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Autore: Hastatus    16/12/2013    2 recensioni
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shinji si scostò. Asuka percepì l’aria fredda invadere le pieghe del telo e farla rabbrividire. Il ragazzo fece capolino all’esterno con la testa. Era lontana, all’orizzonte, si trovava di fianco al limite della linea dell’alta tensione diroccata. Era una luce troppo intensa per essere data da un riflesso e troppo fredda per essere naturale.

 

Shinji? Che cos’è?”

 

“Sembra un faro o qualcosa del genere” – rispose il ragazzo, e aguzzò la vista. Non si riusciva a distinguere la sorgente della luce con lo sguardo. La luminosità divenne intermittente in modo irregolare. In un lampo di comprensione, Shinji cercò di tenere a mente la lunghezza e il numero degli impulsi, ma ormai ne aveva persi troppi.

 

“Potrebbero averci inviato un segnale Morse”

 

Potrebbero? E chi?”

 

Shinji rientrò nel capanno. “Non lo so. Non sono riuscito a tenere a mente tutti i segnali, era troppo tardi”

 

Asuka sbuffò e colpì il suolo con il pugno. “Dannazione. Conosco il Morse, avrei potuto tradurlo”

 

“Mi dispiace. Magari lo reinvieranno

 

“Speriamo” – disse la ragazza – “Non ci resta che aspettare domattina e andare a vedere”

 

“Domani notte” – la corresse Shinji – “Di giorno fa troppo caldo, e noi stiamo finendo l’acqua. E poi di notte sarà più facile vedere ancora quella luce”

 

Asuka lo fissò con le sopracciglia aggrottate. “Hai ragione. Adesso è meglio se dormiamo”

 

Shinji però tenne gli occhi aperti. Nonostante la testa gli ciondolasse di lato di quando in quando e gli occhi gli bruciassero dalla stanchezza, non cedette al sonno per cogliere la luce se fosse tornata. Non accadde.

 

“Hai delle occhiaie orribili” – sentenziò Asuka al mattino – “Per favore, cerca di dormire”

 

Shinji sbadigliò e si stiracchiò. “Va bene. Adesso tieni d’occhio tu, ok?”

 

 

*

 

Ancora le stelle. La luna aveva appena fatto capolino dai monti davanti a loro. Ma era davvero la luna? Era più vicina e coperta di schizzi di sangue rosso. Non era la luna della poesia e della quiete notturna, ma li osservava come il volto inespressivo di un cadavere impiccato.

Shinji era rannicchiato e trafficava con la stoffa cercando di riformare il fagotto. Si voltò verso la zona dove fino a pochi minuti prima si trovava il riparo. Ne percepì la nostalgia come un vuoto all’altezza dello sterno. Erano di nuovo sotto il cielo, esposti al vento e al freddo. Il ragazzo decise di usare parte del tessuto per coprirsi, sapendo che di lì a poco avrebbe avuto di nuovo caldo.

 

“Ci sei?”

 

“Ancora un secondo”. Shinji legò saldamente due estremità del fagotto così da chiuderlo e se lo issò sulle spalle. “Eccomi, andiamo”.

 

“Speriamo di trovare qualcosa” – disse Asuka mentre camminavano – “Siamo rimasti senza cibo e, peggio, anche senz’acqua”

 

Il ragazzo ne era cosciente e temeva quel fatto. Se non avessero trovato nulla da bere in breve tempo, avrebbero dovuto usare l’acqua delle pozze lì intorno che – oltre a non essere sicuramente sana – era rossa come il mare che avevano lasciato alle loro spalle.

 

“Già, speriamo” – rispose, e gli dispiacque non avere parole di conforto. Asuka guardava verso l’alto, come a cercare sostegno nel cosmo. Seguendo un impulso istintivo, il ragazzo le prese la mano. Lei non si ritrasse, ma chiuse gli occhi per un momento. Continuarono così, camminando uniti e senza parlare, accompagnati solo dal sibilo del vento e dai cigolii metallici della rete elettrica che seguivano.

 

La stretta della mano di Asuka divenne più forte.

 

“Forse ho visto qualcosa”

 

“Dove?”

 

La ragazza indicò un punto all’orizzonte, a destra dei tralicci. “Credo di aver visto un bagliore o un riflesso”


“Sicura che non fosse un riflesso del metallo?”

