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Autore: itsmeWallflower    18/12/2013    1 recensioni
E ora, cosa si fa quando perdi il tuo punto di riferimento?
Come puoi andare avanti quando non sai dove guardare?
Kurt non lo sa.
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sono passati due anni da quando Kurt aveva visto l'ultima volta Blaine, suo marito Blaine, Blaine che lo aveva tradito.
erano passati due anni.
e Due anni non sono tanti, ma sono abbastanza per credere di non far più parte della vita di un’altra persona.
Forse o forse no.
Dalla storia:E tutto era lì, in quelle poche parole..
C’era l’errore di Kurt di non avergli detto ogni volta che ne aveva avuto l’opportunità, di amarlo.
C’era l’errore di Blaine di pensare a quelle volte come importanti.
C’era l’errore di non essersi fidato abbastanza, Blaine di Kurt e Kurt di sé stesso.
E c’era poi l’amore incondizionato, quello che non sparisce con gli errori, quello che non diminuisce con il tempo distanti l’uno dall’altro, quello che vuoi anche se fa male, quello che nonostante le botte ti fa sentire vivo.
C’era ancora e Kurt doveva solo trovarlo da qualche parte negli occhi di Blaine.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sam Evans, Santana Lopez | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte terza.

 
  Il messaggio di Blaine era stato chiaro.
 
-Ti aspetto al 601 W 5th St alle dieci. Sempre tuo, Blaine-
 
Rileggerlo per l’ennesima volta mentre aspettava che il taxi lo portasse a destinazione non lo aiutava a capire cosa aspettarsi.
Le dieci erano passate già da un po’ e Kurt non aveva fatto tardi perché non aveva sentito la sveglia o perché non sapeva cosa mettere, ma solo perché non sapeva se era pronto per affrontarlo, di nuovo.
 
Il fatto era che mai come in quel messaggio Kurt era riuscito a vedere quanto Blaine fosse cambiato.
Anni fa’ Blaine non sarebbe stato così sicuro e diretto, magari avrebbe chiesto a Kurt il luogo, magari gli avrebbe fatto un invito sottoforma di domanda, ma mai gli avrebbe scritto un messaggio che gli avrebbe dato poca scelta.. e Kurt stava andando nel pallone.
Tra i due, era sempre stato lui quello che teneva la situazione in pugno, quello che non si lasciava prendere dal panico, quello che sapeva cosa dire, fare, andare.
Quel nuovo modo quasi autoritario di Blaine era destabilizzante ed entusiasmante e soprattutto spaventoso.
 
Quando però si ritrovò di fronte al locale, dove all’interno c’era Blaine ad aspettarlo, un sorriso gli sfuggì dalle labbra.
Il Coffe Bean si chiamava, ed era in pratica la versione metropolitana del Lima Bean, posto che aveva fatto la storia per loro due al liceo.
 
Blaine era seduto ad un tavolino appartato in fondo alla sala, con indosso una semplice camicia rossa e il suo solito sorriso nervoso.
“scusa il ritardo” bofonchiò Kurt spostando la sedia libera di fronte a l’altro per sedersi con tutta quella calma che non aveva ma che sapeva fingere molto bene.
“oh Kurt tranquillo, non sono qui da molto” quell’imbarazzo era esattamente ciò che più temeva Blaine, quindi ringraziò con gli occhi la cameriera che era arrivata in tempo per chiedere loro le ordinazioni.
“un mocaccino grande con latte scremato e un caffè filtro medio, grazie” Blaine si voltò a guardare Kurt come per chiedergli se andava bene e l’altro annuì, un po’ stupito.
Quando poi la cameriera si congedò con un “arrivano subito” ed un sorriso, Kurt picchiettando le dita sul tavolo, senza guardarlo negli occhi disse: “ricordi ancora come prendo il caffè” ed era proprio quello che Blaine voleva sentirsi dire, “te l’ho detto Kurt, per quanto possiamo cambiare, siamo sempre noi.. e ti avrei preso anche un biscotto alle fibre, ma ho provato uno di quelli in vetrina e credo che non sia per niente commestibile” Kurt si trattenne dal ridere,
“per te neanche quelli che mangio io di solito lo sono, quindi non sei una fonte attendibile”
“te lo concedo” Blaine si lasciò andare ad una risata che fece rilassare entrambi, come se stessero tastando un territorio già conosciuto, per niente pericoloso.
 
