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Autore: Phantom13    02/01/2014    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Una vita e mezza passò dall'ultima volta che aggiornai. Ma ora, finalmente, ce l'ho fatta! l'ispirazione è tornata. Mi son seduta al pc oggi alle tre di pomeriggio e m sono alzaata alle sette e mezza di sera. 
Come sempre, io mi sono impegnata al massimo e spero di esser riuscita a creare una battaglia avvincente (gente! 11 pagine word di scontro! mai fatta una cosa del genere!).
Come sempre, dalla foga di vedere se il mio lavoro vi è piaciuto o no, ho pubblicato senza rileggere (parliamoci chiaro: non ne ho la forza). dunque, se ci saranno ripetizioni datemi tranquillamente la colpa. Se ci saranno errori di battitura, la colpa è del nuovo pc ricevuto a natale ^v^
Già che ci siamo, Buon Anno a tutti!

ora vi lascio alla lettura!
Enjoy!

 
-Capitolo 7-
-Teta567



 
 
Shadow si voltò di nuovo. Quella volta ne era certo, non l’aveva immaginato: lo scricchiolio c’era stato davvero.
Socchiuse gli occhi color rubino e si immobilizzò, fermo sotto agli alberi, concentrato su quel sottilissimo suono di un rametto spezzato. Fortunatamente per lui – e sfortunatamente per quell’idiota che lo stava seguendo – il suo udito era più che raffinato. Se ci fosse stato Sonic o qualcun altro al suo posto, probabilmente non si sarebbe accorto di esser seguito. Eccezion fatta forse per Rouge, la cui natura di pipistrello le aveva donato addirittura gli ultrasuoni.
Ma qui si stava parlando di Shadow, e le creature viventi, meccaniche o meno, in grado di prenderlo di sorpresa erano pochissime, per non dire inesistenti. E quello là dietro non faceva eccezione.
Shadow sbuffò appena, richiamando a sé una scintilla del potere di Chaos, che gli frizzò tra le dita, pronto a scattare non appena quell’altro si fosse mosso.
L’inseguitore non tardò a slanciarsi fuori dal suo nascondiglio, con un ringhio schiumante che gli risaliva con rabbia la gola. Per una frazione di secondo, gli occhi di Shadow incontrarono del misterioso pedinatore.
Lo riconobbe.
Per quanto il riccio nero fosse pronto alla battaglia, non era minimamente preparato alla vista di un simile avversario. Mai si sarebbe immaginato un nemico del genere, specialmente non dopo la distruzione del laboratorio di ricerca. E, soprattutto non lui, quello che già una volta aveva provato ad attaccarlo, nel condotto d’aria del laboratorio ormai distrutto.  
Un guizzo di preoccupazione (già, preoccupazione) gli montò in petto: come aveva fatto a trovarlo con tanta facilità in mezzo al nulla? E com’era sopravvissuto all’esplosione?
Ma per le domande non c’era tempo.
Gli artigli di Teta tagliarono l’aria, nel punto esatto in cui mezzo secondo prima stava il riccio nero. Shadow si spostò di lato, giusto quella manciata di centimetri per non venir colpito e per non dover spendere energie a parare il colpo.
Chaos crepitò, e lo Spear si abbatté in tutta la sua scintillante forza contro Teta, ad una distanza praticamente nulla, con i conseguenti e ancor più devastanti danni. La cavia da laboratorio ululò, piegando indietro la testa. Per un attimo oscillò, stordita dal colpo subito di notevole potenza, tuttavia non perse l’equilibrio. Riuscì in un qualche modo a rimanere in piedi, scoprendo l’aguzza dentatura –troppo simile a quella di un lupo- in una smorfia di dolore.
Shadow non perse tempo. Gli sferrò un calcio – forte come solo una gamba abituata a correre alla velocità del suono riuscirebbe a sferrare – esattamente nello stesso punto in cui il Chaos Spear aveva colpito. Teta crollò al suolo qualche metro più in là. Ansimando, il cyborg voltò a fatica la testa verso il suo nemico, mantenendo il contatto visivo, indispensabile in qualunque scontro, ancor più in quello. Shadow e Teta trassero quasi all’unisono un profondo respiro, forse il primo da quando era scattata la lotta.
Vista l’ingente quantità di sangue che stava lentamente ma inesorabilmente inzuppando il fianco di quel bizzarro mix di metallo e carne, Shadow non si sarebbe stupito se Teta avesse impiegato almeno un paio di minuti per riprendersi dallo Spear e dal calcio. Si sorprese abbastanza, dunque, quando lo vide rimettersi in piedi nel giro di qualche secondo.
Il riccio sollevò un sopraciglio.
Resistenza davvero notevole. Fin troppo.
Teta era esitante ad attaccare di nuovo, valutava la situazione, e il riccio ebbe tutto il tempo di studiare l’avversario.
Era alto. Più di lui. E anche più massiccio, poco slanciato ma ugualmente rapido. Aveva il pelo rosso, di media lunghezza, eccezzion fatta ovviamente per le parti meccaniche. Il metallo, difatti, gli ricopriva parte delle gambe (probabilmente, pensò il riccio, per sostenere il peso del corpo), quasi per intero le braccia, sulle quale c’era inciso il nome “Teta567”, e parte del cranio. Una striscia d’acciaio gli correva tra le orecchie aguzze, come quelle di un lupo, arrivando fin in mezzo agli occhi, che erano interamente meccanici. Due telecamere, insomma. Forse, attraverso quegli occhi, qualcuno in quel momento li stava osservando da dietro un monitor.
Shadow ringraziò mentalmente il proprio carattere solitario che l’aveva portato ad allontanarsi da Rouge per una breve passeggiata, incontrando così quell’avversario in un luogo ben lontano dalla pipistrella e dalla base, cioè in un boschetto a qualche chilometro di distanza. Se davvero qualcuno stava guardando attraverso gli occhi di quell’essere, non avrebbe mai potuto capire dove ora si trovassero loro due ora.
E Rouge sarebbe rimasta al sicuro, fuori dalla portata di quella creatura straripante di intenti omicidi.
Infatti, l’intera concentrazione di quell’essere, tutta la sua attenzione, pure il suo corpo pareva interamente votato al nemico spinato che si trovava ora davanti a lui. L’essenza stessa di Teta era riversata per intero su Shadow, con il primordiale istinto di farlo a pezzi. Niente mezze misure. Uccidere.
Era follia. No, peggio. Assenza di ragione.
Teta ululò, fendendo l’aria con i suoi otto artigli, lunghi almeno un mezzo metro buono. Balzò all’attacco.
Mentre Teta si slanciava verso di lui, e il riccio si metteva in posizione di difesa, Shadow notò un dettaglio piuttosto raccapricciante. Anzi, si stupì di non essersene accorto prima. Gli artigli di Teta grondavano di sangue fresco.
E non poteva appartenere a Shadow, non essendo lui stato colpito. E non poteva arrivare nemmeno dallo squarcio al fianco di Teta, la posizione e la direzione degli schizzi escludeva questa possibilità. Era sicuramente di qualcun altro.