“No” – sospirò lei.

 

“Beh, seguiamolo. Dobbiamo comunque proseguire”

 

Ma la luce divenne intensa e ferì i loro occhi tanto che dovettero schermarsi con le braccia, come dei topi d’appartamento smascherati dai fari della polizia.

 

“Allora c’è davvero!”

 

Ansimavano d’eccitazione, ma capirono che correre era inutile. Tuttavia i loro passi si fecero più svelti e d’istinto seguirono la fonte luminosa.

 

M…T…questa non si capisce … Q … Accidenti, no: questo non è decisamente un segnale Morse” – sbottò Asuka, colpendosi la coscia con la mano con uno scatto.

 

Le stelle ruotarono ancora di qualche grado attorno alla Polare. Shinji cominciava a sentirsi stanco e desiderava rimettere piede nel loro riparo, dopo averlo montato. Asuka camminava sempre più lentamente e ansimando. Quella terra rossa era priva di ostacoli al cammino, ma era comunque faticosissima da attraversare, perché simile alla sabbia. Risucchiava i piedi come la mota fresca e a lungo andare diventata sempre più spossante staccarsi dalla sua morsa molle e forte.

 

“Pensi” – ansimò la ragazza – “Pensi che in quel rudere ci sia dell’acqua?”. Indicò quel che rimaneva di un’abitazione di campagna, bruciata come un blocco di carbone e pericolosamente inclinata di lato. Era priva di tetto, come se un uragano l’avesse spazzato via. Dalla parte opposta, un muro di mattoni andava digradando in altezza verso il suolo, similmente ad una gradinata, ma era consumato e sbriciolato come del pane secco.

 

“Non credo, ma sarà meglio darci un’occhiata lo stesso” – rispose Shinji.

 

Asuka si arrestò dopo pochi passi, senza preavviso.

 

“Tutto bene?”

 

“Non lo so”

 

“In che senso?”

 

“Non saprei. C’è qualcosa che non mi convince, ma non saprei dirti cosa”

 

Shinji cercò di rendere concreto l’intuito femminile della ragazza. La casa sembrava davvero in rovina e il terreno circostante non era calpestato. ‘Ovviamente’ – si disse il ragazzo. Le pareti erano carbonizzate da terra fino alle travi che sostenevano il tetto. Queste erano evidentemente fatte di legno: quelle centrali erano state erose dal calore un mucchio di tizzoni si trovava sotto di esse, e alcuni erano ancora ardenti.

Ardenti?

 

Clak.

 

Un fascio luminoso alle loro spalle, vicinissimo; si voltarono di scatto, presi alla sprovvista, e ne furono accecati come dalla luce del sole diretta. I loro occhi cercarono di abituarsi a quella luminosità, ma fu impossibile: dovettero scostarsi e uscire dal cono luminoso.

Non appena si riabituarono alla luce naturale della notte, lo videro. Era un faro, del tipo di quelli che si usano negli stadi. Faceva capolino dal retro del muro e il suo raggio bianco li avvolgeva completamente. Mano a mano che riacquistava la vista, Shinji vedeva nuove sagome: un carrello sul quale il faro poggiava e – il suo cuore perse qualche colpo – sagome umane.

 

Si sentì stringere la mano con forza e si voltò verso Asuka, la cui espressione era lo specchio di ciò che provava. Aveva la bocca e gli occhi spalancati, le sopracciglia rosse scomparivano dietro alla frangia spettinata. La sua mano sudava contro quella del ragazzo e tremava.

 

“Chi siete?”

 

Non seppero che cosa rispondere. In effetti … chi erano?

 

“Chi siete?” – ripeté la voce.

 

“Siamo …” – esclamò Shinji di rimando – “Siamo due ragazzi!”

 

Il faro si spense a beneficio della loro vista. Ora poterono vedere meglio la scena. Intorno al faro comparivano sagome, prima una, poi un’altra e infine una terza. Due erano più alte di loro di almeno tutta la testa, mentre la terza sembrava più o meno della loro altezza. Una delle più alte aveva gli occhiali.

 

“Ehi, ma … è incredibile!”

 

La voce dell’uomo con gli occhiali riecheggiò nella notte.