 
Blaine aspettò che arrivassero i caffè prima di tirare fuori dalla sua tracolla una scatola.
“Okay, lascia che ti spieghi cosa ho in mente prima di dare di matto e andare via” aveva detto lui mettendo da parte il caffè e lasciando che Kurt studiasse il cofanetto, “qui dentro ci sono più di cento domande. È un gioco che si usa fare a quegli incontri di cuori solitari per conoscere meglio la persona che hai di fronte.. e prima che lo chiedi, no, non sono mai stato a questi incontri e questo gioco è solo un regalo di Sam che non ho mai avuto modo di usare. E so che può sembrare uno scherzo, ma non lo è.. io da qualche parte devo pur cominciare, no?” Blaine sistemò un plico di cartoncini sul tavolo dividendolo a metà e poi continuò, “ti ho fatto venire qui perché questo è il posto più simile al Lima Bean che può esserci a Los Angeles e quella caffetteria è importante per noi, perché è stato durante quei pomeriggi trascorsi lì, che io e te ci siamo davvero conosciuti ed è qui, ora che io e te dobbiamo ricordare chi siamo. Ho portato questo gioco perché ho pensato che sarebbe stata la maniera più diretta per farti capire che non ti ho mai mentito riguardo chi sono e voglio che tu sia sicuro di me, come io lo sono di te.” Blaine alzò gli occhi al cielo e sfregò le dita sudate sui pantaloni, “avrei potuto organizzare qualcosa di eclatante, avrei potuto metterti su di un aereo e portarti a Lima e dedicarti una canzone sulle scalinate del Mckinley, sarebbe stato romantico e incisivo ma poi ci saremmo trovati a questo stesso punto. Io Kurt voglio che tu-“
“bisogna stabilire delle regole per questo gioco?” domandò Kurt, fermando lo sproloquio abbastanza imbarazzante di Blaine,
“oh okay, non ci ho pensato. Oltre al fatto che tu risponderai a domande su di me e viceversa, non ho stabilito alcune regole.. ma potremmo mettere un passo, magari”
“non credo che non rispondere a delle domande su di te giovi all’obbiettivo, anzi così facendo ci remeremmo contro” disse Kurt, facendo spallucce e prendendo un altro sorso del suo caffè,
“giusto, beh potremmo passare qualche domanda o cambiarne di altre”
“per rendere il lavoro più facile?” chiese Kurt in fretta,
“okay Kurt, l’unica regola è che non ci sono regole. Inizio io”
 
“i miei sogni li realizzo o mi crogiolo nelle scuse?” lesse Blaine alzando lo sguardo verso Kurt per vederlo pensarci bene prima di sospirare e rispondere,
“col senno di poi credo che una volta capito quali sono davvero i tuoi sogni e i tuoi desideri e una volta messe da parte le insicurezze più che le scuse, riesci a realizzarli. Dimmi se sbaglio”
“non sbagli no. Ho ridimensionato i miei sogni Kurt, ora sono un appagato insegnante di musica al liceo. Tocca a te” Blaine gli passò una cartoncino e attese che Kurt lo leggesse,
“insegni in un glee club?”
“anche”
“sembra adatto a te”
“lo è”
 
“mi sono mai pentito di qualcosa che ho fatto?” come prima domanda a cui doveva rispondere Blaine non era stato molto fortunato.
“si. ti penti ogni volta che mangi una doppia porzione di torta al triplo cioccolato, quando fuori piove e non puoi andare a correre per smaltire le calorie. E credo che c’è stato una volta in cui hai pensato che avermi scelto e sposato sia stato l’errore più grande della tua vita” mormorò Blaine nascondendo il viso dietro la sua tazza di caffè ormai tiepido,
“è vero, l’ho pensato, ma non me ne sono mai pentito di averlo fatto Blaine, neanche quando pensarti faceva troppo male”
Blaine se fosse stato lucido avrebbe pensato che era stato davvero stupido a non controllare e togliere domande che sarebbero potute essere pericolose, ma la voce di Kurt, i suoi occhi significativi e profondi, il suo modo di prendere il caffè e di prendere lui lo destabilizzavano quanto bastava per dimenticare persino il motivo per cui erano lì.
“tocca a te” disse Kurt consapevole del frastuono dei pensieri di Blaine in quel momento,
 
“ok-kay, ho pregiudizi per alcune categorie di persone?” domandò Blaine poggiando il cartoncino sul tavolo e aspettando,
“che brutta scelta di parola: categorie.. ma comunque, il pregiudizio nasce soltanto dall’ignoranza. Me lo dicesti al nostro primo incontro alla Dalton”
Nessuno dei due lo disse, ma lo sapevano entrambi che ricordavano quel giorno come se fosse stato ieri.
Blaine ricordava la paura negli occhi belli di Kurt quando capì che c’era molto di più dietro la scelta di andare a spiare il coro avversario.
Kurt ricordava invece la sicurezza che traspariva in ogni gesto dell’altro e il coraggio che era riuscito a trasmettergli.
 
C’era chi si chiedeva come aveva potuto rimettere in quegli occhi la paura che era riuscito a cancellare tempo prima e c’era chi si chiedeva perché non era riuscito a infondere un po’ di quel coraggio che l’altro gli aveva regalato senza neanche volerlo.
 
Uno di fronte all’altro, portarono avanti quel gioco che di gioco aveva solo le sembianze per ore ed ore, senza stancarsi mai, senza perdere mai la concentrazione o la motivazione.
Avevano troppo in ballo per non ascoltare e crederci.
 
C’erano stati momenti in cui il silenzio era troppo lungo e altri in cui le parole migliori, quelle giuste venivano a mancare.. e loro cercavano e cercavano e cercavano per trovare risposte già conosciute nei loro gesti, nelle loro mani intrecciate sul tavolo davanti ai loro caffè freddi.
 
Perché ci sono cose che cambiano e cambiano ma altre invece restano invariate e per quanto il tempo e il destino e la vita giochino tiri mancini non possono niente contro l’amore vero, l’amore giusto.
 
E le loro dita allacciate in un gesto naturale e mancato per troppo tempo era una di quelle cose che niente può cambiare e avrebbero potuto chiamare tutti gli scienziati del mondo, che affermano che il cambiamento è l’unica costante in natura, non avrebbero trovato risposta a quel legame che non si era spezzato nemmeno quando lo avevano chiesto col cuore spaccato in mano.
 