La frazione di secondo impiegata per formulare quel pensiero passò, e il ruggito di Teta riportò alla realtà il riccio che con un altro balzo evitò nuovamente l’assalto diretto del cyber-lupo, che però proseguì l’attacco nonostante la schivata, balzando all’inseguimento del  riccio qualche metro più in là. Sfoderò una velocità notevole, molto di più rispetto a prima, inaspettata in un corpo di quella mole. Shadow sbuffò. Schivare non poteva più, nemico troppo vicino. Teletrasportarsi … spreco di energia.
Pose con decisione il proprio braccio tra se e il muso furioso di quella belva. Gli artigli di Teta cozzarono contro l’anello inibitore di Shadow, metallo contro metallo, senza fare danni al corpo del riccio.
Gli occhi del semi-lupo scintillarono di furore, frustrazione e incomprensione.
Erano in stallo, anche se per poco, ad una distanza praticamente nulla. Teta mostrò nuovamente al riccio le proprie zanne, mentre invece gli occhi di quest’ultimo caddero sulla ferita al fianco della cavia da laboratorio, magari con il remoto pensiero di eseguire nuovamente lo stesso stratagemma di poco prima. Pelle stracciata e in parte bruciacchiata sui bordi, carne viva e slabbrata che riversava sangue, poteva quasi vedere i muscoli veri e propri tendersi allo sforzo di Teta per contrastare la sua resistenza. Forse, quel biancore era una costola. No, era uno scintillio di metallo.
Quella creatura aveva le ossa di metallo.
Non che Shadow fosse una cima in empatia, ma quella ferita aveva proprio l’aria di fare male. Ma Teta non pareva nemmeno accorgersene, il suo sguardo rimaneva infisso su Shadow.
Resistenza fuori dal comune. Soglia del dolore ben oltre la normalità.
Al riccio scappò un ghigno.
Loro due, almeno sotto quell’aspetto, erano uguali.
 
 
Sonic aveva le ali ai piedi. E se era lui a dirlo, voleva dire che stava davvero toccando velocità sfiorate ben raramente pure da lui.  
Stava bruciando in quei chilometri tutta la tensione, la rabbia, la frustrazione e l’incommensurabile voglia di prendere a pugni un paio di persone di sua conoscenza che aveva accumulato negli ultimi tempi. Era stato fermo e buono troppo a lungo, si era trattenuto troppo, facendosi quasi del male fisico per riuscirci.
Ed ora la libertà gli accarezzava nuovamente gli aculei sottoforma del solito vento che andava a crearsi mentre lui si lasciava alle spalle miglia e miglia di terra.
Davvero! Gli sembrava di essere rinato.
Era stato uno sforzo più grande di quanto avesse immaginato, fare il doppiogiochista. Rimanere calmo e paziente non faceva per lui. Ma lui lo faceva per qualcuno.
Un riccio, proprio uguale a lui, che aveva avuto però la sfortuna di incappare nei piani di vendetta di persone dallo squallore indescrivibile soltanto perché era nato in una maniera un po’ particolare. E se un amico – un fratello, quasi - era nei guai, lui aveva il sacrosanto dovere di aiutarlo. Se poi quel qualcuno era il famigerato riccio nero, Sonic si sentiva in obbligo di triplicare gli sforzi.
Il debito che aveva verso di lui era troppo grande per essere colmato. E la speranza di riuscire a riempire anche solo un po’ quell’abisso era l’unico motivo che riusciva ancora ad impedirgli di dar di matto e suonarle di santa ragione a quel rognoso cane che gli avevano piazzato alle calcagna.
Un ombra di tristezza gli velò lo sguardo.
La ricetrasmittente che teneva in mano emise un altro di quegli odiosi bip-bip attirando l’attenzione del roditore blu. Sonic diede una rapida occhiata al piccolo schermo e, consultati i due  puntolini lampeggianti che avrebbero dovuto rappresentare lui e la cavia da laboratorio, modificò appena la rotta, aggiustando la direzione.
Aveva sulla coscienza ben due morti da parte di Shadow. E per quella volta – l’unica volta – che quell’insopportabile e irritante riccio nero aveva bisogno di un aiuto, anche se piccolo e non in prima fila nell’azione, come poteva dirgli di no?
Shadow aveva dato tutto. Due volte.
E lui, Sonic, cosa stava facendo, in quei momenti, mentre il suo miglior nemico crepava al posto suo?
Abbassò lo sguardo. Lui era rimasto fermo a guardarlo morire.
Purtroppo per il nostro Sonic, abbassare lo sguardo non fu una grande idea, specialmente poi se si è soliti macinare una qualche decina di chilometri in pochi secondi. Sta di fatto che, preso nei suoi pensieri, Sonic non vide minimamente verso cosa si stava muovendo. E quando se ne accorse, per poco non gli venne un infarto. Frenò giusto a tempo, trovandosi però nel bel mezzo.
Sangue. Per terra. Quattro corpi. Due dei quali decisamente troppo piccoli.
Una tovaglia da pic-nic a quadretti bianchi e rossi. Due zaini da montagna. Un pallone da calcio. Una bambola con un vestito rosa. Un paniere con dentro una torta. Quattro piatti disposti a cerchio. Una piccola scatola di plastica contenente dei mirtilli. Due bastoni da trecking. Sangue, carne, ossa, membra, organi sparsi un po’ tutto attorno.
Il chili-dog risalì dallo stomaco del riccio.
 
L’esoscheletro di metallo scuro di Pelo Rosso cigolò pericolosamente al calcio sferrato dal riccio nero, ma la lega rinforzata resistette alla forza della Forma di Vita Suprema. Teta però venne scagliato indietro dalla potenza dell’urto, mezzo secondo di sbilanciamento fu più che sufficiente per permettere a Shadow di tornare all’attacco. Il Chaos Spear si abbatté contro la cavia da laboratorio, filtrando poi crudelmente nelle componenti meccaniche del corpo di Pelo Rosso, attecchendo ancor più di quanto sarebbe successo normalmente.
Teta crollò a terra di nuovo, con i residui dell’attacco elettrico che ancora correvano su e giù per le sue membra metalliche. Rantolava, e i suoi sensori di vista erano per metà oscurati e per l’altra metà invasi da sfarfallii bianchi e neri. Insomma quell’attacco diretto esattamente alla sua schiena, centro di quell’esoscheletro, a sentir quei pazzi di scienziati, avrebbe dovuto proteggerlo da Shadow, anziché condannarlo a patire il doppio di quanto sarebbe stato senza quella specie di sostegno per il suo corpo. Teta digrignò i denti, rialzandosi di nuovo, mentre ogni singola cellula gli mandava ripetutamente segnali di danni e pericolo di rottura, in pratica ciò che veniva comunemente inteso come dolore. Ma non c’era posto nella sua mente per simili pensieri.
Shadow. Solo Shadow. Shadow morto.
Balzò di nuovo all’attacco, mentre un flebile e intermittente mirino di target si materializzava nel suo campo visivo, sulla sua retina, inquadrando la figura di Shadow. Il riccio spostò il peso su una gamba e poi sparì.
L’aveva fatto già innumerevoli volte, durante quello scontro. E continuava a farlo. Sparire così, di punto in bianco era un bel problema per il radar personale di Teta.
Pelo Rosso distorse la bocca in un ghigno. Ma quella volta, il riccio non l’avrebbe fregato più.
