specie di sicario. E sono sicura che non abbia ucciso Jean di propria volontà, perchè lo conosceva.'

Anche Sasha si voltò, improvvisamente più interessata; Ymir pronunciò lentamente il nome di Marco, spiegando loro che era vivo, mutilato ma vivo.

'Vorrei che voi due la smetteste di piangere.', mormorò inacidita quando Connie Sasha, in preda a una crisi di pianto di gioia, avevano deciso di improvvisare un balletto attorno al tavolo, con tanto di coretti 'Marco è vivo!'. 'Mi date la nausea.'

Christa aveva sorriso divertita, e Ymir rimase a guardarla incantata. Lei si voltò curiosa.

'Cos'è quell'espressione?'

'Paura.', ammise Ymir, mordendosi la lingua subito dopo averlo detto. Le dita di Christa si strinsero tra le sue.

'Non finchè siamo insieme.'

Ymir ripensò alla prima volta che aveva visto Christa; all'epoca, lei aveva tredici anni, e Christa era una neonata in fasce. L'aveva osservata a lungo, nascosta dentro un baule pieno di gioielli e sete, in attesa che l'uomo entrato nella stanza della bambina si allontanasse per poter rubare ciò che poteva e scappare dal palazzo.

Aveva ucciso per la prima volta, per salvare quella neonata dall'uomo, le cui intenzioni le erano state chiare nell'attimo in cui lo aveva visto estrarre un pugnale e puntarlo verso la culla. Dopodichè l'aveva presa e l'aveva portata nelle cucine, supplicando la cuoca di tenere la bambina e vegliando su di lei per i primi cinque anni della sua vita.


(Un giorno avrò la forza necessaria a parlare di noi, della nostra differenza d'età, degli anni che ho passato a far sì che non ti ammazzassero solo per ciò che sei, di quanto sei diventata bella)


Portò le dita di Christa vicino alle labbra e le baciò.


(Un giorno)


*


Armin pensava e ripensava continuamente al gioco in cui si erano immischiati, seppure in parte. Stava pensandoci anche durante la notte in cui Jean era morto, nonostante fosse immerso in una folla di centinaia di persone impegnate a festeggiare, far casino e lasciarsi andare agli atti più impuri e lussuriosi.

Sentì Eren rifiutare l'invito di Mikasa a ballare, sottolineando come avrebbe fatto una figuraccia nel momento in cui lei, decisamente più portata di lui per il ballo, avrebbe involontariamente iniziato a portare. Non vide Jean venire accoltellato, a soli cento metri di distanza, ma fu felice nel vedere il volto sereno di Grisha Jaeger apparire tra la folla pochi minuti dopo.


'Ragazzi, che fate qua seduti? I giovani come voi dovrebbero divertirsi.', esclamò raggiante.

Eren borbottò qualcosa, Mikasa rimase in silenzio – la sua espressione quasi omicida parlava per lei, Armin osservò Grisha Jaeger con rinnovato interesse.

'Ho come l'impressione che ce ne andremo presto.', sospirò Armin. 'Non siamo esattamente in vena di festeggiamenti.'

L'espressione di Grisha si fece preoccupata. 'È successo qualcosa?'

Armin soppesò le parole. 'Nulla di che. Solo la possibilità che un nostro amico si sia cacciato nei guai.'

'Capisco. Beh, io ho un appuntamento con un caro amico, tra poco.', il dottor Jaeger sfilò una maschera da sotto il mantello e se la portò al volto.

Armin lo osservò. 'Dottor Jaeger, la vostra maschera...è storta. Permettete?'

'Cos...oh, certo.'

Armin si alzò e con mani abili sistemò il laccio dietro al capo di Grisha Jaeger. Quegli gli sorrise e salutò, perdendosi tra la folla.

Armin si voltò; sia Eren e Mikasa lo osservavano preoccupati.

Armin alzò verso i suoi compagni le dita che avevano sfiorato capo e guancia di Grisha Jager nel sistemare la sua maschera sul volto; come aveva previsto, erano sporche di sangue. Sangue fresco.

Mikasa rimase impassibile, fredda; gli occhi di Eren si aprirono in un'espressione di puro orrore.

'Cosa diavolo...?'

'Eren Jaeger?', mormorò una voce tranquilla da dietro le spalle di Eren. Il ragazzo si voltò: c'era un uomo, notevolmente più alto di chiunque Eren conoscesse, il volto coperto da una maschera dorata. Scostò il mantello con disinvoltura, mostrando contemporaneamente l'elsa di uno spadino e lo stemma della guardia cittadina.