Quando avevano convenuto che entrambi erano affamati, comprarono cinese ad un ristorante vicino al Coffe Bean e prima che potessero anche solo deciderlo, erano giù davanti casa di Blaine e poi seduti al tavolo uno di fronte all’altro a parlare ancora.
A parlare di tutto quello che gli passava per la testa,senza però, dire quello che avrebbero dovuto, perché non sembrava argomento da affrontare di fronte un involtino o più sinceramente perché non era una conversazione da fare quando non c’era nessuno nei paraggi.
Erano due anni che non erano chiusi in quattro mura da soli, ed era strano, impacciato, malinconico anche e spaventoso soprattutto.
E la tensione toccava culmini mai visti prima perché erano entrambi consapevoli e affamati, di una fame che tutti gli involtini primavera del mondo non potevano soddisfare.
Kurt faceva vagare gli occhi per la stanza, una stanza così sconosciuta eppure così familiare..
Familiare come la persona che la abitava ed era assurdo se ci si fermava a pensare e non ci voleva pensare Kurt, perché ricordare a sé stesso che quella era casa di Blaine, solo di Blaine e non anche sua, faceva male ancora come credeva che non potesse più fare.
E Blaine osservava invece il suo profilo e ancora una volta si stava dando dello stupido per come lo aveva trattato, per essersene andato, per non aver lottato abbastanza quando –a ragione- Kurt aveva mollato.
E la vita è una sola e troppo breve per lasciare andare.
Era un’idiota Blaine.
Stupido, stupido, stupido.
 
Kurt non agiva mai d’istinto, mai.
Per questo stare seduto nella cucina di Blaine era difficile, perché contro ogni previsione, tenere a bada l’istinto, quello che credeva sopito e sottocontrollo era una lotta continua, e stava perdendo Kurt.
Perdeva ogni volta che mangiava un boccone di riso e si soffermava sulla bocca di Blaine, perdeva quando scrutava la stanza e il pomo d’Adamo di lui che si muoveva con grazia ed eleganza, perdeva nel momento in cui beveva un sorso di birra cinese e seguiva le dita di Blaine che ripulivano l’angolo delle lebbra senza badarci mentre blaterava su quanto era estenuante.. cosa, Kurt non lo aveva capito.
E aveva perso quando Blaine aveva allungato una mano e lo aveva imboccato di quel pezzo di ananas caramellata, “perché non puoi non mangiare l’ananas Kurt, quante volte devo dirtelo?” e aveva sorriso.
 
Blaine aveva sorriso, di quel sorriso spontaneo che non vedeva da troppo tempo, quello che gli fa spuntare una fossetta al lato destro della guancia e stringere di poco gli occhi, quello che faceva dimenticare a Kurt tutto il dolore che aveva sentito per due anni a quella parte.
 
Ma rimediare, dimmi, come si può rimediare a tutto questo?
 
Sorridimi ancora in quel modo, come se non ci fosse niente di più bello al mondo che me, sorridimi con quegli occhi e con la pancia e con ogni singola parte di te.. così possiamo rimediare io e te.
 
Fino a quel momento Kurt nemmeno aveva saputo che il sorriso di Blaine era sempre stata la sua kryptonite, non sapeva che sarebbe stato quello a fargli perdere del tutto la ragione, trovando ad accoglierlo quel mare d’istinti che non erano affogati per niente in quel tempo di tempesta.
 
“Dio Blaine cosa mi stai facendo?” e lo aveva detto alla fine Kurt mettendo via le bacchette e guardando l’altro con quegli blu, troppo blu ed intensi. Un blu che Blaine non vedeva da due anni.
Un blu che, in quel momento Blaine sperava e pregava un qualche Dio lassù, che Kurt non avesse mai fatto vedere a nessuno.
Un blu che prima sapeva essere rivolto solo a lui e per lui ed ora non era più sicuro e faceva male.
Faceva male pensare che quello che lui stava facendo a Kurt, avrebbe potuto, in qualsiasi modo, farglielo anche qualcun altro.
“Blaine”
Ti prego, dì qualcosa. Fai qualcosa.
Blaine ti prego, stringimi e tienimi forte e fammi dimenticare ogni cosa.
Ti prego, convincimi che non farà più male. Ti prego.
 
E Blaine si alzò e spinse via la sedia di Kurt e gli prese il viso tra le mani e lo strinse forte, ma non lo baciò.
Respirò con la bocca sulla sua, respirava Kurt e lo bramava e lo desiderava, ma non avrebbe fatto un altro passo se Kurt non lo avesse voluto.
E lui lo voleva, Dio se voleva.
E voleva tutto.
 
Per questo Kurt gli strinse i fianchi e non gli importava se faceva male, e lo baciò.
Un bacio fatto di denti e morsi e labbra scoordinate e caotiche e unghie nella pelle e gemiti famelici.
In quel bacio c’era una litania intera di “non andartene” e “mi hai fatto male” e “ti amo ancora, sempre” e “sono tuo” e “ho una fottuta paura” e “scusami scusami scusami”.
 