Era troppo veloce per venir colpito, o anche solo visto. Era troppo rapido, spariva a mezz’aria e ricompariva dove più gli aggradava e fin ora non aveva mancato un colpo.
Creava fulmini, correva sulle fiamme, lo spazio si piegava per lui e il tempo rallentava ad un suo gesto.
Il nemico peggiore che si potesse immaginare.
Gli scienziati del laboratorio non avevano fatto un buon lavoro. Lui, Teta, non aveva speranze di sconfiggerlo e compiere la missione che loro stessi gli avevano dato. La velocità d’azione che gli era stata concessa, la sua forza e la sua resistenza, avevano perfettamente funzionato contro il manipolo di robot venuto a riacciuffarlo. Ma soltanto perché loro erano meno rapidi di lui. Contro un avversario come Shadow, infinitamente più veloce e subdolo di quei robot, le sue tecniche di battaglia si stavano rilevando inutili.
Una missione impossibile già di partenza, la sua. Ma non importava.
La missione prima di tutto, sempre e comunque la missione. La missione. Doveva catturare Shadow. Uccidere Shadow. Fare a pezzi Shadow.
Il crepitio di tuono del Chaos Control era un preavviso troppo flebile per poter permettere a Teta di schivare il fulmineo attacco di Shadow.
Si ritrovò dunque a terra per l’ennesima volta, mentre quella furia che sentiva montargli in petto crebbe ancora di volume raggiungendo quasi la soglia critica. Lentamente, si rimise in piedi.
Una piccolo sensore avvertì Teta proprio in quel momento che la quantità di sangue che gli rimaneva in corpo era troppo poca. Principale fonte di perdita liquidi: l’orrida ferita al fianco, la prima che gli era stata inferta. Un’altra fitta di “allarme-danno” lo invase, insieme ad una sensazione completamente nuova di spossatezza. Le ossa gli cigolarono, insieme alle controparti meccaniche, in particolare dove Shadow lo aveva precedentemente attaccato, specialmente sui punti vitali. Ci aveva provato, il riccio, a farla finita subito, ma il corpo di Teta era corazzato.
Shadow balzò all’attacco di nuovo ma, questa volta, Pelo Rosso percepì qualcosa di nuovo.          
Mentre il riccio sterzava di lato per attaccarlo da dietro, la mente di Teta colse un particolare che prima non aveva notato. Sentì, senza capire esattamente come, l’elettricità residua che ancora avvolgeva il corpo del nemico. Con tutti i Chaos Spear che Shadow aveva lanciato, irrimediabilmente aveva resto piuttosto elettrica l’aria, specialmente intorno a sé. Teta sbattè un paio di volte le palpebre meccaniche. Se si concentrava, riusciva a sentire l’elettricità di Shadow cozzare contro la superficie metallica del proprio corpo.
Il metallo, ottimo conduttore, lo avvertiva tramite micro scosse elettriche dei movimenti del riccio, anche se i suoi sensori visivi non riuscivano ad inquadrarlo.
Così, quando Shadow gli fu dietro per sferrare il suo colpo, Teta schivò l’attacco, afferrando al contempo il braccio del riccio, che sgranò appena gli occhi.
Per la prima volta, Teta riuscì a toccare Shadow. Gli sferrò una ginocchiata a piena forza sul ventre. Sentì quasi l’onda del proprio urto invadere gli interni del riccio, che si lasciò sfuggire un gemito, piegandosi a metà. Sfoggiando una forza sorprendente per un misero essere d’ossa, sangue e carne, Shadow balzò indietro, strattonando via il proprio braccio dalla presa di Pelo Rosso.
-Cominciavo quasi a credere che sapessi attaccare solo frontalmente.- commentò il riccio, tenendosi una mano sulla pancia ancora dolorante.
Teta, in tutta risposta, gli mostrò le zanne.
Ruggì a pieni polmoni scagliandosi subito dopo all’attacco. Fece una finta, che però non riuscì nell’intento. Il riccio ignorò il fasullo attacco da destra, per concentrarsi su quello reale, proveniente da sinistra. Shadow afferrò il braccio di Teta, bloccandogli il movimento, per poi ricambiare la ginocchiata al cyborg. Che sortì però un effetto praticamente nullo. Teta ghignò piano, scrollandosi via di dosso il riccio.
 
Shadow atterrò poco più in là, assottigliando lo sguardo. Resistente, davvero troppo. Forse quasi più di lui.
Teta balzò di nuovo in avanti. Shadow chiamò a sé il potere di Chaos e si teletrasportò via, lasciando che gli artigli retrattili del suo avversario fendessero solo aria. Gli si materializzò alle spalle, colpendogli con un calcio il dietro delle ginocchia, facendolo crollare a terra per poi colpirlo con più agio alla schiena, svuotandogli i polmoni per il contraccolpo.
Fin ora, quella cavia da laboratorio non aveva fatto altro che attaccare sempre frontalmente. Stava solo ora imparando a fare finte o attacchi indiretti ma, a parte la disumana resistenza e tolleranza al dolore e la sorprendente forza bruta, non aveva nulla di particolare. Era veloce, sì, ma nulla di paragonabile alle movenze di Shadow, o di Sonic. Aveva una buona potenza muscolare, forse poco più di Knuckles. L’unico suo punto forte indiscutibile era la resistenza. Ne aveva già incassati tanti, ma tanti, di colpi, anche in punti vitali. Eppure era ancora in piedi e schiumante d’energia per combattere. L’esoscheletro metallico era un problema, forse la spiegazione a quell’insolita resistenza.
Non era metallo normale, quello, poco ma sicuro. Ne aveva già abbattuti a dozzine di robot forgiati di purissimo acciaio senza alcun problema, ma, per una qualche strana ragione, la cavia da laboratorio pareva inaffondabile. Non importava quanto forte venisse colpita, quella corazza resisteva.
Teta non era un avversario poi così formidabile, nulla che minacciasse direttamente la vita di Shadow. Eppure, l’istinto del riccio continuava a suggerire che ci fosse dell’altro, che non poteva essere tutta lì l’arma di distruzione di quegli scienziati che giocavano a fare gli dèi. Forse, quella creatura che ora aveva di fronte, non era ancora completa del tutto?
Forse non era stata mandata da lui, forse era semplicemente evasa.
Teta fece per rialzarsi e Shadow attivò il Chaos Control, mettendoci però più energia rispetto alle altre volte e, invece che teletrasportarsi, congelò il tempo. La cavia da laboratorio si bloccò a metà dell’atto di rialzarsi dalla posizione genuflessa, con gli artigli destri poggiati a terra per mantener saldo l’equilibrio.
Shadow si prese un attimo per osservare con più attenzione un misterioso fascio di cavi che sbucava dalla nuca del cyborg per poi andare a conficcarsi di nuovo nel suo corpo qualche centimetro più sotto, nella schiena. Non li aveva visti, prima.
Si chiese distrattamente se, tagliando quelli, la vita del cyborg, o almeno i suoi movimenti, sarebbero stati interrotti.  Li sfiorò con un dito, sentendo il Chaos Control che premeva per venir rilasciato. Non poteva fermare il tempo per sempre.
Ma, sull’atto di strapparli, si fermò. Uno strano suono …
L’albero dietro di lui si schiantò di colpo, seguito a ruota da altri quatto, tutti in differenti posizioni.