'...Sì?', rispose Eren.

'Sono il Comandante Erwin Smith. È il caso che voi e i vostri amici mi seguiate. Senza fare resistenza.'

Armin deglutì, nervoso; Mikasa strinse i pugni. Eren si limitò ad annuire.

'Posso sapere dove avete intenzione di accompagnarci, signore?'

Un sorriso inquietante si fece largo sul suo volto. 'Soltanto a farvi alcune domande. Ma quello non è compito mio. Il Francese muore dalla voglia di vedervi.'

Allontanandosi dalla piazza dietro la figura imponente e autoritaria del comandante Smith, Armin non potè fare a meno di sentirsi osservato.

Una cinquantina di metri dietro di lui, Annie Leonhardt cominciò a correre in direzione del palazzo più vicino su cui fosse possibile arrampicarsi. Aveva una preda da seguire.


*

*

*

[Qualche ora dopo]


Tornare a guardarsi senza arrossire o voltare lo sguardo fu un'impresa in cui non riuscirono completamente, neanche quando si appoggiarono al tavolo in cui Marco aveva raccolto le sue mappe, schemi e appunti.

'Questi a che servono?', chiese Jean.

L'indice di Marco si posò su una mappa ritraente la Serenissima; alcuni punti erano indicati con una 'x'. 'Non sono mai stato reso partecipe dei piani di Grisha Jaeger; so che il suo obiettivo riguarda quella che lui definisce 'La Morte di Venezia', e so che ha amici potenti che lo aiutano in tutte le parti d'Italia, e anche nel resto d'Europa.'

'Significa che intende scappare, no?'

Marco annuì. 'Esatto. Il titanio modificato ha un periodo d'incubazione di cinque anni, così ci è stato detto, ma non credo che neanche Grisha Jaeger sappia effettivamente cosa succederà terminato il periodo d'incubazione. E siamo in troppi pochi...'

Jean si grattò il mento, pensieroso. 'Aaaaah, questo piano sembra far acqua da tutte le parti.'

'In effetti sì. Ma credo che ci sia un'arma nascosta da qualche parte in uno di questi posti, che Grisha Jaeger intende avviare in caso di fallimento.'

'Che genere di arma?'

'Non lo so.'

'Marco.', mormorò Jean, pensoso. '...Perchè siete così pochi?'

La guancia di Marco assunse una colorazione rossastra. 'Ah, io...ecco...il titanio modificato non reagisce bene a chiunque.'

Ci volle un momento perchè Jean realizzasse; impallidì improvvisamente, poi divenne rosso di rabbia. Fece il giro del tavolo fino a raggiungere Marco, che indietreggiò, e gli puntò un dito contro il petto.


'Tu...tu...non posso credere che tu l'abbia fatto!', esclamò furioso.

'Era l'unico modo!'

'Potevi non ammazzarmi!'

'Non controllo il mio corpo in quelle occasioni, te l'ho già detto!', ribattè Marco. 'Cosa volevi che facessi, che ti lasciassi morire?'

'Sempre meglio che assicurarmi una morte lunga e dolorosa, perchè è di questo che si tratta, no?'

Marco scosse la testa. 'Non ne ho idea. Sono stato l'ultimo esperimento di Grisha Jaeger. Non ho mai saputo cosa fosse stato degli altri.'

Jean aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò subito dopo; si voltò, diede un calcio alla sedia di Marco e si buttò giù per terra, le mani incrociate appoggiate al collo. Scosse la testa.


'Mi dispiace.', mormorò.

'No, hai...tutti i motivi del mondo per comportarti così.'

Jean sospirò. 'Mi manca Armin. Lui saprebbe cosa fare.' alzò la testa. 'Il periodo di incubazione di cinque anni. Suppongo sia quasi terminato, se siete in giro a fare danni.'

Marco annuì. 'Ecco...a dire il vero, la scadenza è prevista per domani.'

Jean strabuzzò gli occhi. 'Dimmi che scherzi.'

'Vorrei tanto.'

Jean alzò le mani al cielo, agitandole e stringendo i denti, come per sfogare tutta la frustrazione, poi si strofinò la faccia, stanco. 'Dio santo. Che situazione. Che facciamo?'