“che stiamo facendo?” aveva ansimato Kurt ancora con gli occhi chiusi e il fiato corto e la fronte appoggiata al petto di Blaine, che non voleva lasciarlo andare.
“solo quello che vuoi che facciamo”
“questo non è giusto, non è giusto che lasci tutto sulle mie spalle. Io non posso, non c’è la faccio”
“Kurt io ti voglio. in tutti i sensi, sempre. Ma voglio anche che tu stia bene, sia felice. Voglio che se sceglierai me è perché sei convinto di potermi dare una seconda possibilità per andare avanti. Voglio che tu torni da me, non perché non puoi farcela senza, ma perché potresti farcela ma non vuoi. Capisci? io ho fatto un errore e ne pago tutte le conseguenze anche quella di non averti più o averti a metà, per questo me ne farò una ragione se mi dirai che non vuoi darmi una passibilità. Lo accetterò se non vuoi, solo se non vuoi. Perché non esiste che non puoi, non esiste Kurt.”
“non lo so Blaine, non lo so se quello che voglio è quello che mi farà stare bene. non lo so se sarò capace di far star bene te.. non ci sono riuscito prima, non posso riuscirci ora”
“ti prometto che sarò un uomo migliore, te lo prometto.”
“non voglio che tu sia migliore. Voglio che tu sia l’uomo giusto, Blaine.”
Kurt si aggrappò con le unghie alla schiena di Blaine, lo strinse forte e cacciò via le lacrime.
“voglio che tu sia giusto, così come sei.”
 
Non finirono il pranzo e nemmeno ripulirono il casino lasciato in giro, semplicemente restarono uno nelle braccia dell’altro fino a quando i muscoli ressero, poi si staccarono e Kurt prese le sue cose, conservò i sorrisi di quel giorno e le parole e gli sguardi pieni di cose inespresse ma sapute e andò via.
“Kurt io ero felice con te. Non eri tu, ero io che non sapevo stare bene con me.” disse Blaine sulla porta di casa prima di richiudersela alle spalle.
 
*
 
E dire che quei giorni avrebbero dovuto servire a chiarire i mille e più dubbi di Kurt.
Ne era passato solo uno e lui era più confuso di prima.
La vicinanza di Blaine era confusionaria per lui, il suo profumo e la sua sicurezza –quella che fingeva di avere prima e quella che aveva acquisito poi-, i suoi baci e le sue mani, era tutto troppo e troppo e Kurt non riusciva a mettere a posto i suoi pensieri.
 
In un anonimo letto di un Hotel di Los Angeles Kurt non riusciva a prendere sonno.
Erano troppe le domande a cui non voleva sentire risposta, perché sarebbe stato difficile. Perché la verità, per quanto sia la cosa più giusta non è sempre quella a cui vuoi aggrapparti.
E la verità nuda e cruda era che Blaine era tutto ciò che Kurt voleva ma non sapeva come.
 
Voglio che tu torni da me, non perché non puoi farcela senza, ma perché potresti farcela ma non vuoi.
 
Gli aveva detto Blaine quel giorno, e Kurt era consapevole del fatto che in qualche modo, se avesse voluto, sarebbe riuscito a vivere senza Blaine, non sarebbe stata forse una vita piena e appagata, ma sarebbe stata di sicuro più quieta.
Il punto quindi, non era dover capire se poteva o non poteva farcela SENZA Blaine, il punto era che non sapeva se poteva farcela CON Blaine.
C’erano così tanti “e se” da non riuscire più a contarli.
E se le sue sono solo parole?
E se fuggirà di nuovo?
E se non siamo destinati a stare insieme?
E se non saprò renderlo felice e cadrà di nuovo?
E se mi ferisce ancora io come farò a curarmi, ancora da solo?
 
Era questo il punto.
Kurt non sapeva se voleva ancora gettarsi nel vuoto senza sapere se il paracadute era funzionante.
Perché dopo l’adrenalina del salto e la bella sensazione di vuoto che in un qualche modo strano riesce a riempirti fino alle viscere, arriva quel momento in cui la terra si fa troppo vicina e tu riesci a distinguere tutti i pericoli e il paracadute è dietro la tua schiena e devi solo aprirlo.
Devi aprirlo per vedere se funziona, ma l’ansia è forte, troppo forte perché sai che senza quel maledetto paracadute tu ti schianterai al suolo e farà male, porterà alla fine.. e la paura di vederlo non funzionare ti spinge a non aprirlo.
Ma devi e poi è un attimo.
L’attimo in cui tu spingi il bottone e il paracadute si apre e tu sei al bivio, aggrappato all’unica speranza per non morire.
Funziona o non funziona.
Era quello che Kurt non poteva sopportare. L’ansia di non sapere, prima di buttarsi, se il paracadute lo avrebbe retto.
 
(da Blaine 23:54)
-Kurt? non hai preso il primo aereo per New York, vero? Mi avevi promesso tre giorni, Kurt-
 
(da Blaine 00:01)
-Non mi rispondi perché stai dormendo, perché non vuoi o perché sei in aereo?-
 
(da Blaine 00:10)
-se sei a New York, ti conviene prendere all’istante un aereo per Los Angeles, perché non me ne sto lavando le mani e quindi pretendo che domani ti presenti al liceo St. Jude, dopo le tre. okay?-
 
(da Blaine 00:12)
-Kurt? mi avevi promesso tre giorni!-
 
(da Kurt 00:13)
-e li avrai Blaine.-
 
(da Blaine 00:14)
-okay-
-non sei a New York ed io sono un idiota.-
-scusami-
-non stavi dormendo, vero? Semplicemente non volevi rispondere-
-kurt?-
 
(da Kurt 00:20)
-si?-
 
(da Blaine 00:21)
-siamo più forti di un singolo errore-
-buonanotte-
 
(da Kurt 00:30)
-‘notte-
 
*
Kurt odiava i licei come la maggior parte delle persone odiavano gli ospedali.
E avrebbe voluto scappare a gambe levate da lì, perché era come essere tornati indietro di dieci anni e lui era di nuovo il ragazzino piegato dal peso dei bulli, ma mai spezzato.
 