L’inconfondibile sfrigolio di congiunture meccaniche e cuscinetti a sfera gli diedero la conferma. Svelto, affibbiò un calcio a piena forza sul cranio di Teta, rilasciando al contempo il Chaos Control e facendo così schiantare il poveretto a terra. Mentre il cyborg giaceva, chiedendosi cosa accidenti fosse successo, Shadow era già voltato verso i nuovi venuti, con due scintillanti Chaos Spear nelle mani, pronto alla battaglia.
Cinque, enormi robot, che in altezza gareggiavano ad armi pari con gli alberi, si stavano avvicinando, accerchiando lui e la cavia da laboratorio che, finalmente, stava cominciando a dare segni di cedimento.
Erano unità da guerra, d’assalto pesante, muniti di armi da fuoco a grosso calibro installati un po’ ovunque. Lanciarazzi sulla schiena, due per robot per un totale di dieci. Quindi, tra mitra, cannoni e lanciarazzi ce n’era proprio per tutti i gusti.
Ovviamente, tutte quelle bocche da fuoco erano rivolte ai due residui da laboratorio al centro dello spiazzo d’alberi abbattuti.
Shadow maledì mentalmente sé stesso per non essersene accorto prima, impegnato com’era a vedersela con Pelo Rosso, che si stava lentamente tirando in piedi. Ma quei robot, si chiese il riccio, erano venuti per lui o per quella cavia?
Valutò di usare la via rapida di fuga e andarsene ma, si disse, il nemico che non si sconfigge oggi è quello che si dovrà affrontare domani. E dei bestioni come quelli era meglio toglierseli di torno subito.
Scattò verso quello che gli stava di fronte, scagliandogli contro i due Chaos Spear contemporaneamente. Il robot alzò le braccia, come per difendersi, parando così l’attacco elettrico che si propagò però per il resto del suo corpo metallico. Shadow si sarebbe aspettato almeno un attimo di paralisi in una macchina, se colpita da un simile attacco, ma il robot, a parte due nerastre bruciature sulle braccia, non parve accusare danni. Gomma, intuì il riccio, avevano foderato quell’ammasso d’acciaio di gomma, salvaguardando cavi, giunture e motori interni da scosse elettriche esterne. Gomma, o qualcos’altro di simile e di isolante.
No, si disse Shadow, quei robot erano venuti per lui e lui soltanto, non per Teta. Erano attrezzati a dovere per vedersela con lui senza andare subito al tappeto.
Tutti questi ragionamenti in una frazione di secondo, mentre il riccio era slanciato in corsa verso quel robot, e mentre tutti gli altri aprivano il fuoco, scaricando grappoli di proiettili di varia forma e natura contro di lui, coinvolgendo anche Teta. Evidentemente, era un pezzo sacrificabile. O semplicemente di minor importanza se paragonato al premio finale, la Forma di Vita Definitiva.
Shadow balzò, incrementando ancora la propria velocità, appallottolandosi ed eseguendo uno Spin Dash contro il robot, che intanto non faceva altro che sparare con ogni mezzo che aveva, senza pero riuscire nell’intento.
Il pensiero che, forse, anche l’acciaio di quel robot avrebbe potuto essere rinforzato come il metallo di Teta, attraversò troppo tardi la mente del riccio, che ormai entrò in collisione con il corpo meccanico del nemico. Fortunatamente per le ossa di Shadow, quella lega metallica, seppur più dura del solito, si piegò ugualmente al suo attacco, permettendogli come sempre di attraversare per intero il robot, disintegrandolo. L’esplosione e l’ondata d fiamme che seguirono, accompagnarono l’atterraggio del riccio che, sfruttando il tronco di un albero miracolosamente ancora in piedi, sfruttò il proprio slancio per tornare subito nuovamente in azione.
Se, per una sola frazione di secondo, Shadow aveva immaginato che Teta avrebbe combattuto contro i robot per salvarsi la pelle, si era sbagliato di grosso.
La cavia da laboratorio gli saltò addosso, in corsa, sbilanciandolo e costringendolo ad una capriola al suolo per evitare di schiantarsi. Proprio, il cybrg non aveva il senso della priorità!
Due dei cinque robot stava sparando a lui, e cosa faceva Teta? Ancora tentava di ammazzare Shadow.
Teta sventolò la parvenza di coda che aveva attaccata al fondo della schiena e ruggì, mentre una raffica di proiettili gli si abbatteva tutt’intorno, sollevando terriccio e lembi d’erba.
Shadow non sprecò più tempo di quello per la cavia. Tornò subito all’attacco, mirando al secondo robot. Attivò a metà il Chaos Control, tenendo sott’occhio tutto lo spazio circostante. Proiettili vaganti strappavano zolle alla terra, sollevandone schizzi ovunque, oppure scheggiavano gli alberi che esplodevano in nugoli di corteccia e legno, sparando frammenti lignei ovunque. Due razzi vennero lanciati dal robot più distante, entrambi si diressero automaticamente verso Shadow, puntando dritti a lui.
Pattinando, non fu difficile evitare il primo, che si schiantò a terra, dilagando fiamme ovunque. Al già tormentoso ambiente, si aggiunsero dunque alberi in fiamme, rami incandescenti che cadevano al suolo e foglie svolazzanti incendiate.
Shadow si voltò appena verso i residui dell’esplosione, concentrandosi sul secondo missile, che aveva sterzato ad un nulla dal suolo e che ora stava proprio dietro di lui. Ritornando all’idea originale, il riccio puntò ad uno dei robot, sperando di far fare al missile tutto il lavoro di abbattimento.
Il robot in questione cominciò a sparare all’impazzata contro il nemico in rapidissimo avvicinamento, che, pattinando a zig zag non ebbe problemi a schivare i proiettili (sempre con il missile dietro), per altro non particolarmente precisi. Shadow dunque teneva contemporaneamente d’occhio il razzo dietro le sue spalle, Teta che ancora lo inseguiva, le pallottole esplosive dei suo bersaglio e tutte le altre sparate dai robot restanti, alle quali si aggiunsero quattro nuovi missili.
Corse veloce come il suono verso il benedetto robot, arrampicandocisi sopra, accelerando sempre più l’andatura e staccando di qualche metro il missile, quanto gli bastava per scavalcare le spalle della macchina e piazzarcisi dietro e facendo così cambiar rotta al razzo che scelse la via più breve per il suo obbiettivo, schiantandosi contro il petto del robot che esplose. Chaos Control e il riccio si tolse di mezzo per tempo, evitando la seconda ondata di fiamme che travolse altri alberi, ora accesi come torce.
I quattro missili in volo ebbero un attimo di smarrimento alla scomparsa del loro bersaglio ma ebbero quasi subito il cuore in pace quando questi riapparve addosso ad un terzo robot.
Tutti e quattro i razzi si slanciarono in picchiata contro il riccio che alzò la testa a controllare che davvero si stessero dirigendo verso di lui, distruggendo così un altro robot. Ma Teta intervenne.