 

“Signor Hyuga!”

 

Era stata Asuka a riconoscerlo, ma anche Shinji sapeva chi fosse. Il signor Hyuga era il tecnico informatico del quartier generale operativo della Nerv, il braccio destro di Misato. Vestiva ancora la tuta regolamentare.

 

Poco dopo, Hyuga li stava guidando verso il retro della casa diroccata.

 

Shinji, Asuka, il cielo sa come fate a essere ancora qui, e come facciamo a essere qui anche noi. Come avete fatto?”

 

I ragazzi spiegarono quanto era successo in quei giorni, interrompendosi l’un l’altra in un racconto frammentario e confuso. Hyuga mantenne le sopracciglia aggrottate e lo sguardo puntato verso il basso mentre loro raccontavano, annuendo di tanto in tanto.

 

“Capisco” – disse, quand’ebbero concluso . “Noi siamo stati in viaggio per un giorno e mezzo. Ci siamo ritrovati al limitare di quella teleferica” . Indicò dei tralicci contorti qualche miglio più in là. “Io mi ero ritrovato chissà come sulla riva del mare, molto più lontano, praticamente come è successo a voi”

Il retro dell’edificio ospitava un riparo di fortuna un po’ più organizzato di quello di Asuka e Shinji. Aveva una forma a tenda canadese, e il telo che lo formava era cerato, inoltre era più spazioso. Delle braci ardenti indicavano il punto dove era stato acceso un fuoco. Il ragazzino poco più giovane di loro che Hyuga aveva incontrato si affrettò a riaccenderlo soffiando sui tizzoni ancora caldi. Non poteva avere più di dodici anni.

 

Hyuga lo indicò con un cenno del capo. “Lui è Hiro. Si è ritrovato vicino a quella pozza solo l’altro ieri. Questa era la sua casa” – disse, e la indicò sventagliando il braccio – “Dove abbiamo potuto trovare soprattutto acqua, da quel pozzo” – e indicò con l’indice una struttura cilindrica metallica nel mezzo delle vestigia bruciate del giardino. “Qui sotto dev’esserci una falda non contaminata dal sangue”

 

“Ma quel faro?”

 

“Merito di Aki” – disse, e non fu necessario che indicasse la terza persona, che stava ancora riponendo il faro dietro al muretto. “Lavorava anche lei alla Nerv. Non so se l’avete mai conosciuta. È un tecnico meccanico … si è trascinata dietro quel faro da quando si è ritrovata esanime nelle rovine delle officine, sperando di trovare qualcuno che notasse la luce. L’ho notata io, e poi Hiro, che ci ha portati qui. Gli ultimi siete stati voi”

 

La donna li raggiunse con una breve corsa, e si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della manica. Si scostò i capelli castani lunghi incollati alla fronte e mandò un sorriso stanco ai ragazzi, che cercarono di ricambiare. Poi si precipitò ad aiutare Hiro.

 

E così c’erano altre persone. Il cuore di Shinji allentò un poco quella morsa che l’aveva stretto nei giorni trascorsi, ma non si aprì del tutto.

 

“Signor Hyuga. Pensa che ci siano altre persone qui intorno?”

 

L’uomo sospirò. Si sedettero tutti attorno alla fiammella crescente nel cuore delle braci.

 

“Onestamente, non lo so. È probabile, però. Se gente come me è tornata, possono averlo fatto anche altri”

 

Improvvisamente Shinji si sentì gelare.

 

“Lei vorrà uccidermi, signor Hyuga

 

Asuka lo fulminò con lo sguardo.

 

“E’ colpa mia tutta questa devastazione. Sono stato io a distruggere ogni cosa, ho causato tutto io. Io.”. Il suo tono era calmo, ma la sua gabbia toracica stava andando a fuoco e il volto gli si imporporò. Strinse le mani a pugno.

 

Hyuga sospirò di nuovo, lo sguardo rivolto al cielo.

 

“No, Shinji, non ho mai pensato di farlo”

 

“Ma come può? Io mi odierei!”

“C’è una cosa che ho capito, mentre mi trovavo nel mare di LCL” – continuò l’uomo, fissando ora il ragazzo – “Ed è che odiare non serve a niente”. Aki e Hiro conversavano un paio di metri più in là. Sembravano madre e figlio.