Come avrebbe trovato Blaine in quell’orda di ragazzi impazziti e come-
“Kurt Hummel?” una ragazzina minuta ed estremamente eccentrica con un pantaloncino a pois e una camicia a scacchi, lo stava guardando ansiosa,
“e tu saresti?” domandò lui alzando un sopracciglio curioso, lasciando perdere ogni tipo di pensiero che stava facendo fino ad un secondo prima,
“una fashion blogger che sta sognando. Devo un enorme favore a Mr Anderson!” la ragazza gli porse la mano e sorrise raggiante,
“Burberry? Ha avuto una marcia in più solo dopo che lei è diventato il primo disegnatore. La linea del 2012? Resterà nella storia della moda per sempre!” Kurt arrossì senza volerlo e strinse la mano della ragazza,
“beh grazie..”
“Annah! Mi chiamo Annah, posso chiamarti Kurt, vero? E mi concederesti il tempo di qualche domanda, giusto? solo un paio.. magari in un video da caricare nel mio blog!”
“io- beh.. io dovrei-“
“vedere Mr Anderson, lo so. Quando ci ha detto che saresti venuto al nostro glee club, stavo quasi impazzendo dalla gioia. Cioè, non avevo mai capito che il suo ex marito a cui dedica ogni canzone melensa al club, per poi scoppiare in lacrime e fuggire via eri proprio tu.. altrimenti, lo avrei preso per le spalle, scosso come si fa con una bambola di pezza e gli avrei detto: -reagisci stupido professore e corri a riprendertelo! Che diamine! Chi stupido si lascia scappare Kurt Hummel?-“ stava dicendo la ragazza, gesticolando come una matta e camminando per quei corridoi infiniti,
“Beh, Kurt.. lascia che ti dica una cosa.. non ho mai visto un uomo così disperatamente innamorato. Qualsiasi cazzata abbia fatto, perché sono sicura che ne abbia fatta una e pure grossa.. non può essere paragonata a tutto l’amore che si percepisce avere per te. Sai cosa diceva sempre mia nonna? Che anche dopo anni e anni di matrimonio tutte le volte che vedeva suo marito tornare da lavoro dalla finestra della cucina le tremavano le gambe dall’emozione. Mi faceva sempre l’esempio delle mandorle, che a volte hanno due noccioli all’interno: diceva che lei e suo marito erano così, erano legati stretti come due noccioli di mandorla. Sai come sono fatti i noccioli di mandorla? Stanno uno incastrato nell’altro, uno concavo e uno convesso, devono adattarsi e combaciare. Ecco,mi diceva, finché non troverai una persona che ti faccia sentire così, una persona che sia il tuo nocciolo di mandorla, allora potrai star certa che non sarà la persona con cui passare il resto della tua vita.** io il mio nocciolo non l’ho ancora trovato.. ma sono sicura, da come il signor Anderson canta per te e da come tu ora stai tremando che voi due siete quei noccioli perfettamente incastrati nel guscio di mandorla.” La ragazza si fermò a pochi metri dal bagno dei maschi,
“forse è meglio che prima ti sciacqui la faccia, non voglio che il mio professore pensi che ti ho fatto piangere, non mi farebbe cantare alle regionali! Ti aspettiamo nell’aula in fondo al corridoio, sulla destra!”
 
Blaine era seduto insieme ad altri venti e più ragazzi, in un cerchio, per terra e stava parlando così animatamente che tutti lo seguivano pendendo dalle sue labbra.
 
Annah era seduta di fianco a lui e gli teneva la mano, annuendo di tanto in tanto del tutto presa dal discorso.
 