Spiccò un unico salto, portandosi all’altezza di Shadow, sulla spalla della macchina. Artigli sfoderati, menò un fendente, mirando alla testa, ma il riccio si abbassò per tempo evitando il colpo. Teta con l’altro braccio lo attaccò nuovamente, chiudendolo quasi in trappola in quello spazio ristretto. Gli artigli del cyborg erano ad un nulla dalla pelle nera come la notte del riccio, quando questi fece scattare definitivamente il Chaos Control, sparendo e lasciando Teta con quattro missili incendiari sulla testa.
Le onde d’urto combinate che seguirono sconvolsero le chiome degli alberi di tutta la zona circostante, in un raggio di quattro chilometri, sbattendo a terra il robot restante più vicino, avvolgendolo pure nelle fiamme, e destabilizzando l’equilibrio dell’altro superstite.
Shadow si materializzò a qualche metro da lì, osservando i due robot che ancora si muovevano. Il primo immerso nelle fiamme, ma sembrava esserne immune, come l’altro si era rivelato esserlo con l’elettricità. Il secondo che lentamente ricominciava ad avanzare verso il riccio.
Gli occhi della Forma di Vita Definitiva si volsero verso il cratere annerito che ora deturpava il volto della foresta. Ad un botto del genere, Teta sicuramente non era sopravvissuto.
Due nemici ancora in piedi. Gioco facile.
Una piccola spia luminosa ci accese sulla fronte del robot camminante. –Rinforzi in arrivo. Tempo d’attesa rimanente: un minuto e due secondi.-
Come non detto. Meglio sbrigare lì la faccenda e farla finita.
Partì a corsa verso il robot più vicino, che prese a sparargli contro, come di routine. Ma, quegli schioppi, se paragonati al fragore della quadrupla esplosione erano niente. Le orecchie di Shadow ancora fischiavano. Uno strano silenzio avvolgeva ora la radura creata artificialmente dai combattenti.
Shadow sterzò rapidamente a sinistra, evitando la doppia scia di proiettili. Aumentò l’andatura e pattinando sul fuoco si gettò contro il robot con uno Spin Dash che, per un motivo o per l’altro, mancò il bersaglio completo, limitandosi a disintegrare una spalla al nemico meccanico. Il grosso braccio cascò a terra come una mela matura.
Teneva mentalmente il conto: cinquantanove secondi all’arrivo. Aveva un senso innato del tempo, se si trattava di tener il conto dei secondi, dei minuti, delle ore che passavano.
Atterrò oltre il robot, in scivolata. Piantò una mano a terra e fece inversione totale, tornando indietro contro il nemico sfruttando il proprio slancio, ma qualcosa lo colpì da dietro, sbilanciandolo e sbattendolo a terra.
Atterrò malamente, ma, rotolando, si ritrovò subito in piedi, Chaos Spear in mano, Chaos Control pronto a schioccare, e una buona dose di aggressività nel sangue, pronto a fare a pezzi qualunque cosa si muovesse. Ma quello che vide lo lasciò basito.
Sonic the Hedgehog in persona stava in piedi, a guardarlo, con un mezzo sorrisetto stampato sulle labbra e una specie di ricetrasmittente in mano.
-Sto seguendo questo macinino arrugginito da parecchio tempo, faker.- cominciò, dando un colpetto alla radiolina. -Ma l’esplosione di poco fa mi ha aiutato davvero molto a trovare questo luogo. Non capisco però perché ci sei tu, qui. E non l’esperimento fuggito che stavo cercando.- Sonic fece spallucce. –Ero curioso di vederlo, vabbe’. Anche le vecchie conoscenze non sono disprezzabili, dopo tutto. Anche se si tratta di te.-
Shadow lasciò sfumare via i due Chaos Spear, guardando stordito Sonic.
-Ne hai fatti di casini, faker.- disse piano il ricci blu, guardandosi attorno. Un manto di cenere e foglie carbonizzate, talvolta ancora accese, cominciò a scendere sulla pianura. Una nevicata grigia, che nulla aveva di pulito e candido.
Gli occhi di smeraldo di Sonic scattarono appena oltre Shadow, sui due enormi robot.
-Wow.- commentò Sonic, piatto. –Stai giocando pesante, questa volta, amico.-
Shadow ancora non aveva detto una parola. Continuava a guardare Sonic, cercando freneticamente di capire cosa ci fosse che non andava nel suo … collega d’avventure. Perché c’era qualcosa di strano, in lui.
Stessa postura di sempre. Stessi modi di fare. Stessa parlata. Stesso irritante sorrisetto. Stessa lingua ironica.
Gli occhi, concluse Shadow. C’era un’ombra nello sguardo verde del riccio blu. Un’ombra che Shadow conosceva bene ma che stonava brutalmente con l’essenza di Sonic.
Furia, rabbia nera. Voglia di vendetta.
Per cosa, Shadow non lo sapeva, ma pareva davvero che Sonic avesse appena visto un fantasma, un qualcosa di tanto orribile da annebbiare lo sguardo solare e ridente che lo caratterizzava e che sempre lo aveva accompagnato.
Non osò immaginare cosa fosse, quel qualcosa.
-Ti vedo un po’ cupo, Sonic.- disse, cautamente.
Il riccio blu volse stancamente la testa verso Shadow. –Non è per me che dovresti preoccuparti.- rispose pacatamente Sonic. Fece un gesto con la testa, ad indicare i due robot là dietro, che parevano indecisi sul da farsi, forse confusi dall’improvviso arrivo del riccio blu, loro alleato.
Sonic diede loro le spalle, facendo in modo che soltanto Shadow potesse vedere l’occhiolino che seguì. –Ti sei ficcato in un grosso, grossissimo pasticcio, faker.- disse, calcando particolarmente la parola “grossissimo”.
Shadow piegò la testa di lato, cominciando ad intuire.
-Già- riprese Sonic, mettendo molta enfasi nel parlare, pronunciando lentamente le parole. –Non importa quanti nemici ammazzi, vero?- fece un gesto con le mani, indicando il bosco devastato. –Ne arrivano sempre altri. E altri ancora, tutti da posti diversi. Hanno però l’unico obbiettivo di catturarti, faker. Ne fai a pezzi uno, ne arriva subito un altro, che lo rimpiazza in abilità e copre al suo posto quello stesso compito comune.-
Shadow chiuse un attimo gli occhi. D’accordo, aveva capito. Sonic gli stava forse dicendo che distruggere la base nel deserto –perché lui sapeva della base- era stato un atto pressoché inutile, perché i nemici erano tanti, arrivati da “posti diversi”, suddivisi in più basi, ognuna con una specialità differente, sempre e comunque determinate a catturarlo. Gli aveva detto che il nemico contro cui combattevano era più organizzato ed esteso del previsto. Gli aveva detto che c’erano molte basi e moltissimi nemici, pronti a rimpiazzarsi. Non c’era la paura del numero in diminuzione. 
Buona parte di ciò che aveva ipotizzato lui, dunque, era corretto. Il riccio blu era la conferma.
-Proprio non hai idea di chi tu ti sia inimicato, questa volta, faker.- continuò Sonic.
Lo stava avvisando dicendogli che quello che aveva scoperto Shadow fin ora erano elementi insufficienti, che Sonic ne sapeva di più, che aveva altre informazioni. Al contempo, indirettamente, gli aveva detto che qualcuno gli stava osservando. Telecamere. Non avrebbe mai parlato a quel modo, sennò.