'Semplice. Ci posizioniamo il più vicino possibile a dove credo sia nascosta l'arma segreta di Jaeger e aspettiamo.'

Jean annuì distrattamente. 'E se...e se mi attaccassi?'

Marco sorrise amaramente. 'Temo dovrai cavartela da solo.'

Jean si alzò da terra e si spolverò i pantaloni. Si sentiva stanco e spossato da tutte quelle emozioni. 'E dove sarebbe quest'arma?'

Marco indicò il punto sulla mappa. Jean lo osservò bene, alzò la mappa e se la portò vicina al volto, come a volersi accertare di ciò che Marco stava indicando.


'Ha senso.', sorrise. 'Maledetto bastardo vanaglorioso...'

'Lo conosci?'

Jean alzò lo sguardo dalla mappa. Marco era accanto a lui, e il solo sentire il suo fianco contro il proprio, il solo vederlo lì accanto a sé gli ricordò quanto fosse fortunato. Sorrise.


'Altrochè se lo conosco. Ma prima di andare lì dobbiamo passare a prendere un paio di persone.'


*

*

*


Christa sobbalzò, quando una mano possente bussò alla porta, la mattina dopo.


'Ymir...', sussurrò, stringendo il coltello che aveva in mano.

'Ci sono.', rispose Ymir, estraendo un pugnale dalla cintura. Connie afferrò un bastone dall'aria pesante e Sasha il cuscino. Connie la guardò perplesso.

'Glielo buttiamo addosso appena entra.', spiegò lei soddisfatta. Connie alzò le spalle e si concentrò sulla porta.

Christa avanzò verso la porta brandendo il coltello; la aprì di scatto e si fece indietro. Sasha gettò il cuscino, urlando, mentre Connie si gettava addosso al nuovo arrivato. Ymir ritirò il coltello sospirando.


'Ahi...azz...Connie, piantala! Sono io, Jean!'

'Jean?!' Sasha si precipitò verso di lui e gli tolse la maschera dal volto. 'Oddio...oddio, Jean, sei vivo!'

'Come corrono in fretta le voc...ouff!' Sasha lo stava stritolando di gioia. Jean le carezzò i capelli, intenerito.

'Entrate, svelti. Idioti...' mormorò Ymir. Non fu sorpresa di vedere un uomo seguire Jean dentro la stanza. Sorrise sardonicamente.

'Avvisa, la prossima volta che passa. Stavo quasi cominciando a preoccuparmi di aver perso il fiuto per i nascondigli.'

Marco scostò la maschera dal volto. 'Sai benissimo che non c'è nulla che Venezia possa nascondere a una Maschera.'


Il silenzio cadde nella stanza mentre gli sguardi dei presenti si posavano sul volto di Marco; Connie si portò le mani alla bocca e iniziò a singhiozzare, mentre Sasha rimase a fissarlo agghiacciata. Christa si avvicinò a Ymir in cerca di conforto.


'Mi dispiace.' mormorò Marco, mortificato. 'Me...me ne vado.'


Si voltò, e fu allora che Connie corse ad abbracciarlo, seguito a ruota da Sasha.


'Troppe emozioni in un giorno solo, scusate.', sbuffò Connie, asciugandosi le lacrime. 'Marco, non riesco a credere che tu sia vivo. Oddio... ora dovrò chiedere a te il permesso per sposare Sasha?'

'Ancora con questa storia?!'


Marco scoppiò a ridere di gusto, ricambiando l'abbraccio di Connie col braccio buono. Ymir gettò un'occhiata a Jean, in piedi poco distante da dove si trovavano lei e Christa, sul volto un'espressione pensierosa.


'Che ti passa per la testa, ragazzino?' esclamò, ridendo. A dispetto di ciò che Ymir credeva avrebbe risposto, Jean abbassò la testa, pensieroso.

'Dobbiamo muoverci.' disse soltanto. Ymir annuì.

'Capisco.'

'E comunque...', e per un attimo Jean sembrò di nuovo il ragazzino che avrebbe dovuto essere. '...non lo vedevo ridere a quel modo da almeno cinque anni.'

Ymir sorrise.


*


Jean si avvicinò ad Armin appena questi uscì dalla libreria.


'Continua a camminare.' sussurrò, posizionandosi accanto a lui. 'Come stai?'

'Io... non proprio bene.' Armin deglutì a fatica. 'Com'è andata alla fine?'