“..quindi, la verità è questa, la vita è breve ed è una e non c’è spazio per i silenzi e per i rimpianti. Nessuno sa cosa può portarci il domani, per questo vale sempre la pena dire quel che si ha bisogno di dire. Sempre. Dovete sempre lottare per quello che volete, che amate. Non dovete avere mai paura di dire quanto siete spaventati, non dovete aver paura di deludere le persone che amate dicendo quel che pensate, se qualcosa vi fa star male, ditelo, se amate qualcuno, ditelo senza aspettare qualche occasione importante, ditelo anche quando non c’è una motivazione. Ditelo e ricordatevelo e sentitelo quando lo dite. E Ragazzi, quando sbagliate, capite l’errore e scusatevi e prendetevi la responsabilità delle vostre azioni, non si può tornare indietro.. questo è vero, ma rimediare, quello si può fare. E non ascoltate chi dice che una persona si capisce dagli errori che ha fatto, perché è un’emerita cazzata. Chi sbaglia lo fa perché non è cosciente, chi sbaglia è perché forse si sente sbagliato lui in qualche modo, chi ferisce una persona che ama, non lo fa con l’intenzione di far male, ma perché forse in qualche modo cerca di trovare una maledetta ragione al sentirsi così inadeguato. E una persona si distingue non da come cade, ma da come si rialza e combatte e si pente e chiede scusa.” Blaine si mise in piedi e fissava i suoi ragazzi uno per uno, con uno sguardo così sicuro e passionale e protettivo da far quasi male e poi alzò le braccia al cielo per farle ricadere teatralmente sui fianchi, “io credo di essermi perso nel discorso, come mio solito. Il punto è questo, però: non dovete mai avere paura di esprimere i vostri sentimenti. Qualsiasi essi siano, perché non sempre il treno ripassa sullo stesso binario e le occasioni perse prima sono rimpianti dopo. Quindi-“ si voltò verso la lavagna di fianco alla porta e solo allora si accorse di Kurt, poggiato allo stipite che ascoltava attento.
Aveva gli occhi lucidi e Blaine era quasi sicuro che non fosse stato lui a farlo piangere.. Sorrise, gli indicò una sedia vuota posta vicino al pianoforte e si avvicinò alla lavagna.
Say what you need to say.
Aveva scritto al centro di essa, portando l’attenzione subito dopo, di nuovo ai suoi studenti che ancora non si erano mossi dai loro posti.
“Il compito della settimana è quello di dire alle persone care, alle persone importanti, quello che state provando in questo momento.. e poco importa se non lo farete in musica, quello che conta è che lo fate. Se sentite di voler scrivere una lettera a vostra madre, fatelo. Se sentite il bisogno di scrivere una canzone al vostro migliore amico non pensateci troppo. Se volete urlare in faccia ai vostri fidanzati di smetterla di portarvi sempre al cinema il sabato sera, non esitate. Se qualcuno -e parlo di te Annah- vorrebbe confidare la sua paura nel trovare un posto nel mondo, che lo faccia. Okay? ora c’è qualcuno che vuole condividere qualcosa di suo con noi?”
 
Tutto quel cavolo di discorso, Blaine lo aveva preparato? Aveva capito che lui lo stava ascoltando?
E per quanto ne poteva sapere Kurt, se era stato pensato al momento o preparato prima, poco cambiava, perché l’effetto che aveva avuto su di lui era comunque uguale.
Spaventosamente rassicurante.
Come una prova di sicurezza prima del lancio vero nel vuoto.
 
Blaine non stava cercando di giustificarsi, non stava cercando di dire niente.. se non che aveva capito l’errore e voleva rimediare.
Blaine stava solo dicendogli che non gli importa che ha il biglietto scaduto e che se passerà di nuovo quel treno lui non può salire.. stava dicendo, con gli occhi e con la bocca e con la pancia che lui si aggrapperà all’ultimo vagone e che si fotta il dolore alle braccia.
 
“Io. Io vorrei cantare, posso signor Anderson?”  un po’ tutti si voltarono verso quel ragazzino che cantava sempre poco e parlava ancora meno.
Di solito se ne stava al suo posto ad ascoltare quello che gli altri volevano dire e suonava quando c’era da suonare.. ma non aveva mai preso la scena tutta per sé, non l’aveva mai chiesta e mai voluta.
“Vai Brad!” urlò Annah come per incoraggiarlo, come faceva sempre d’altronde.
Era stata lei a presentare quel ragazzo timido e impacciato al glee
“come ha detto Annah, vai Brad!” le fece il verso Blaine, accomodandosi intanto di fianco a Kurt, sul suo sgabello del pianoforte.
 
Kurt non staccò gli occhi da quel ragazzo che stava facendo una sua versione di “let me love you”, aveva una voce poco comune, ma non era quello che lasciava Kurt senza fiato, era il modo con cui stava cercando di comunicare col cuore che lo metteva a disagio.
Sorrise però quando capì a chi, quel Brad stava dedicando quella canzone.
Sorrise perché Annah piena di vita e chissà quanti scheletri nell’armadio gli ricordava un po’ il suo Blaine del liceo, quello che non si accorgeva dell’amore che aveva intorno, quello cercava in tutti i modi di aiutare gli altri senza riuscirci mai con sé stesso.
Gli ricordava il ragazzo che organizzava parate nel cortile della scuola solo per dire a Kurt che era la sua stella, con tutte le sue insicurezze nascoste dietro il laccio di un papillon stravagante e la risata contagiosa.
“cosa c’è da sorridere?” gli chiese Blaine fin troppo vicino al suo orecchio e lui fece spallucce, senza voltarsi,
“Annah mi ricorda il vecchio te” mormorò
“quello che indossava un maglioncino a righe con una giacca a quadri?” scherzò Blaine,
“si, quello che non riusciva a vedere ad un palmo del suo naso, quello che faceva serenate imbarazzanti ad un commesso gap a San Valentino, invece che di fare un passo avanti col suo migliore amico” Blaine sbuffò e alzò gli occhi al cielo,
“lo sai che sono lento su un certo tipo di cose” e Kurt sogghignò prima di voltarsi a guardarlo,
“perché sono qui?” domandò lui,
“io-io volevo che vedessi perché sono diventato un professore. Ho avuto l’idea di diventarlo da un po’ e-“
“da quando andavamo al liceo, in verità” gli fece notare Kurt,
“davvero?”
“quando stavamo compilando le lettere per l’ammissione al college, mi dicesti che non volevi andare alla NYADA, che ti sarebbe piaciuto diventare un insegnante come il professore Schue.”
“quel giorno ti dissi pure che volevo provare a fare il medico, un chirurgo per l’esattezza come il dottor Shepherd di Grey’s Anatomy.. quindi non era tanto attendibile come discorso, ero solo spaventato per quello che avrei dovuto fare dopo il liceo” Kurt alzò gli occhi al cielo e sbuffò, sorprendendosi quando l’aula si riempì di applausi per la fine della canzone, ma senza badarci più di tanto,
“non ti ho ascoltato sul serio. Volevo che tu venissi a New York con me, non volevo che andasse sprecato il talento che avevi e che credevo volevi sfruttare. E ora come ora.. posso dire di essere contento che alla fine la NYADA non ti abbia preso, voglio dire.. ti saresti ritrovato con una laurea per le arti drammatiche e non avresti saputo che farne.. mentre alla NYU, sei comunque riuscito a trovare quello che cercavi, no? il professore di musica è quello che fa per te.” Blaine annuì,
 