-Quelli che erano tuoi amici non lo sono più.- il riccio blu prese fiato. –Siamo di nuovo sui due fronti opposti, faker. Combatti!-
Sonic si mise in posizione d’attacco, gamba destra leggermente in avanti, pronto a correre, mani strette a pugno, pronto a colpire.
Era stato costretto, si disse Shadow. Del resto, gli aveva chiesto lui di fare la spia. Era giunto il momento di pagarne il prezzo.
Come se stessero aspettando solo quello, i due robot dietro i ricci scattarono. Aprirono il fuoco. Sonic scattò in avanti, Shadow partì a correre scartando a sinistra, piegando verso uno dei due robot, seguito a ruota dal riccio blu.
Se prima aveva dovuto correre con dietro un missile tenendolo a distanza, ora si trovava con Sonic sulla scia, e il riccio blu era mille volte peggio del missile. Più veloce e dotato di libero arbitrio.
Erano osservati, Sonic non si sarebbe trattenuto, non poteva. Dunque, dovevano combattere sul serio. O quasi. Il riccio blu avrebbe impedito a tutti i costi a quello nero di raggiungere i robot e distruggerli.
Tutto era lecito, tranne uccidersi davvero.
I due robot non smisero un attimo di fare fuoco. Sparavano come impazziti sui due ricci, mirando a Shadow, ovviamente, ma non potendo fare a meno di coinvolgere anche Sonic.
Sonic scattò in avanti, affiancandosi per una frazione di secondo a Shadow. Lo attaccò con un calcio, ma il riccio nero spiccò un salto, ruotando di qualche grado a destra il busto, per evitare due proiettili sparati da uno dei robot. Sonic dovette allontanarsi anche lui di qualche passo per non essere colpito da altre due pallottole.
E intanto la distanza tra loro e il robot mutilato di un braccio diminuiva. Sonic, in Spin Dash, tornò all’assalto. Shadow deviò la sua rotta con un calcio, mandando il riccio blu a sbattere contro un albero,  che si spezzò, cadendo fragorosamente al suolo.
Chaos Control e Shadow si materializzò sopra al robot, che lentamente sollevava l’unico braccio, nonché sua arma, per tentare di sparargli. Mentre Sonic si rialzava e ripartiva a correre verso il riccio nero, Shadow eseguì uno Spin Dash in verticale, trapassando da lato a lato la macchina. Come le altre volte quella esplose, ma il Chaos Control era più veloce e portò via, in salvo, il riccio nero.
La Forma di Vita Definitiva si materializzò a terra, a non troppa distanza dall’ultimo robot. Tempo di apparire e Sonic gli era praticamente già addosso, mentre il robot sparava altri due razzi, oltre alla pioggia di mitra.
Shadow saltò per evitare la scia di proiettili, facendo guadagnar preziosissimo terreno al riccio blu, già con il pugno pronto. Dovette teletrasportarsi di nuovo per evitarlo, riapparendo alle spalle del mastodontico robot, lontano dai proiettili vaganti.
Lo sguardo frustrato di Sonic non sfuggì a Shadow, ma lui non vi fece troppo caso. Preparò lo Spin Dash per far a pezzi quell’ultimo nemico prima dell’arrivo dei rinforzi, ormai imminente, quando un ringhio a lui fin troppo famigliare lo immobilizzò. Voltò lentamente la testa verso il cratere dei quattro missili, ancora fiammeggiante.
Uno dei razzi sparati dal robot rimanente gli arrivò praticamente addosso, seguito in coda dal secondo. Tenendo sempre lo sguardo fisso al fuoco del cratere, con un sangue freddo che aveva dell’invidiabile si teletrasportò due volte, apparendo e scomparendo, sempre nello stesso posto e nella stessa posizione, nella frazione di secondo prima del contatto con ognuno dei due missili, che continuarono la loro corsa solo per andare a schiantarsi tra gli alberi. Due botti, due onde d’urto, due fiammate.
Gli occhi di rubino di Shadow non si erano schiodate per un sol attimo dal cratere, le orecchie tese.
Sonic sbuffò. –E poi dicono che sono io l’esibizionista. Guarda lui! Arrivano due missili e lui cosa fa? Due Chaos Control e puf! Nemmeno si è girato! Tanto, sono solo missili. Mai sprecarsi, vero?-
Quando si accorse che Shadow non l’aveva nemmeno ascoltato, si volte pure lui a guardare la fossa di fiamme e cenere. –Cos’hai da guardare così attentamente, eh, faker?-
Con un ruggito che sembrava provenire direttamente dalle fauci dell’inferno, una figura completamente avvolta dal fuoco si scagliò fuori dalla fossa, mirando a Shadow, che schizzò indietro, fulmineo.
Gli artigli di Teta sbriciolarono il terreno su cui un attimo prima stava il riccio.
Alzò il muso, fissando negli occhi Shadow, che, dal canto suo, rabbrividì.
La pelle di Teta era ridotta ad un ammasso di carbone, uno strato nero informe che gli avvolgeva il corpo come cartavelina. Era stracciata, lacera, sfaldata, strato dopo strato, solo cenere rigata di sangue. Del bel pelo rosso rame non v’era più traccia, così come delle orecchie, della coda, del naso e delle labbra. Le guance erano come bucate, lascando sottili filamenti di carne a coprire le zanne.
Restavano solo quei residui di materia organica e l’esoscheletro di metallo, aggrappato a quelle poche fibre muscolari che ancora resistevano.
Ma, se l’aspetto era quello di un cadavere, pelle che incartocciava ossa e poco più, le movenze erano quelle di un vivo. Shadow stava a guardare con occhi sgranati quel macabro spettacolo. Teta si mosse avanti, camminando con tutta la saldezza nelle gambe che aveva prima.
Poi, Shadow capì.
Quando un lembo di pelle di staccò di netto da una spalla, sbriciolandosi, rivelò il segreto di Teta. Il secondo strato di pelle, situato sotto a quello organico, era di ferro. Piccole, lucide, minuscole scaglie di ferro avvolgevano per intero il corpo di Teta, come una cotta di maglia, tenendo al sicuro da fuoco o altro gli organi interni e i muscoli.
In pratica, Teta aveva la struttura di una cipolla. Prima esoscheletro di metallo per rimanere dritto in piedi, poi pelle e una parte di muscoli, poi cotta di maglia nonché corazza interna, ed infine muscoli veri, organi, ossa e così via. Metallo, carne, metallo, carne.
Ovviamente, tolto il primo strato di muscoli e pelle, la figura di Teta risultava molto più esile di quanto non fosse prima.
Se Shadow era rimasto turbato a tale vista, Sonic era sull’orlo del vomito.   
-Ch…che diavolo è quello?!- esclamò, il riccio ormai verde, anziché blu.
-Colui che stavi cercando, prima di incappare in me.-
-L’esperimento fuggito?- Sonic pareva incredulo.
-Proprio lui.-
-Ma cosa caspita gli è successo?!-
-Colpa mia.-
Teta spostò lo sguardo da Shadow a Sonic. Ebbe un attimo di smarrimento ma poi parve riscuotersi. Ritrovò tutta la sua violenza bestiale e si scagliò, schiumando di rabbia contro Shadow, con gli artigli protratti in avanti.