Lo sguardo di Hyuga si spostò su di loro. “E’ inutile rifugiarsi in una felicità perfetta ma inconsistente, come quella dentro quel mare. Non c’è evoluzione, né alcun cambiamento … ma la nostra specie è fatta per cambiare: modificarsi è il modo che l’uomo ha per proseguire la propria storia, anche a costo di perdere le cose più care. Ma questo permette di riscoprire aspetti dell’esistenza ancora ignoti, o dimenticati”.

Aki circondò le spalle di Hiro con il suo braccio. Era strano vedere una donna così giovane trattare un ragazzino con fare tanto materno.

Hyuga tornò a Shinji con lo sguardo, e lo fissò dritto negli occhi. “Certo, Shinji, tu sei stato condotto forzatamente a compiere questo atto estremo per il genere umano. Ma hai scelto la cosa più saggia, e questo ti rende onore”.

 

I due si fissarono ancora per qualche secondo. Shinji annuì e Hyuga gli sorrise. Lo sguardo del ragazzo si spostò poi su Asuka, che lo fissava in modo indecifrabile.

 

“Ma non sono un santo” – sussurrò alla ragazza. Lei annuì con un mugugno, soddisfatta, e tornò a fissare il fuoco.

 

“Il problema sono i viveri” – dichiarò Hyuga, tornando in modo surreale a questioni terrene – “Abbiamo acqua in abbondanza, e questa è un’enorme fortuna, ma siamo a corto di cibo … dovremmo visitare i ruderi qui intorno. Spero di trovare delle piante o dei semi, e di vedere se questa terraccia rossa farà crescere qualcosa”

 

“Crede che sia possibile?”

 

“Me lo auguro. Se ti va, domani mattina tu e io potremmo fare una spedizione”

 

Hyuga si alzò e si stiracchiò, tendendo le braccia come uno spaventapasseri. Shinji pensò che fossero tutti veramente soli come degli spaventapasseri nel mezzo di un capo andato a fuoco.

 

“Avete un riparo?” – chiese. Shinji annuì e s’industriò per estrarlo dal fagotto. Con l’aiuto di Hyuga riuscì a montarlo con una forma più regolare e un aspetto più solido in generale. Il tecnico diede inoltre a Shinji un telo impermeabile bruciato agli angoli da porre come pavimento. Poi si rivolse ad Asuka.

 

“Senti … forse preferiresti dormire con loro?” – e accennò ad Aki e Hiro. La donna aveva issato a terra un secchio d’acqua e Hiro si stava lavando la faccia. “Posso stare io qui con Shinji

 

Asuka lo fissò senza battere ciglio per qualche istante.

 

“No, grazie”

 

“Guarda che non c’è proble – “

“No. Va bene così”

 

E s’infilò nella tenda. Hyuga augurò la buonanotte a Shinji e disse che la mattina dopo li avrebbe svegliati lui. Il ragazzo ricambiò e s’infilò a sua volta nel riparo.

 

“Perché?”

 

Asuka si voltò. Shinji la osservava con le sopracciglia alzate, ma non era aggressivo.

 

“Non lo so” – disse lei. Si corresse subito. “Non conosco quella donna né il ragazzino. Non posso stare con loro”

 

Shinji continuò a guardarla.

 

“Senti, siamo pochi, qui. Ho bisogno di stare con qualcuno …”

 

Il cuore del ragazzo accelerò nel corso della pausa.

 

“… di cui mi possa fidare”

 

I due si osservarono. Probabilmente pensavano alla stessa cosa. Era la prima volta che Asuka esprimeva verbalmente una nota che non fosse di rabbia nei suoi confronti. Shinji non sapeva se meritarsi o meno quella fiducia, ma era un dato di fatto che lei ve l’avesse riposta. Si sentì inadeguato e imbarazzato.

 

“Non so bene che cosa fare in questi casi” – disse lui.

 

Asuka congiunse i loro occhi con uno sguardo.

 

“Penso che dovresti sorridere” – disse, seria, guardandolo con la coda dell’occhio.

 

Shinji percepì l’angolo delle proprie labbra sollevarsi appena. Quelle della ragazza fecero altrettanto, per una frazione infinitesima.

 

Ma tanto bastava.

 

*

 

  
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