“perché non me lo hai detto?” sbottò all’improvviso Kurt, quando un’altra canzone stava inondando l’aula e tutti i ragazzi erano intenti a fare da coro a quelli che dovevano essere i leader del gruppo,
“detto, cosa?”
“che avevi lasciato il lavoro da un mese, due anni fa”
“io- io non volevo che fossi deluso da me. Ci stavo lavorando da anni e avevamo messo da parte molte cose per quell’album e-“
“oh credimi Blaine, fra tutte le cose che mi hanno deluso, il tuo progetto non entra affatto nella lista. Non era fatto per te. Quella stupida casa discografica stava creando un personaggio che non eri tu e mi dispiace non averlo capito prima.”
*
 
Blaine lo faceva sempre.
Gli piaceva partecipare ai compiti che dava ai suoi ragazzi, gli piaceva imparare insieme a loro.
Ma non era per quello che aveva deciso di cantare quel giorno, lo aveva fatto perché c’era davvero un qualcosa che voleva condividere con una sola specifica persona.
E quello che aveva da dire, lo aveva già imparato, molto tempo fa’, da solo e con lui.
 
Per questo si sistemò meglio sul suo sgabello, davanti al piano, per questo si schiarì la gola e provò qualche tasto, assicurandosi che fosse accordato bene.
 
Per questo chiuse gli occhi e lasciò che la melodia che aveva in testa, quella che non aveva suonato mai, ma aveva ascoltato molte, troppe volte in quei mesi, si facesse spazio nel suo cuore e sulla sua bocca.
 
L’adrenalina che scendeva fino alle sue dita e poi sui tasti avorio, il cuore che batteva seguendo il ritmo della sua voce, la testa piena solo di Kurt.
 
Cantava Blaine, perché quello era l’unico modo che aveva per esprimere concetti, che non sarebbero venuti fuori in altro modo.
Perché sapeva, che Kurt l’avrebbe ascoltato meglio così. Sapeva che certe parole, avevano bisogno di un certo sostegno per risultare più vere e il pianoforte era quel che le reggeva meglio.
Quella distesa di tasti neri e avorio non erano mai stati per Blaine un nascondiglio, ma il contrario.. era il suo unico modo per mettersi a nudo.
Per far vedere a chi sapeva ascoltare la sua anima.
Kurt era sempre riuscito a spogliarlo in quel modo.
 
Non riconobbe subito la melodia e solo quando Blaine cominciò a cantare, capì che non l’aveva mai sentita suonare al pianoforte, prima.
“Same say I’ll be better without you, but they don’t know you like I do” c’era un qualcosa di così sicuro e così struggente in quelle parole che Kurt dovette trattenere il fiato e concentrare tutte le sue attenzioni su Blaine. Blaine che era concentrato, Blaine che aveva gli occhi chiusi e non guardava nessuno.
Sentiva nella sua voce, tutta la sua consapevolezza, il dolore che aveva provato, i rimpianti che aveva dovuto affrontare, “But I wan’t go, I can’t do it on my own, if this ain’t love, then what is?” Blaine cantava e piangeva, e diceva tutto quello che doveva dire e Kurt non poteva fare altro che ascoltare e stringere le mani in grembo per non correre ad abbracciarlo, per proteggerlo, per dirgli che sarebbe andato tutto bene, che neanche lui sarebbe andato da nessuna parte.
Blaine cantava e lui ascoltava.
 
“What if I lose my heart and fail, declined” cantò Blaine aprendo gli occhi e cercando quelli di Kurt, per perdercisi dentro e affogarci, “I wan’t forgive me if I give up trying” lo urlò, squarciando l’aria e il petto di Kurt con la sua voce.
 
E poi ancora sempre nudo e sincero e completamente in gioco, Blaine continuò perché proprio come Kurt che non poteva fare altro che ascoltare, lui non poteva che farsi sentire.
“There will be times, we’ll try and give it up” disse e non stava quasi più cantando, lo sospirava arreso ma non sconfitto, “we’ll almost fall apart, then burn to pieces, so watch them turn to dust, but nothing will ever taint us”
 
E Kurt ascoltò fino alla fine perché in qualche modo voleva sentirsi più vicino, lo ascoltò con le lacrime che gli scendevano dagli occhi sincere come lui non era riuscito ad esserlo in quei giorni, cercando di nascondere in tutti i modi tutti quello che d’importante Blaine avrebbe dovuto sapere, ma lui non voleva dire.
 