'Oh, bene. Benissimo. Mi hanno ammazzato, gettato in mezzo ai cadaveri, sono resuscitato e così il mio migliore amico di quando avevo dieci anni...roba di tutti i giorni, no? Continua a camminare, Armin!'

Armin accellerò il passo; era rimasto indietro a 'resuscitato'. 'Cos...Jean! Che diavolo stai dicendo?'

'La verità. E sai l'altra cosa? Ad ammazzarmi è stato...'

'Grisha Jaeger.'

Questa volta fu Jean a rimanere indietro; si fermò del tutto, anzi. Armin si voltò verso di lui.


'Ieri sera lo abbiamo incontrato in piazza San Marco. Era sporco di sangue.' Armin abbassò la testa. 'Non riesco a credere a ciò che sono venuto a sapere nelle ultime ore. Non me ne capacito.'

'Cos...cosa sei venuto a sapere nelle ultime ore?' balbettò Jean.

Armin alzò lo sguardo verso di lui; Jean si sentì trafiggere dalla sincerità di quegli occhi. 'Mi dispiace, Jean.'


Ci fu un rumore secco; Jean si voltò, in tempo per schivare una freccia diretta verso di lui, partita da una balestra. Chi l'aveva lanciata era una donna, corti capelli castani, in piedi dietro di lui.

'Scusa, ragazzino, ma tu vieni con noi.', esclamò, ridendo.

'Armin!' ruggì Jean. 'Maledetto traditore!'

'Hanno preso Eren!' si giustificò lui, urlando. 'Lo avrebbero ucciso! Non avevo scelta!'

E Jean seppe che era vero, e che al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa. Si concentrò sulla donna, che in quel momento stava ricaricando e prendendo la mira verso la sua spalla.

Un uomo saltò giù da un tetto e si pose tra lei e Jean, alzando le mani.

'Suvvia, Zoe, che modi. Noi vogliamo solo parlare col nostro amico, non è così?'

'Non mi pare proprio.' sbottò Jean, 'E non sono vostro amico.'

L'uomo si voltò verso di lui e abbassò le mani, rivolgendone una nella sua direzione. 'Permettimi di presentarmi. Erwin Smith, comandante della Guardia Cittadina. E prima che tu possa fare altri passi falsi, sappi che abbiamo in custodia non solo il ragazzo Jaeger, ma anche la banda di ragazzini che si è divertita a farci saltare in aria un palazzo qui a Dorsoduro, l'altro giorno. Sai di chi parlo, non è così?'

Jean abbassò la spada che aveva estratto, digrignando i denti. '...Cosa volete?'


A un cenno del comandante, una decina di uomini scesero dai tetti. Tra loro c'era Rivaille, che non smise per un attimo di guardare Jean con un'espressione di puro disgusto. La donna chiamata Zoe si fece avanti, senza abbassare la balestra.

'Conoscere l'ubicazione dell'uomo chiamato la Maschera.' rispose Erwin Smith. 'Abbiamo ragione di credere che questi sia implicato in un piano per far cadere la Serenissima Repubblica di Venezia. Dev'essere giustiziato.'






Dopo ben 9 capitoli, credo sia arrivato per me il momento di ammettere il mio fallimento come autrice. VeMaV è una storia che io mi limito a scrivere: l'avete creata voi, col vostro affetto, le vostre recensioni, le vostre aspettative e l'entusiasmo che mettete in ogni visualizzazione. Non sono mai stata così orgogliosa di me stessa, o lo sono stata raramente; voi accrescete il mio spirito e di questo sono grata ogni secondo.

Il finale della storia si avvicina, certi personaggi entrano in scena, rientrano o scompaiono, ma non temete: nessuno verrà lasciato a se stesso. Non riesco a credere di star gestendo così tanta gente contemporaneamente, e mi chiedo se sto rendendo giustizia a chiunque; ci provo, se non altro.

Ragazzi, se non ve la sentite di recensire, sappiate che non me la prenderò; ma se avete voglia di buttare un pensiero a riguardo, hashtaggate #VeMaV su Tumblr o scrivetemi su Facebook. Il mio pensiero di estrema gratitudine e affetto va a chi lo ha fatto, perchè nulla è più soddisfacente di 'BASTARDA COME HAI POTUTO UCCIDERE MARCO MI E' VENUTO UN INFARTO!', credetemi. <3

Come sempre, vi amo. Smetterò mai di farlo? No. <3

Sono la vostra maledizione.

Al prossimo capitolo,

- Joice

   
 
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