Era più veloce, rispetto a prima, come se si fosse liberato di un fardello inutile. Mentre il riccio nero saltava, evitando Teta e i suoi artigli, notò che Sonic era rimasto immobile, pugni stretti, a fissar nel vuoto dritto davanti a sé.
Sembra combattuto, pensò Shadow. Non ebbe il tempo di divulgarsi in ragionamenti vari, Teta invertì bruscamente la rotta di marcia, tornando ad attaccare il riccio nero che gli sferrò in risposta un sonoro calcio, mirando alla testa. Tutta una striscia di pelle carbonizzata si staccò di netto. Un poco di sangue colò sul volto di Teta. Non molto, solo quello non coagulato dal fuoco che restava in quei pochi centimetri di pelle prima del metallo.
Ai limitari dello spiazzo degli alberi bruciati o spezzati dai proiettili, delle figure avanzavano.
Robot.
Undici.
Armati di brutto.
Pronti a combattere e uccidere.
Shadow sbuffò.
Difendere il suo DNA stava diventando sempre più complicato.
Teta ululò, slanciandosi di nuovo all’assalto. Con la coda dell’occhio vide Sonic portarsi la ricetrasmittente all’orecchio, forse parlava con qualcuno.
Dovette balzare indietro, mentre il ringhiante mostro nato dal fuoco continuava ad inseguirlo, fendendo l’aria infiocchettata di cenere con gli artigli.
Dai margini della radura cominciarono a sparare. Essendo essi disposti a cerchio, i proiettili giunsero con precisione geometrica ovunque, invadendo tutta l’area in questione, falciando le oche pianticelle del sottobosco che erano sopravvissute.
L’unico posto che rimaneva, dunque, era il cielo. Shadow si teletrasportò su. Sonic balzò, un balzo dei suoi, vertiginosamente alto, evitando l’onda circolare di colpi. Che si abbatterono tutti, o quasi, sul povero Teta. Le pallottole gli rimbalzarono addosso, come se fossero fatti di gomma, anziché di piombo. La pelle metallica funzionava a meraviglia come protezione.
Dall’altezza cui si trovava, Shadow si slanciò in Spin Dash contro i robot appostati sotto gli ultimi alberi. Un attacco a catena che ne stese quattro prima che Sonic intervenisse. Appallottolato pure lui, colpì in pieno Shadow, scagliandolo lontano, sotto le fronde.
Nel volo, abbattè un albero e andò a fermarsi contro una quercia. Scosse la testa un paio di volte, riprendendosi dal colpo giusto quando Sonic gli arrivò addosso. Sempre in Spin Dash, lo colpì in pieno, schiacciandolo contro il solido tronco dell’albero, mozzando il respiro a Shadow.
Faceva male. Nulla da ridire.
Oltre la sfera rotante che era Sonic, il riccio nero registrò mentalmente che gli altri robot erano tutti quanti concentrati su teta. I sei rimasti in piedi stavano combattendo furiosamente contro di lui, che invece faceva di tutto per tornare da Shadow.
Davvero, non respirava più.
E nemmeno riusciva a togliersi di dosso la palla spinosa che era Sonic. Gli venne in mente una sola cosa, anche se esitò un attimo, prima di metterla in atto. In fondo, quella non era una battaglia del tutto vera. Evocò un Chaos Spear e diede la scossa al riccio blu, che si accasciò a terra, stordito dal dolore. Shadow con un salto di allontanò dalla quercia. Un filo di sangue gli scese dall’angolo della bocca. Se lo asciugò con una mano.
Il suo sosia blu gli aveva dato una gran brutta strapazzata agli organi interni, poco ma sicuro.
Mentre entrambi si riprendevano dai rispettivi colpi subiti, il suono delle eliche di un velivolo li raggiunse. Rinforzi pure dall’alto. E questi, scommise Shadow, non erano qui per riacciuffare il fuggiasco. Erano lì per lui.
Sonic era in piedi, occhi fissi su di lui, conscio anche lui del velivolo in avvicinamento. E non era detto che fosse solo uno. Molto probabilmente erano una flotta.
Sonic fu il primo ad attaccare.
Quello che seguì, fu un susseguirsi di scintilli blu o rispettivamente neri, troppo rapidi per poter esser colti ad occhio nudo.
I due ricci cominciarono a darsele di santa ragione, alla maniera loro. Scatti, corse, teletrasporti, calci, pugni. Un vicendevole scambio equo di botta e risposta ma che, sommato tutto, non fece grandi danni.
Spin Dash, Chaos Spear, Chaos Control, colpi alla vecchia maniera.
Il tutto sotto una pioggia di mitra o missili da parte delle forze aeree, che per lo più mietevano vittime tra gli alberi, più che tra i ricci.
Shadow correva, sfrecciando sotto le fronde. Aveva perso di vista Sonic per una frazione di secondo e quello era scomparsi.
Non passò molto che ritrovò il suo sosia. Il riccio blu, in accelerata rapida, lo colpì alla schiena, appallottolato. Shadow cadde, una capriola e tornò in piedi. Sonic attaccò di nuovo, dall’alto. Shadow se ne accorse, schivò il colpo e poi menò al riccio blu un pugno in faccia. Sonic rotolò via, si rimise in piedi e si slanciò contro il ricco nero ma, mezzo secondo prima di colpirlo sterzò di lato, schizzandogli dietro, facendogli credere di volerlo colpire di nuovo alla schiena. Shadow si girò e Sonic, fatto un altro giro, lo colpì al fianco destro. Chaos Spear e Sonic finì a terra un’altra volta, tutto dolorante.
Shadow non gli concesse tregua e si appallottolò. Sonic si alzò in tempo e schivò, saltò su un ramo che, flettendosi, gli diede una rinnovata spinta per tornate all’attacco. Ma la Forma di Vita Definitiva si teletrasportò, mandando in pezzi le speranze del riccio blu. Un missile mandò in frantumi un vecchio pino che viveva lì vicino. Le schegge investirono i due ricci. Sonic ne uscì incolume. Shadow aveva un pezzo di legno acuminato lungo una spanna conficcato in una spalla. Lo estrasse e la lotta riprese.
Pallottole e foglie strappate piovevano dal tetto di rami.
Più quella lotta continuava, più Shadow prendeva coscienza del fatto che, per Sonic, quel momento era uno sfogo. Ci metteva più impegno del solito (talvolta, difatti, combattevano così, per allenarsi). Ma sotto quegli alberi, Shadow, studiando i movimenti del suo amico (sì! Amico!), capì che fare il doppio gioco con gente simile era un po’ troppo per i nervi del riccio blu. Lo registrò nella mente, in seguito avrebbe pensato ad una soluzione.
A suon di calci, pugni, Spin Dash, fughe strategiche e altro, Sonic spingeva Shadow sempre più lontano da Teta. Il riccio nero sospettava che fosse stato quello l’ordine che aveva ricevuto tramite la radiolina, prima. Impegnare Shadow fino a quando Teta non fosse stato sedato.
Tempo di scambiarsi un qualche altro cazzotto e la ricetrasmittente di Sonic si fece sentire di nuovo.