Annah azzittì l’applauso prima ancora che questo arrivasse, con una sola infuocata occhiata verso i suoi compagni, lasciando che Kurt e Blaine restassero nel loro mondo, ancora per un po’.
 
Stavano piangendo entrambi e nessuno sa chi dei due fece il primo passo verso l’altro, ma si abbracciarono, si strinsero forte come se non ci fosse un domani, con le unghie conficcate nella pelle, petto contro petto.
 
“Kurt io- io”
“lo so, anch’io. Ma ci facciamo del male Blaine.”
“voglio correre il rischio. Voglio farmi del male, allora. Diamoci un’altra possibilità”
“Hai detto che ci saranno momenti che ci proveremo a cadremo.. io non so se riuscirò a reggere quei giorni, Blaine”
“se lo vuoi c’è la fai, mi vuoi Kurt?” lo aveva sussurrato direttamente sulle sue labbra ad occhi chiusi, perché non sarebbe riuscito a reggere un “no” degli occhi di Kurt.
 
Un bacio.
Fu la risposta di Kurt.
Un solo leggero disperato bacio.
Un bacio che aveva il sapore del sale e delle scuse.
Un bacio che sapeva di addio e di casa.
 
Ed era un casino.
 
Perché ad ogni risposta di Blaine, venivano fuori altre mille nuove domande di Kurt.
E a volte, a volte l’amore non basta.
Non basta a diminuire i kilometri.
Non basta a cancellare gli errori.
Non basta a mettere insieme due vite, ormai completamente diverse.
 
Quando Kurt si staccò da Blaine aveva gli occhi grandi sgranati e spaventati.
Blaine allungò una mano per fermarlo, perché era riuscito a vedere in quello sguardo tutto quello che Kurt stava pensando , tutto quello che stava per fare e lo bloccò.
 
“non vuoi andartene sul serio”
“Blaine”
“Kurt”
 
Quella volta Blaine si prese quello che voleva, senza chiedere il permesso.
E in quel bacio ci mise tutto quello che aveva.
Perché a volte, a volte invece l’amore basta.
E può ogni cosa.
 
Ma l’amore non è mai una cosa semplice.
E non era semplice neanche quella volta, ma non era il tempo e il luogo adatto per discuterne ancora e ancora e ancora fino a quando Kurt non si sarebbe arreso all’evidenza e avrebbe lasciato che le cose andassero come dovevano andare.
Uno nel cuore dell’altro.
 
“potrei baciarti ogni volta che tenti di scappare” mormorò Blaine
“potrei finire col farlo apposta a fuggire, allora” rispose Kurt prima che potesse impedirselo per poi tornarsene a sedere, finalmente conscio del fatto che ogni singolo alunno di Blaine avesse assistito a quella scena.
Alla canzone, alle lacrime, al bacio, alla quasi fuga e ad un altro bacio.
 
“è stata la cosa più romantica che abbia mai visto!” esclamò Annah dando un buffetto sulla spalla di Blaine alla fine della lezione, quando tutti, uno ad uno si stavano allontanando.
“smettila Davis” la rimproverò bonariamente lui,
“ciao Kurt.. e ricorda il nocciolo della questione” disse lei salutandolo con un gesto affettuoso della mano,
“Annah?” la richiamò lui, prima che uscisse dall’aula,
“si?”
“apri gli occhi, guardati intorno e vedi che arriverai anche tu al nocciolo”
“davvero?” domandò lei stupita,
“è più vicino di quanto pensi, ma te lo spiegherò domani, magari.. dopo quelle domande che ti devo”
“davvero?” ripeté lei ancora più stupita,
“davvero, ci vediamo dopo scuola?”
“affare fatto Signor Hummel!”
 
Uscirono dagli edifici della scuola uno di fianco all’altro, con il peso delle parole dette, ripetute e non ancora espresse tra di loro e le loro mani che si trovarono prima ancora dei loro pensieri.
 

 
 

 
Angolo Wallflower_
Il terzo e penultimo capitolo.
Spero lo abbiate apprezzato e spero che non abbiate trovato tutto estremamente noioso e ripetitivo.
 
Comunque volevo precisare un paio di cosette.
 
-Il discorso che fa Annah a Kurt, quello in corsivo per intenderci.. è una citazione che ho trovato girovagando in internet e non lo so mi è piaciuta metterla perché mi hanno ricordato i miei nonni.
 
Non che mia nonna sia sdolcinata quanto quella di Annah, però ogni volta che lei ha le mani fredde, guarda mio nonno e dice: “mani fredde, cuore caldo” e mio nonno ogni volta, alza gli occhi al cielo e pure se ha le mani calde dice: “pure le mie so’ fredde, figliò”.
Ogni singola volta ed è il loro modo di dirsi che si amano ancora.
E okay, non ve ne può fregare di meno.. lo capisco, sorry! xP
 
-la canzone è He wan’t go di Adele.
Non so se lo avete capito,ma odoro Adele.. e visto che One and only è stata una canzone importante per Broken Toys, ho voluto dare una specie di colonna sonora anche a questa piccola storia.
 
Queste note sono diventate chilometriche..
Quindi ringrazio voi che avete letto e aggiunto la storia nelle seguite\ricordate\preferite e vi do appuntamento a domani per il quarto e ultimo capitolo.

Vi ricordo la mia pagina autore.
A domani <3
  
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