-Rientrare alla base. Missione completata.-
Sonic si fermò un attimo, guardò Shadow, guardò gli alberi e poi sussurrò. –Casa di Cream, cinque giorni.-
Poi si girò e sparì, una scia azzurra nel verde martoriato della foresta.
Shadow piegò la testa di lato, guardandolo sfrecciar via.
Si accorse solo in quel momento che aveva il fiatone.
 
 
-Ma è magnifico!- urlò l’uomo in camice, in piedi davanti allo schermo. –Funziona! Ci siamo riusciti!-
L’immagine sullo schermo era un tagliato dei dati raccolti quel pomeriggio, durante la furiosa battaglia contro la Perfezione.
Uno degli scienziati davanti ai computers si voltò e sorrise. –Congratulazioni vivissime, signore. Ce l’avete fatta.-
L’uomo in camice, ghignò. –Ho donato al capo una creatura capace di resistere pure a Shadow! Capace di sopravvivere, magari, anche al suo Chaos Blast!- come colto da un’improvvisa frenesia, corse spasmodicamente davanti al monitor, additando le immagini della battaglia, viste con gli occhi del soggetto Teta567. –Ora basta incrementare le sue capacità di attacco e ci siamo!- strillò. –Solo con gli artigli non andremo da nessuna parte, ma questo era già nei piani. Armi da fuoco, armi chimiche. Sì! 567 è fuggito prima del tempo, ma, Shadow se ne accorgerà, la prossima volta che si incontreranno non andrà a finire così!- urlò, alzando le braccia al soffitto con teatralità.
La donna entrò ancheggiando dalla porta di vetro automatica. Sembrava tranquilla ma il suono dei suoi tacchi a spillo contro le lastre del pavimento tradiva furia repressa.
-Non esaltarti tanto, pazzoide che non sei altro.- sibilò tra i denti. –Non è stato questo gran successo. Se non fosse stato per il prezioso aiuto di Sonic e delle forze aggiuntive sopraggiunte, di Teta 567 non rimarrebbe nemmeno la cenere.-
L’uomo in camice si voltò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, inquadrando la vipera umana che si trovava ora davanti. –È sopravvissuto a quattro missili. Quattro! Reggerà anche il Chaos Blast.-
-Ma, mio idiotissimo genio, il Chaos Blast  non è fuoco, come quei missili. È molto di più.- il tono di voce della donna si saturò di ammirazione e dolcezza al tempo stesso, come se stesse contemplando un gradissimo tesoro. –Quindi, spera bene che quel tuo ammasso di sangue e metallo regga al potere di Chaos oppure finirai male.-
-Sei più acida di un limone, mia megera. Basterà rifare la pelle di 567, impiantargli le armi e saremo a cavallo!-
-Non si è mai a cavallo se il nemico è lui.- disse lei, con voce annoiata, indicando mollemente lo schermo e il riccio nero raffigurato.
L’uomo sbuffò. Tramite una vetrata guardò giù, nella sala sottostante, con le capsule di contenimento. Tre, una occupata. Il corpo sedato di Teta567 risiedeva lì.
-E gli altri due?- domandò la donna.
-Vanno perfezionati.- fu la risposta. –Ma manca poco.-
-Bene. Il capo è impaziente. Vuole il DNA di Shadow.-
-Sì, sì, lo so.-
-Ricomponi quel disgraziato laggiù, e vedi di insegnargli una volta per tutte le buon maniere. Ha ammazzato altre quattro persone, oltre le cento e qualcosa dell’altra volta.-
-Già. Ho confrontato le ferite dei nuovi corpi e di quello prelevato a quel villaggio. Teta567 si sta perfezionando, è sempre più violento. Questa volta non si è limitato a squartare: ha anche smembrato, dissezionato e mangiato.-
-Mangiato?!- la scienziata sobbalzò. –Oh, che bello. Stai allevando un mostro amante della tortura che mangia il suo lavoro quando ha finito. Geniale.-
-Appunto, è da perfezionare anche lui.-
-Lo credo bene! In ogni caso, il tempo stringe. Devi preparare anche gli altri due, e anche quelli nuovi.-
-Lo so! Lo so!-
-Ci servono tutti e tre, quelli iniziali, per neutralizzare ogni attacco di Shadow.-
-Lo so, donna, lo so!-
 
A casa di Tails si era respirato un clima di tensione e attesa per tutto il giorno. Giunti a sera, i nervi di tutti erano sul punto di spezzarsi.
Aspettavano con ansia che Sonic tornasse così da scoprire quegli indizi in più per permettere al magico cervello di Tails di filtrare nei computer di quella misteriosa associazione che perseguitava Shadow.
Avevano atteso e atteso, avevano aspettato e atteso ancora, tra le chiacchiere insensate di Amy, le sfuriate di Knuckles sull’inutilità del riccio blu e i ragionamenti riconcilianti di Tails.
Quando, infine, la porta di casa Prower si aprì e il diretto interessato di tutte quelle ansie fece il suo ingresso, a tutti passò la voglia di fargli domande. O meglio, la curiosità c’era, sì, ma riguardante tutt’altro rispetto al loro piano originale.
Sonic aveva in volto un tale sguardo assassino che nessuno osò aprir bocca. Un atteggiamento che nulla aveva a che vedere con l’indole del riccio. Nessuno di loro, nemmeno Tails, il fratellino di latte di Sonic, l’aveva mai visto così alterato.
Il riccio blu entrò in casa, attraversò il salotto, zoppicando appena, raggiunse il divano e vi si sdraiò, mettendosi un braccio sugli occhi.
Amy, Knuckles e Tails (Cream e Cheese erano tornati a casa per la cena) si guardarono, perplessi.
Quando Tails, il prescelto per l’ardua missione, osò pigolare –Cosa è successo, Sonic?-
Lui ridacchiò appena, ma, anziché sollevare il morale, fece raggelare tutti.
-Quella creatura ha ammazzato un’intera famiglia a sangue freddo e io l’ho anche dovuta salvare da Shadow. Quelle persone, no, quei mostri stanno dando vita ad un orrore dietro l’altro e io li devo aiutare.-
Tails si voltò, incrociando gli sguardi angosciati di Amy e Knuckles.
-Non ancora per molto.- disse ottimisticamente il volpino. –Se lavoriamo tutti insieme, gliela faremo pagare.-
-A tal proposito.- si introdusse Amy. –Noi abbiamo un piano.-
Sonic aprì gli occhi e si tirò su a sedere. Aveva l’aria di uno zerbino calpestato ma una scintilla gli si accese negli occhi smeraldini alla parola “piano”.
 –Racconta.-
 
Rouge non impiegò più di un secondo a capire che era successo qualcosa, durante la passeggiata di Shadow.
La sua postura, il suo modo di muoversi, i suoi occhi …
-Shady, che cos’è successo?- chiese, deponendo all’istante il diamante scintillante che aveva rubato qualche mese prima.
Il riccio nero tirò dritto, senza voltarsi né rispondere. Rouge volò da lui. –Ma non siamo compagni di squadra, noi due?- sbottò.
-Te lo racconto dopo cena, va bene?-
La domanda, espressa a quel modo, lasciò stupita Rouge, che bisbigliò un tenue “va bene”, guardando il riccio nero entrare in camera sua e chiudersi la porta alle spalle.
 
  
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